domenica 13 aprile 2014

Annunziata e l'elogio (antico) del monocratismo

Scrive Annunziata a proposito e della infinita discussione intorno alle quote
rosa e della decisione di Renzi (e del PD?) di candidare, in testa alle cinque
liste per le elezioni europee, cinque donne: “Si fa esattamente così: 
altro che quote rosa. Un giorno il Premier si sveglia e dice 
capolista tutte donne“, e il giorno dopo ancora “ai vertici 
delle più grandi aziende pubbliche tante donne””.

No, invece, non si fa così. Una democrazia avanzata e matura,
tra persone alla pari, esige regole, e se le regole non si scrivono,
con chiarezza e trasparenza, a partire da una legge per la Riforma 

dei Partiti (è la riforma delle riforme, senza la quale tutto il resto,

nuovo o vecchio, può solo diventare imbroglio), la democrazia resta 

casuale. Nelle mani di un/a capo/a.
La parità uomini/donne non può essere la scelta di una persona
in solitudine, una scelta cioè dipendente dalla volontà
di un Premier. Illuminata/o o no.  Anche Hollande, rispettando
la promessa elettorale, aprì il suo esecutivo a donne e uomini
in numero pari. Ma pur resta la sua “apertura” una “graziosa” concessione.
E’ tempo di andare oltre.
La parità uomo/donna non può legarsi nella sua realizzazione
alla decisione personale e “illuminata” di un “organo monocratico”,

a prescindere dal suo “genere” maschile/femminile.
La parità, in breve, non può più dipendere dalla soggettività
di un Premier: deve diventare una norma.
Deve diventare normalità.
Se non irrompe, la parità uomo/donna, anche nel livello
“monocratico” di ogni “governo”, la nostra società continuerà
a restare imbrigliata nelle antiche strutture di potere
di esclusiva produzione maschile. Il monocratismo dovrà cedere
al bicratismo, al governo duale, di un uomo e una donna insieme.
Anche la scalata alla parità uomo/donna attraverso le quote rosa
non riuscirà mai a scalfire la struttura maschilista
della nostra organizzazione sociale, se non spezza il monocratismo.
Per aprire una via possibile al cambiamento della società,
anche nella direzione dell’estensione della democrazia
e della trasparenza, e soprattutto della formazione di una decisione
pubblica non più condizionata/dominata da una cultura di genere maschile,
in tutte le “sedi/luoghi” di natura decisoria, soprattutto
di pubblica utilità, la presenza uomo/donna non può non essere pari, anzi,

dovrà essere pari.
Altro che il “tante donne” grazie alla sensibilità del Capo!
In realtà, il monocratismo, il potere/dominio, cioè, di uno solo,
anche per via democratica, è proprio l’esito peggiore del maschilismo,

con tutte le sue degenerazioni, dal leaderismo carismatico all’uomo

della Provvidenza. E non merita elogio.
Il maschilismo cade solo insieme al monocratismo.
La pratica della parità non può continuare a essere nelle mani
di un “monocrate”. Forse solo il bicratismo perfetto potrà segnare
una nuova stagione di cambiamento.
O no?
Severo Laleo

domenica 6 aprile 2014

Scalfari, Creonte e la sovranità conviviale

Ecco, anche se tardiva, qualche opinione personale di Scalfari 
sul Presidente del Consiglio: “Renzi è un populista che combatte 
il populismo in casa d’altri ma lo applica in casa propria.
Dicono gli osservatori che circa cinque ore al giorno sugli schermi 
delle varie trasmissioni televisive appare lui con la sua facondia, 
la sua capacità di ispirare simpatia, il fascino seduttivo che emana dal suo 
viso, dai suoi gesti, dalla sua figura. Renzi persegue l’obiettivo di guadagnare 
consensi e stravincere alle prossime europee. La tecnica seduttiva 
non si impara, ci si nasce.
Poi con il tempo e l’esperienza la si affina e se ne fa uno strumento
di potere a favore del partito di cui si ha la guida, e se l’operazione funziona 
porta al possesso di quel partito. Questo è Renzi. Con le caratteristiche 
di Berlusconi senza i vizi e i crimini di Berlusconi. È il figlio buono e bravo 
di Silvio e infatti lo dice e ne è alleato e lo sosterrà, pronto però a pugnalarlo 
alle spalle se dovrà in qualche modo evitare la sconfitta alle europee….
Nella storia moderna il populismo, i partiti personalizzati, le leadership 
assolute e il decisionismo sono diventati conseguenze inevitabili
del suffragio universale, perciò il livello della politica e la qualità del bene 
comune sono precipitati in basso. A noi piacerebbe risollevarli, usare 
la critica responsabilmente tutte le volte che ci sembri necessario, 
sostenendo anche ciò che non ci piace se non vi sono alternative disponibili. 
Ma le alternative – se non ci sono – bisogna comunque prepararle.
Ecco un ruolo che possiamo e dobbiamo assumerci con il massimo impegno. 
Informare la gente e aiutarla a capire educandola alla democrazia. 
Non è facile ma è ciò che abbiamo tentato di fare per tutta la vita” 
(la Repubblica, 6 Aprile 2014).

Siamo d’accordo e apprezziamo il ruolo di Scalfari di volere 
educare alla democrazia“. Ma non basta. Bisogna imparare a praticarla, 
la democrazia. Con forme e regole nuove. Insieme alle persone.
Alla pari. Non solo attivando ogni tipo di marchingegno per vincere 
nel mercato dei voti. La democrazia non può reggersi solo 
sulla “sovranità elettorale“; la sovranità elettorale, il semplice esercizio 
del voto, può produrre e produce il populismo. E l’astensionismo. 
E premia il leader più seducente. E non ha limiti, se continua a votare 
un berlusconi di tanta fama. O un Grillo o un Renzi, novelli interpreti 
del bene comune.
Ma il bene comune non appartiene a “uno solo“. E’ un concetto chiaro 
già dall’antichità. Nella tragedia di SofocleAntigone, c’è un passaggio 
nel dialogo tra il re Creonte e il figlioEmone, illuminante.
Dice Emone al padre re Creonte:   “Città non è quella  ove uno solo può“.
Creonte risponde, piccato: “Ché! Non è del sovrano la città?
Ecco la verità della democrazia, con meraviglia del Creonte di allora 
e di tutti i creonti passati e futuri:
la città dove “uno solo può” non è “città“.
Il nuovo compito della democrazia è appunto costruire la città. 
Ed è il compito della sinistra democratica.
Costruire, con più partito e senza creonti, la “sovranità conviviale“. 
Nella Grecia di oggi, se la sinistra ha trovato una linea politica comune 
e insieme i voti, è perché nella crisi e nelle difficoltà delle persone 
non ha inventato, scimmiottando la destra, un nuovo leader pigliatutto, 
un suo creonte, ma ha praticato, dal basso, solidarietà e partecipazione, 
ricostruendo un tessuto sociale distrutto dalla crisi e dai tagli, e ha affidato 
a un leader, sì giovane (Tsipras),  non il compito di catturare voti
seducendo gli elettori, ma il più profondo compito di tradurre in proposte
politiche di solidarietà il dolore delle persone. Per opporsi alla deriva populista, 
ora anche del Pd, è necessario, a sinistra, praticare una via diversa, 
visibilmente e immediatamente diversa, anche nell'organizzazione 
delle regole di democrazia interna, ed è la via non dell’applauso
 ma della condivisione, non del monologo ma del dialogo, 
non dell’arroganza ma della prudenza, 
non dell’ambizione personale ma della responsabilità sociale, 
non della “sovranità elettorale” ma della “sovranità conviviale”,
attraverso la quale  è possibile forse generare democrazia.
O no?
Severo Laleo