venerdì 29 novembre 2013

Il capitalismo maneggione, la cultura del limite e il Galateo



Il Galateo appare in Italia nel Rinascimento. E’ il libro per eccellenza
del “viver civile”. Un libro di regole, di consigli, e di limiti da rispettare. 
Bisogna essere orgogliosi noi Italiani: siamo, nel mondo, 
il Paese della buona educazione e delle buone maniere.
Anche di Pulcinella, ribatte subito il mio amico Scapece.
E’ vero, eppure, a suo modo, Pulcinella conserva le sue buone maniere.
E’ comunque pulito e generoso. E sempre a suo modo è solidale.

La più grave devastazione della buona educazione è roba recente. 
Esplode nella “nuova” politica dei Bossi e dei Berlusconi, nei “nuovi” palinsesti 
della TV, ancora di Berlusconi, nel “nuovo” capitalismo, ancora di Berlusconi
e dei Ligresti e dei Riva. E la maleducazione si diffonde senza freni, 
varca ogni limite e diventa modello. Per conquiste di rapina.
Alla fine, meraviglia, contro la deriva dell’arroganza cafona
e prepotente e danarosa vien percepito leggero, castigato e liberatorio
il Vaffa dei grillini. E’ l’effetto della misura colma.
E chi era stato chiamato nelle istituzioni a dire dei no ai maneggi,
a opporre il limite dell’etica, della legge e della cultura, in una parola 
il “viver civile” del Galateo, spesso ha subito il fascino del danaro 
e ha scelto di farsi servo, vinto, perché senza difese, dalle sirene 
di un danarismo avvilente. A destra, a centro, a sinistra. 
Per un lento avvelenamento dal sembiante del successo, della vittoria.

Nell’800, ancora un italiano, Melchiorre Gioia,  nel riprendere il Galateo 
per un suo moderno aggiornamento, scriveva: “L'onore e la giustizia sono 
il primo limite ai sacrifizi che si possono ricercare agli amici; ogni lesione 
all'uno o all'altro non debb'essere né chiesta né concessa: ab amicis honesta 
sunt petenda...Generalmente gli amici volgari, cioè quelli che professano 
amicizia per interesse, per vanità, per convenienze sociali, pretendono 
che sacrifichiate loro il vostro onore e la giustizia che dovete a voi stesso 
e agli altri; per amicizia, se siete giudice, dovete tradire la giustizia; 
se testimonio, la verità; se impiegato, l'interesse pubblico"
(Melchiorre Gioia, Il primo e il nuovo Galateo, 1859, p. 275).

Eppure, ancora nel 2000, sono soprattutto gli italiani, a ogni livello, a tessere 
le reti di  “volgari amicizie” – non può esistere una classe dirigente disonesta
in un paese di onesti-, a darsi da fare perché la giustizia sia tradita, 
la verità manipolata, l’interesse pubblico negato.  Sempre e comunque.
Solo così puoi avere una ministra della Giustizia, Cancellieri, porsi a 
disposizione di un Ligresti; solo così puoi avere un Primo Ministro, un Berlusconi
condannato per frode fiscale –la frode più nobile del “viver civile”!-; 
solo così puoi avere una classe dirigente prona, al servizio del silenzio, 
perché nel libro paga di un qualunque Riva.
O no?
Severo Laleo

P.S. Il Paese, ormai stravolto dalla violenza della dismisura, tornerà a praticare 
il “viver civile”, anche perché i mille galantuomini del capitalismo italiano,  
i mille galantuomini del giornalismo italiano,  i mille galantuomini della politica
italiana,  i mille galantuomini comunque al lavoro senza rumori,
continueranno a resistere in “onore e giustizia”. Senza differenze tra le generazioni.



giovedì 28 novembre 2013

Le parole avare di Barbara Berlusconi

Quando i figli difendono i genitori, a prescindere dalle “situazioni”, 
è sempre comprensibile, spesso ammirevole. Anche perché i figli, 
nel dispiacere, riescono sempre a trovare le parole giuste,
generose, non avare, dell’affetto, per una difesa d’abbraccio a 360 gradi. 
Ma, a analizzare le parole di ogni dichiarazione, ai figli di Berlusconi 
non pare sia capitato, forse  per l’intervento di suggeritori d’obbligo, 
informati e importanti. E, si sa, quando i suggeritori intervengono
non è per usare il linguaggio dell’affetto, ma il linguaggio delle “situazioni
dei genitori. Così, mentre a Marina tocca la faccia feroce dell’aggressività 
politica con termini quali “vergognatevi”, “vi pentirete”, una faccia feroce 
solo mitigata dall’idea sua straordinaria di continuare ad avere un padre
leader” – è stata questa la parola dominante e omologante del ventennio 
ancora a chiacchiere scoppiettante nel suo unico epigono Renzi-;
mentre Pier Silvio, più pacatamente, senza ombra di minaccia, 
semmai di augurio, divide la sua, di figlio, “amarezza profonda”, 
dal suo, di cittadino, avvertire “un forte senso di ingiustizia”; 
Barbara Berlusconi –sono sicurissimo, senza sua colpa, la colpa
è dei suggeritori- è capitato di dichiarare: «Con la violenta estromissione 
di mio padre dal Parlamento, avvenuta attraverso norme 
incostituzionali e palesi violazioni regolamentari, gli avversari 
politici si illudono di avere la strada spianata verso il potere. 
È una operazione politica che si ritorcerà contro chi l’ha messa
in atto, nel momento in cui gli italiani torneranno a pronunciarsi
con il loro libero voto».
Proprio così. E ti dispiace non leggere in quelle parole l’amarezza di una figlia, 
la soggettività propria di un dispiacere filiale, perché leggi solo parole
minacciose di “situazione”, di “estromissione violenta”, di “norme 
incostituzionali”, di “palesi violazioni regolamentari”, 
di “avversari politici”, “strada spianata per il potere”,
di “libero voto”. Parole avare.
Prova a eliminare all’inizio di dichiarazione quel “di mio padre” 
e sostituiscilo con “Berlusconi”, e t’accorgi che la dichiarazione in questione 
può benissimo essere attribuita a un burocratico funzionario di Forza Italia
al massimo a un Ghedini stanco, sorpreso da un frettoloso cronista di Rete 4
Dispiace, dispiace davvero.
O no?
Severo Laleo

domenica 24 novembre 2013

L'importanza del limite

In questo blog di "parole per una cultura del limite" l'intervento di G. Sartori sul Corriere di ieri e ora nel sito "Cogito ergo sum" della Fondazione Roberto Franceschi non può mancare. Anche se il "limite" è qui suggerito per il controllo delle nascite, soprattutto in Africa. Comunque la "filosofia" è giusta. Buona lettura.


Una modernità fuori misura

Gli eccessi che la terra non sopporta



La cosiddetta modernizzazione è tutta «fuori di misura», dismisura: è, come dicevano i greci, Hubrys. La Terra è un piccolo pianeta la cui circonferenza è di appena 40.000 km. Ma noi predichiamo un progresso senza limiti, una crescita senza limiti, uno sviluppo senza limiti e, ancor peggio, una popolazione senza limiti. È demenza? Sì. Perché è demenza ipotizzare una crescita infinita in un pianeta che ha dimensioni finite e per ciò stesso anche risorse finite.
So bene che noi siamo attualmente assillati dalla disoccupazione e dal peso di colossali debiti dello Stato. Il che ci fa dimenticare, purtroppo, che anche il pianeta Terra è in crisi: stiamo inquinando l’atmosfera, stiamo avvelenando l’aria che respiriamo e, al contempo, stiamo destabilizzando il clima. Sono notizie di questi giorni il ciclone senza precedenti che ha colpito le Filippine, e ora il diluvio, la bomba d’acqua anch’essa senza precedenti che si è abbattuta sulla Sardegna e che ancora la minaccia. Forse troveremo il modo di uscire dalla crisi economica (della quale portano la massima colpa gli economisti), ma come fermare l’impazzimento del clima, il progressivo riscaldamento, la crescita dei livelli del mare, l’erosione dei ghiacciai (che alimentano i fiumi) e, infine, la nuova probabile dislocazione delle piogge con la conseguente dislocazione delle zone aride?
Il rimedio vero sarebbe una drastica riduzione delle nascite (specialmente in Africa) che ci restituirebbe un pianeta vivibile. A questo effetto le maggiori responsabilità sono della Chiesa cattolica (per l’Africa e anche parte dell’America Latina). Per ora papa Francesco si è limitato a carezzare molti bambini, stringere molte mani e a distribuire in piazza San Pietro la «Misericordina» che poi, aperta la scatolina, è un rosario. E la nostra televisione è inondata da appelli di soldi per salvare i bambini africani. A che pro? Le prospettive, restando le cose come sono, sono cicloni in autunno, piogge torrenziali in inverno, afa insopportabile d’estate. E d’estate non nevicherà più sui ghiacciai, il che implica che andranno a sparire. Di conseguenza i fiumi si prosciugheranno.
Come dicevo di tutto questo non ci diamo pensiero perché prima di tutto bisogna mangiare. Vero. Ma è anche vero che ci sarà sempre meno da mangiare. Ripeto, l’unica cura ancora a nostra disposizione è di ridurre la popolazione e con essa ridurre l’emissione di gas serra e la conseguente concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera. I combustibili fossili(a cominciare dal carbone) vanno messi al bando, mentre noi continuiamo allegramente a incendiare i nostri boschi senza che mai un incendiario sia preso e condannato.
Si può essere più incoscienti di così? Quasi dappertutto si continua e riprende la cementificazione, la speculazione edilizia che consente di costruire fabbricati in zone pericolose, a rischio di essere spazzati via da frane e piene subitanee. Le nostre amministrazioni locali hanno fame di soldi, ma sono soldi che vanno alla criminalità organizzata, alle mafie che signoreggiano oramai un po’ dappertutto.
Come scriveva qualche giorno fa su queste colonne Gian Antonio Stella, i nostri governi «non hanno fatto che accumulare imposte ecologiche raccogliendo dal 1990 in qua 801 miliardi di euro. Sapete quanti siano stati spesi davvero in interventi di risanamento dell’ambiente? Meno di 7, lo 0,9%». Che vergogna. E anche che incoscienza. 


http://www.corriere.it 23 novembre 2013

Assunta Maria Spina va allo sciopero delle donne



Ha fatto bene”, “ha fatto bene”, mormoravano tra le lacrime
le donne del quartiere. “Ha fatto bene”, si ripeteva nelle strade
a lutto. E mo’, quei poveri bambini.
Assuntina, la femminuccia, che già capisce.
Tutti erano con Antonio, costituitosi con l’arma ancora tra le mani
alla Stazione dei Carabinieri.  L’avevano accolto con rispetto.
Lui in Germania a faticare, e essa nel paese a far l’innamorata”.
Era tornato il giorno prima dalla Germania dopo anni di lavoro d’emigrante.
Con un’idea fissa. Fare giustizia.
Difendere l’onore della famiglia.
E, a pranzo, dopo la festa, l’aveva ammazzata. Un po’ Lucia lo sapeva,
ma non era scappata. Era sola, sola con i suoi bambini.
….
Assunta Maria Spina ora è nonna. E domani è allo sciopero
delle donne, nella Giornata internazionale per l'eliminazione
della violenza maschile contro le donne.
Per dire, insieme a sua nipote Lucia, mai più femminicidio.
Mai.
Severo Laleo

lunedì 18 novembre 2013

Ssst! In Svizzera i comunisti



Era ora. La “cultura del limite” avanza e produce proposte tra i giovani socialisti 
(Juso) della Svizzera. Appartiene al coraggio moderno e civile  dei giovani socialisti 
svizzeri l’idea di definire, per legge, un principio di trasparenza e di controllo 
delle retribuzioni  all’interno di un’azienda. La proposta è di porre un  “limite”, 
appunto,  alla retribuzione di un manager d’azienda, nel rispetto di questo 
rapporto: nessun dirigente/manager può superare di 12 volte il salario minimo 
convenuto nella stessa azienda. Un principio di grande civiltà. Ed è, insieme, 
il ritorno del controllo della Politica, cioè della polis, della città, sugli “affari” 
dell’economia, in questo caso dell’impresa, perché l’incremento senza limiti 
della forbice tra le retribuzioni tende a produrre, attraverso ingiustificabili 
disuguaglianze, disordine sociale. E assordante ingiustizia.
Se fossi cittadino svizzero, sarei contento di portare il mio voto, nel prossimo 
referendum del 24 Novembre, a favore del “limite”. Ma il mondo della “libera 
iniziativa”, insieme ai partiti diventati “impresa”, è già pronto alla battaglia 
a difendere il “libero” mercato del lavoro e la sua “flessibilità”, e, se necessario, 
anche con la minaccia di delocalizzazione (gli imprenditori sono i più convinti 
cosmopoliti oggi!).
In realtà, e a onor del vero, qualche anno fa, un po' troppi for, credo ai tempi 
di Bertinotti segretario di Rifondazione, in Italia, si tentò di raccogliere firme 
per una proposta di legge di iniziativa popolare di simile natura, e credo solo 
per il settore a controllo pubblico, con la quale si indicava, per il dirigente statale 
al massimo grado, una retribuzione non superiore a 10 volte la retribuzione minima
stabilita dalle tabelle stipendiali nella pubblica amministrazione. E il limite, 
così definito, era da estendere a dirigenti d'azienda, agli amministratori delegati, 
ai magistrati, ai parlamentari e ai ministri.  Ma non ebbe fortuna. Erano tempi 
di furiosi desideri di ricchezza smodata. E di voglia di berlusconismo.
Ora, anche nel Parlamento italiano, grazie a Sel, proprio sull'esempio dei socialisti 
svizzeri, giace una proposta di legge, simile nell’ispirazione, anche se, e bisogna
lamentarsi di questo a sinistra, a produrre la proposta non è stata tanto un’idea 
politica forte, a priori, della giustizia sociale, quanto la conseguenza di un diffuso 
malessere sociale, e di rabbia impotente, di fronte a inaccettabili, indifendibili 
sperequazioni nelle retribuzioni. Ed è inutile fare i soliti nomi, perché indirizza 
la rabbia, e scarica l’intelligenza dell’agire politico, verso un bersaglio sbagliato, 
perché la sperequazione stipendiale non è un problema della “persona”, 
ma di cultura sociale e politica di un Paese. E comunque di sistema fiscale
inadeguato. La democrazia senza “cultura del limite” è falsa e infelice.
E nel futuro prossimo, anche attraverso un nuovo sistema fiscale, 
dovrà pur porsi un “limite” alla povertà.
O no?

Severo Laleo

sabato 16 novembre 2013

Nichi Vendola, il gorilla e nonna Daria



Se la conversazione tra Vendola e il lesto gorilla antistampa dei Riva ha avuto 
e ha tanti esegeti è per una ragione semplice: il Vendola di quella vecchia telefonata
fa ancora notizia, e tra molti iscritti ed elettori di Sel fa anche scandalo, 
perché Vendola, pur politico, è comunque una persona degna di stima.
Ed è così, sicuramente. Ancora oggi. Trascinare Vendola
in una complicità più ampia e terribile con i Riva (anche se l’intervento 
di Alessandro Marescotti racconta una verità diversa) sembra fuori luogo. 
Almeno si spera. 
In verità, ognuno di noi, in situazioni di non controllo, e forse di soggezione, 
rischia sempre di cadere in errore. Succede un po’ a tutti. Questa volta è successo 
a Vendola. E ancora una volta, purtroppo, con il potente di turno, anzi 
con un’ombra del potente di turno. Per questo le parole di Hutter 
su ilfattoquotidiano.it, a difesa ad oltranza di un errore palese, debordante, 
sono stonate. E inutili. 
Scrive Hutter: “La conversazione privata è una  mossa di teatro,
di diplomazia, per attenuare  un conflitto sul piano pubblico e  fattuale
E’  esattamente questo il caso della telefonata di Vendola ad Archinà. 
Per dirla in parole semplici, a me sembra evidente che Vendola sta prendendo 
in giro Archinà  quando si complimenta per lo scatto felino attuato 
per impedire le domande ad alcuni giornalisti…
Non ho bisogno di interrogare Vendola, mi basta conoscere un pochino 
le cose del mondo, per capire che  quella telefonata era una captatio  
benevolentiae, fatta con tutte le caratteristiche rituali della stessa 
(una battuta contro l’avversario del momento dell’interlocutore, 
una dichiarazione di stima all’interlocutore, una cordialità ridanciana) 
ed  esercitata in quel giorno probabilmente anche per mettere le mani avanti, 
per evitare che Riva – all’epoca incontestato – potesse dire che il presidente
di Regione più a sinistra d’Italia si negava, si defilava, non dialogava”.
No, non è possibile, è una difesa insensata: per Hutter, Vendola diventa un attore 
di consumata diplomazia, impegnato, alla stregua di ogni altro potente politico
italiano, in una ridanciana, un po’ sguaiata, captatio benevolentiae. In verità, 
la captatio benevolentiae, in genere mai sguaiata, al contrario bonaria e subdola,
non la si esercita, da parte di un mite, qual è Vendola,  nei confronti 
di un prepotente dal gesto violento diretto a zittire. La stampa libera.

Anche a me è capitato di vedere, insieme ad altri, la scena nella quale un ingegnere 
(si fa per dire!) energumeno dei Riva strappa di mano a un giornalista impertinente
il microfono irrispettoso nel domandare a un Riva di ghiaccia indifferenza dei morti 
di tumori a Taranto. E’ scoppiato a ridere divertito, così per istintiva leggerezza, 
il mio amico Luigi, per quella destrezza maneggiona. A Daria, al contrario, 
nonna di Giacobbe, è scappato un profondo e rabbioso grido:
Ma questi davvero so’ mafiosi, altro che imprenditori! Sono da paura! 
Il mio sorriso di contagio si è bloccato sul nascere.
Daria, la nonna, ha perfettamente ragione.

Oggi, con le sue scuse al giornalista, Vendola si vergogna dell’inusitata 
sua captatio benevolentiae, riconosce l’aggressore e ne prende le distanze,
conciliandosi finalmente, e giustamente, con nonna Daria.

Eppure esiste una soluzione per non cadere in simili inconvenienti. Questa: 
quando gli amministratori parlano dei problemi degli amministrati le conversazioni 
devono avvenire in luoghi deputati e/o devono essere sempre controllabili da tutti 
gli amministrati. Si chiama trasparenza. Il mio amico Scapece mi racconta
di un amministratore di un piccolo paese il quale, antesignano della trasparenza, 
prometteva e garantiva ai suoi elettori semplicemente questo: "In giunta,
nei colloqui con i politici, con gli imprenditori, con gli amministratori regionali 
e nazionali dico soltanto ciò che posso ripetere a voi in un pubblico comizio
e mi comporto come mi comporto con voi". Erano gli anni 80, ed era una cosa 
"normaleper chi, berlingueriano, s’adoperava per rispondere con il proprio agire 
alle istanze della “questione morale”. Poi il berlusconismo ha cancellato 
e omologato tutto. Vendola, anche se ha sbagliato –e l’ammissione gli restituisce 
integrità- appartiene a quella generazione impegnata per la trasparenza  
e di trasparenza saprà dare piena testimonianza.
O no?

Severo Laleo

Cancellieri e la Costituzione arrangiata


                                                                           
Ora tutti chiedono le dimissioni della Ministra della Giustizia 
(per l'appunto). Perché hanno saputo di altre telefonate. Imbarazzanti.
Eppure non c'era bisogno di ascoltare altre telefonate, né c'era bisogno  
di tirare in ballo la liquidazione milionaria del figliolo. Questi sono 
accidenti secondari, anche se sostanziosi, di una causa primaria, 
di una mentalità, cioè, antica, pre-politica, o, quanto meno, di un visione 
soggettiva, arrangiata, della Costituzione. Ed ecco perché.
Per chiedere le dimissioni di Cancellieri (della Cancellieri 
mi suggerisce di scrivere il mio amico Scapece: ma no, dai, è da superare 
l’uso dell’articolo solo per le donne!), per chiedere, ripeto, le dimissioni 
di Cancellieri è sufficiente, anche a prescindere  da quel gravissimo 
suo esprimere la “sua” solidarietà amicale contro l’operato della (sua)
Magistratura, soppesare la sua risposta di giustificazione per l’ intervento 
di umanità nei confronti della signora Ligresti.
Cancellieri  giustificò il suo intervento con queste parole:
"Sono intervenuta come ho sempre fatto, ogni volta che mi 
è stato chiesto". Eh, no, signora Ministra, non funziona così tra i leali 
e corretti e solerti funzionari dello Stato, sommamente se Ministri.
Un vecchio insegnante di Scuola Media, per illustrare a più giovani docenti 
il senso di un comportamento leale, corretto e solerte, a prova 
di Costituzione, da parte di un funzionario dello Stato, era solito portare 
questo esempio.
A scuola, si sa,  ci sono alunni e alunne che non sempre raggiungono 
risultati eccellenti. E a volte solo per sopraggiunte situazioni difficili 
in famiglia. Federico, ad esempio,  il figlio del Presidente XY,  non studia più 
da quando la mamma si è gravemente ammalata, appare triste e spento, 
e non ha più motivazione a seguire le lezioni. L’altro giorno il Presidente 
è andato dal Professore di Lettere per chiedere, a ragione, un’attenzione 
continua e discreta, insomma, un occhio di riguardo, per suo figlio, 
soprattutto in considerazione delle sue condizioni di fragilità. 
Il Prof  l’ha ascoltato, con garbo, consapevole del suo dovere professionale. 
E decide di conseguenza. Ma s’accorge anche, il Prof, che nella stessa classe 
Rosanna, la figlia dell’infermiera XY, da un po’ di tempo non studia più 
come prima, anzi appare indifferente a tutto e, peggio, comincia a odiare 
la scuola. Il Prof sa anche che la madre di Rosanna, l’infermiera,  non avrà 
mai il tempo per andare a chiedergli un occhio di riguardo per la sua figlia; 
così, quando, informandosi, viene a sapere della disastrosa situazione 
familiare di Rosanna, decide di conseguenza. Come per Federico, da buon 
funzionario dello Stato, perché un funzionario corretto e solerte e leale 
non si muove solo su richiesta, ma seguendo un principio di imparzialità 
del suo ufficio/amministrazione, la scuola, nel rispetto dell’art. 97 
della Costituzione: “I pubblici uffici sono organizzati secondo 
disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento 
e l'imparzialità dell'amministrazione”. Non sono, quindi, necessarie 
richieste per esercitare l’imparzialità (e l’umanità).
Forse la ministra Cancellieri, non avendo genuinamente interiorizzato
il principio costituzionale, e muovendosi solo e sempre su richiesta,
non appare  all’altezza del suo compito.
Eppure, in parte, potrà sempre riparare con un  “ravvedimento operoso”:
le dimissioni volontarie.
O no?

Severo Laleo

domenica 10 novembre 2013

Scoprire la convivialità

In questo blog di parole per una "cultura del limite", 
e per la "sovranità conviviale",
nella direzione di "homo homini cura", 
almeno il Compendio del "Manifeste Convivialiste",
pubblicato in Francia, per i tipi di "Le Bord de L'eau", 
nel Giugno di quest'anno,
non può assolutamente mancare.
Si tratta di una proposta necessaria e urgente.
Se ne consiglia la lettura con un penoso sguardo alle miserie 
del presente (in Italia, in particolare), 
ma con una disposizione a produrre il cambiamento 
a partire da noi stessi.
Buona lettura

Compendio del manifesto convivialista 
Dichiarazione di interdipendenza
Mai come oggi l’umanità ha avuto a disposizione tante risorse materiali 
e competenze tecnico-scientifiche. Considerata nella sua globalità, essa 
è ricca e potente come nessuno nei secoli passati avrebbe potuto mai 
immaginare. Non è detto che sia anche più felice. Tuttavia, non c’è 
nessuno che desideri tornare indietro, poiché ognuno si rende conto 
che di giorno in giorno si aprono sempre maggiori e nuove potenzialità 
di realizzazione individuale e collettiva. Eppure, nonostante ciò, 
nessuno è disposto a credere che questa 
accumulazione di potenza possa essere perseguita indefinitamente 
senza che, in una logica immutata di progresso tecnico, si ritorca 
contro se stessa e metta a repentaglio la sopravvivenza fisica e morale 
dell’umanità. Le prime minacce che incombono su di noi sono di ordine 
materiale, tecnico, ecologico ed economico. Minacce entropiche
Ma noi siamo molto più impotenti nell’immaginare delle risposte adeguate 
al secondo tipo di minacce. Alle minacce di ordine morale e politico. 
A quelle minacce che potremmo definire antropiche

Il problema numero uno
Sotto i nostri occhi c’è un’evidenza accecante: l’umanità ha saputo realizzare 
dei progressi tecnici e scientifici sorprendenti, ma resta ancora incapace di risolvere 
il suo problema fondamentale: come gestire la rivalità e la violenza tra gli esseri umani? 
Come convincerli a cooperare, pur consentendo loro di contrapporsi senza massacrarsi? 
Come contrastare l’accumulazione della potenza, ormai illimitata e potenzialmente 
auto-distruttiva, contro gli uomini e contro la natura? Se l’umanità non saprà trovare 
una risposta a questi interrogativi, è destinata a scomparire. E questo proprio quando 
si sono create tutte le condizioni materiali di un benessere generalizzato, purché 
si prenda coscienza della loro finitezza.
Abbiamo a disposizione molteplici elementi di risposta, che nel corso dei secoli sono stati 
apportati dalle religioni, dalle morali, dalle dottrine politiche, dalla filosofia e dalle scienze 
umane e sociali. Così pure, le iniziative che si muovono in direzione di un’alternativa 
all'attuale organizzazione del mondo sono innumerevoli, promosse da migliaia e migliaia 
di organizzazioni o associazioni, e da decine o centinaia di milioni di persone. Queste 
iniziative si presentano sotto varie denominazioni  e ai più diversi livelli: la difesa 
dei diritti dell’uomo, del cittadino, del lavoratore, del disoccupato, della donna 
o dei bambini; l’economia sociale e solidale con tutte le sue componenti: le cooperative 
di produzione o di consumo, la mutualità, il commercio equo, le monete parallele 
e complementari, i sistemi di scambio locale, le innumerevoli associazioni di mutuo 
soccorso; l’economia cognitiva dei network (cfr. Linux, Wikipedia, ecc.); la decrescita 
e il post-sviluppo; i movimenti slow foodslow townslow sciencela rivendicazione 
del buen vivirl’affermazione dei diritti della natura e l’elogio della pachamama
l’altermondialismo, l’ecologia politica e la democrazia radicale, gli indignados
Occupy Wal Streetla ricerca di indicatori alternativi di ricchezza, i movimenti 
della trasformazione personale, della sobrietà volontaria, del l’abbondanza frugale, 
del dialogo tra le civiltà, le teorie del carela nuova concezione dei  “beni comuni” 
(commons), ecc. 
Perché queste iniziative così ricche possano contrastare con un’adeguata potenza 
le dinamiche letali del nostro tempo e non siano confinate nel ruolo di mera contestazione
o di semplice palliativo, diventa decisivo unire le loro forze e le loro energie. 
Da qui l’importanza di sottolineare ed enunciare ciò che hanno in comune.

Sul convivialismo
In comune hanno la ricerca di un convivialismo, di un’arte di vivere insieme 
(con-vivereche consenta agli esseri umani di prendersi cura gli uni degli altri 
e della Natura, senza negare la legittimità del conflitto, ma trasformandolo in un fattore 
di dinamismo e di creatività, in uno strumento per scongiurare la violenza 
e le pulsioni di morte. Per trovarlo abbiamo urgente bisogno 
di un corredo dottrinale minimo e condivisibile,  che consenta di rispondere 
contemporaneamente, ponendole su scala planetaria, almeno a quattro questioni 
di base (più una):
-  La questione morale: che cosa è lecito per gli individui sperare e che cosa devono
 proibirsi?
-  La questione politica: quali sono le comunità politiche legittime?
-  La questione ecologica: che cosa possiamo prendere (d)alla natura e che cosa 
dobbiamo restituirle?
La questione economica: quale quantità di ricchezza materiale ci è lecito produrre, 
e in che modo, per essere coerenti con le risposte date alla questione morale, 
politica ed ecologica?
Ognuno è libero di aggiungere, se vuole, a queste quattro questioni quella del rapporto 
con il sovrannaturale o con l’invisibile: la questione religiosa o spirituale.  
la questione del senso.

Considerazioni generali
Il solo ordine sociale legittimo universalizzabile è quello che si ispira ad un principio 
di comune umanità, di comune socialità, di individuazione, e di un conflitto 
che bisogna saper tenere sotto controllo e, quindi, creativo.
Principio di comune umanità: al di là delle differenze del colore della pelle, 
di nazionalità, di lingua, di cultura, di religione o di ricchezza, di sesso o di orientamento
sessuale, c’è una sola umanità, che deve essere rispettata nella persona di ognuno 
dei suoi membri.
Principio di comune socialità: gli esseri umani sono esseri sociali per i quali 
la ricchezza più grande è la ricchezza dei loro rapporti sociali.
Principio di individuazione: nel rispetto di questi due primi princìpi, la politica legittima 
è quella che consente ad ognuno di affermare nel modo migliore la sua peculiare 
individualità in divenire, sviluppando la sua potenza di essere e di agire senza nuocere 
a quella degli altri.
Principio del conflitto tenuto sotto controllo e creativo: poiché ognuno tende 
a manifestare la propria peculiare individualità, è naturale che gli esseri umani possano 
contrapporsi gli uni agli altri. Ma è legittimo farlo solo nella misura in cui ciò non mette
 in pericolo il quadro della comune socialità che rende feconda  
e non distruttiva una tale rivalità.
Da questi princìpi generali discendono alcune:
Considerazioni morali
Ciò che ad ogni individuo è lecito sperare è di vedersi riconoscere un’eguale dignità 
con tutti gli altri esseri umani, di accedere alle condizioni materiali che gli permettano 
di realizzare la sua concezione della vita buona, nel rispetto delle concezioni degli altri.
Ciò che non gli è consentito è di travalicare nella dismisura (la hubris dei Greci)
cioè di violare il principio di comune umanità e di mettere a rischio la comune socialità.
Concretamente, il dovere di ciascuno è di lottare contro la corruzione. 
Considerazioni politiche:
Nella prospettiva convivialista, uno Stato, un governo o un’istituzione politica nuova 
possono ritenersi  legittimi solo se:
- rispettano i quattro princìpi – di comune umanità, di comune socialità, di individuazione 
e del conflitto  tenuto sotto controllo – e se promuovono la realizzazione 
delle considerazioni morali, ecologiche ed economiche ad essi collegate.
Più specificamente, gli Stati legittimi garantiscono a tutti i loro cittadini più poveri
un minimo di risorse, un reddito di base, quale che sia la sua forma, che li ponga 
al riparo dall’abiezione della miseria, e impediscono progressivamente ai più ricchi,
attraverso l’instaurazione di un reddito massimo, di sprofondare nell’abiezione 
dell’estrema ricchezza oltrepassando un livello che vanificherebbe i princìpi 
di comune umanità e di comune socialità.
Considerazioni ecologiche:
L’Uomo non può ritenersi padrone e possessore della Natura, e ciò sulla base 
del presupposto che, lungi dall’opporvisi, deve trovare con essa, almeno 
metaforicamente, una relazione di dono/controdono. 
Per lasciare alle generazioni future un patrimonio naturale protetto, deve, dunque, 
restituire alla Natura quanto o più di quello che egli prende o riceve da lei.
Considerazioni economiche:
Non esiste una correlazione accertata tra ricchezza monetaria o materiale da un lato
e felicità o benessere dall’altro. La situazione ecologica del pianeta rende necessario 
ricercare tutte le forme possibili di una prosperità senza crescita. Perciò, è urgente, 
in una prospettiva di economia plurale, costruire un equilibrio tra Mercato, economia 
pubblica ed economia di tipo associazionistico (sociale e solidale), 
a seconda che i beni o i servizi da produrre siano individuali, collettivi o comuni. 

Che fare?
Non bisogna nascondersi che occorrerà affrontare potenze enormi e formidabili, 
sia finanziarie che materiali, tecniche, scientifiche, intellettuali, militari e criminali. 
Contro queste potenze colossali e spesso invisibili o non localizzabili, le tre armi principali 
saranno:
- L’indignazione di fronte alla dismisura e alla corruzione, e la vergogna 
che è necessario far sentire a coloro che direttamente o indirettamente, in modo attivo 
o passivo, violano i princìpi di comune umanità e di comune socialità.
Il sentimento di appartenere ad una comunità umana mondiale.
- Al di là delle «scelte razionali» degli uni verso gli altri, la mobilitazione degli affetti
e delle passioni.

Rottura e transizione
Ogni politica convivialista concreta e applicata dovrà necessariamente tener conto:
- dell’imperativo di giustizia e di comune socialità, che implica 
la riduzione progressiva delle diseguaglianze clamorose che a partire 
dagli anni Settanta sono esplose in tutto il mondo tra i più ricchi e il resto 
della popolazione;
-  dell’esigenza di prendersi cura dei territori e dei luoghi, cioè di riterritorializzare 
e rilocalizzare ciò che la globalizzazione ha smisuratamente esternalizzato.
- L’assoluta necessità di tutelare l’ambiente e le risorse naturali.
- L’obbligo incondizionato di eliminare la disoccupazione e di offrire a ciascuno 
una funzione e un ruolo riconosciuti in attività utili alla società.

La traduzione del convivialismo in risposte concrete significa articolare, 
situazione per situazione, le risposte a partire dall’urgenza di migliorare 
le condizioni di vita degli strati popolari e di costruire un’alternativa 
al modo di vita attuale, così gravido di minacce di ogni tipo. Un’alternativa 
che smetta di far credere che la crescita economica illimitata possa essere
ancora la risposta a tutti i nostri mali.
(Trad. it. di Francesco Fistetti)

Claude Alphandéry, Geneviève Ancel, Ana Maria Araujo (Uruguay), Claudine Attias-Donfut, Geneviève Azam, Akram Belkaïd (Algérie), Yann Moulier-Boutang, Fabienne Brugère, Alain Caillé, Barbara Cassin,PhilippeChanial, Hervé Chaygneaud-Dupuy, Eve Chiapello, Denis Clerc, Ana M. Correa (Argentine), Thomas Coutrot, Jean-PierreDupuy, François Flahault, Francesco Fistetti (Italie), Anne-Marie Fixot, Jean-Baptiste de Foucauld, Christophe Fourel, François Fourquet, Philippe Frémeaux, Jean Gadrey, Vincent de Gaulejac, François Gauthier (Suisse), Sylvie Gendreau (Canada), Susan George (États-Unis), Christiane Girard (Brésil), François Gollain (Royaulme Uni), Roland Gori, Jean-Claude Guillebaud, Paulo Henrique Martins (Brésil), Dick Howard (États-Unis), Marc Humbert, Éva Illouz (Israël), Ahmet Insel (Turquie), Geneviève Jacques, Florence Jany-Catrice, Zhe Ji (Chine), Hervé Kempf, Elena Lasida, Serge Latouche, Jean-Louis Laville, Camille Laurens, Jacques Lecomte, Didier Livio, Gus Massiah, Dominique Méda, Margie Mendell (Canada), Pierre-Olivier Monteil, Jacqueline Morand, Edgar Morin, Chantal Mouffe (Royaume Uni), Osamu Nishitani (Japon), Alfredo Pena-Vega, Bernard Perret, Elena Pulcini (Italie), Ilana Silber (Israël), Roger Sue, Elvia Taracena (Mexique), Frédéric Vandenberghe (Brésil), Patrick Viveret.

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