lunedì 26 dicembre 2022

La "mamma" Meloni, le leggi razziali, la destra e il reddito di cittadinanza

 Giorni fa, la Presidente del Consiglio Meloni ha voluto sottolineare, in un incontro a Roma con la comunità ebraica, l'importanza della sensibilità, propria di chi è "mamma", nella comprensione, fino alla lacrima, delle sofferenze causate alle persone ebree dall'"ignominia" delle fascistissime leggi razziali. Bene, capire il dolore degli altri è atto di generosa solidarietà. E invita alla condivisione.

 Eppure questa sensibilità, dimostrata nei confronti della "resilienza" del popolo ebraico alle leggi razziali, non riesce ad essere dimostrata/praticata nei confronti delle persone povere costrette a ricorrere al reddito di cittadinanza per vivere. In verità, se si scende nel profondo dei movimenti della società, l'obiettivo delle leggi razziali era sì l'isolamento e la persecuzione degli ebrei nella loro "fede" e "libertà" e "identità", ma anche (e soprattutto) il ridurli in povertà, vietando loro moltissime possibilità di attività; a quella povertà, imposta per legge, gli ebrei seppero resistere fino a commuovere oggi, appunto, la (nostra) Presidente del Consiglio. Costringere gli ebrei a un vita in clandestinità e in difficoltà economiche, ora si ammette, fu un tragico errore. Un'ignominia.

È lecito, quindi, stante l'improponibilità di un benché minimo paragone tra la sofferenza totale causata dalla discriminazione razziale e le ristrettezze causate dalla miseria, chiedersi: perché per la distruzione/riduzione del reddito di cittadinanza, che è comunque il togliere dalla povertà un sacco di persone indifese e con ogni sorta di difficoltà, anche personali, la Presidente del Consiglio non pratica la sensibilità propria di una "mamma" nella comprensione di quelle ristrettezze, anzi, al contrario, tenta di lastricare di odiosi ostacoli la strada verso l'uscita, appunto, con il reddito di cittadinanza, dalle sofferenze della povertà proprio delle persone bisognose d'aiuto? (Eppure rispondere ai bisogni degli ultimi è atto di civiltà.)

Forse perché la destra reazionaria, al di là della retorica del pentimento, è tutta invischiata in una cultura politica legata all'idea del "punire", attraverso un comando imperativo salvifico, "chi non ce la fa" e ritiene utile la strada  delle "umiliazioni" e dei "sacrifici" per l'uscita dalla povertà. A chi soffre si chiede "resilienza" perché ottenga comprensione. Esiste, permanente, una linea di continuità nel decidere norme per "fare soffrire" chi si trova in situazione di difficoltà per un qualche motivo. Sì, si tratta di un fare politica in "follia" (Conte). In fin dei conti, è la scelta di un odio di classe ideologico e per giunta infruttuoso, praticato senza sentire vergogna, anche da strani agitati "riformisti". Qui un'analisi documentata di tanto (inutile e dannoso) odio di classe.

E quanto è inopportuno e improduttivo e disumano porre tra le priorità della severità della legge il continuo andare a scovare i "furbetti" del reddito (cmq gente "povera" in più sensi), regalando alla grande evasione risorse umane e strumentali di indagine sempre più deboli e limitate.

Questa è la destra "moderna", sempre pronta a dare addosso a chi non ha difese e spesso esprime anche una "diversa" visione della vita. 

O no?

Severo Laleo


mercoledì 21 dicembre 2022

La cultura è (anche) mitezza

 Seguo con vivo interesse i "professori", quando, grazie alla loro scienza, insegnano contenuti utili a chi ascolta, svolgendo così un'opera civile meritoria; ma quando, senza scienza, giudicano, tra ironie e sarcasmi, le persone e non i fatti e/i comportamenti, non riesco più a seguirli. Mi piace credere che la cultura, quel mix tra scienza/conoscenza e coscienza, abbia nella mitezza un fondamento ineludibile, addirittura indispensabile per il dialogo in democrazia.

PS Scrivo "professori", perché il difetto è soprattutto maschile (anche tra i politici!).

giovedì 8 dicembre 2022

La "differenza" e La donna gelata di Annie Ernaux

Caro Scapece,


vedi? dopo “Memoria di Ragazza” sono di nuovo alle prese

con Annie Ernaux e la sua “La donna gelata”.

Che dire di primo acchito già a inizio lettura?

Si è di nuovo di fronte a un raccontare semplice,

senza sbalzi, proprio di chi segue in ordine le linee essenziali

delle cose, delle persone e delle sensazioni.

Un raccontare, potresti anche dire, almeno all'inizio, da lettera

di confessione di un’innamorata in prova a una persona

da amare, con tutto l’entusiasmo di chi vuol dire

le “sue” cose in "verità", eppure la narrazione, nel suo proseguire

inesorabile, scandita dai nuovi fatti di vita matrimoniale,

riesce a coinvolgerti e a tratti sembra assumere, in qualche modo,

i ritmi/toni dell’epopea (forse esagero un po'!), sia pure del vivere quotidiano.

La scrittura quindi ha sempre il suo fascino, e sempre il suo ritmo

fondato ora sul susseguirsi degli eventi ora sulle pause brevi,

acuminate a volte, comunque illuminanti delle riflessioni.

Il tema questa volta è semplicemente la “differenza” uomo/donna,

visibile soprattutto nel tran tran della vita in comune (non solo),

una differenza presente ab antiquo, ma impossibile da superare,

anche quando si riesce a prendere coscienza della sua reale esistenza,

ma la sua vischiosità è così penetrante da rendere inutile ogni tentativo 

di intessere nuove relazioni alla pari.

Proprio per la specificità del tema non poche volte si avverte,

a scapito dell’intensità soggettiva del racconto, il cedimento

al tasto della denuncia. E, quando questo avviene, ti sembra

di leggere solo un’analisi, lucida e partecipata, di una femminista

nella sua opera di disvelamento della realtà. Scrive A.Ernaux

Una conclusione cinica e razionale, è questo il matrimonio,

scegliere tra la depressione dell'uno o dell'altra, deprimerci

entrambi è uno spreco. Con altrettanta evidenza, il mio posto

è accanto al bambino e il suo al cinema, non è il contrario.”

Ti dirò, caro amico, nonostante il tema in sé si possa ritenere

difficile da gestire sul piano letterario, pur tuttavia quel saper

dire la “propria verità con turbamento ribelle e razionale,

dentro la ricerca di una radicata aspirazione alla “libertà”,

ancora non prevista da chi si trova intorno a te, dona alla scrittura

di A. Ernaux una sua coinvolgente gradevolezza.

Ciao Scapece, ora ti saluto, stammi bene e alla prossima,

il tuo Severo.