domenica 25 ottobre 2020

Promemoria Coronavirus: 8. un vuoto di … donne nella cultura politica del M5S

 




E’ stato pubblicato recentemente un documento, quasi un nastro continuo

di proposizioni, dal titolo “Dopo il Coronavirus. La cultura politica

del Movimento Cinque Stelle”, sintesi di una ricerca a cura del prof. De Masi

e del suo studio, commissionata dalla senatrice Barbara Floridia,

responsabile della formazione del Movimento 5 Stelle.


Si tratta di un’operazione di ricognizione politica molto lodevole

specie in tempi di disordinata frammentazione della proposta politica

e di personalismi esagitati nella piazza delle ambizioni di potere.

E anche se il Movimento 5S non fosse a digiuno di elaborazioni teoriche,

forse non sempre interiorizzate da chi si è trovata/o ad assumere ruoli

di rappresentanza e di governo (“una rivoluzione democratica e pacifica

ha portato cittadini non esperti di politica in Parlamento),

con questo documento si prova almeno a dare una direzione consapevole

e condivisa all’agire politico, al termine naturalmente di un confronto

dentro le linee guida.


Qui non si vuole parlar bene delle proposizioni condivisibili

e criticare altre proposizioni alquanto estemporanee,

ma si vuole solo segnalare, spero utilmente, un vuoto.


Se non ho letto male, non ho trovato, pur tra tante ipotesi di riforme

in ogni settore, dalla giustizia alla formazione, dal fisco al lavoro,

tutte utili per la modernizzazione/democratizzazione della società,

non ho trovato, ripeto, una sola riflessione su auspicabili riforme istituzionali,

specie dopo la battaglia simbolo del Movimento 5S di riduzione

del numero dei parlamentari, vinta a larga maggioranza di popolo.

Le riforme istituzionali, a dire il vero, potrebbero essere tante, tutte ovviamente 

da inserire in un quadro ragionato di insieme con l’obiettivo principe non solo

del miglior funzionamento possibile, ma anche e soprattutto

- altro campo di battaglia del Movimento -,

di ampliare la partecipazione democratica di cittadine/i

(processo di estensione della democrazia); ma tra tante riforme possibili 

una è imprescindibile.

Quale riforma, dunque, potrà mai essere indispensabile per l’estensione

della democrazia se non si affronta e risolve, con sguardo lungimirante,

il tema della parità uomo-donna, non solo nel campo del lavoro

(condizione necessaria), ma anche nel campo delle strutture istituzionali

del Paese?

Può reggere forse a lungo una democrazia, se l’altra metà delle persone

del mondo, in questo caso le donne, si trovano ancora in una condizione

di minorità politica quanto a partecipazione e rappresentanza?

E si può forse ancora sostenere, nei nostri ormai consolidati sistemi

a democrazia avanzata, e dopo una così estesa presenza di donne

nella battaglia contro il Coronavirus, la teoria e la pratica delle quote rosa?


L’operazione da portare a termine è un’altra, ed è di una semplicità unica,

e non ha controindicazioni o opposizioni, se non di tipo antico

e, mi piace dire, capotico.

In breve, per incrementare la partecipazione delle persone alla vita politica,

rafforzando la qualità della democrazia fondata sulla sovranità popolare,

è necessario insistere sulla presenza paritaria nelle sedi decisionali

(assemblee elettive, governo) di uomini e donne.

Istituzioni di rappresentanza, a ogni livello, con egual numero

di uomini e di donne, diventano così la condizione necessaria

della normalità democratica.

E la ricaduta di una siffatta riforma istituzionale anche sul piano culturale,

soprattutto per le nuove generazioni, in termini di educazione alla parità

e di comportamenti sempre più inclini al reciproco rispetto,

non sarebbe trascurabile.


E sarebbe anche auspicabile guardare avanti e magari tentare di superare

il monocratismo di oggi, che è comunque l'esito storico del maschilismo,

con il bicratismo, con l'affidare cioè la carica, ad esempio di capo del governo,

non più appunto a un capo, ma a una coppia, un uomo e una donna,

cooperanti, aprendo così la strada a un governo a guida duale.

Ma qui il discorso diventa, come dire?, troppo complicato.

Per ora il M5S potrebbe essere il primo movimento/partito a sperimentare

una direzione a guida duale, con o senza un collegio di consultazione.

O no?

Severo Laleo


martedì 20 ottobre 2020

L'enciclica “Fratelli tutti”, l'amicizia sociale, il convivialismo e la cultura del limite

 



Caro Scapece,

oggi, nel giorno di San Luca Evangelista, ho finito di leggere l’Enciclica 
di Papa Francesco “Fratelli tutti”, pubblicata il 4 Ottobre, nel giorno 
di San Francesco, e non so perché mi è venuto spontaneo scriverti subito 
per parlartene un po’, rapidamente e come al solito a modo mio.
Anzi scusami, non ti ho nemmeno chiesto come stai. Come va? Spero, 
e ti auguro, un “tutto bene”. Purtroppo di questi tempi dobbiamo stare 
molto riguardati, specie noi, generazione al tramonto. E vabbè!
Senti, ho trovato quest’enciclica di una grande chiarezza di pensiero 
e di una consapevole semplicità di scrittura. 
(Il Papa dichiara espressamente di usare il suo “linguaggio”.)
E giustamente, perché i destinatari sono tutte le “persone di buona 
volontà”, non tutte esperte di dottrina cristiana.
E, a proposito di “persone”, termine inclusivo per uomini e donne, 
voglio subito dirti che accusare il Papa di aver dato un impianto linguistico 
maschilista all’enciclica, a partire da quel titolo/inizio “Fratelli tutti”, 
mi pare eccessivo e fuori luogo, anche se, e il papa in verità nel corpo 
del testo non dimentica le “sorelle”, sarebbe meglio ormai tener sempre 
presente con termini appropriati e espliciti l’universo maschile e femminile, 
altrimenti anche al miglior lavoro di rilettura/revisione può scappare 
un superato “uomini di buona volontà” (infatti appare una sola volta 
nella lettera). Eppure, se c’è nel testo un cedimento (tenero e giustificabile) 
agli stereotipi di genere, questo l’ho trovato in un passaggio del discorso 
sulla missione educativa delle famiglie, luogo ideale anche per l’educazione 
religiosa. Ebbene, scrive il Papa, “esse [famiglie] sono anche l’ambito 
privilegiato per la trasmissione della fede, cominciando da quei primi 
semplici gesti di devozione che le madri insegnano ai figli”. Forse nella parola 
madri sono inclusi anche tanti papà!

Senti, questa è davvero l’enciclica della fraternità aperta e dell’amicizia sociale
e dentro questo alveo corre tutto il discorso accorato di Papa Francesco. 
La sua preoccupazione è di spingere/convincere ogni persona a non trascurare 
l’amore per l’altro/a, soprattutto se quest’altro/a è in difficoltà, di qualunque
natura, economica, sociale, culturale, fisica, psicologica. In breve invita 
a non abbandonare le persone “scartate”. E’ forte, caro Scapece, questo 
termine, vero? E nell’immaginario di noi meridionali la parola scartare
credo abbia una valenza ancora più pesante e dura, e contiene quasi 
una colpa. Le persone non si possono “scartare”, scrive il Papa; sembra 
un’ovvietà della civiltà, ma un po’ dappertutto nel mondo si assiste 
purtroppo a un processo, guidato da una paura senza ragione, di chiusura 
nei confini della propria identità e del proprio egoismo, scartando 
chi è diversa/o. E da qui il richiamo molto sentito e forte del Papa al rispetto 
dei diritti delle persone migranti e alla fattiva ideazione/realizzazione 
di una politica di accoglienza concreta, senza l’egoismo 
della frontiera. Nessuno può rimanere escluso, a prescindere da dove sia nato, 
e tanto meno a causa dei privilegi che altri possiedono per esser nati in luoghi 
con maggiori opportunità. I confini e le frontiere degli Stati non possono 
impedire che questo si realizzi.”
Questa è anche l’enciclica del no definitivo alla guerra e del rifiuto dell’uso 
della formula della “guerra giusta”, perché la guerra non solo cancella
il “progetto di fratellanza”, ma “è la negazione di tutti i diritti e una drammatica 
aggressione all’ambiente. Se si vuole un autentico sviluppo umano integrale 
per tutti, occorre proseguire senza stancarsi nell’impegno di evitare la guerra 
tra le nazioni e tra i popoli”. In breve, papale papale, mai più la guerra!
Infine questa è l’enciclica del no definitivo alla pena di morte, perché la pena 
di morte, già inadeguata sul piano morale e non più necessaria sul piano 
penalesecondo l’insegnamento di Giovanni Paolo II, diventa ora 
inammissibile e la Chiesa si impegna con determinazione a proporre che sia 
abolita in tutto il mondo”. E attiverà, immagino presto, la Chiesa questo 
impegno, perché, a leggere le notizie di cronaca, l’8 dicembre prossimo 
Lisa Montgomery verrà uccisa in Indiana da una iniezione letale. E sì, 
perché il ministro della giustizia di Trump, William Barr, sicuro di difendere
legge e ordine”, ma incurante del processo di civilizzazione della società, 
ha dichiarato il suo pieno consenso alla ripresa dopo 16 anni delle esecuzioni 
federali negli Stati Uniti. (Montgomery sarà la prima donna in quasi 70 anni 
a essere giustiziata dallo Stato.) Certo, caro Scapece, se il “popolo” 
d’America conferma quest’uomo così privo di “tenerezza” sociale 
alla Presidenza, qualcosa non funziona nel discorso/agone della democrazia.

Per il resto tutta l’enciclica, dal punto di vista sociale, è nel solco delle grandi 
encicliche sociali degli ultimi decenni e non mi pare aggiunga altro. Anzi, 
poiché l’obiettivo fondamentale di Papa Francesco è di esortare alla fraternità 
aperta e all’amicizia sociale, gli aspetti socio-economici sembrano svolgere 
un ruolo di sfondo. La sua analisi a tinte fosche della società di oggi 
è infatti abbastanza diffusa, almeno mi pare, e anche il suo insistere 
sulla scarsa attenzione ai principi etici del potere economico ha larga 
accoglienza. 
Forse, grazie al fatto di aver scelto un linguaggio chiaro e semplice, piano 
e comprensibile, a volte, in qualche passaggio di analisi della società, 
le sue parole rischiano di destare immagini dai contorni generici, 
non sempre puntuali (i veri potenti, i potenti di turno). 
E forse è un prezzo da pagare per evitare 
il linguaggio settoriale. E forse è anche comprensibile in chi inserisce, 
a ben ragione, tra le qualità della relazione sociale la tenerezza. 
Ma queste ultime osservazioni, caro Scapece, come dire, chiudi un occhio 
e lasciamele passare, e goditi questo passaggio, così raro in encicliche sociali:
Anche nella politica c’è spazio per amare con tenerezza. «Cos’è la tenerezza? 
È l’amore che si fa vicino e concreto. È un movimento che parte dal cuore 
e arriva agli occhi, alle orecchie, alle mani. La tenerezza è la strada 
che hanno percorso gli uomini e le donne più coraggiosi e forti». 
In mezzo all’attività politica, «i più piccoli, i più deboli, i più poveri debbono 
intenerirci: hanno “diritto” di prenderci l’anima e il cuore. Sì, essi sono nostri 
fratelli e come tali dobbiamo amarli e trattarli»”.
E mi sovviene il convivialismo. A proposito, sai che Alain Caillé, animatore 
del movimento dei Convivialisti, dichiara in un’intervista di condividere 
totalmente l’ispirazione socio-economica dell’enciclica e quasi intende 
chiedere al Papa di andare più lontano sul piano della riduzione 
delle ineguaglianze, magari fino al punto di accogliere la proposta 
convivialista di un reddito minimo universale e di un tetto massimo
alla ricchezza individuale?
E qui torna il discorso della "cultura del limite". Una società dell'amicizia sociale
non può non determinare un limite sia alla povertà sia alla ricchezza.
Vedi, amico mio, giro e giro e torno sempre là; e per forza! 
Ripeto, purtroppo solo a me e a altri sette, queste cose da anni! 
A me sembrano i primi indispensabili passi per avviare 
un processo reale di civilizzazione della società, attraverso il quale la dignità 
di ogni essere umano, meglio di ogni persona, possa essere garantita 
e rispettata, sempre in ogni situazione. 
Per andare verso una “civiltà dell’amore”.
E con quest’ultima citazione dall’enciclica di Francesco, caro Scapece, 
ti saluto e ti auguro ogni bene. Speriamo che ce la caviamo tutte/i. 
O no?
Severo