mercoledì 29 ottobre 2014

Elogio della scissione e estensione della democrazia



Molti, troppi, hanno paura di sostenere/difendere le proprie idee.
E la paura, si sa, blocca il cambiamento.
Eppure nessuno ha il monopolio del cambiamento.
I cambiamenti avvengono comunque, e non chiedono autorizzazioni
e non rispettano i divieti. Soprattutto i cambiamenti sociali.
Di più. I cambiamenti, in qualsiasi campo, decisi con la costrizione
all'obbedienza di dissidenti e/o con il sostegno di interessati
opportunisti sono da inserire nella categoria del già visto,
dei cambiamenti senza cambi.
Ognuno deve lottare per il miglior cambiamento possibile.
Soprattutto in politica. Sia da soli sia insieme ad altri.
Ognuno con le sue qualità/virtù, con i suoi difetti/vizi.
Ma può la paura oscura di un male nel presente
-ad esempio, una scissione- impedire la lucida realizzazione
di un bene nel futuro -ad esempio, l'estensione della democrazia?
Questo e' il punto. Molto laicamente.

Ora se Renzi travolge tutto e tutti è sicuramente perché non ha paura, 
anzi è sempre all'attacco, anche quando le idee non brillano affatto.
E' una scelta, la sua, per realizzare il suo cambiamento.
Non l'unico, non l'ultimo, e, per i blasfemi, non il salvifico.
Intanto costringe gli altri nell'angolo.
Ma, per il bene comune, in democrazia, spingere e tenere qualcuno
nell'angolo, chiunque sia l'autore, e' azione pugnace, violenta.
E' combattimento. Per una vittoria e per una sconfitta.
E, per il costretto all'angolo, scegliere l'angolo per tener duro 
spesso significa cedere all'avversario e quasi giocare di complicità.
La politica del cambiamento non è combattimento,
al contrario è dibattimento. Per un dialogo alla pari.
Per rendere visibile/praticabile il dibattimento bisogna uscire
dall'angolo, con un movimento intelligente, sicuro, 
conquistando spazio e respiro. E imporre il dialogo/confronto.
La scissione del Pd per la vita della democrazia
diventa quindi necessaria. Perché è  un uscire da un angolo 
per conquistare parità di parola, senza pugni. 
La sinistra ha il dovere di un'operazione di scissione,
se vuole tentare una nuova aggregazione unitaria nel nome 
dei diritti per l'uguaglianza delle persone.
Un Partito di Sinistra per l'estensione della democrazia 
contro il Partito della Nazione per la riduzione della democrazia.
E se l'estensione della democrazia ha le sue basi nel sistema elettorale 
proporzionale (“sono buoni i sistemi elettorali che danno potere 
agli elettori, non quelli che aumentano il potere dei partiti e, peggio, 
quelli di alcuni, pochi, capi di partito” G. Pasquino),
un italicum tutto italiano può solo aspirare alla riduzione 
della democrazia tramite il Partito della Nazione. 
E se alla democrazia nazionale dell’italicum basta comunicare
dall’alto quel che c’è da fare, magari affabulando,
per conquistare il consenso, alla democrazia conviviale proporzionale 
questo non basta, perché la democrazia dal basso pretende
una comunicazione alla pari per dare risposte ai bisogni delle persone.
A partire da qui, ecco qualche proposta per il nuovo partito della sinistra.

Il nuovo partito della sinistra sarà un partito/comunità
un partito/convivio, un partito/essere insieme, un  partito/solidarietà, 
un partito/mutuosoccorso, un “luogo reale”, fisico, dove regole nuove
e trasparenti rendono possibile una relazione “alla pari” tra le persone, 
dove la dirigenza sarà scelta anche per “sorteggio”, dove uomini e donne, 
in spirito di servizio, siederanno “in pari numero” nei posti di guida, 
dove non si eleggerà a “capo” un “singolo”, spesso un maschio, 
ma una “coppia”,  un uomo e una donna (si tratta di passare 
dal monocratismo di sempre, forma di potere erede storica del maschilismo
al “governo duale”, al bicratismo del futuro), dove il finanziamento sarà, 
da una parte, pubblico (la responsabilità, anche economica, della continuità 
democratica è un bene/dovere del Paese), dall’altra, privato, ma possibile 
solo a iscritte e iscritti. 
Un partito/servizio per il bene comune, intento a svolgere 
tutto un lavoro di studio/proposte, a partire dal proprio
territorio/paese/quartiere, non solo, ad esempio, per chiedere
la riparazione delle buche nell'asfalto delle strade, 
ma soprattutto per chiedere la riparazione delle buche 
nella sofferenza del tessuto sociale, un lavoro profondo per coniugare
la libertà con la giustizia, e per ricominciare a parlare di libertà 
dalla miseria, dall'ignoranza, dalla precarietà, dalla subalternità.  
Un partito/comunicazione  non più preoccupato di organizzare/dimostrare
la sua forza con “una” manifestazione politica, chiusa, in un unico
luogo di raccolta”, sempre centrale, ma disponibile a organizzare
tante” manifestazioni, aperte, in ogni “luogo vissuto” di lavoro politico,
e in contemporanea, e su un tema comune, perché la Politica torni a parlare,
non solo in TV e da Roma, ma nei mille luoghi del suo esercizio 
reale, nei mille luoghi, cioè, dei gruppi/comunità/circoli dove dibattito 
politico e azione amministrativa si incontrano e si fondono.
E magari aprire una discussione ampia sulla "cultura del limite", 
chiedendo, ad esempio, per una giusta distribuzione della risorse
di definire un limite alla ricchezza, e un limite alla povertà.
Infine, se il nuovo partito della sinistra non sperimenterà, 
oltre le fratture,  l’ardire del comprendersi guardandosi negli occhi, 
non potrà mai essere in grado di estendere la democrazia 
e di trasformare la sovranità elettorale la “sovranità conviviale”.
Forse la scissione è la strada giusta.

O no?
Severo Laleo



sabato 25 ottobre 2014

La Leopolda ultima e la tradita ambizione



La Leopolda ultima, 2014, vista con occhi vispi leopoldini,
rapidi e intelligenti, sempre all’attacco, senza pause,
a galoppo verso il futuro con elegante veemenza,
segna per il leader e per i suoi seguaci
un’inversione di marcia.
Renzi, suo malgrado, torna indietro.
In qualche modo cambia verso.
E perde in novità di comunicazione
e in speranza di futuro. Tutto è già chiaro.

Il leader della Nazione è alla sua Stazione.
Per la prima volta l’ambizione illimitata
si chiude dentro il suo limite di conquista.
E si blocca. Non va avanti. Guarda sé stessa.
Non può più cambiare niente. Il cambiamento
è già avvenuto. Domina la celebrazione.
L’ambizione, tradita, non aspira più in alto,
perde la sua forza travolgente, nel bene e nel male,
e torna su se stessa. S’accascia.
E segna la fine corsa. Per assenza di mire.
E’ piena di sé, ignara e sorridente,
attenta al vestire, e non vede il solo cambiamento
necessario: il dovere sociale dell’equa distribuzione
della ricchezza. E delle povertà. Ma tant’è.

Forse sarebbero stati dell’ambizione più ferventi
fedeli i leopoldini se avessero convocato
tutti i democratici d’Europa, magari a Berlino.
Tanto per segnare altri traguardi.
E tenere altissima la foga dell’ambizione.
Chissà. Forse il prossimo anno.

O no?
Severo Laleo



mercoledì 22 ottobre 2014

L’efficienza del Governo in un Comunicato Stampa



  
Il Ministero dell'Economia e delle Finanze (MEF) pubblica
sul suo sito un Comunicato Stampa.
Ecco il testo.
Stampa 238 del 21 ottobre 2014
Il testo del disegno di legge di stabilità 2015,
corredato di relazione illustrativa,
è stato presentato
dal Ministero dell’economia e delle Finanze al Consiglio
dei ministri che lo ha discusso
il 15 ottobre,
approvandolo salvo ulteriore affinamento tecnico.

Completato l’affinamento,
il testo è stato messo definitivamente a punto
dal Gabinetto del Ministero dell’Economia e delle Finanze,
in stretta intesa con il Ministro per i Rapporti con il Parlamento
e con il Dipartimento degli affari giuridici e legislativi
della Presidenza del Consiglio,
e sono attualmente in fase di completamento
la relazione tecnica e le tabelle di accompagnamento.

In attesa della bollinatura,
prevista per domani, l’articolato legislativo
è stato anticipato al Quirinale.
Roma, 21 ottobre 2014

Perfetto. Nessun commento.
Sono sufficienti le sottolineature.
Di più. Il titolo del Comunicato Stampa
DDL Stabilità al Quirinale. Bollinatura completata domani
nasconde, forse, nel suo ambiguo desiderio di sintesi,
un’ansia da prestazione con annessa giustificazione,
ma svela insieme, senza dubbio, il ritmo reale
di questi ansimanti tempi di corsa. Per cambiare il Paese.

O no?

Severo Laleo

domenica 19 ottobre 2014

Scalfari, la politica politichese, e Landini



Ha ragione Scalfari, in Italia la “politica politichese
è sempre in attività. Anche quando avanza il nuovo.
Una volta un gran maestro di politica politichese era Bossi,
dalla ricetta sempre pronta e sicura. Rapido nel licenziare
anche un suo gran Consigliere. Fu il primo nuovo d’Italia.
Ma niente cambia nel bel Paese.
E i Bossi ogni tanto tornano. Più o meno furiosi.

In verità, al di là delle intenzioni, spesso ambigue,
nonostante la trasparenza, quando il nostro Premier
tratta con Berlusconi fa “politica politichese”,
al più alto grado, e l’intesa è perfetta. Tanto per i dettagli
si lascia la trattativa a un esperto di sola politica politichese,
il gran Verdini. E politica politichese incarna il Premier
quando tratta con Alfano, persino quando incontra
il Presidente della Repubblica (purtroppo); e ancora politica 
politichese maneggia, quando tratta con la Confindustria.
Addirittura, andando oltre Scalfari, il Premier trasforma
anche l’antipolitica in politica politichese. Almeno in Tv.
Quando non è possibile praticare la politica politichese
ecco nascere immediato il conflitto e diventa impossibile
il dialogo. Succede con i Sindacati, con il mite Bersani,  
con Cuperlo, già Presidente del Pd, con la Magistratura,
con il M5S, con gli altri Enti (Regioni, Province, Comuni),
in breve, con la struttura democratica del Paese.
Intanto la politica politichese vecchia o nuova sfibra il Paese.
Impedisce il pensiero collettivo e crea sudditanza.
Ma insieme genera, non si sa quando, ribellione.

E qui è il problema di fondo. Negli ultimi vent’anni
la struttura democratica e sociale del Paese ha subito
scossoni e arretramenti violenti dinanzi al procedere
senza freni di un’ideologia, sì, proprio così, di un’ideologia,
ma questa volta del capitale. Negli ultimi vent’anni
ogni ostacolo al libero prodursi della ricchezza è stato
abbattuto o dominato. I risultati sono noti. Almeno
nel nostro mondo occidentale. E non solo.
Dichiara ora la Presidente della Federal Reserve,
Janet Yellen: "Non e' un segreto che negli ultimi decenni
l'ampliamento della diseguaglianza si e' configurato con un aumento
dei guadagni e della ricchezza da parte di un ristretto numero
di persone e con livelli di vita stagnanti per la maggioranza
della popolazione". E preoccupata si chiede se “questo trend
sia compatibile con il grande valore che gli americani hanno 
tradizionalmente assegnato all'equità e alle opportunità”, e continua
le diseguaglianze di reddito e di ricchezza sono vicine
ai massimi degli ultimi cento anni". Questa è la rappresentazione
reale del processo di arricchimento/impoverimento delle persone.
Questa è la tendenza da invertire.

Ma la politica del nostro Governo è figlia di questo tempo,
e di questo tempo ha assorbito i miti, il verso, e le modalità
di azione. E quantunque il Premier nel suo Io possa desiderare
il cambiar verso, non può accorgersi, perché unto dal suo tempo,
di essere prigioniero di un’ideologia. Così, impossibilitato/inabile
a prendere le distanze dal suo mondo per meglio capire il trend
continua a dar man forte al processo già avviato di incremento
delle diseguaglianze. Senza inversione di sorta.

Spetta così a questo Governo, e al suo Premier, figlio di questo ventennio, 
ancora lottare convinto per il cambiamento
(di cui mai è stata esplicitata la direzione), mentre si trova
a facilitare un percorso già segnato da altri a danno esclusivo
del lavoro e di ogni libertà personale al lavoro legata.
Impegna tutte le sue forze questo nuovo Governo per sembrare
un gigante del cambiamento, ma diventa solo un obbediente
e ignaro esecutore di progetti in altre sedi già definiti.
Il traguardo è già segnato a sua insaputa: la riduzione
della democrazia delle persone a favore dell’accentramento
delle decisioni nell’oligarchia dei capitali. D’accordo Napolitano.
E la forbice tra la libertà dei possessori di ricchezza
e la schiavitù dei possessori di lavoro (quando c’è) cresce.

Forse è tempo di scendere in piazza con determinazione
per gridare la volontà di uscire dal trend delle diseguaglianze
e di rifiutare la schiavitù. Per noi e per ogni altra persona,
perché, a sentir Landini, “attraverso il lavoro le persone trovano
non solo i mezzi per sostentarsi, ma anche realizzazione e dignità”.

O no?

Severo Laleo

martedì 14 ottobre 2014

Verrà la rivoluzione e sarà precaria




Io.
Non voglio più scrivere all'antica.
Voglio seguire il mio tempo.
Il filo del discorso è un vecchio arnese.
Voglio parlare per tweet.
Io.
Semplici frasi solo per affermare.
E per esprimere osservazioni.
Io.

Un esempio.
I giovani son quasi tutti precari.
O fuori Paese. O disoccupati.
Non chi ha un papà importante.
I figli seguono i padri nella sofferenza
e non riescono a cambiare;
i figli seguono i padri nel lusso,
e non vogliono cambiare.
Ognuno ha la sua gleba in eredità.
Nel terzo millennio il merito è la propria gleba.
Il lavoro è spezzettato. E' rotto.
Offerto e trovato a caso. Nel dominio di altri.

Il linguaggio è un singhiozzo continuo.
Spezzato e imperativo.
Rabbioso e tifoso.
E ognuno è nel coro con la sua voce stonata.
Nel rumore continuo tutti sono uguali.
Tutti sono solisti. Senz'armonia.
Ognuno separato dagli altri.
La solitudine è insieme agli altri.

I salari sono scadenti. Miseri.
Il progetto di vita è negato ai più.
Ognuno è per sé. Senz'organizzazione.
Monadi, in viaggio continuo.
Pericolosa è la pausa, spinge a pensare.
E a incontrare la politica.
Si chiede trasparenza, ma le decisioni nascono
misteriose. E alla rinfusa. A segmenti.

Il futuro è incerto o negato.
E arriverà con una pensione inesistente.
Povertà sicura a fine vita,
con una sanità privatizzata.
La riduzione della libertà materiale e immateriale
di intere generazioni è garantita.
E questo è il solo cambiamento certo
già impresso nella struttura sociale.
E va bene a tutti, a tranquilli e agitati.

Che fare?
E' facile. Bisogna estendere la democrazia,
elencare tutti i diritti da tutelare,
e prendere il potere
e distribuire la ricchezza
e garantire a tutti esistenze benestanti.
Serve una rivoluzione. I precari sono stufi.
Hanno aperto gli occhi.
E Podemos e Syriza sono in ascolto e disponibili.

O no?

Severo Laleo

lunedì 13 ottobre 2014

Si va alla guerra. E’ tempo di mitezza



Una volta in Europa tra gli Stati c’era la guerra
a sancire irreparabilmente la fine del discorso politico
tra le parti. La causa finale: superare la “crisi economica”,
e in prospettiva avere il dominio nel mondo.
E l’ultima guerra è stata terribile.
Aveva anche il suo “capro espiatorio”, da sacrificare.
Una Nazione intera, cristiana, diventò una milizia,
al servizio di un Dittatore, volenterosa. Anche contro deboli
inermi. E il pensiero cristiano, civile, quotidiano, libero
e mite divenne un’eccezione. E un’eccezione fu,
in quei tempi di guerra, era l’estate del 1944, un semplice cappellano, 
sconosciuto, purtroppo ancora oggi, Hochstaedter (Goldhagen 1996).
 La sua lettera ai soldati è da leggere
nelle scuole. A futuro monito. Ma inascoltato fu il suo rifiuto
per l’odio, inascoltata la sua mitezza. Fine.
.............................
Oggi per fortuna la guerra non è più tra gli Stati in Europa.
La guerra oggi è spesso all’interno di ogni Nazione,
sempre a sancire la fine del discorso politico tra le parti.
Non solo in Italia. Ed è sempre per superare la “crisi economica”.
E in prospettiva dare al Paese una possibilità di diventare
faro nel mondo.
La guerra, a prescindere dalla parte, cela sempre un’ambizione tragica: 
vincere. Anche quando è Resistenza.
E nella guerra a pagare sono sempre i più deboli.
Perché la guerra ha sempre vincitori e vinti.
Che pari non sono.

Per l’Italia l’inizio della guerra interna è nella discesa in campo 
dell’imprenditore Berlusconitribuno dell’antipolitica.
Guerra totale. Contro i Partiti. Contro il “teatrino della Politica”.
Contro il Parlamento. Contro il Presidente
della Repubblica. Contro la Magistratura.
Contro la Corte Costituzionale. Per comandare da solo.
E s’inventa anche il capro espiatorio,
i comunisti, la sinistra, la scuola (sic!), i sindacati.

Il discorso politico tra le parti diventa inesistente,
crescono solo, grazie all’esempio del “ghe pensi mi“,
tanti Capi, d’ogni parte, piccoli e grandi, tutti suoi figli,
senza esclusioni, a prescindere dalle qualità personali,
tutti investiti di potere decisionale per volere
di un popolo sempre più assente.
E la sovranità, svuotata di partecipazione diffusa, può aprire
la strada alla limitazione dei diritti e al depotenziamento
della bilancia dei poteri prevista dalla nostra Costituzione.
E frantuma comunque la parità di dignità tra persone, negando al discorso 
politico la possibilità nuova di futura uguaglianza.  


E si va alla guerra ognuno con le sue truppe. Volenterose.
Il fine è già segnato: vincere, spianare o esser spianati
Per far subito e con chiarezza. E grazie a un Patto al Nazareno
il “sovversivismo delle classi dominanti” gode dell’appoggio
del campo dei dominati.
Il pensiero riflessivo, dialogico, democratico, tra persone alla pari, 
diventa un’eccezione. Dominano le milizie e i fedeli.
Forse per i miti è l’ora della riscossa, per l’estensione della democrazia 
quale “capacità di decidere tra tutti ciò che é di tutti
(Manifesto pro Podemos). Per una sovranità piena, conviviale.

Se non ora quando?
O no?

venerdì 10 ottobre 2014

L’appello dei Cento tra cipiglio e semplificazione fiscale





L’appello dei Cento, sulle pagine del Corriere, tra imprenditori 
e altri “semplici italiani”, non è tanto importante in sé e per sé
almeno dopo il 41%, vale a dire, non è tanto importante 
per il suo sostegno a “Matteo Renzi”, alla sua persona espressamente
(il titolo dell’appello è  chiarissimo: “Noi sosteniamo Matteo Renzi
e pare voglian dire  “Renzi e basta!” ), quanto per la qualità
del discorso politico a base dell’appello/sostegno.

Si legga insieme: “Matteo Renzi”  è da sostenere perché
ha “creato” un governo “con la decisione e il cipiglio
di una volontà giovanile che non cerca sconti né per sé
né per le scelte da affrontare”.
E questa sua “decisione” e questo suo “cipiglio” meritano
l’appoggio dei cittadini che si identificano con la sua volontà
di non mollare, di battersi e di cercare un futuro per l’Italia
e per i suoi giovani”.
Ma l’intenzione del “piccolo gesto” pubblico dell'appello
serve anche a “rompere il muro di silenzio (muro di silenzio? 
pare un po’ un’esagerazione) che ha avvolto il Presidente del Consiglio
dopo i duri attacchi di questi giorni”. Proprio così.

In altre parole
Renzi è da sostenere perché ha “decisione e cipiglio*”
Renzi merita appoggio perché si batte e “non molla
Renzi “cerca” un futuro per l’Italia
Renzi è avvolto da un “muro di silenzio

Indubbiamente, sul piano politico, è un appello nuovissimo,
mai sentito prima durante tutti gli anni di storia repubblicana.
Ed è un segno dei tempi, nel bene e nel male.
Se non esistono altre segrete ragioni, si può concludere:
in Italia, grazie al “cipiglio” e alla volontà di “non mollare,
insieme all’impegno a “cercare” un futuro, anche un socialista 
europeo, quale Renzi è, gode di un appoggio senza condizioni 
presso Cento imprenditori e “semplici cittadini”.
E’ un successo straordinario. E si spera non intempestivo.
Perché il nostro Presidente del Consiglio ha già twittato
il prossimo impegno per il futuro: la semplificazione fiscale.
E poiché è un socialista europeo, un leader forte del PSE,
è facile prevedere, sarà impegnato non solo a dare “un giro di vite
per gli imbroglioni del fisco”, e a inasprire i controlli,
e qui dovrà dare l'esempio, sui paradisi fiscali, ma saprà anche
indirizzare il suo governo a realizzare, attraverso la leva fiscale, 
finalmente la giustizia sociale, ridistribuendo,
con più equità rispetto a oggi, la ricchezza per non lasciare
indietro nessuno”. Anzi bisogna pure recuperare,
sia perché chi era indietro è stato, almeno finora,
respinto ancora più indietro; sia perché chi dall'Italia 
si  è rifugiato all'estero per non pagare le tasse nel proprio Paese 
non sia elogiato fino a rappresentare un esempio.
Solo allora i Cento, da patrioti responsabili, quando saranno
chiamati a dare un più equo e sostanzioso contributo
fiscale per il bene comune, e a ridurre con più giustizia
la forbice tra chi ha e chi non ha, vestiranno l'appello 
di un più concreto e tangibile consenso, oltre la persona.
Altrimenti l’appoggio incondizionato al cipiglio di oggi
è solo un abbaglio.

O no?
Severo Laleo 


*In verità il cipiglio di Renzi non è un cipiglio all’antica, non è mai torvo,
severo o corrucciato, al contrario, è un nuovo cipiglio, è sempre ilare
e sorridente anche quando minaccia e spiana.

mercoledì 8 ottobre 2014

Palazzo Chigi inventa il voto di fiducia a futura "direzione"



Si legge sul Corriere.it: A proposito dell’articolo 18 - questione 
chiave delle ultime settimane - e del dubbio se fosse incluso o meno 
nella fiducia, perché non esplicitamente citato nel testo 
dell’emendamentoPalazzo Chigi ha inviato una nota di chiarimento
«Il voto riguarda evidentemente l’articolo 18. La delega - si osserva - 
attribuisce al Governo il dovere (sic!) di superare l’attuale sistema 
e il presidente del Consiglio ha indicato con chiarezza (sic!) 
la direzione (perché non verso?)». Per la precisione
pur senza nominare esplicitamente l’articolo 18
nel testo su cui si pone la fiducia è scritto 
che all'esecutivo è affidato il compito di «razionalizzare 
e semplificare delle procedure, anche mediante abrogazione 
di norme, connessi con la costituzione e la gestione 
dei rapporti di lavoro”.  Adesso è chiaro. Anche se intraducibile ... 
in inglese!

E così il Senato, anzi i senatori del Partito Democratico, tutti 
con il marchio del Socialismo Europeo, votano la fiducia 
al Governo dopo aver letto (?) un emendamento nel quale l’art.18 
non è mai espressamente citato, e comunque si impegnano, 
e sicuramente non in nome del corpo elettorale di riferimento, 
ad affidare la “direzione” della delega al Presidente del Consiglio 
secondo una sua “nota di chiarimento”. 
Nasce il voto di fiducia a futura "direzione". E, a chi esprime dissenso, 
il Presidente del Consiglio, con l’eleganza della politica nuova, 
risponde: “Non mollo di un centimetro”, utilizzando, con nuovo imbroglio, 
le tristi parole dell’uomo forte di ogni tempo quando la politica 
non è discorso pubblico di una comunità, ma voto di sudditi. 

Nessun dubbio, dunque: è davvero nuovo  e creativo questo Governo,
se riesce a inventare anche la “fiducia a futura direzione”.
E non è solo il Senato e i socialisti senatori di ogni età e genere 
a correre con affanno e senza giustificazione politica e etica
dietro il caos normativo da invenzione sul momento, 
ma è anche l’ottimo (ancora?)  Presidente della Repubblica.
Il colpo, aggiungerà domani una “nota di chiarimento”, è inferto 
anche alla sua Alta Carica di Garanzia. Per un nuovo verso.

O no?
Severo Laleo





sabato 4 ottobre 2014

Una sensata proposta di pace dalla Svezia



Il Premier socialdemocratico di Svezia, Stefan Loefven,
nel discorso di presentazione del suo programma di governo
in Parlamento,  ha indicato una via, la più sensata,
per la condivisione della pace nel Medio Oriente.
Nel rispetto di una tradizione storica di attenzione fattiva
e di sostegno per la libertà, la dignità e i diritti umani
di ogni popolo, Loefven ha dichiarato: “Una soluzione
a due stati suppone un riconoscimento reciproco
e la volontà di una coesistenza pacifica.
Ecco perché la Svezia riconoscerà lo Stato della Palestina”.

Sensata motivazione. Forse è difficile dargli torto.

O no?

Severo Laleo

Oggi, 14 Ottobre, si può leggere sul Corriere
"Questa Camera [dei Comuni] ritiene che il governo debba 
riconoscere lo Stato di Palestina accanto allo Stato d’Israele". 
Sarà anche una mozione non vincolante per Downing Street 
e per il Foreign Office, ma indica ancora una volta una direzione 
sensata,  tanto più sensata in quanto a votarla non sono 
solo i Laburisti, non senza qualche difficoltà al loro interno,
ma anche i conservatori e i liberaldemocratici. 


venerdì 3 ottobre 2014

Francesco è più a “sinistra” del Pd di Boschi




Rispondendo, qualche giorno fa, a un’ultima domanda
del conduttore di Ballarò sull’essere/sentirsi di “sinistra”,
la Ministra Boschi, sicura e senza esitare ha risposto:
Mi considero di sinistra. I valori della sinistra di oggi sono
quelli del cambiamento. Essere di sinistra significa non tanto 
essere custodi del passato ma anticipare e costruire il futuro
quindi essere riformisti. Cercare di impegnarsi in politica
per rendere la vita un po' migliore per tutti, dare veramente 
attuazione all'articolo 3 della nostra Costituzione”.

Anche se dare attuazione all’art. 3 della nostra Costituzione
non può essere un impegno solo della “sinistra”, ma di tutti,
appunto per dovere costituzionale, la Ministra,
nel definire un valore in sé e per sé il cambiamento/futuro,
senza aggiungere altre qualità ripetendo un motivo
caro ai nuovi dirigenti del Pd, mostra un invidiabile
convincimento, senza ironia, davvero, del suo essere,
così, come dire, un po’ genericamente di “sinistra”.
Forse anche per la brevità nel rispondere.
Non sembri dunque il giudizio irrispettoso: in un paese civile
il rispetto non deve mai venir meno per il semplice fatto
di avere della “sinistra” (e di altro) una diversa opinione.
O un diverso sentire. O un diverso linguaggio
e insieme un diverso mondo. I tempi cambiano comunque,
e non è nelle nostre disponibilità fermare il cambiamento.

La generazione delle madri e dei padri dei quarantenni
di “sinistra” di oggi, a suo tempo, sul finir degli anni 60,
fu ribelle e a suo modo rivoluzionaria, a volte molto
noiosamente, e fu sconfitta, sempre, nell’agone del Potere,
per colpa forse di un’opzione di forte soggettività critica,
propria da ribelli dell’immaginazione, anche se nella struttura
profonda della Società lasciò un segno permanente.

Ed ebbe quella generazione il suo mondo e il suo linguaggio
di “sinistra” . E per una stagione fu anche catturata dalla questione morale 
(e democratica) di Enrico Berlinguer.
Ma oggi quel mondo/linguaggio è fuori tempo. Incompatibile
con la nuova “sinistra” al Potere. Quasi anacronistico. E qualcuno, 
più moderno, potrebbe aggiungere, un mondo/linguaggio malato
di ideologia, soprattutto con quelle sue parole grosse, obsolete,
non più in circolazione, di libertà, dignità, sfruttamento, 
uguaglianza/disuguaglianze, ultimi/poveri, povertà,
giustizia sociale, partecipazione.

Eppure, solo ieri, 2 ottobre, il Papa Francesco nel suo discorso
al Consiglio della Giustizia e della Pace non ha avuto difficoltà
a usare le parole di una volta per proporre il suo cambiamento
e la sua nuova speranza di futuro.
Per Francescouno degli aspetti dell’odierno sistema economico
è lo sfruttamento dello squilibrio internazionale nei costi
del lavoro, che fa leva su miliardi di persone che vivono con meno
di due dollari al giorno. Un tale squilibrio non solo non rispetta la dignità 
di coloro che alimentano la manodopera a basso prezzo, ma distrugge 
fonti di lavoro in quelle regioni in cui esso è maggiormente tutelato.
Si pone qui il problema di creare meccanismi di tutela dei diritti
del lavoro … La crescita delle diseguaglianze e delle povertà mettono
a rischio la democrazia inclusiva e partecipativa... Si tratta, allora,
di vincere le cause strutturali delle diseguaglianze e della povertà. …
lo Stato di diritto sociale non va smantellato ed in particolare 
il diritto fondamentale al lavoro. Questo non può essere considerato
una variabile dipendente dai mercati finanziari e monetari.
Esso è un bene fondamentale rispetto alla dignità ...” 
E più avanti si trovano: “giusta distribuzione dei beni … 
raggiungimento della giustizia sociale … Visioni che pretendono
di aumentare la redditività, a costo della restrizione del mercato
del lavoro che crea nuovi esclusi, non sono conformi ad una economia
a servizio dell’uomo e del bene comune, ad una democrazia inclusiva
e partecipativa.. … è necessario tenere viva la preoccupazione
per i poveri e la giustizia sociale”.

Forse non c’è proprio da vergognarsi se si continua a tener viva
anche una vecchia idea di “sinistra”.

O no?
Severo Laleo

P.S.
Titolo “La Stampa”: Il cardinale Rodé: «Il Papa è troppo di sinistra». Già!