sabato 30 maggio 2015

De Luca, Renzi Bindi: l’ambizione di Potere e la sovranità di un popolo



Ieri il Pd era Bersani. Il dialogante. Il mite Bersani.
Ora è De Luca. Un esperto in verbosità minacciose.
E un amministratore locale in grado di contribuire
alla crescita del Pil. Addirittura.
Ormai l’immagine del Pd è De Luca. Tutto il Pd, o quasi,
è per De Luca. Anche Renzi, l’uomo solo al comando,
è diventato suo ostaggio. Non è riuscito a schivarlo,
e sì che ci ha provato, e alla fine si è fatto schiavo.
Perché De Luca è un vecchio arnese della Politica.
E sa, sa dire, sa fare. Così dalla rivoluzione del nuovo
è nato l’abbraccio con il vecchio. Sempre per vincere.
A prescindere. Un’intesa perfetta. Per la vittoria.  
Vuoi un’idea del tipo di abbraccio? Leggi Polito sul Corriere: “L’arcipelago di liste collegate a De Luca e al Pd in Campania …
si spinge fino a noti nostalgici del fascismo, i quali dichiarano
che non si sentono di aver tradito la causa perché in realtà
lo «sceriffo» di Salerno è un vero uomo di destra;
e comprende i notabili del partito di Cosentino, l’ex padre padrone
del centrodestra che fu duramente combattuto dalla sinistra
di De Luca in nome della questione morale, ora in galera
per concorso esterno con i Casalesi.

Di fronte a tanta novità gli ex segretari del Pd pare
siano ancora tutti muti. Tranne il solito mite Bersani,
a suo agio forse solo in un Paese civile, gli altri non sprecano
una parola a difendere le istituzioni.
E a fermare la violenza verbale, e fuori argomento,
di giovani governanti/dirigenti. Eppure, se ancora sono in grado
di veder lontano, sbagliano di grosso con il complice
silenzio. Fassino, già Ministro della Giustizia, zitto.
Veltroni, già Vicepresidente del consiglio, zitto.
Franceschini, Ministro della Cultura, zitto.
Paiono uomini senza struttura istituzionale, se lasciano
senza difesa una Presidente di Commissione Antimafia.

Che avrà fatto di scorretto la Presidente Bindi per attirarsi
insulti e livore violento, e violento perché ad personam,
dai giovani dirigenti del Pd?
Sì, livore violento, e dall’inizio, dall’idea stessa di rottamazione,
perché i giovani dirigenti del Pd usano spesso parole di “violenza
(che non è la “ferocia” del momento, per dirla con il Ministro dell’Interno, Alfano, ma un metodo di lotta) per costringere,
soprattutto chi non s’adegua, a cedere alla loro volontà
di potere, e così, invece di spiegare, argomentare, sottolineare,
se sono palesi, gli errori istituzionali, aggrediscono, urlano, insultano, schiacciano.  In un gioco cruento, azzarda Gramellini.

Se la Presidente Bindi ha svolto con cura il suo lavoro e servizio,
nel rispetto di ogni regola, è solo da elogiare. E Gianfranco Pasquino spiega oggi con chiarezza il ruolo della Bindi,
eppure il Pd vuol guardare da un’altra parte. Intenzionalmente.
E cancella malamente la trasparenza. In verità, le persone,
al momento del voto, hanno diritto a ogni informazione utile
su ogni candidato, nel rispetto delle regole. Solo questo il tema.
Ma per troppi nel Pd Rosy Bindi è una “piccola vendicatrice”.

Un popolo, quando non sa più distinguere tra oppressori
e oppressi, quando non sa più distinguere tra violenti e miti,
quando non sa più distinguere tra la proliferazione
di capetti/vassalli a disposizione di un Governante all’Italicum
e la democrazia di persone libere alla pari,
quando un popolo, questa volta campano, non rifiuta
con sdegno nobile le parole di per sé oltraggiose del Premier
De Luca ci mette a posto la Campania”  (mette a posto?
e a chi?) è destinato a ripetere i suoi errori.
In forma nuova, certo, e con colpa grave.
O no?
Severo Laleo




giovedì 21 maggio 2015

Il futuro della scuola? Un ritorno alla piazza di Cerignola



“Domani … tu … tu … tu … e tu!”
“Don Matté, per piacere … pure a me! Megghierema, è malata!”
“No, no, tu … un’altra volta!”

I braccianti nella piazza del paese sono in mostra offerta
per don Matteo. E per don Luigi.
E per Vicienzo, il factotum di donna Assunta.
Per oggi l’attesa è finita. Chiusa.
La chiamata per la vigna di don Matteo è stata l’ultima.

Così una volta il mercato del lavoro: a voce, semplice,
diretto, a tu per tu. Chiamata diretta e contrattazione alla mano.
Senza tasse e contributi. A paga leggera. E variabile.
Le complicazioni dei diritti, con le lotte sindacali,
sono ancora da venire, a bloccare –oggi si sostiene- sviluppo
e crescita. E occupazione. E flessibilità.
Insomma, un guaio, i diritti, per la modernità veloce.

Per fortuna, oggi, si cambia verso, grazie a un governo
di centrosinistra di giovani preparate/i. E schiacciasassi.
Giovani coraggiose/i nel violentare il programma per il quale
hanno ottenuto i voti per governare. E tutte/i virili nell’andare oltre, con visione tutta maschile, a produrre l’oltraggio.
Con la Riforma del Lavoro, ad esempio, ad assunzione
semplice e diretta, e a riduzione di costo, la semplificazione
è stata garantita: i don Matteo di oggi, nuovi, mobili
e intraprendenti, oltre la piazza, scelgono la manodopera,
non più a giorni, con l’antico susseguente licenziamento ad nutum, ma a tre anni, con la moderna susseguente possibilità
di licenziamento, a seconda di … .

Anche nella scuola, oggi, meritiamo un salto di qualità.
La neutralità democratica della graduatoria, trasparente
e controllabile, sorta anche a difesa della libertà di scelta
e di insegnamento, cede, per modernità, efficienza e qualità
del fare scuola (la creatività dei governanti nel sereno sparar chiacchiere d’imbroglio senza controprova è senza limiti),
ripeto, la neutralità democratica della graduatoria cede
il posto alla chiamata diretta del Preside don Matteo.
E del Preside don Luigi. E per il tramite di Vincenzo, l’informatore
della Preside donna Assunta.
E s’allargano  gli spazi del mercato: non più la piazza,
ma un ambito ampio, provinciale e/o territoriale;
e variano le modalità della contrattazione: non più la presenza fisica, in fila, in primo piano, intorno alla fontana monumentale,
ma in un elenco,  di per sé parlante, per competizione,
con seguito di proposta e colloquio (e la moglie malata continua 
a non valere!); e muta anche la durata: non più un incarico giornaliero, quotidianamente controllato, nella sua qualità, 
dal don di turno, a merito per una nuova futura chiamata,
ma per un triennio, annualmente controllato nella sua qualità
dal don Preside di turno prima di meritare una conferma nell’incarico.

Forse, quando si scorda la storia delle persone in carne ed ossa,
il Futuro torna nel Potere dei don, e, nelle mani dei braccianti,
il cappello. E la società tutta regredisce. Il processo
di civilizzazione si blocca, per merito di una Politica, esente
da preliminare valutazione oggettiva.
Ormai il voto da solo non basta più, perché non offre garanzie
di onestà intellettuale e di competenza.

O no?

Severo Laleo

martedì 19 maggio 2015

La buona scuola, l’ossessione del merito e il futuro dei giovani




Lorenzo Bini Smaghi nel suo articolo Il dilemma del merito 
per la buona scuolasul Corriere scrive:
Se si ha a cuore il futuro dei giovani, e si vuole dare loro uguali opportunità, indipendentemente dalla situazione economica delle rispettive famiglie, ci sono solo due soluzioni. La prima è quella 
di accettare la logica anti-meritocrazia nella scuola pubblica … 
In questo caso deve essere data la possibilità anche a chi proviene da famiglie meno abbienti di accedere alle scuole private 
o a corsi di recupero, attraverso incentivi fiscali o trasferimenti monetari, per poter essere alla pari con chi se lo può permettere. La seconda soluzione è invece di promuovere una riforma della scuola pubblica ancora più incisiva di quella messa sul tavolo, che ponga veramente al centro il merito, non solo degli studenti ma anche degli insegnanti, con test periodici, rigorosi ed uniformi in tutto 
il Paese ed incentivi monetari per il corpo insegnante strettamente correlati con i risultati.

In verità, forse, "Se si ha a cuore il futuro dei giovani, e si vuole dare loro uguali opportunità, indipendentemente dalla situazione economica delle rispettive famiglie" non "ci sono solo due soluzioni", ma esiste anche una terza soluzione, oltre l’ossessione del merito fine a sé stesso, proprio in quanto il merito è comunque una variabile dipendente da tanti fattori, oggettivi e soggettivi.
Ad esempio, se si provasse a 1. costruire nuove scuole non solo con aule e uffici, ma anche con spazi plurimi per attività comuni oltre la classe (biblioteche, laboratori, palestre, sale di musica, cinema e teatro, aule circolari per dibattiti per l’educazione etico-politica, campi per attività sportiva, etc.);
2. dotare le scuole di ogni bene strumentale per ogni tipo di didattica, di classe e ad personam;
3. stipendiare bene e tenere in alta considerazione gli insegnanti
e le altre figure professionali fondamentali per garantire il migliore esito possibile nel processo di apprendimento (psicologi, pedagogisti, sociologi, docimologi, etc.);
4. garantire a ogni persona in età di apprendimento, almeno fino
a 18 anni, la “promozione”, intendendo per promozione non
il semplice passaggio da una classe all’altra attraverso la pratica burocratica degli scrutini, ma il passaggio da una situazione iniziale di sapere A ad una situazione di sapere in progress B attraverso la pratica della cooperazione didattica, nel rispetto delle soggettive abilità di ognuno (nessuna persona è uguale a un'altra persona,
ma tutti hanno il diritto di raggiungere il massimo di sapere,
e le strategie didattiche non sono uguali per tutti);
5. eliminare la bocciatura e l’esclusione dal processo educativo
in quanto nella formazione delle persone non esiste la possibilità dell’insuccesso;
6. incrementare le ore di insegnamento e il panorama degli insegnamenti, per dare a tutti la possibilità di sperimentare
le proprie attitudini personali;
7. abolire la didattica del trinomio lezione/interrogazione/voto,
perché è una didattica dell’invasamento controllato funzionale
solo ai testi Invalsi
8. valutare i processi di apprendimento con un’azione quotidiana, da incrementare con nuovi studi ad hoc: il controllo non è da esercitare sulle persone, ma sui processi; ogni persona di scuola,
a prescindere dal suo ruolo, e dalla sua soggettività, utilizzerà
la valutazione di processo per incrementare il sapere generale;
per altro tipo di valutazione (punitiva) esistono già leggi e regolamenti;
9. introdurre l’educazione etico-politica, anche attraverso pratiche
di servizio civile e di volontariato (oltre l’alternanza scuola/lavoro);
10. rompere il numero fisso di studenti per classe
11. assegnare un massimo di dieci studenti nelle ore
degli apprendimenti di base; il numero massimo di studenti può crescere per altri insegnamenti e/o attività;
12. eliminare le supplenze, in quanto solo funzionali a una didattica
del trinomio lezione/interrogazione/voto, ma inutili in scuole
ad alta densità di figure professionali e di attività;
13. dotare gli spazi del fare scuola di fiori colorati, di acquari colorati, di dipinti colorati, di piante colorate, e di altro di colorato per educare a vedere e a raccontare i colori a chi non può vedere;
14…..  ….
se si provasse a fare tutto questo e altro, forse il futuro dei giovani, anche dei meno abbienti, sarà più libero, civile e solidale.
Altro che merito!
Ma qualcuno potrebbe dire: sa, per controllare il merito bastano
pochi soldi, mentre per investimenti di tanta portata servono
tanti soldi? Solo per iniziare, si potrebbe rispondere: se si decide 
di investire nella scuola per la civilizzazione di un popolo, si può ben rinunciare, con F35 nuovi, meravigliosi, potenti, avanzatissimi, e frutto pregevole di scuole dall’alto merito, alla sua militarizzazione.
O no?

Severo Laleo

lunedì 18 maggio 2015

La #buona scuola, l’etica della cura e la democrazia paritaria



Troppi tra noi sono ancora abituati a ragionare con la cultura 
maschilista e/o maschile. E troppi anche nel governo,
a prescindere dal genere di ministri e sottosegretari.
Specie in questi tempi bui di leaderismo approssimativo
e urlato, solo per Maschi Alfa. E in Italia, oggi, tutti i leader 
sono Maschi Alfa.

Un esempio di dominante visione maschilista/maschile è dato
dal ddl la buona scuola. Il disegno di legge ha un obiettivo
di “novità” (si fa per dire: in realtà è un ritorno a un autoritarismo 
maschilista del passato) di fondo: l’introduzione della competizione
tra docenti in vista di un miserevole merito.
In breve si tenta di introdurre, insieme alla carota
di un miglioramento economico di vergognosa indicibile misura,
il bastone di un controllo culturale e politico attraverso una rivalità permanente e divisiva tra persone di cultura operanti 
in un ambiente di cooperazione, empatia, cura e dedizione
ai minori.
Il massimo della contraddizione, ma coerente con una visione autoritaria del potere maschile. Se analizziamo il disegno di legge 
da un punto di vista di una cultura di genere è facile notare quanto 
sia tracotante, appunto, l’imposizione di un modello maschilista/maschile (a competizione avvilente) a una struttura, ormai anche a livello di dirigenza, ad alto tasso di presenza femminile (a cooperazione di cura).

Se l’etica femminista ha prodotto l’ "etica della cura",
proprio  in opposizione all'ossessione della competizione,
forse la battaglia perché la scuola pubblica, con tutti i suoi limiti, 
non si trasformi in azienda privata, è anche una battaglia
per la democrazia paritaria. Di donne e uomini. Alla pari.

O no?
Severo Laleo




venerdì 15 maggio 2015

Il M5S e la Campania senza limiti di De Luca e Caldoro



Perché mai una persona “normale”,
cioè semplicemente libera, civile, autonoma, indipendente,  
responsabile, secondo Costituzione, in quota parte,
dell’intera sovranità popolare,
perché mai una persona con questo essenziale patrimonio culturale
e politico, in una parola, una persona semplicemente onesta,
perché mai, in Campania, per il governo di una regione
tra le più popolose e importanti del Paese,
perché  mai dovrebbe votare per la lista  di  Stefano Caldoro 
o di Vincenzo De Luca?
A leggere il Fatto Quotidiano.it nelle liste dei probabili governatori 
è possibile incontrare: “Indagati, imputati, condannati. Trasformisti 
incalliti. Trasformisti dell’ultima ora. Ex cosentiniani, ex fascisti. 
Familiari di inquisiti per camorra. Gente indagata per voto
di scambio. Personaggi arrestati e sotto processo. Leader 
dell’ultradestra schierati nel centrosinistra. Ex sindaci di Forza Italia 
alleati del PdEx sindaci del Pd in lista con Forza Italia
Ex sindaci furbetti che si sono fatti decadere per aggirare l’incompatibilità. 
E’ la carica degli impresentabili in Campania. I casi più discussi
imbottiscono le liste del candidato Pd Vincenzo De Luca
Ma anche il governatore uscente, l’esponente di Forza Italia Stefano Caldoro
ha imbarcato di tutto, turandosi il naso. De Luca dice: 
Non abbiamo controllato”. Caldoro invece replica: “Sono garantista”. 
Poi fanno a gara ad accusarsi reciprocamente a chi ha messo 
in campo le liste peggiori. Senza dimenticare che il primo 
degli impresentabili è De Luca, condannato in primo grado per abuso 
d’ufficio per aver inventato la figura del project manager del termovalorizzatore 
di Salerno in modo da favorire uno dei suoi più stretti collaboratori: 
retribuito con ‘appena’ 8.000 euro netti, ma sarebbero stati molti di più 
(circa 450.000 euro lordi) se l’impianto fosse stato realizzato”.
Ma chi tra i potenti della Politica si scandalizza? Nessuno.
Dal Segretario del Pd, l’inventore del “cambiar verso”, il rottamatore
ora si può dire, rapido e presente contro i diritti dei deboli,
e lento e assente contro la forza degli “impresentabili”, solo “imbarazzo”, 
e dal candidato governatore De Luca, a onore suo e della politica, 
queste parole: Nelle  liste  condannato indagato, ma quale cazzo 
è il problema? Opportunità? Io per opportunità non voterei nemmeno 
Schifani o Lupi, eppure stanno nella maggioranza. Che Paese di merda
fanno venire proprio lo schifo.” Evidentemente, ognuno ha il suo "schifo".
E i limiti, sul piano estetico, e soprattutto sul piano etico e politico, 
sono saltati, non esistono più, non sono più riconoscibili. 
E si è tutti senza limiti ormai, complice una generazione di innovatori 
impauriti e senza voce nel PdA partire dal Capo, il decisionista pronto 
agli abbracci. E ad abbozzare. Per vincere. Anche con le macerie.

Non è dato sapere se in Italia sorgerà mai un fronte liberale
(nel senso semplicemente del rispetto della Costituzione Repubblicana)
e di sinistra (nel senso semplicemente dell’esigibilità del diritto 
alla dignità, al lavoro, alla salute, all'istruzione), ma, di certo, ora, subito, 
in Campaniaesiste una sola possibilità per voltar pagina: un voto, 
forte e sicuro, guardando alla legge della morale e insieme al cielo stellato,
un voto per segnare una svolta, un cambio di passo, una nuova direzione, 
un nuovo verso, un nuovo orizzonte, a prescindere anche dal programma, 
un voto, in breve, al M5S.
La Campania ha un bisogno vitale di una rivoluzione antropologica,
dopo gli ultimi tradimenti di imbarazzati rottamatori ingordi di potere.

O no? 
Severo Laleo

giovedì 7 maggio 2015

Il prof. Scapece, il Preside Valutatore, e la destra non liberale



Il prof. Scapece insegna nel suo liceo, ormai da più anni,
da precario, abilitato, in graduatoria ad esaurimento,
anche se su cattedra vacante, e ogni anno,
per il gioco della nomina, e per avarizia di Stato,
perde mesi di stipendi.

Ma il prof. Scapece, per la scuola, ha una sua passione,
e sopporta, in silenzio, ogni sopruso, confortato dai suoi ragazzi
e dalle sue ragazze che hanno preso per lui una cotta.
Senza equivoci, eh! E’ l’amore dell’insegnare, quando incontra 
l’amore dell’apprendere. Amori non istintivi, non naturali.
Ma costruiti con tante  esperienze di vita e tante letture.
E tante strategie tra la didattica e la pedagogia.
Perché l’idea di scuola del prof. Scapece è l’idea
di “bene comune”, da tutelare e curare, in cultura e libertà,
perché tanto è più civile e libera una società quanto più è libera
la cultura insieme al suo insegnamento.
Perché l’idea di scuola del prof. Scapece è l’idea
che ogni studente ha diritto al suo massimo Sapere,
al di là di prove di valutazione. Consentite, queste ultime,
nella piena autonomia della scuola, non per dividere
e classificare le scuole, e premiare solo le “prime
con i soldi di tutti , al contrario, consentite esclusivamente
per migliorare le dotazioni strumentali e professionali,
perché il Sapere di ogni studente diventi il più alto possibile.
Perché alunne e alunni sono uguali di fronte al Sapere.
E hanno uguali diritti di “promozione”.

Il prof. Scapece, dopo aver conseguito la laurea quinquennale
con lode, ha frequentato, anche per non aver subito trovato
un lavoro, un corso triennale di specializzazione universitario.
Le sue competenze sono di tutto rilievo e tutte certificate.
Ma questo è solo il primo passo, per entrare nella scuola.
Per altri due anni ha seguito i corsi della SSIS per conquistare l’abilitazione. 
Forse in nessun altro settore di lavoro nel pubblico
e nel privato si richiedono tanti passaggi di certificata competenza
e idoneità. E, nonostante il suo stipendio sia scandalosamente povero, 
una vergogna in Europa, pare debba anche,
e continuamente, dimostrare il suo “merito”.

Appunto il prof. Scapece, nonostante  i suoi studi, le sue attestate 
competenze disciplinari e professionali, nei prossimi anni,
per un incremento di miseria stipendiale, dovrà essere
interrogato” dal suo Preside Valutatore.
E i Presidi pronti a vestire i panni di Dispensatori di aumenti,
di Manager alla ricerca dei migliori sul mercato, di Sollecitatori
di una qualche promozione, sono purtroppo tanti in questo Paese
povero, tanto povero, di cultura liberale, anche se tanti altri Presidi 
non si riconosceranno nei nuovi panni del “Capo”, perché ricorderanno 
di avere vissuto la professione docente con il geloso orgoglio della difesa 
della libertà d’insegnamento.

Il prof. Scapece, per difendere la scuola “bene comune”, ieri
ha scioperato. E amaro e incredulo ha rimuginato: “Non è possibile, 
si è aspettato il Governo dei socialisti del Pd per approvare la riforma
della scuola della destra non liberale!”.

E ha ragione, il prof. Scapece. Forse qualcosa non funziona
nella cultura politica di questo Paese.

O no?
Severo Laleo



La scuola di Forquet su Il sole 24 ore: l'ideologia della destra non liberale



Grazie alla Gilda, leggo su Fb quest’articolo di Fabrizio Forquet
su Il Sole 24ore. Un articolo perfetto, almeno per comprendere
la “violenza” di un revival di un’ideologia di una destra illiberale, 
desiderosa di comandare e controllare, contraria alla libertà dell’insegnamento, 
e con la pretesa, indiscussa, di costruirsi una scuola a suo esclusivo servizio.
Ed è illuminante per comprendere il conflitto politico e culturale
in atto oggi tra questo Governo di centrosinistra (e i suoi aperti sostenitori 
di destra) e il mondo della scuola in rivolta.

Merita una lettura integrale il testo del Forquet, con, tra parentesi, in corsivo, 
qualche osservazione. Per un contraddittorio.
Esordisce il Forquet con l’anafora. “Chi ha paura del merito?
(si apre con la retorica della paura per una volgare propaganda;
la paura è dei codardi, sempre, ma il merito con la paura non c’entra;
eppure una società basata sul “merito” -ammesso si trovi un accordo
sul significato inesauribile di “merito”- è una società “violenta”,
perché trascura e condanna all’indegnità i “non meritevoli”,
quasi sempre “bisognosi”).
Chi ha paura della valutazione? (si ripete la retorica della paura
per una volgare propaganda; la paura è dei codardi, sempre,
e la valutazione con la paura non c’entra; perché la valutazione
è solo un utile strumento per i più disparati interventi di politica scolastica, 
non esiste una valutazione e basta, di per sé risolutrice
di tutto). Chi ha paura di una governance che privilegi la qualità 
dell’insegnamento e l’efficienza organizzativa? (continua la retorica 
della paura per una volgare propaganda; la paura è dei codardi, sempre,
e la governance con la paura non c’entra; il problema è discutere, 
senza ideologismi, quale sia, nel luogo delle relazioni per eccellenza, 
la scuola, la più utile governance per garantire il “successo formativo”; 
“qualità dell’insegnamento e efficienza organizzativa”, senza la definizione
di un fine, sono pura ideologia). La sfida portata ieri in piazza
dai sindacati della scuola è molto più di una protesta sindacale.
C’è in gioco il futuro che vogliamo (chi?), il discrimine tra chi si attarda 
nella rivendicazione corporativa del mondo che fu e chi prova a cambiare 
almeno un po’ (ancora la retorica dell’opposizione nuovo/vecchio 
per una volgare propaganda; e torna il nemico
“i sindacati”, sempre “corporativi”, per ideologia; ma ieri in piazza
non c’era il “sindacato”, ma solo persone in protesta civile).
Ci sono migliaia di insegnanti in Italia, forse la maggioranza,
che vogliono una scuola che cominci finalmente a premiare
i migliori docenti (torna l’ossessione ideologica, infantile,
del premio/castigo, con la sicurezza, per ideologia, di avere il metodo
sicuro per separare i “migliori” dagli altri), che insegni quello che più serve 
a un ragazzo (sicuramente non suo figlio) che dovrà trovare
un buon lavoro (e qui l’ideologia dà il meglio di sé e si scopre
con chiarezza fino in fondo: la scuola è al servizio del “buon lavoro”,
non deve fare altro) che faccia della qualità dell’istruzione, misurata 
attraverso una valutazione, la sua ragion d’essere (ormai senza più remore: 
l’ideologia sceglie l’istruzione “misurabile” quale “ragion d’essere” 
della scuola, altro non è dato; la formazione avrà un senso? la coscienza 
critica sarà misurabile e valutabile? Per la destra non liberale
è il massimo del successo). C’è poi un blocco sindacale che guarda
con diffidenza a tutto questo, che trasforma un diffuso – e più
che legittimo (grazie!)– malcontento in un potere forte
di conservazione e spirito di rivendicazione, che fa male
alla scuola italiana e agli studenti che la abitano (tornano i luoghi comuni 
dell’ideologia già sopra marcati).
Il disegno di legge del governo si inserisce esattamente in questa tensione. 
Prova a cambiare (ancora il mito del “cambiamento”, mentre, a leggere 
la storia, è solo un ritorno al “vecchio”). Prova a farlo spingendo in favore 
dell’autonomia (l’autonomia è solo un importante strumento, non altro)
e dei poteri (i poteri, ecco il fulcro della “nuova” ideologia) dei presidi, 
prova a premiare il merito (non si diffonda in giro l’entità del premio: 
la nostra dignità di paese europeo potrebbe essere seriamente scalfita
dei docenti e a rafforzare i criteri di valutazione, prova a mettere al centro, 
sul modello tedesco, l’alternanza tra scuola e lavoro (il fine ultimo 
della buona scuola).
Su questa linea, coraggiosa (il coraggio di tornare al “vecchio”),
la #buonascuola di Matteo Renzi rischia però continuamente
di perdere pezzi sotto la pressione delle resistenze sindacali
e di una parte dello stesso Pd (i cattivi sono individuati: il mondo
della scuola in protesta è inesistente). Per ultima, nei giorni scorsi,
è stata limitata proprio l’autonomia dei presidi, uno degli aspetti migliori 
della riforma (non era un caso, dunque: e forse un intervento esterno 
nella scrittura del ddl è sospettabile). Il preside non elaborerà più il piano 
dell’offerta formativa, ma dovrà condividerlo con il collegio dei docenti 
e con il consiglio di istituto (che noia!). 
Anche nella scelta dei docenti da premiare il dirigente dovrà convivere 
strettamente con il consiglio di istituto e il comitato di valutazione (che noia!). 
Rispunta, così, una mentalità collegiale nella gestione dell’istruzione 
che ha fatto fin troppi danni da quando si è affermata negli anni 70 
(finalmente è detto: bisogna cancellare il ’68, desiderio già dell’ottima 
Gelmini; si registra qui il dolore sincero dell’ideologia del Forquet; 
e purtroppo, qui, il buon docente, abituato all’empatia, sconosciuta 
al Forquet, alla fine partecipaal suo dolore). 
Sulla scuola, poi, si ritorna a investire. È un bene. 
Ma ancora una volta si investe troppo in stabilizzazioni e nuove assunzioni
(il precariato, si sa, è una risorsa), piuttosto che in laboratori
e nel potenziamento di informatica e inglese (l’ideologia delle “i”:
a volta ritorna). I premi al merito, che la riforma meritoriamente introduce, 
dovevano assorbire il 70% delle risorse destinate
agli aumenti retributivi, invece ne assorbiranno solo il 40%,
il resto sarà destinato agli scatti di anzianità (e qui il suo dolore
è ancora più risentito).
Se c’è quindi un rischio da evitare è quello che gli obiettivi
della riforma vengano via via vanificati nel suo percorso parlamentare.  
Il periodo elettorale in cui ci si ritrova a discutere
di scuola in Parlamento, con gli insegnanti in piazza, rende questo pericolo
ancora più acuto (mannaggia!).
Ma Renzi (ecco la ripresa) ha già dimostrato, quando si è trattato di portare 
a casa il Jobs Act, di saper sopportare un livello di scontro elevato 
con il sindacato. Dopo aver vinto sul lavoro, non si può cedere proprio 
sulla scuola, la riforma simbolo di un governo che vuole il cambiamento 
(il dolore, alla fine, dura poco, e torna subito il fuoco battagliero della lotta 
dura contro i sindacati insieme all’elogio delle doti da vincitore del Premier 
per il cambiamento: e qui il rifiuto dell’agire in spirito di democrazia 
è pericolosamente chiaro).
Un’ultima considerazione va fatta sulla data scelta dai sindacati
per lo sciopero. Che credibilità può avere domani in classe
un docente che si trova a spiegare ai suoi studenti che i test Invalsi 
– le prove attraverso cui lo Stato ha cominciato a valutare i livelli 
di apprendimento e dunque la qualità dell’insegnamento – ieri non
si sono fatti perché proprio in questa data è stato fissato lo sciopero 
degli insegnanti? Se l’etica dei comportamenti (eh, no, l’etica no, non ammorbi 
questo suo finale di articolo, caro Forquet, con un elogio, diretto, dell’etica, 
mai citata prima per la qualità dell’insegnamento, ma indiretto di questa logica: 
“maestro”, stai a posto tuo, da “dipendente”, non puoi permetterti
di scioperare se ci sono le prove Invalsi! Incredibile!) è il primo valore 
che un “maestro” è chiamato a trasmettere ai suoi alunni, come è possibile 
che nella scuola italiana non è partita una rivolta contro la decisione di fissare 
lo sciopero proprio in questa giornata? (com’è possibile? forse la sua idea/conoscenza 
del mondo della scuola non risponde alla realtà.
O no?).


 Severo Laleo

lunedì 4 maggio 2015

La BuonaScuola dell’Italicum: è già successo



Quando la scuola perde la sua autonomia di comunità collegiale, democratica 
e deliberante, quando un “Capo d’Istituto” è “governativo”, oppure 
è in soggezione del Governo perché le sue prerogative di libertà nei confronti 
del Potere sono indebolite e offuscate, quando pressioni d’ogni tipo 
si esercitano sui professori perché cambino idea, o non abbiano possibilità 
di avere un’idea (ai Governi d’ogni tempo non manca la creatività 
della intimidazione e ai deboli d’ogni tempo la pigrizia dell’ubbidir piegandosi), 
quando il progetto politico di un cambiamento da parte di un solo Partito 
verso nuovi orizzonti di efficienza decisionale naufraga miseramente 
nel ritorno insensato e astorico a un già visto, un intero Paese è già morto.
Alla libertà.
La storia, è vero, non si ripete, ma lascia qualche segno del suo passaggio, 
a mo’ di avviso, discreto, per i naviganti del Futuro. Anche in mutate situazioni. 
Esemplare al riguardo il “processo” a Giancarlo Paietta, un ragazzo liceale 
di 16 anni contrario al Governo Legittimo di allora, nato dalle elezioni
del 1924, grazie alla Legge Acerbo.
L’anno era il 1927. Il giovane democratico antifascista Paietta
(comunista, sarà contrario anche alla trasformazione del Pci in Pds),
un combattente da sempre per la libertà, aveva distribuito nel suo Liceo, 
a Torino, il D’Azeglio, manifesti di propaganda comunista. I
l Preside, dopo un’indagine, interroga il giovane studente democratico Paietta 
e si convince della sua colpevolezza e scrive al suo Superiore Gerarchico 
con l’animo profondamente addolorato per il contegno di questo studente 
che divulgando tra i nostri giovani i velenosi opuscoli della propaganda 
dei senza patria [oggi, Gufi] mirava a turbare la bella armonia di cuori 
che regna nelle nostre scuole quando si tratta dell’avvenire e della grandezza
della patria [oggi, Speranza del Futuro].
Ma il Consiglio dei Docenti, dopo lunga e ampia discussione, durata più 
di quattro ore, non intende, ancora in piena autonomia, ancora comunità 
educante, a larga maggioranza, condannare il “ragazzo rosso” e revoca 
la sospensione. Ma in alto la decisione in autonomia del Consiglio dispiace.
Anzi dà fastidio. E, intervenuto il Ministero, chiarita la norma, “additata” 
la pena, dedotta la gravità della colpa, agita la giusta pressione da Potere, 
il risultato cambia. 
Trovo nel sito del Liceo D’Azeglio il verbale di quel 1927. E’ da leggere. 
Perché la scuola non perda mai la sua memoria. E perché non rinunci mai
alla sua autonomia di comunità educante, libera e democratica. Ecco il testo
del verbale. “Alle ore 16,30 si trovano adunati, nella solita sala dei professori 
del liceo, i professori del R. Liceo-Ginnasio in seduta plenaria.
( …) Presiede il Preside. Funge da segretario il prof. Augusto Monti. 
L’ordine del giorno porta: “Punizione disciplinare”. Prima di entrare
in argomento, il Preside fa ai presenti caldissima raccomandazione
di mantenere il segreto di ufficio e ricorda a tutti l’impegno assunto 
all’atto del giuramento. Deve ripresentare al Consiglio il caso dell’alunno 
Giancarlo Paietta della seconda liceale B, accusato di propaganda comunista 
tra gli alunni di questo Liceo. Quando la questione fu trattata nella seduta 
del 7 febbraio 1927, parve ad alcuni professori desiderabile
che i fatti fossero sottoposti all’esame dell’autorità giudiziaria mentre
in alcuni altri sorse il dubbio circa la competenza del Consiglio stesso. 
Questi due ostacoli ad una deliberazione definitiva ora sono rimossi 
perché è pervenuta alla Presidenza, per via gerarchica, una lettera 
di S. E. il Ministro della P. Istruzione, dalla quale risulta appunto che sulla gravità 
dei fatti attribuiti al Paietta si è pronunciata la suprema autorità scolastica,
e che la competenza del Consiglio è fuori discussione.
Il Preside dà lettura a questo punto della lettera di S. E. il Ministro
della P. Istruzione. In essa, così commenta il Preside, anzitutto
il Ministro valuta i risultati delle indagini condotte dal Preside Steiner
e dall’Ispettore Arnaldo Monti e li riconosce concludenti; in secondo luogo 
addita quale potrebbe essere la pena adeguata alla mancanza,
e cioè la espulsione da tutti gli istituti del Regno; dalla quale indicazione 
emerge la gravità della mancanza stessa. Ne consegue che il Consiglio 
può deliberare tranquillamente e liberamente sulla punizione da infliggersi 
all’alunno Paietta. Il prof. Fulcheri è del parere che la votazione debba 
avvenire a scrutinio segretoIl Preside non accede alla proposta Fulcheri
Il prof. Luzzi domanda che si sottopongano al Consiglio le risultanze
delle indagini e della inchiesta, giacché egli fu assente dalla seduta precedente 
e non ha alcun elemento di giudizio. Il Preside risponde che non ha documenti 
da produrre e che i professori, che si trovano nella condizione del prof. Luzzi, 
potranno, se credono, astenersi dalla votazione. Ritiene che non ci sia luogo 
a discussione, e propone formalmente che l’alunno Paietta Giancarlo 
della seconda liceale B sia allontanato da tutti gli Istituti del Regno.
Si procede alla votazione per appello nominale. Il Preside precisa: chi voterà 
sì approverà la sua proposta; chi voterà no la respingerà. ( …)
I risultati della votazione sono i seguenti: presenti 35; hanno votato sì ( …)  25. 
Ha votato no il professor Predella. Si sono astenuti ( …) 9.
Il Consiglio delibera quindi l’espulsione dell’alunno Giancarlo Paietta
da tutti gli Istituti del Regno."
La storia, è vero, non si ripete, ma lascia qualche segno del suo passaggio, 
a mo’ di avviso, discreto, per i naviganti
del Futuro. E ora, a noi, parla soprattutto dell’Italicum.

O no?
Severo Laleo


sabato 2 maggio 2015

Black bloc: forse la questione è un’altra








Oggi i giornali, e non solo in Italia, sono pieni della violenza
a sfregio dei black bloc. Una violenza da evento. Ripetibile. Prevedibile. 
Controllabile. E debellabile, almeno in una società conviviale a democrazia 
piena e paritaria. E con un sistema scolastico a “promozione” d’obbligo, 
senza espulsioni.

I media, abituati a descrivere/definire, parlano di violenza ribelle,
di vandalismo antagonista, di rabbia di stampo anarchico
(e, per pigrizia, non s’accorgono di offendere l’idea di anarchia), 
dimenticando di marcare la caratterizzazione più evidente,
più semplice, più “normale”: i black bloc sono quasi tutti maschi
in tuta nera. Nell’atto di un’esplosione “naturale” di “sfogo”.
A danno di “cose”.
E l’informazione a volte entra anche nel merito e qua e là punge.

Eppure, mentre si riserva ai black bloc un esagerato spazio,
altre notizie di violenza sono dimenticate. E si tratta di violenza 
contro “persone”. Senza fuochi e fiamme. Violenza contro minori. 
Sessuale. Lontano da noi. Nella Repubblica Centrafricana.
Una violenza da situazione. Ripetibile. Prevedibile. Controllabile.
E debellabile, almeno in una società conviviale a democrazia piena 
e paritaria. E con un sistema scolastico a “promozione” d’obbligo, 
senza espulsioni.
E succede sempre a uomini in tuta. Questa volta mimetica.
E con casco blu. Si parla di abusi sessuali, di comportamenti
E l’informazione ancora una volta non coglie il punto nodale.
La caratterizzazione è comune, sempre la stessa: sono quasi tutti maschi. 
Nell’atto di un’esplosione “naturale” di “sfogo”.
A danno di “minori”.

Nonostante l’impegno dei media, presenti e assenti, 
nel tentare una comprensione delle origini/cause, la questione della violenza
di “rabbia e sfogo” non pare sia politica o militare.
Forse è solo una questione maschile. E forse per una soluzione
c’è bisogno di un’altra lettura. E altra “cura”.
O no?


Severo Laleo