sabato 30 giugno 2012

IL FLI è pronto per il fifty fifty



Quando si porrà finalmente un "limite" al dominio maschile, in politica,
con regole semplici e trasparenti?
Il FLI è il primo partito, ora, a provarci con una proposta chiara, 
e appunto semplice. Ha promesso, nel merito, Fini: "Garantiamo che il 50 
per cento dei candidati nelle liste siano donnesenza quote. 
Candidati e candidate siano in numero pari".
E anticipa, su questo tema, una sinistra timida e indecisa. E apre una strada, 
almeno pare, per il bicratismo perfetto. Nei partiti e nelle istituzioni.
Sì, perché non basta candidare donne e uomini in numero pari,
è necessario anche garantire la presenza di uomini e donne. alla pari,
nelle istituzioni, con un'altra semplice regola. Ancora da scrivere.
Eppure, se ci si siede intorno al grande tavolo del mondo, a colpo d’occhio,
uomini e donne sarebbero divisi perfettamente a metà o quasi,
senza stare troppo a contare a uno a una.
E se si entra in una qualunque classe di scuola, almeno nella nostra Europa,
noi già vediamo, tra i banchi, piccoli uomini e piccole donne, in pari numero,
o quasi, perché, è universalmente noto, in una classe “mista”,
con pari, o quasi, presenza di uomini e donne, tutti lavorano al meglio.
E si sta meglio. E per tutti è un’esperienza di fondo per aperte relazioni.
Anche per il futuro di adulte/i. Sempre insieme, senza esclusioni.
Ma appena i tavoli diventano negoziali, di governo, di decisione,
la presenza delle donne è casuale, facoltativa, opzionale;
e appena i banchi diventano istituzionali, di amministrazione,
la presenza delle donne, se va bene, è “quotata”, al minimo.
Ora, se si vuole aprire una via possibile al cambiamento della società,
nella direzione dell’estensione della democrazia e della trasparenza,
e soprattutto della formazione di una decisione pubblica
non più condizionata/dominata da una cultura di genere maschile,
in tutti gli “organismi” di natura decisoria di pubblica (e non solo) utilità,
la presenza uomo/donna non può non essere pari.
O no?
Severo Laleo

venerdì 29 giugno 2012

Promemoria universale per ricchi provinciali e senz’anima: Fornero, Marchionne





La nostra ricca Ministra del Lavoro (del lavoro?), la prof.ssa Fornero,
nonostante le successive precisazioni alle sue primiere incaute dichiarazioni
(Stiamo cercando di proteggere le persone e non i loro posti di lavoro.
Gli atteggiamenti delle persone devono cambiare. Il lavoro non è un diritto.
Deve essere guadagnato, anche attraverso il sacrificio),
ha dimostrato, comunque, di avere un’idea di “protezione” delle persone,
nel lavoro e fuori lavoro, quanto meno astratta, sicuramente senz’anima.
E libresca, da prof., e senza empatia.
Il non nostro, ma della Fiat, ricco Amministratore Delegato, Marchionne,
così commentando la decisione del tribunale di Roma che ha imposto alla Fiat
di assumere 145 lavoratori con la tessera Fiom nella fabbrica di Pomigliano,
ritenendo la Fiat colpevole di discriminazione,
( “è un evento unico che interessa un particolare paese che ha regole particolari
che sono folcloristicamente locali … l’Italia ha un livello di complessità
nella gestione del mondo industriale che è assente nelle altre giurisdizioni.
Tutto diventa puramente italiano, facendo diventare tutto difficile da gestire
...non credo che cambierà nulla, ma creerà un nuovo livello di complessità
nell'ambiente italiano”), dimostra di travolgere le persone,
e le aspirazioni di queste al lavoro, in nome dell’idea astratta
e senz’anima della “semplificazione” del mondo industriale.
E, semplificando, nega la complessità umana dell’empatia.
Si tratta di “pensieri” di due persone ricche, attaccate al proprio lavoro
da sempre, con una tenacia irraggiungibile da altri, piene di retribuzioni,
ma non in grado di comprendere la giusta tenacia, di altre persone,
non ricche, nel chiedere, mantenere, nel tempo e con dignità, il lavoro,
per raggiungere una retribuzione, quasi sempre povera.
Per la prima, il lavoro va conquistato/guadagnato/meritato,
anche attraverso il sacrificio” (sic!), come in guerra o al mercato 
o a scuola, e dimentica che il lavoro è un diritto, per garantire/sviluppare 
il qualenacque il suo Ministero, ed è pagata con soldi pubblici, 
e non con i soldi di suoi clienti;
per il secondo, una controversia per una questione di discriminazioni 
sul lavoro, in una parola, di diritto del lavoro, diventa faccenda 
insignificante,“folkloristica e locale”, ignorando la quale, 
più semplifica e discrimina più guadagna.
Non se ne può più.
A questi ricchi, sicuri di sé, campioni di protezione/semplificazione,
senz’anima, ignoranti in empatia, e provinciali, anche se girano il mondo,
sarebbe bene ricordare questi  due articoli della Dichiarazione Universale 
dei Diritti Umani, universalmente validi, oltre i confini della nostra 
penisola, anche negli USA (in Cina, nuova terra di Marchionne, forse, no):
Articolo 22
Ogni individuo in quanto membro della società, ha diritto alla sicurezza 
sociale nonché alla realizzazione, attraverso lo sforzo nazionale 
e la cooperazione internazionale ed in rapporto con l'organizzazione 
e le risorse di ogni Stato, dei diritti economici, sociali e culturali 
indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità.
Articolo 23
1. Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell'impiego, 
a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro 
ed alla protezione contro la disoccupazione.
2. Ogni individuo, senza discriminazione, ha diritto ad eguale 
retribuzione per eguale lavoro.
3. Ogni individuo che lavora ha diritto ad una remunerazione equa 
e soddisfacente che assicuri a lui stesso e alla sua famiglia un'esistenza 
conforme alla dignità umana ed integrata, se necessario, ad altri mezzi 
di protezione sociale.
4. Ogni individuo ha il diritto di fondare dei sindacati e di aderirvi 
per la difesa dei propri interessi.

Forse, a leggere la Dichiarazione Universale, protezione e semplificazione acquistano anima, perdono folklore e localismo, e insegnano l’empatia.
O no?
Severo Laleo


mercoledì 27 giugno 2012

Promemoria, in umiltà, per la Ministra (purtroppo) Fornero



Ha dichiarato, in un'intervista a un giornale estero (in genere i Ministri 
italiani con la stampa estera –Berlusconi l'ha insegnato con l’editto bulgaro - 
si sentono più liberi), la nostra Ministra del Lavoro 
(in questo caso, si fa per dire!) Fornero:
Stiamo cercando di proteggere le persone e non i loro posti di lavoro.
Gli atteggiamenti delle persone devono cambiare. 
Il lavoro non è un diritto.
Deve essere guadagnato, anche attraverso il sacrificio
A parte l’assurdità, almeno oggi, di un termine quale “sacrificio”,
fuoriposto in un discorso normativo intorno a persone, diritti, e lavoro,
e sicuramente prepolitico, anzi antico residuo di memoria
di qualche chierichetto birbante, incapace di “sacrificarsi”;
a parte, ancora, la superbia, antipatica, di voler “cambiare”,
senza chiedere consenso, obbligatorio per persone adulte e libere e civili,
quali, comunque, sono italiane e italiani, i loro “atteggiamenti”,
umilmente, da persona di scuola, vorrei ricordare, alla professoressa,
al di là dell'art. 4 "La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro 
e promuove le condizioni che rendano effettivo questo dirittodella nostra
"italiana" Costituzione, questi altri articoli della Dichiarazione Universale 
dei Diritti Umani, universalmente validi, oltre i confini della nostra penisola, anche negli USA e per il WSJ:
Articolo 22
Ogni individuo in quanto membro della società, ha diritto alla sicurezza sociale 
nonché alla realizzazione, attraverso lo sforzo nazionale e la cooperazione internazionale 
ed in rapporto con l'organizzazione e le risorse di ogni Stato, dei diritti economici, sociali 
e culturali indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità.
Articolo 23
1. Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell'impiego, a giuste 
e soddisfacenti condizioni di lavoro ed alla protezione contro la disoccupazione.
2. Ogni individuo, senza discriminazione, ha diritto ad eguale retribuzione per eguale lavoro.
3. Ogni individuo che lavora ha diritto ad una remunerazione equa e soddisfacente 
che assicuri a lui stesso e alla sua famiglia un'esistenza conforme alla dignità umana 
ed integrata, se necessario, ad altri mezzi di protezione sociale.
4. Ogni individuo ha il diritto di fondare dei sindacati e di aderirvi per la difesa dei propri interessi.

Più umiltà, più dubbi, meno sicumera, prof., per la prossima volta.
Almeno provare a ricordarsene, della Dichiarazione del 1948.
O no?
Severo Laleo
P.S. Le precisazioni, benvenute, non modificano l'antipatica superbia.
Eppure, al suo esordio, a noi, la Ministra era sembrata umana!



A quando il bicratismo perfetto di genere?




La notizia non è di quelle proprio importanti. Anzi è decisamente secondaria.
Se, però, se ne parla, è perché al Senato, nel merito, il Governo è stato battuto.
La questione è un affare di equilibrio di genere. Di rapporto, cioè, numerico
tra uomini e donne all’interno di un certo organismo.
E avrebbe riguardato (la proposta è stata dunque bocciata, e anche il Governo)
la possibilità di concedere un 10% in più di contributi pubblici
a quella stampa di partito e a quelle cooperative i cui Comitati di Redazione
fossero composti di uomini e donne nel rispetto di un equilibrio di genere
definito numericamente dal dato che nessun genere
abbia nel Comitato una sua presenza superiore a due terzi.
Non era quindi nemmeno un rivoluzionario, corretto, normale fifty/fifty!
La proposta, per questo minimo di ri/equilibrio di genere,
porta il nome di una donna (anche se ha un cognome biblico: Adamo),
ma a votare contro, in maggioranza, sono gli uomini.
E’ incredibile: una proposta così naturale, ovvia direi,
di equilibrio di genere non passa per il no degli uomini
(non di tutti spero), e per il no di non poche donne
culturalmente maschilizzate. Una proposta, sia pure minimale,
da votare all’unanimità. Quale povero e arretrato Paese è il nostro 
se non riesce ancora a capire l’importante necessità, naturale e ormai banale,
di scrivere una semplicissima norma di qualche rigo,
più o meno di questo tipo: “In ogni organismo a ogni livello politico 
e decisionale la presenza di uomini e donne deve essere pari”.
Che c’è di sconvolgente! Quali argomenti in contrario possono
essere inventati senza cadere nel ridicolo?
Eppure i maschi (non tutti) resistono, e resistono le donne
a dominante cultura maschilista. Ci si chiede, quando si porrà un “limite” 
al dominio maschile, con regole semplici e trasparenti?
Se ci si siede intorno al grande tavolo del mondo, a colpo d’occhio,
uomini e donne sarebbero divisi perfettamente a metà o quasi,
senza stare troppo a contare a uno a una.
E se si entra in una qualunque classe di scuola, almeno nella nostra Europa,
noi vedremmo, tra i banchi, piccoli uomini e piccole donne, in pari numero,
o quasi, perché, è universalmente noto, in una classe “mista”,
con pari o quasi presenza di uomini e donne, tutti lavorano al meglio.
E si sta meglio. E per tutti è un’esperienza di fondo per aperte relazioni.
Anche per il futuro di adulte/i. Sempre insieme, senza esclusioni.
Eppure appena i tavoli diventano negoziali, di governo, di decisione,
la presenza delle donne è casuale, facoltativa, opzionale;
e appena i banchi diventano istituzionali, di amministrazione,
la presenza delle donne, se va bene, è “quotata” al minimo.
Ora, se si vuole aprire una via possibile al cambiamento della società,
nella direzione dell’estensione della democrazia e della trasparenza,
e soprattutto della formazione di una decisione pubblica
non più condizionata/dominata da una cultura di genere maschile,
in tutte le “sedi/posizioni” di natura decisoria di pubblica utilità
la presenza uomo/donna non può non essere pari.
O no?
Severo Laleo



martedì 26 giugno 2012

Non bocciare (ma è per il suo bene!)



Di Giugno, il 26, nel 1967, a 44 anni, a Barbiana, nel Comune di Vicchio,
in Provincia di Firenze, muore don Milani. Don Lorenzo Milani.
Non tutti sanno chi è don Milani,
soprattutto i papà dei Pierini (i ricchi), troppo spesso votati alla politica,
sempre attenti alla “giustizia”, a premiare e a punire, con imparzialità;
ma spesso anche i severi professori dell’interrogazione regolare con voto,
sempre attenti a evitare “differenze di trattamento” tra gli alunni.
Sconosciuto, pare, don Milani, anche a qualche ministra/o improbabile
dell’istruzione, indaffarata/o, nell’era della fine delle ideologie,
a licenziare il ’68 e a favoleggiar di merito per “primi della classe”.
E sconosciuto, pare, anche a molti altri, sempre catturati
dalla passione della politica, giovani, moderni, vivaci, avanti in tecnologia,
gioiosi, perché del tutto ignari dell’esistenza dei Gianni (i poveri),
ma plagiati dalla mito della meritocrazia, soprattutto per gli altri,
perché, si sa,  i politici, da “eletti”, non hanno il dovere di dare,
con serietà, gli esami, ma solo di prendere i “voti”.
E senza interrogazioni regolari.
Non tutti sanno chi è don Milani.
Eppure, don Milani, solo per ricordare qualche suo tratto di “maestro”,
è stato, e si può ben dire, tra i pedagogisti del ‘900,
il più tenace manovale di educazione nella “scuola lunga”:
quella “senza vacanze”, 365 giorni su 365;
il più agguerrito padrone delle parole: che sono da distribuire a tutti,
per estendere la libertà di tutti (“la parola ci fa eguali”);
il più completo maestro privato: ma a difesa della scuola pubblica;
il più laico prete cattolico: per sostenere una scuola democratica 
aperta a atei e credenti;
il più “ingiusto” dei maestri nelle valutazioni:
per garantire parzialità di trattamento (mai “far parti uguali tra diseguali”);
il più radicale assertore del successo scolastico:
quando alla scuola chiede, senza deroghe, di “non bocciare”;
il più lucido esperto di didattica: quando chiede di dare la scuola a tempo pieno
a quelli che sembrano cretini”;
il più lucido esperto di psicologia scolastica: quando afferma che
agli svogliati basta dargli uno scopo”;
il più obbediente dei figli della Chiesa: ma per gridare 
che “l’obbedienza non è più una virtù”, almeno quando le leggi 
non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte)”.
E tanto altro ancora.
Ma la modernità del nostro mondo, con la sua velocità, la sua assenza di sguardi,
non ha il tempo né le risorse materiali e umane per curarsi di chi “si disperde”,
e regala a don Milani, con un bonario e ammirato giudizio,
l’epiteto di “prete visionario”. E’ questo, forse, il destino di ogni profeta.
O no?

Severo Laleo 

sabato 23 giugno 2012

Ma dove sono i ragionamenti della politica?



Viviamo tempi di confusione politica massima.
E di loquaci affabulatori, bravi soprattutto nell'identificare un nemico
e nel giocare a colpire bersagli fermi,
forse solo per raggiungere, con gli anatemi, platee numerose,
chissà perché sempre disponibili,
ma senza un'idea dell'estensione della democrazia tra pari,
quella che non ha bisogno di leader, ma solo di persone civili,
giovani e vecchi, uomini e donne.
Perché cambiare le regole è un conto (ad esempio, il numero dei mandati),
anzi è necessario, fondamentale, ma aggredire le persone,
perché in carica secondo le vecchie regole, è un altro.
Ed è sempre un'operazione barbara, violenta, di lotta tra maschi,
che addita e nomina nemici . Anzi è fin troppo facile, raccoglie consensi,
ma non consente ricambio reale e continuo.
Scarsi consensi, invece, si raccolgono, se si propone, ad esempio,
di rottamare la figura di leader "unico" di partito,
segno antico di un monocratismo maschilista,
per sostituirla con una direzione a due, di coppia,
un uomo e una donna, in un bicratismo reale.
Perché è più facile aggregare, se si attacca Veltroni,
e meno se si attacca la figura del leader in quanto tale;
la prima muove la pancia, la seconda la riflessione;
la prima è facile da ascoltare, la seconda no,
perché colpisce abitudini di sempre;
la prima è opinabile e accende contrasti,
la seconda è pura evidenza, ma non passa, 
perché il maschilismo in politica è duro da superare.
Avremmo bisogno di un nuovo Gobetti,
intelligente nel capire la violenza antidemocratica,
sin dall'inizio, del fascismo,
e attivo nel proporre discorsi di Resistenza.
Ma il tempo greve ci offre i Grillo, i Di Pietro, i Renzi
e ancora i Berlusconi, se non gli Alfano a surroga,
sempre su un palco a declamare,
a fare esempi, a colpire, a meravigliare, a suggerire,
ma sempre con un solo obiettivo:
conquistare il potere, in proprio.
Basta, basta! Dove sono i ragionamenti della politica?
Ironizza con un sorriso inutile Renzi dal suo palco:
«Mi dicono: ma tu piaci a quelli di centrodestra?
Pescare tra quelli di là è l’unica condizione per non riperdere le elezioni.
Piacere all’altra parte politica non è un delitto».
E più avanti: «non candidiamo un io ma candidiamo un noi».
Chiaro è chiaro, ma sono espressioni gravi per chiunque in politica,
ma ancora più gravi per chi crede di essere il nuovo leader,
anzi il "vero" leader.

"Pescare" nel centrodestra..."piacere" all'altra parte politica..
ma che politica nuova è?
Non sa forse Renzi che nel "pescare" (addirittura tra i comunisti)
e nel "piacere" (addirittura ai cardinali) maestro è,
è stato e sarà solo Berlusconi? Oggi il patetico della Rosa Tricolore.
Quale nuovo giovane di sinistra e di centrosinistra,
con un minimo di educazione politica, parlerebbe la lingua di Renzi,
del "pescare" e del "piacere"?
"Pescare" e "piacere" per l'obiettivo di "non riperdere le elezioni"!
Incredibile, e quanto sa di antico!
E i nuovi amministratori del Big bang sarebbero il "noi"?
Un “noi” odioso e impossibile, se costruito sulla rottamazione/divisione.
Ma via!
Continuerò a ripetere: se il nostro paese avesse seguito di più
l'insegnamento liberale, magari nella versione gobettiana,
se avesse avuto un'educazione etico-politica di natura liberale,
oggi la democrazia sarebbe molto più avanti, e per i declamatori,
di destra, centro e sinistra, gli spazi sarebbero scarsi e impraticabili.
Alla politica di questo paese manca la serietà (altra parola cara al Gobetti),
manca la mitezza, manca il sentimento della dignità umana universale.
E forse a molti mancano anche Moro e le sue “convergenze parallele”.
O no?
Severo Laleo

Finalmente Bersani incontra la “cultura del limite” e decide per il Paese



 «Non c'è limite al peggio.... »
Sono parole del segretario del Pd Pier Luigi Bersani a commento della dichiarata 
volontà di Berlusconi di tornare a «essere il capo dei moderati».
Sì, di  ogni moderato/moderata  par suo! Incredibile!
Anzi è strabiliante la sicurezza di questo nuovo, sempre identico a sé stesso, SB
nei confronti della stupidità a corta memoria degli Italiani 
(l'assenza di storia/memoria è la cifra della stupidità politica), pronti, a suo dire,
a tornare all’ovile di una qualunque nuova creatura politica,
purché abbia nel nome Italia e Libertà (l’Italia, perché indica il campo del marketing,
la Libertà, perché descrive il “prodotto”  del  suo interesse personale), e nelle liste
nuovi populisti, comunque si chiamino, Renzi incluso, sia pure a sua insaputa.
«Dieci anni di berlusconismo ... -continua un sorpreso Bersani - ci sono bastati …».

Questa volta Bersani ha ragione, anche se non riesce, conseguentemente, 
a “muoversi” per evitare al Paese una nuova stagione di licenza berlusconiana,
nell'esaltazione interessata del leader imbroglione, nei costumi, negli appalti,
nella protezione civile, nell’evasione fiscale, nell’arruolamento, 
grazie a un avvilente danarismo, di nuovi “servi liberi” alla Ferrara, 
nella pratica dolce, ad ogni intemperanza, pubblico-privata, del Capo,  
del “sopire, troncare …” del mediatore colto, mite, reverendo Letta, il Gianni.
E chissà, anche in una nuova stagione, di contatti con tutti, buoni e cattivi, 
senza esclusioni, come nel  1992/94, così da spegnere, definitivamente, 
prima che possa germogliare, ogni speranza di civile rinnovamento 
del Governo Monti, diventato ormai “transitorio”, anzi, per destino dei deboli, 
di tutti i deboli, “precario”.

«Non c'è limite al peggio...».
E’ chiaro a tutti, si sa, la destra populista, soprattutto nella moderna 
(si fa per dire!) versione del berlusconismo, non sopporta limiti al proprio raggio 
di azione, ai propri  interessi, alle proprie scorribande in campo istituzionale 
e costituzionale, ai propri desideri di casta, ai propri divertimenti tanto volgari 
quanto esclusivi (anche per un ciellino alla Formigoni).

Porre un limite tocca proprio a Bersani, perché ha il ruolo, il compito e il dovere
(e, a mio sentire, la forza di etica intelligenza e il giusto disprezzo, 
sincero, nei confronti del leaderismo farabutto), di proporre un campo di “limiti”, 
a livello di regole nuove,  nel partito e nel governo del Paese,
per la costruzione nel paese di una democrazia moderna, di persone libere, 
civili, tutte/i alla pari.
Se Bersani ha interiorizzato la sua “cultura del limite” potrà proporre di restituire 
alle persone del nostro Paese, legalità d’azione, dignità di vita, giustizia sociale, 
civiltà di relazioni. Insieme ad altri, naturalmente.

E non possono essere nuovi populisti, anche se schierabili a sinistra
(Grillo, Renzi, Di Pietro, Veltroni, persino Vendola), a guidare il Paese 
dopo l’utile sforzo dei professori, ma solo una persona seria, intelligente, 
con i piedi per terra, senza il sacro fuoco di un’ambizione accecante, 
senza superbia di professoressa, insomma una persona normale, 
appunto il buon Bersani.
E non può toccare a chi non ha il senso del limite, a chi cura solo il suo “orto”, 
di soldi e di personale “libertà”, anche oltre ogni limite, decidere quando andare 
a nuove elezioni, magari dopo aver preparato qualche altro documento segreto
(segreto?) tipo “Rosa Tricolore” della Volpe ... Pasini (un documento squallido,
indegno del termine "politico", ma per i giornali utile solo per "toccare" il povero
e ignaro Renzi, populista, non privo di meriti, sì, per difetto forse di comprensione 
del significato profondo e moderno di democrazia, ma non mercenario in vendita!).

«Non c'è limite al peggio.... »
Se Bersani l’ha capito, nei prossimi giorni, anche per garantire trasparenza assoluta 
nella faccenda della trattativa Stato/Mafia, conditio sine qua non si potrà mai dare 
una democrazia matura, se Bersani l’ha capito, come l’ha capito, nei prossimi 
giorni, proporrà, innanzitutto al proprio partito di garantire, al suo interno, 
in/per ogni situazione, parità assoluta uomini/donne, parlerà poi con Renzi, 
da uomo a uomo (dovrà pur crescere il Sindaco di Firenze, ha diritto a una nuova 
educazione politica, la vecchia ormai ha esaurito la sua spinta propulsiva), 
infine butterà giù un programma di governo, si confronterà con gli altri partiti, 
chiederà subito nuove elezioni, anche con questa legge elettorale 
(ma con l’impegno, grazie al sicuro successo elettorale, a cambiarla subito dopo), 
andrà a presiedere il nuovo governo, con pari, a ogni livello, presenza tra uomini 
e donne, con Monti Ministro degli Esteri, e garantirà una nuova pace sociale 
e una nuova democrazia per il lavoro, semplice, civile, per persone normali 
e alla pari. Questo è il desiderio di quasi tutte/i  le/i giovani. Ora, subito, o mai più.

O no?
Severo Laleo




mercoledì 20 giugno 2012

Cameron, l’esilio fiscale e la destra di rapina




Gli Inglesi hanno conservato, in verità, in allegria, l’istinto rapinatore
di saper godere delle ricchezze altrui, a prescindere dalle modalità della “rapina”.
Una volta, un po’ di anni fa, racconta la storia, toccò a Francis Drake,
figura eroica (eroica? “vabbuò, jà”) di pirata europeo,
di alleggerire le navi spagnole delle trafugate ricchezze americane.
Ora, racconta la cronaca, tocca al liberale moderno (moderno? “vabbuò, jà”),
Cameron, di sostenere la nuova frontiera europea dell’esilio/asilo fiscale,
per rapinare alla Francia le previste entrate hollandiane.
«Quando la Francia introdurrà un’aliquota del 75 per cento per la fascia superiore dell’imposta sul reddito [oltre il milione di euro] – ha esclamato felice Cameron,
dando prova del suo alto senso di coesione europea - srotoleremo il tappeto rosso
e accoglieremo più aziende francesi che pagheranno le tasse nel Regno Unito.
Servirà a pagare i nostri servizi pubblici e le scuole».
Questa volta la modalità di rapina non è un’aggressione piratesca, per mare,
lontano dalla Patria, è, al contrario, l’esplicitazione di una visione politica 
della destra, nel centro dell’Europa, dove nasce, se mai è morta, 
una solidarietà tra ricchi, indisponibile a togliere a chi può pagare, 
ma pronta a tartassare chi non può pagare.
Forse la lotta di classe esiste ancora, se i poveri, persa la “propria”coscienza,
non riescono più a reagire e, pur indignati, continuano a percorrere 
le strettoie obbligate della nuova schiavitù da spread.
O no?
Severo Laleo

giovedì 7 giugno 2012

L’Italia Pulita c’è già, all’Ipercoop.



Questa è una notizia. Una buona notizia, anche se solo di costume.
Almeno per il nostro Paese, con una classe dirigente
troppo spesso ladra, truffaldina, arraffona, pigliatutto,
a dare l'esempio, ad ogni livello.

Il fatto mi è stato riferito dal mio amico carissimo Scapece,
di Napoli, ormai in Toscana da una vita, con gran meraviglia,
una meraviglia tutta sua, propria di un napoletano
di vecchia formazione. Tutto è successo all’Ipercoop di Sesto Fiorentino:
per la quarta volta consecutiva il mio amico Scapece è riuscito
felicemente a recuperare, al Box Informazioni, merce dimenticata,
per distratta pigrizia, nel carrello della spesa.
Quattro volte restìo e timido, a fil di voce, nel chiedere,
quattro volte  allegro e incredulo, a mano piena, nel ritrovare.

E’ chiaro, i clienti della Coop sanno impiegare un ritaglio
del proprio tempo per rinsaldare, nel luogo del mercato,  
legami di civiltà, praticando, insieme, rispetto per gli altri
e distacco dal possesso. Cittadini maturi.
E, senza prosopopea, alla classe dirigente pigliatutto
inviano un esempio di normalità, di pulizia.

E Berlusconi, che le antenne le ha sempre avute,
ha già pronta per gli onesti cittadini  l’ “Italia Pulita”.
Ma questa volta l’urlo del piazzista cadrà nel vuoto,
per tutti, ma sicuramente per i cittadini della COOP.
O no?
Severo Laleo




martedì 5 giugno 2012

Un vero leader, dichiara Renzi…




In una sua dichiarazione, all’indomani delle dimissioni dell’assessore Fantoni,
il Sindaco di Firenze, Matteo Renzi, annunciando la nomina di nuovi assessori,
persone dai curricula robusti, afferma:
Onore comunque a Fantoni perché in questo paese non si dimette mai nessuno.
Quello di Alessandro Petretto è un nome che può fugare tutti i dubbi
circa la solidità del bilancio. Usciamo da questa vicenda con due personalità
di grande rilievo [l’altra personalità porta il nome di Givone].
Perché il vero leader è colui che sceglie i collaboratori più bravi di lui".
Ora chiaramente Renzi riserva a sé stesso la definizione di vero leader,
anche se, in verità, non è chiaro, leggendo semplicemente il testo,
se è presente una vena di autoironia nell’espressione;
ma pare di no, in quanto corrisponde a verità il fatto di aver scelto,
quali collaboratori, persone “brave”, anzi, “più brave” di lui
(è di moda oggi il termine “bravo”: tra breve, grazie a una "riforma del merito",
si potrebbe dire, geniale, avremo “il più bravo”d’Italia anche a scuola!).
Diciamo che a Renzi gli è scappata di bocca, un po’ a tradimento,
l’autodefinizione di vero leader. E forse un po’ ci crede anche.
Ma è già difficile in sé la definizione di “leader”, soprattutto in Italia,
Paese dalle risorse inesauribili, che è riuscito ad annoverare tra i “leader”,
per di più, dei “Responsabili”,  anche l’ottimo responsabile Scilipoti,
immaginiamo, quindi, quanto debba essere arduo definire il “vero leader”.
C’è confusione nella politica italiana, anche a livello linguistico
(livello dal quale molti guai, grazie a Berlusconi, son derivati alla politica reale,
soprattutto in termini di limpidezza di significati e di stravolgimento
se anche un grande Sindaco, di una città così colta e avvertita,
qual è Firenze, scivola sulla nozione di “leader”, anzi di "vero leader".
Ma, perché tutti sappiano, di “chi” e di “cosa” è leader Renzi,
forse sarebbe necessaria un’altra sua dichiarazione in proposito,
soprattutto per i giovani del nuovo millennio, così desiderosi, sembra,
di seguire nuovi “capi”.
O no?
Severo Laleo
P.S. Il discorso tocca oggi Renzi, ma vale per molti altri "leader", Rutelli incluso.