giovedì 25 aprile 2019

25 Aprile: Maria Penna, il popolo sei tu




Mi è capitato di assistere, un po’ per caso, a una discussione,
a tratti ambigua,
sull’entità della partecipazione di “popolo” alla Resistenza.
Per troppe persone, attente soprattutto ai numeri, all’oggettività dei numeri,
la Resistenza fu una lotta di una piccola minoranza contro il nazifascismo.
Si sa, dicono, quanti sono stati i partigiani, uomini e donne insieme.
E si sa, dicono, qual è stato il contributo sul piano militare
alla vittoria finale: importante, sì, ma … relativo.
In breve la Resistenza non è stata affar di “popolo”.
Il popolo, dicono, è arrivato dopo, con le schiere dei partecipanti
con bandiera rossa alle manifestazioni/celebrazioni del 25 Aprile:
anzi, da una parte il popolo del 25 Aprile, festante della vittoria
per la libertà di tutte/i, al centro della piazza,
dall’altra il popolo muto, eppur libero, in disparte, ai margini della strada.
E ieri un ineffabile ministro, sulla scia di leader (povera Italia!)
tutti travolti dalla retorica del calcio/pallone, e con la violenza stupida
di chi non comprende il dolore universale della guerra, dichiara baldanzoso,
con un sorriso stampato, sempre uguale da mane a sera,
per non scegliere da che parte stare, di non voler partecipare 
al derby del 25 Aprile!
Derby? Il 25 Aprile un derby? Le parole del calcio, in questo paese,
hanno sostituito/distrutto politica e storia. E favorito il populismo.
E il populista sbraitante di oggi non merita e non ha un popolo,
ma solo seguaci,
spesso osannanti, imbrigliati nella grande Rete.

Per nostra fortuna seguace non era Maria Penna, classe 1905,
nata nel Sud Italia,
e torturata e uccisa a Firenze dai nazifascisti nel giugno 1944.
Per nostra fortuna non era una seguace Maria Penna,
lavoratrice e madre di quattro figli,
semplicemente una persona libera, determinata nella scelta politica
di difendere la libertà di tutti.
E’ Maria Penna a morire per la nostra libertà; sulla sua scelta di vita
si fonda la nostra Costituzione. Insieme a tantissime altre vittime,
sparse in tutto il Paese, da Sud a Nord, ha testimoniato, 
con la Resistenza,
l’unità ideale di un Paese.

Se esiste ancora un popolo, quel popolo ha il nome di Maria Penna.
O no?
Severo Laleo

mercoledì 3 aprile 2019

Stranieri alle porte? Meglio nell’agorà




Zygmunt Bauman, con Stranieri alle Porte, ancora una volta
lancia un invito all’umanità intera a praticar la pace;
anche perché l’alternativa alla pace -aggiunge-, e quindi
al civile convivere, è la fine dell’umanità stessa.
Insomma, è possibile con-vivere senza massacrarsi?
E’ necessario! E per questo esercitare l’arte del dialogo,
del confronto, della conversazione diventa il metodo libero,
oltre le regole, attraverso il quale è possibile giungere
alla comprensione dell’Altro, del diverso da Noi;
e oggi l’Altro è soprattutto il migrante in cerca di “vita”.

In verità gli stranieri incutono paura se si presentano e sono alle porte,
magari in silenzio, incapaci di aprir bocca, sospettosi e sospettati.
Se al contrario diventano parte integrante, ognuno a suo modo,
di una situazione di conversazione, si amplia la civiltà dell’agorà,
da intendere nel suo significato/simbolo di spazio 
della relazione discorsiva.
Se si dà la concreta possibilità, con l’accoglienza, di sperimentare
la conversazione, si attiva la comprensione, e quindi -Zygmunt usa
qui le parole di Gadamer- il processo di “fusione di orizzonti”;
senza accoglienza, avrà successo l’esclusione, e da qui,
almeno per i più fragili, separazione, distacco, chiusure, rancore,
odio, conflitto, guerra.
Zygmunt scrive che è un piacere; ha una scrittura nitida, chiara
con un andamento molto gradevole e coinvolgente;
ogni parola non è mai fuori posto; e ha una visione illuminata
dei problemi, non ideologica, ma argomentata e confortata
da dati e e autori.

Se il mondo occidentale, mondo liberale, difensore delle libertà,
sperimenta oggi la sua massima contraddizione,
perché da una parte apparecchia tutti i diritti ai suoi cittadini
e dall’altra esclude da ogni diritto gli altri,
adottando all’occasione con caparbietà pratiche illiberali,
evidentemente qualcosa ancora non funziona nella nostra civiltà.
E si corre il rischio di abituarsi all’idea di veder sospese
un domani garanzie di libertà per tutti noi, con il pretesto
di una difesa di un benessere mai realmente in minaccia.
Costruire muri per i dannati è facile; ed è facile mietere
consenso con la promessa di salvezza dagli invasori;
difficile è elaborare un progetto di pace perpetua (Kant è ancora vivo),
di civilizzazione della società, e insieme trovar strumenti,
risorse e persone utili a costruire/salvare l’umanità.
E il difficile è una prerogativa umana.
O no?
Severo Laleo