domenica 18 novembre 2018

Il PD, il ticket e la segreteria duale



Condannata da una coazione a ripetere, una gran  parte della nostra classe
politica continua a marcare, anche nel vocabolario, la già immensa distanza
con i bisogni delle persone in carne ed ossa, incaponendosi, ad esempio,
a definire "ticket" la presentazione di una candidatura  doppia, cioè,
nel caso ora del congresso del PD, di un segretario e di un suo vice.
E questo, forse, per apparire moderni e americani, o per pigrizia,
lo si chiama ticket! Mah!
Praticamente è un parlare tra iniziati, perché nella vita quotidiana,
per chi bussa alla sanità pubblica, il termine ticket ha un significato
ben più "pesante"!
Nel Pd, per di più, la richiesta di un ticket appare un'esigenza strumentale,
perché pare servire solo ad ottenere più voti nella competizione interna,
abbinando sì un vice, ma sempre al suo "capo".
Insomma un gioco elettorale, a volte anche con nascosti risvolti.
Infatti, il candidato Minniti ha voluto subito evitare fraintendimenti,
eliminando il ticket "dall'ordine del giorno".

Eppure, se nel Pd si riflettesse, proprio a partire dall'idea strumentale di ticket,
cioè dell'elezione di un "capo" e di un suo vice,  sull'importanza
di una guida duale, di due persone con pari facoltà, in particolare di un uomo
e una donna, forse si scoprirebbe una nuova strada per uscire dal leaderismo 
monocratico, figlio storico del maschilismo, reo di tanti guasti.

Non si riesce a comprendere perché un'idea così semplice, normale,
di buon senso, evidente in sé, l'idea cioè di una segreteria a due, alla pari,
di un uomo e una donna, non possa trovare spazio in un campo, la politica,
dove le decisioni e gli interessi pubblici sono predominanti.

Forse perché le abitudini, quando non si pongono al vaglio critico,
diventano "sacrosante". E il cambiamento, anche in via sperimentale,
diventa difficile.
O no?
Severo Laleo

mercoledì 14 novembre 2018

Il PD e le donne



In parecchi ora s'accorgono, nel Pd e fuori, della totale assenza di voci
e presenze di donne nella corsa verso la segreteria (in verità Livia Turco
recentemente ha con chiarezza e lungimiranza espresso una sua idea
per il futuro del PD, in piena autonomia, senza sentire la necessità,
prima di prendere posizione, di scegliersi un suo "capo"  maschio).

La presenza di donne in politica, soprattutto nelle sedi decisionali,
a ogni livello,  non può essere affidata al buon cuore del leader maschio
di turno, non può essere una concessione dal sapore strumentale
(è già successo nel Pd), deve solo diventare norma, regola.

In verità, ad aprire la strada verso una nuova esperienza di dirigenza
politica con parità di presenza tra uomini e donne è oggi Potere al Popolo.

I "portavoce" di Potete al Popolo, per Statuto, quindi nel rispetto di una norma,
anche se per ora solo sperimentalmente, sono due, un uomo e una donna
(un inizio timido di bicratismo, contro la tradizionale figura monocratica
del leader solo al comando, sciaguratamente imperante negli ultimi decenni).

Chissà, al PD basterebbe forse imitare PaP  per superare il suo maschilismo
incrollabile.
O no?
Severo Laleo