mercoledì 26 giugno 2013

Essere liberali in Italia è arduo mestiere




L'ex ministro Antonio Martino, uno dei fondatori di Forza Italia, ha così 
straparlato (e noi sottolineiamo) dopo la sentenza di condanna di S. Berlusconi:

"Così non si può più andare avanti. Non penso che serva la piazza, bisogna 
trovare un accordo politico tra le forze della maggioranza per togliere 
la licenza di uccidere a quei mascalzoni che sono diventati magistrati grazie 
a un concorso pubblico e che sono stipendiati, usando i nostri soldi, 
per fare solo i propri interessi. Ora è il momento di riformare la magistratura, 
è folle pensare ancora che i giudici possano essere autonomi".

Una dichiarazione incredibile. E strumentale anche per la sua origine, perché nasce 
da una sentenza di condanna; se la sentenza fosse stata di assoluzione, 
probabilmente Martino non avrebbe aperto bocca. Una dichiarazione ignorante, 
la sua, dei nostri principi democratici e costituzionali. E ancora arrogante, 
nella sua convinzione di poter tentare un “accordo politico” con le forze 
democratiche del centrosinistra per “togliere la licenza di uccidere 
a quei mascalzoni (il maschilismo in questi sedicenti profeti liberali è di natura!) 
che sono diventati magistrati…per fare solo i propri interessi (sic!)”.
Incredibile. Parole inutilmente offensive e senza pudore democratico.
Non sfiora per niente la mente di questo ex uomo delle istituzioni
il senso del limite. Anzi procede con la rabbia di chi è abituato
a “comandare”, anche sui giudici, e non concepisce bilanciamento dei poteri.

Per anni ho sostenuto la necessità di diffondere, anche a partire dalle aule 
scolastiche, in questo nostro paese di furbi e di furbetti, un’educazione liberale 
da radicare nel profondo. E spesso ho suggerito l’esempio di Piero Gobetti
tra i padri nobili della cultura liberale in Italia. 
Ma se Antonio Martino, già ministro degli esteri, e figlio di Gaetano, a sua volta 
già ministro degli esteri, di nome e di fatto liberale, e liberale per storia e cultura 
di famiglia, e sostenitore della rivoluzione liberale a seguito di Berlusconi, 
ha quest’idea di riforma della nostra magistratura, è facile capire perché è tanto 
arduo il compito di diffondere una cultura pienamente liberale
e perché questo nostro Paese non si è ancora liberato dal servaggio del totalitarismo. 

Forse Martino, per usare una citazione di Einaudi ripresa dal magistrato 
Armando Spataro, vorrebbe la magistratura “adorante, come ai tempi 
di Mussolini quando il regime controllava tutto e l’inaugurazione dell’anno
giudiziario avveniva a Palazzo Venezia… e i giudici facevano il saluto romano!”.

O no?
Severo Laleo


martedì 25 giugno 2013

Quando la diretta streaming è un atto dovuto




Oggi, nel pomeriggio, il nostro Presidente del Consiglio Letta incontra Berlusconi.
Ha appena subito, l’ex Premier, in primo grado, una condanna per concussione.
Per aver sottratto “una minorenne accusata di furto al controllo della Questura, imponendo ai funzionari la sua autorità di presidente del Consiglio,
addirittura con l'invenzione di uno scandalo internazionale,
perché Ruby era "la nipote di Mubarak" (E. Mauro).
Bene (si fa per dire!).
Appare forte e sensata  l’esigenza di conoscere gli argomenti di un tal vertice.
La trasparenza in questo specifico caso è un obbligo se non di legge,
di trasparenza democratica.
E’ giusto chiedere la diretta streaming dell’incontro.
La diretta streaming cancellerebbe ogni dubbio di commistione.
E diventa quasi un atto dovuto per il Presidente del Consiglio.
I cittadini hanno il diritto di pretendere la non commistione tra affari privati
e affari di stato. Gli affari di Stato sono anche i nostri affari.

O no?


Severo Laleo

La cultura del limite per una democrazia di persone



In questo blog di “parole per un cultura del limite” non può mancare
l’articolo di Ezio Mauro su la Repubblica di oggi, dal titolo
Berlusconi condannato, l’abuso e la dismisura”.
(Nostra la sottolineatura)

Un'Italia compiacente e intimidita si chiede che cosa succederà adesso, dopo la sentenza sul caso Ruby del Tribunale di Milano che condanna in primo grado Silvio Berlusconi a sette anni di reclusione e all'interdizione perpetua dai pubblici uffici. Nessuno si pone la vera domanda: cos'è successo prima, per arrivare ad una sentenza di questo genere? Cos'è accaduto davvero negli ultimi vent'anni in questo sciagurato Paese, nell'ombra di un potere smisurato e fuori da ogni controllo, che concepiva se stesso come onnipotente ed eterno? E com'è potuto accadere, tutto ciò, in mezzo all'Europa e agli anni Duemila?

La condanna sanziona infatti due reati molto gravi - concussione e prostituzione minorile - sulla base del codice penale, dopo un processo di due anni e due mesi, con più di 50 pubbliche udienze. L'accusa ha dunque avuto ragione, vedendo un comportamento criminale nel tentativo di Silvio Berlusconi di sottrarre una minorenne accusata di furto al controllo della Questura, imponendo ai funzionari la sua autorità di presidente del Consiglio, addirittura con l'invenzione di uno scandalo internazionale, perché Ruby era "la nipote di Mubarak".

La difesa sostiene che non ci sono vittime per i reati ipotizzati, non ci sono prove e c'è al contrario la criminalizzazione di uno stile di vita e di comportamenti privati (le cosiddette "cene eleganti"), distorti da una visione voyeuristica e moralista che li ha abusivamente trasformati in crimine, fino alla sanzione di un Tribunale prevenuto, anche perché composto da tre donne.

Io credo in realtà che ci sia un metro di giudizio che viene prima della condanna e non ha nulla a che fare con il moralismo. Si basa su due elementi che Giuseppe D'Avanzo quando rivelò questo scandalo richiamò più volte - da solo e ostinatamente - sulle pagine di "Repubblica". Sono la dismisura e l'abuso di potere. Di questo si tratta, e cioè di due categorie politiche, pubbliche, e impongono un giudizio politico per un leader politico che nel periodo in cui è scoppiato il caso Ruby aveva anche una responsabilità istituzionale di primissimo piano, come capo del governo italiano. "La questione - scriveva D'Avanzo - non ha nulla a che fare con il giudizio morale, bensì con la responsabilità politica. Questo progressivo disvelamento del disordine in cui si muove il premier e della sua fragilità privata ripropone la debolezza del Cavaliere, tema che interpella la credibilità delle istituzioni", perché tutto ciò "rende vulnerabile la sua funzione pubblica, così come le sue ossessioni personali possono sottoporlo a pressioni incontrollabili".

GIUSEPPE D'AVANZO: LE DIECI MENZOGNE DI BERLUSCONI

La dismisura dunque come cifra dell'eccesso di comando, grado supremo della sovranità carismatica, con il voto che cancella ogni macchia e supera ogni limite, rendendo inutile ogni domanda, qualsiasi dubbio, qualunque dovere di rendiconto. E l'abuso di potere come forma politica di quella sovranità sciolta da ogni controllo, e insieme sua garanzia perenne. Perché nel sistema berlusconiano, dice D'Avanzo, "il potere statale protegge se stesso e i suoi interessi economici, senza scrupoli e apertamente. Con l'intervento a favore di Ruby quel potere che sempre privatizza la funzione pubblica muove un altro passo verso un catastrofico degrado rendendo pubblica finanche la sfera privatissima dell'Eletto. In un altro Paese appena rispettoso del canone occidentale il premier già avrebbe dovuto rassegnare le dimissioni. Nell'infelice Italia invece l'abuso di potere è il sigillo più autentico del dispositivo politico di Silvio Berlusconi. È un atteggiamento ordinario, un movimento automatico, una coazione meccanica".

Questo è ciò che ci interessa. Il disvelamento clamoroso di comportamenti privati di un uomo politico che imbarazzano le istituzioni e addirittura le espongono al ricatto, e spingono quel leader ad alzare la posta dell'abuso, imprigionandosi ogni volta di più in una rete di richieste esose, traffici pericolosi, intermediari vergognosi, pagamenti affannosi: fino al momento in cui si avvera la profezia di Veronica Lario sul "ciarpame senza pudore" delle "vergini offerte al Drago", si costruisce un castello di menzogne sui rapporti con la minorenne Noemi, si soffoca nel taglieggiamento incrociato dei profittatori e mezzani Lavitola e Tarantini, e infine si inciampa nel codice penale sul caso Ruby, perché qualcosa di inconfessabile spinge il premier a strappare quella ragazza dalla Questura, affidandola ad una vedette del bunga-bunga spacciata per "consigliere ministeriale", per scaricarla subito dopo da una prostituta brasiliana.

Si capisce che questo processo milanese, costruito sull'inchiesta di Ilda Boccassini, sia stato vissuto da Berlusconi come la madre di tutte le accuse. L'ex premier nei due anni del dibattimento ha potuto giocare tutte le carte della sua difesa, compreso lo straordinario peso mediatico di un leader politico che ha invocato "legittimi impedimenti" ogni volta che ha potuto spostando ad hoc persino le sedute del Consiglio dei ministri, e ha addirittura imbastito due serate di gran teatro televisivo (una prima della requisitoria, l'altra prima della sentenza) sulle reti di sua proprietà con una sceneggiatura che sembrava anch'essa di sua proprietà, per parlare direttamente alla pubblica opinione sanzionando in anticipo la propria innocenza.

Questo "concerto" aveva da qualche mese una musica di fondo: la "pacificazione", che è il concetto in cui l'egemonia culturale berlusconiana tenta di trasformare la ragione sociale del governo Letta, nato dall'emergenza e dalla necessità, e dunque senza radice e cultura ideologica, com'è naturale per un esecutivo che tiene insieme per un breve periodo gli opposti, cioè destra e sinistra. Questa necessità, e questa urgenza, per il Pdl e per i suoi cantori sono diventate invece qualcosa di diverso, quella "pacificazione" che dovrebbe chiudere i conti con il passato, sacralizzare Berlusconi come punto di riferimento istituzionale del nuovo quadro politico e del nuovo clima, farlo senatore a vita o vertice di un'improvvisata Costituente, in modo da garantirgli un salvacondotto definitivo.

Praticamente, è la proposta di prendere atto che lo scontro tra la legalità delle norme e delle regole e la legittimità berlusconiana derivata dal voto popolare sta sfibrando il sistema senza un esito possibile. Dunque il sistema costituzionalizzi l'anomalia berlusconiana (reati, conflitti d'interesse, leggi ad personam, strapotere economico e mediatico) e la introietti: ne risulterà sfigurato ma infine pacificato - appunto - perché nel nuovo ordine tutto troverà una sua deforme coerenza.

L'egemonia culturale crea senso comune, che in Italia si spaccia per buon senso. E dunque la destra pensava che il "clima" avrebbe prima addomesticato la Consulta, chiamata alla pronuncia definitiva sul legittimo impedimento che avrebbe ucciso il processo Mediaset, dove l'ex premier è già stato condannato a quattro anni. Poi l'"atmosfera" avrebbe dovuto contagiare il Tribunale di Milano, già avvertito fisicamente del cambio di clima dalla manifestazione dei parlamentari Pdl sul suo piazzale e nei corridoi. Infine la "pacificazione" dovrebbe salire le scale della Cassazione, per il giudizio Mediaset, sfiorare il Colle che ieri Brunetta chiamava in causa dopo aver definito la sentenza "atto eversivo", bussare alla porta di Enrico Letta (che ha già detto di no) e soprattutto del Parlamento, visti i tanti vagoni fantasma che aspettano nell'ombra delle stazioni morte il treno del decreto svuota-carceri, pronti ad assaltarlo con il loro carico di misure salva-premier, dalle norme sull'interdizione dai pubblici uffici fino all'amnistia, generosamente suggerita dai montiani. Il disegno berlusconiano prevede colpi di mano e maggioranze estemporanee, col concorso magari di quei parlamentari cannibali del Pd che nel voto segreto hanno già dimostrato di essere buoni a nulla e capaci di tutto.

Da ieri tutto questo è più difficile. La Consulta ha fatto il suo dovere, ricevendo in cambio accuse vergognose. E il Tribunale di Milano ha portato fino in fondo il processo - che è il risultato più importante - assicurando giustizia e uguaglianza del trattamento dei cittadini davanti alla legge nonostante le intimidazioni preventive. Nella sentenza c'è un giudizio di condanna durissimo, per due reati molto gravi, soprattutto per un uomo di Stato che ha rappresentato le istituzioni. Non solo: il Tribunale ha trasmesso gli atti che riguardano 32 testimoni alla Procura, perché valuti se hanno reso falsa testimonianza in dibattimento. Sono ragazze "olgettine", a libro paga del Cavaliere, amici suoi e stretti collaboratori, funzionari della Questura come Giorgia Iafrate. Con questa decisione, il Tribunale sembra convinto di aver individuato una vera e propria rete di organizzazione della falsa testimonianza di gruppo. Sarà la Procura a valutare se è così e chi è l'organizzatore, mentre è già chiaro che il beneficiario è Berlusconi. L'influenza economica, l'abuso di potere potrebbero arrivare fin qui.

Restano le conseguenze politiche. La più netta, la più chiara, sarebbe il ritiro di Berlusconi dalla politica, come accadrebbe dovunque. Ma in Italia non accadrà. La politica è il vero scudo del Cavaliere. E il governo, con la sua maggioranza di contraddizione, è l'ultimo tavolo dove cercherà di trattare, assicurando qualsiasi cosa (la durata dell'esecutivo fino alla fine della legislatura, la personale rinuncia a candidarsi alla Premiership) in cambio di un aiuto sottobanco. Altrimenti, salterà il banco, e dopo la breve parentesi da statista, il Cavaliere tornerà in piazza, incendiandola. Perché il populismo ha questa concezione dello Stato: o lo si comanda o lo si combatte, nient'altro.
P.S.
Oggi il nostro Presidente del Consiglio Letta incontra Berlusconi.
Bene (si fa per dire!). Ma dopo aver letto questo pro memoria
di Ezio Mauro, avverto il diritto di cittadino elettore di seguire
in streaming l’incontro: vorrei la sicurezza della separazione netta, durante l’incontro, tra affari privati e affari di Stato.
O no?

Severo Laleo

lunedì 24 giugno 2013

Ritorno alla Politica



Quando tutto è spezzato allora nasce improvvisamente per miracolo l'arcobaleno 
della speranza Giorgio La Pira

Scrive su la Repubblica, nel giorno di san Giovanni, Ilvo Diamanti,
in un articolo con la sua chiara sintesi nel titolo “Perché abbiamo bisogno 
della politica”: “È questo il nostro problema più grande, oggi: l'abitudine 
alla "precarietà". La rimozione del futuro. Perché il futuro è passato. 
Emigrato. All'estero. E ci ha lasciati qui. Sempre più vecchi, ma incapaci 
di ammetterlo. Noi, passeggeri di passaggio in questo Paese spaesato:
abbiamo bisogno di Politica. Perché senza Politica è impossibile pre-vedere. 
Progettare il nostro futuro. E senza pre-vedere, senza progettare o, almeno, 
immaginare il futuro, senza un briciolo di utopia: non c'è Politica
Ma solo "politica". Arte di arrangiarsi. Giorno per giorno”.

Concordo. Pienamente. Anzi, a mio modo, in questo blog provvisorio di provvisori 
pensieri ,  sia pure nell’orizzonte di una “cultura del limite”, mi è capitato 
di scrivere non solo del bisogno di Politica, ma soprattutto della necessità 
di costruire una nuova Politica con “più Partito”, indicando anche qualche 
suggerimento, sempre con “un briciolo di utopia”, quell’utopia, purtroppo negata, 
e trasformata, da questo ventennio morente dei leader, tra i quali ancora scalpita, 
ignaro epigono, il “giovane” Renzi, nella giostra di cavalieri  senza virtù.

1.      Il Partito Nuovo è incompatibile con il mito leader
Le ultime elezioni hanno decretato inaspettatamente la vittoria dei "movimenti
dell’antipolitica. Eppure in questo risultato è insito un paradosso politico, ed è 
il seguente: vince l’antipolitica, ma nasce urgente il bisogno di Politica e di più 
"Partito" di persone. L'antipolitica, nata vent'anni fa con Berlusconi, è giunta ora
a una sua piena vittoria con Grillo. A votare per un “partito” (non esistono “partiti” 
oltre il Pd e Sel), hanno resistito solo in una larga minoranza. L'antipolitica 
è la visione comune nell’oggi. Una volta l’antipolitica di Berlusconi era: arrendetevi 
all'imprenditore, i partiti hanno fallito, ora "ghe pensi mi"; e inventa il “danarismo 
avvilente”, per tenere a libro paga i “servi liberi” alla Ferrara; oggi l'antipolitica 
di Grillo aggiunge: arrendetevi al Movimento, i partiti hanno fallito, si ritorni 
alla "volontà popolare"; e inventa il “vaffismo” per attrarre la protesta nel grido 
liberatorio della piazza. Anche se ora sono i suoi a subire il “vaffa” (e si sa, 
con il “vaffa” non si può andare lontano!). La differenza, sia pure nel terreno 
comune dell’antipolitica, non è di poco conto: Berlusconi aprì alla schiavizzazione 
dei sudditiGrillo intende aprire alla liberazione dei cittadini. Ma è sempre
 una lotta contro i partiti. Ed entrambi (ma non solo) fondano non-partiti
Ma per l'estensione della democrazia tra le persone, è necessario contrastare 
ogni residua spinta leaderistica, fondamentalmente maschilista, antipolitica, 
antipartitica, e bisogna inventarsi nuove forme dell'agire politico; ed è necessario 
superare insieme
·         sia la verticalità dei partiti padronali (veri non-partiti al servizio del leader 
con carisma (?) -mai parola nobile cadde così in basso!-); 
·         sia la orizzontalità dei movimenti atomizzati (vere non-associazioni, 
almeno nel livello nazionale, semplicemente "piattaforma...veicolo 
di confronto e di consultazione che...trova il suo epicentro" in un blog); 
·         sia la burocratizzazione arrivista e autoritaria dei partiti tradizionali 
(veri luoghi di lotta di potere).


2.      Il Partito nuovo e la sovranità conviviale 
La democrazia moderna, dopo aver colpevolmente subito e accarezzato 
il “partito carismatico” (ma da noi il carisma è stato del danaro avvilente), 
il “partito del leader” (anche quando il leader era piccolo, piccolo),  
il “partito personale” (spesso all'interno di uno stesso partito, ad esempio il Pd),
il non-partito “movimento” (stranamente rigido nelle posizioni del suo “motore”), 
ha ora bisogno non di “abolire” i partiti, al contrario, ha bisogno di “più partito”, 
cioè di un “luogo reale”, fisico, dove regole nuove e trasparenti rendono possibile 
una relazione “alla pari” tra le persone, dove la dirigenza sia scelta anche
per “sorteggio”, dove uomini e donne, in spirito di servizio, siedono “in pari 
numero” nei posti di guida, dove non si elegga a “capo” un “singolo”, spesso 
un maschio, ma una “coppia”, un uomo e una donna (si tratta di passare 
dal monocratismo di sempre al bicratismo del futuro), dove il finanziamento sia, 
da una parte, pubblico (la responsabilità, anche economica, della continuità 
democratica è un bene/dovere del Paese), dall'altra, privato, ma possibile 
solo a iscritte e iscritti. Se i partiti e i movimenti, in sé, sono senza regole 
di democrazia, trasparenti e controllabili,  se non hanno un luogo di condivisione 
delle idee, se non sperimentano, anche dopo aver usato la rete, 
l’ardire del comprendersi guardandosi negli occhi, non potranno mai essere
in grado di estendere la democrazia e di costruire una “sovranità conviviale”.

3.      Immaginare il Partito Nuovo
Abbiamo bisogno di più partito se vogliamo costruire un nuovo modo dell’agire 
politico; ognuno di noi deve contribuire a "immaginare" ogni possibile strada 
per raggiungere l’obiettivo. Ed ecco il mio immaginare. Perché un nuovo modo 
di far partito possa libero nascere e camminare, e accogliere, lungo il suo 
cammino, nuove/i compagne/i di strada, immagino sia necessario organizzare,
nei territori, tanti "luoghi di partenza", visibili, stabili, animati, rumorosi, 
equipaggiati, dove sia possibile sperimentare, in continuità e in solidarietà, 
anche amicale, una qualche ipotesi di nuova "comunità" politica. 
Magari “conviviale” (e si può iniziare programmando con regolarità nell’anno 
“politico” più incontri conviviali).
E immagino nuove "sezioni/circoli" quali reali luoghi di incontro di tante/i giovani, 
e di tante/i meno giovani, luoghi gradevoli, in centro e in periferia, dove sia 
possibile stare insieme, collegarsi in rete, ascoltare musica, bere una bibita, 
e discutere dei problemi della società, a partire dalla conoscenza/studio 
dei bisogni del nostro “prossimo” di quartiere, senza lunghe riunioni di "partito",
ma tessendo nel dialogo rapporti  di "felicità" sociale, chiacchierata e praticata, 
e costruendo dal vivo una comunità, contro i luoghi virtuali dei giochi televisivi, 
delle tribune di parole gridate e da spettacolo.
E immagino una grande discussione sui nuovi confini della libertà, per tornare 
a riprendere il tema (e la pratica) dei nostri resistenti, anche per smascherare 
l'imbroglio dei "nuovi" profeti del liberalismo salvifico.
E immagino tutto un lavoro di studio/proposte, a partire dal quartiere, e non solo 
per la riparazione delle buche nell’asfalto delle strade, ma soprattutto 
per la riparazione delle buche  nella sofferenza del tessuto sociale, un lavoro
per coniugare la libertà con la giustizia, e per ricominciare a parlare di libertà 
dalla miseria, dall'ignoranza, dalla precarietà, dalla subalternità, sfidando 
gli avversari continuamente, in ogni volantino, in ogni manifestazione, in ogni 
dibattito, a livello locale e nazionale, programmaticamente, riempiendo la libertà 
almeno dei suoi contenuti costituzionali, di un lavoro vero, di una casa dignitosa, 
di un'istruzione di qualità, di una salute curata. E non solo con manifestazioni 
chiuse in un unico “luogo di raccolta” centrale, ma aperte in ogni “luogo vissuto” 
di lavoro politico, in contemporanea, e su un tema comune.
E immagino una discussione ampia sulla "cultura del limite", quale possibile altro 
orizzonte culturale: se sia, ad esempio, necessario definire un limite alla ricchezza,
e alla povertà, e allo sfruttamento della natura, e all'uso delle risorse energetiche, 
e alla violenza di guerra e non, e alle morti sul lavoro, e attraverso quali 
provvedimenti e quali interventi culturali.
E immagino la lettura in comune, partecipata, anche all’aperto, nei nostri "luoghi", 
di testi di riferimento precisi, fondamentali per alimentare una speranza 
di una società migliore, meglio se testi già codificati; ad esempio, la dichiarazione 
universale dei diritti dell'uomo, la nostra carta costituzionale, le carte 
del socialismo europeo e internazionale.
E immagino un gruppo di lavoro di persone con passione preparate, capaci 
di spiegare la politica ai "meno istruiti, ai pensionati, alle casalinghe", e disponibili 
a svolgere, nei nostri "luoghi", senza scadenze, non più solo una "campagna" 
elettorale per chiedere voti, ma una "campagna" di informazione e di ascolto, 
per una reciproca formazione, in un rapporto alla pari, a tracciare, 
pietra con pietra, un lastricato democratico.  
E se tutti insieme si immagina, forse molte diventeranno, per costruire a sinistra 
un Partito Nuovo, le cose da fare.

4.      Il Partito nuovo e la solidarietà
Se abbiamo capito i segnali di quel bisogno di rivoluzione /cambiamento uscito 
dall’esito elettorale, è ora, quindi, di avviare la discussione politica sul Partito
Nuovo  nelle assemblee di tutti i circoli, in un giorno convenuto, di lasciar correre
idee nuove senza le chiusure mentali da ex, di realizzare nuove strutture 
di organizzazione e nuove forme selezione della dirigenza, superare i riti 
dell’autoreferenzialità, perché, se si mobilitano idee, insieme alle idee, si possono
mobilitare anche le persone. La domanda dunque è : cosa si deve inventare 
perché una persona decida liberamente di impegnarsi in politica? 
Nel Nuovo Partito? Cosa le si può offrire?
La risposta è: possiamo e dobbiamo dare, sempre e comunque, s o l i d a r i e t à
con azioni concrete, con proposte di legge, con scioperi, con lotte, 
con manifestazioni, con presenza diretta, con il dialogo della comprensione 
interpersonale; è compito della sinistra inventare un Partito per stare bene insieme, 
convivialmente, e per estendere la democrazia.

O no?

Severo Laleo

domenica 23 giugno 2013

Oltre il limite, le dimissioni



La Ministra Idem, a sua insaputa, dimostra, nella grandezza
delle sue medaglie, quanto sia carente nel nostro paese, a destra,  
al centro e spesso anche a sinistra (?),
una essenziale e vitale cultura istituzionale, liberale
e semplicemente civica.

E pur ministra delle parità, il suo comportamento è stato
all’insegna della disparità, oltre il limite.

Esiste un solo modo per recuperare: le dimissioni.

O no?


Severo Laleo

sabato 15 giugno 2013

Una leadership di coppia. Perché no?




L’altra sera in tv D’Alema esibisce una nuova forma
di moderno, e a suo modo apodittico, endorsement/suggerimento:

«Renzi è uno straordinario comunicatore ma se fa crescere
la sua statura potrebbe essere la guida del paese e avremmo risolto 
il problema della leadership».

Dopo le larghe intese, le intese in fieri. Per risolvere un problema di leadership.
Non se ne può più. E’ che i  maschi, vecchi e nuovi, hanno un’idea fissa del potere
e dei suoi giochetti. Per un'antica abitudine, non per un vincolo di logica.

E’ necessario cambiare, urgentemente, ma cambiare davvero,
e invadere, strutturalmente, con una riforma delle forme della leadership,
il campo di gioco dei maschi e delle loro partite: è giunta l'ora di 
affidare la leadership di partito a una coppia, un uomo e una donna, 
più in sintonia con la realtà del Paese.

In breve, il monocratismo maschilista è da sostituire con il bicratismo di genere.
Se ne guadagna tutti in serietà, trasparenza, condivisione, democrazia, mitezza.
E non è poco.

O no?

Severo Laleo

mercoledì 12 giugno 2013

Il bicratismo non può più attendere




Ieri sera in tv D’Alema esibisce una "nuova", dato il caso, forma
di moderno, e a suo modo indiscutibile, endorsement/suggerimento:

«Ora Renzi è uno straordinario comunicatore ma se fa crescere
la sua statura potrebbe essere la guida del paese e avremmo risolto 
il problema della leadership».

Dopo le larghe intese, le magnifiche intese. Tutte sul vuoto indefinite.
Non se ne può più.
E non ho più dubbi: i maschi hanno un’idea fissa del potere
e dei suoi giochetti. I vecchi e nuovi maschi.

E’ necessario cambiare, urgentemente, ma cambiare davvero,
e invadere, strutturalmente, il campo di gioco dei maschi
e delle loro partite: affidare la leadership del partito a una coppia, 
un uomo e una donna, più in sintonia con la realtà del Paese.

E' ora di sostituire il monocratismo maschilista con il bicratismo di genere.
Se ne guadagna tutti in serietà, trasparenza, condivisione, democrazia, mitezza. 
E non è poco.

O no?


Severo Laleo

La Costituzione, la cultura del limite e la prepotenza castale



La pretesa di nascondere dietro l’improbabile inadeguatezza della nostra 
Costituzione l’eclatante fallimento della Politica, soprattutto della classe dirigente 
di questa cosiddetta seconda Repubblica, dai Bossi ai Berlusconi con la servile 
appendice calderoliana, è davvero insopportabile. Al limite della sfrontatezza.
Si tende a giustificare l’incapacità di una classe politica ad agire secondo 
una condotta etico-politica ineccepibile nel rispetto della norma costituzionale, 
con la meschina trovata di “aggiustare” la Costituzione alla reale e palese 
inadeguatezza del personale politico, solo per una migliore e più snella 
manovrabilità del Potere. 

La nostra Costituzione non è un freno o peggio un impedimento alla realizzazione 
di una buona pratica di governo, e se l’elettorato distribuisce i voti in misura 
non gradita secondo le attese dei partiti (partiti? si fa per dire!) 
non è la Costituzione a dover cambiare, sono le modalità di proposta e di azione 
politica da parte dei partiti (innanzitutto diventando democratici, cioè con l’obbligo 
di praticare una trasparente e controllabile democrazia interna, 
appunto secondo Costituzione!) a dover cambiare.
.
La riforma dei partiti precede ogni tentativo di modifiche alla Costituzione. 
Un percorso diverso è segno di prepotenza antidemocratica, 
anche se gli artefici si dicono democratici.

La nostra Costituzione impone un limite alla nostra cultura democratica 
e alla nostra responsabilità politica: il rispetto, in caso di modifiche, 
delle procedure da essa previste. Anche per questi motivi aderisco al documento 
dei Comitati Dossetti per la Costituzione, di seguito riportato.

Comitati Dossetti per la Costituzione

La legge grimaldello contro la Costituzione grave errore del Governo e dei partiti


I Comitati Dossetti per la Costituzione denunciano come inammissibile il disegno di legge costituzionale approvato dal Consiglio dei ministri il 6 giugno 2013, che detta nuovi modi e tempi per la riforma della Costituzione in violazione dell'art. 138 della Carta.
Violazioni che  consistono, a tacer daltro:
1.      nel riconoscimento al Governo dellinusitato ruolo di proponente delle riforme costituzionali, per giunta coadiuvato da una commissione di esperti nominati dallo stesso Governo;
2.      nellaltrettanto inusitata imposizione di un limite temporale al procedimento di revisione, come se si trattasse dellapprovazione, con caratteri durgenza, di una legge ordinaria;
3.      nella diminuzione da tre mesi ad uno dellintervallo intercorrente tra la prima e la seconda approvazione del testo delle leggi di revisione costituzionale: un intervallo voluto espressamente dai Costituenti perché le eventuali modifiche costituzionali potessero essere adeguatamente discusse nellopinione pubblica prima della delibera definitiva delle Camere (nella quale, com’è noto, non è ammissibile la presentazione di emendamenti) .
Si è eccepito che queste modifiche verrebbero ad essere contenute in una legge costituzionale ad hoc. Questa non è però una valida giustificazione. Da un lato tali modifiche spiegherebbero infatti effetti permanenti con riferimento alla disciplina procedimentale delle future leggi costituzionali, per cui si tratterebbe di deroghe con effetti permanenti e cioè di vere e proprie modifiche surrettizie allart. 138; dallaltro il fatto che tali modifiche siano contenute in una legge costituzionale non significa alcunché perché le leggi costituzionali, non diversamente dalle leggi ordinarie, devono rispettare i limiti formali e sostanziali posti dalla Costituzione.  
Si tratta pertanto di una legge grimaldello che fa saltare le garanzie e le regole che la Costituzione stessa ha eretto a sua difesa, e che finché sono in vigore vanno rispettate. Essa contempla che in diciotto mesi vengano cambiati forma dello Stato, forma di Governo, Parlamento e lintero equilibrio fra i poteri dello Stato su cui riposano i diritti dei cittadini.
I Comitati Dossetti per la Costituzione, richiamandosi alla grande manifestazione di patriottismo costituzionale tenutasi a Bologna il 2 giugno con la partecipazione di popolo e rappresentanti di movimenti di massa, e dando seguito al loro appello del 2 maggio Giuristi contro la Convenzione, fanno presente al Governo ed alla maggioranza parlamentare che con tale disegno di legge, rispecchiante la mozione delle Camere del 29 maggio scorso, viene compiuto un gravissimo errore, a cui, tuttavia, sarebbe ancora possibile non dare corso.
La previsione e lauspicio, formulati da molti e dallo stesso Presidente della Repubblica che da qui a poco più di diciotto mesi si possa concludere l'iter delle riforme, sono tutti basati sul presupposto che il disegno di legge costituzionale, presentato ora al Parlamento, sia subito approvato e poi, nello spirito dellAlleanza manifestatasi il 29 maggio, sia definitivamente varato in seconda lettura alla fine di ottobre, con una maggioranza che superi i due terzi dei voti, in modo tale che sia esclusa la possibilità di indire il referendum confermativo.
In tal caso partirebbe subito la procedura di revisione, prima in un Comitato parlamentare di 40 membri e poi nelle aule parlamentari, dove il dibattito è pensato come rapido e formale.
Quanto al tipo di cambiamento, si va dalla forma di Stato, alla forma di Governo, al numero dei Parlamentari, al bicameralismo, fino alla corrispondente legge elettorale, mentre si affaccia il mito del presidenzialismo. Si tratta di materie in cui le posizioni presenti nel Parlamento e nel Paese sono le più diverse e contrastanti e che il Comitato dei 40 in pochi mesi dovrebbe ricondurre ad unità, in un momento di massima crisi del Paese e di minore corrispondenza, dal punto di vista rappresentativo, tra lelettorato ed il Parlamento eletto con la legge Porcellum. La stessa legge proposta dal governo mostra di avvertire l'anomalia di un cambiamento della democrazia e dello Stato fatto da una rappresentanza che non rispecchia proporzionalmente le componenti dellelettorato e che dunque può risolversi nellimposizione di una minoranza. Infatti la legge stabilisce che il Comitato dei 40 deve essere formato in modo da rispecchiare la proporzione fra i Gruppi, tenendo conto non solo dei loro seggi in Parlamento ma anche dei voti conseguiti alle elezioni politiche: segno che si vede la stortura ma non la si risolve; infatti questa correzione proporzionalistica che per la prima volta misura i rapporti fra i Gruppi parlamentari sulla base dei voti ricevuti e non dei seggi, riguarda solo il momento referente del lavoro del Comitato, ma non riguarda ovviamente il voto d'aula; questo poi avverrà non nella costituzionalmente obbligata doppia lettura a distanza di tre mesi l'una dall'altra, ma con il contingentamento dei tempi e l'arbitraria riduzione di tale intervallo ad un mese. A questo punto rimarrà solo il referendum confermativo, che in ogni caso potrà essere richiesto, ma sarà troppo tardi perché lelettorato, tormentato da una crisi gravissima e oberato da altri pensieri possa decidere con libertà di coscienza sulla sorte della Repubblica e del suo ordinamento democratico, piuttosto che essere trascinato in una sorta di plebiscito.
Tutto ciò dice come i prossimi 18-24 mesi saranno mesi di passione per la Costituzione e forse la sua ultima prova.
Dov’è allora lerrore? A parte lerrore che è nella cosa stessa, esso sta nel fatto che, anziché offrire, come si vorrebbe, una garanzia di durata al Governo Letta ed alla Grande Alleanza, la partita costituzionale così aperta diventa fonte della loro massima debolezza. Agli occhi di molti la questione diventa infatti il caso serio di una Repubblica democratica e rappresentativa che sta o cade, e quindi attinge unassoluta priorità a partire dal momento stesso in cui si comincerà a discutere in Parlamento la legge costituzionale di deroga allart. 138.
Non vi è chi non veda come tra i mezzi per fermare la riforma vi sia la procurata caduta del Governo, la dissoluzione della sua maggioranza e linsorgere di fratture nellambito degli stessi partiti della maggioranza, forse con le inevitabili dimissioni dello stesso Presidente della Repubblica.
I Comitati Dossetti per la Costituzione, per parte loro, si propongono le seguenti azioni:
1) esercitare una moral suasion per indurre i partiti di maggioranza del Parlamento  che tutti si richiamano alla democrazia ed alla libertà  a garantire che in seconda lettura la legge grimaldello non sia votata da una Santa Alleanza che raggiunga i due terzi dei voti, in modo che non sia esclusa la possibilità costituzionale del referendum popolare;
2) presentare o promuovere la presentazione, sin da questi mesi estivi, di singole leggi di revisione costituzionale che, su punti specifici, e senza travolgere lintero ordinamento:
- correggano il sistema bicamerale investendo la sola Camera del rapporto di fiducia col Governo;
- ridefiniscano il rapporto fra Stato, Regioni ed altre autonomie locali, ponendo rimedio alle negative esperienze fatte fin qui;
- ridisegnino il numero dei parlamentari;
- riscrivano lart. 81;
- stabiliscano un tetto di spesa per le spese militari ed un minimo di spesa per le spese scolastiche e formative;
- introducano il principio del reddito minimo di esistenza vitale;
- enuncino un criterio dindirizzo sui rapporti fra Italia ed Unione Europea, sopraggiunti dopo lentrata in vigore della Costituzione del 1948, criterio basato sul perseguimento dellunità vera e non solo economica dellEuropa e sulla salvaguardia della personalità, dei valori supremi e della qualità della vita della comunità di tutti gli abitanti della Penisola.
Altri temi specifici, se urgenti, potranno essere oggetto di singoli progetti di legge di revisione costituzionale, tutti sottoponibili, poi, separatamente a referendum popolare.
I Comitati Dossetti per la Costituzione suggeriscono al Governo ed ai partiti veramente desiderosi di un perfezionamento della nostra Costituzione che questa è la strada meno conflittuale col Paese e con la giovane tradizione costituzionale italiana, nonché la più rapida per raggiungere graduali e sicuri risultati di avanzamento istituzionale nella continuità dellordinamento democratico.
I Comitati Dossetti, infine, invitano tutte le associazioni, enti, sindacati, comunità culturali e religiose a mantenere vigile linteresse e la cura per la Costituzione ed i valori che in essa finalmente hanno raggiunto la soglia del diritto obbligante per tutti, e propongono che fin dora siano raccolti contributi volontari da depositare in un fondo presso la Banca Etica per far fronte alle future spese dei prevedibili referendum in cui si dovrà combattere la battaglia per la Costituzione.

Raniero La Valle, Luigi Ferrajoli, Domenico Gallo, Umberto Allegretti, Gaetano Azzariti, Francesco Bilancia, Nicola Colaianni, Alfonso Di Giovine, Gianni Ferrara, Alessandro Pace, Giovanni Palombarini, Livio Pepino, Alessandro Pizzorusso, Armando Spataro, Francesco Di Matteo, Tommaso Fulfaro, Sandro Baldini, Maurizio Serofilli, Luisa Marchini, Barbara Romagnoli, Beppe Giulietti, Francesca Landini, Associazione “Salviamo la Costituzione: aggiornarla non demolirla”,

Giovanni Battista Baggi, Umberto Andalini, Alfonso Gianni, Francesco Grespan, Stefano Sanchioni, Lidia Campagnano, Aldo Asvero Tropepi, Umberto Musumeci, Anna Biagini, Gabriella  Bentivoglio, Alda Busi, Maria Ricciardi Giannoni, Associazione Liberacitadinanza, Giuseppe Salmè, Forum Cittadini del Mondo R. Amarugi, Maurizio Buzzani, Bronzini Giuseppe, Mauro Bortolani, Ada Pallai, Pietro Galati, Tiziana Valpiana, Gian Carlo Poddine, Vilma Lucia Caon, Antonio Mammi, Comitato Dosseti per la Costituzione di Casalgrande (RE), Marialba Pileggi, Romolo Tamburrini, Innocenza Indelicato, Ilaria Cornetti, Giulia Venia, Gaetano Bonifacio, Umberto Baldocchi, Franco Ronconi, Roberto Riverso, Eleonora Bellini, Gioacchino La Greca, Sebastiano Gulisano, Silvia Maggi, Vittorio Campanelli, Irene Del Prato, Doria Di Caprio, Alfonso Sabin, Matteo Cerutti Soia, Bartolo Angiani, Enrico Peyretti, Franco Borghi, Luisella Basso Ricci, Angelo Ciprari, Teresa Lapis, Ignazio Giovanni Patrone, Stefano Celli, Giulio e Lucia Sica, Nicoletta Gandus, Lanfranco Peyretti, Carlo Ridolfi, Carlo Ferraris, Massimo Torelli, Carlo Cappellari, Pierpaolo Loi, Antonio Porro, Antonio Boncristiano, Dignatici Patrizia, Stocco Giuseppe, Fabio Massimiano, Tonino Venturi, Dora Marucco, Nadia Norcini, Corrado Gregori, Silvia Manderino, Paolo Ferrari, Lorella Amigoni,

Roma, 10 giugno 2013

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