martedì 29 novembre 2016

Per i NO la democrazia non è “governance”, è dialogo senza esclusioni



Alla fine arriva anche l'endorsement dell'Organizzazione per la Cooperazione
e lo Sviluppo Economico (Ocse) al Sì al referendum. Per l’OCSE, si legge su HP,
"la riforma costituzionale, oggetto di un referendum costituzionale a dicembre,
sarà un passo in avanti nel processo di riforme e rafforzerà la governance politica
ed economica" dell'Italia. Ecco la parola magica, da svelare: governance.
Perfetto. L’OCSE non imbroglia; scrive la verità “la riforma rafforzerà 
la governance”. Ogni parola invia a un’immagine all’apparenza virtuosa:
riforma, rafforzare, governance. Perché non essere d’accordo?
Ma cos’è la governance? Qual è la storia della parola? 
Quali sensi impliciti contiene?

Governance è parola nuova per la lingua italiana. Nasce nel mondo aziendale 
e imprenditoriale, e almeno inizialmente significa “modo di dirigere, conduzione”,
in particolare indica “il metodo e la struttura organizzativa 
con la quale si distribuisce il comando tra i dirigenti di un’impresa (Treccani.it).
Rapidamente, con il passar degli anni, il significato s’allarga all’insieme
dei princìpi, dei modi, delle procedure per la gestione e il governo di società,
enti, istituzioni, o fenomeni complessi, dalle rilevanti ricadute sociali”.
Niente di più. Tutto dentro un quadro di riferimento tecnocratico.
Aziendale. Imprenditoriale. Gestionale.
Ma le Costituzioni si scrivono per definire principi, diritti, doveri
e limiti al Potere, per la salvaguardia della piena libertà
di partecipazione/decisione della sovranità di ogni persona,
non per rafforzare la governance.
Ma dove è finita la nostra cultura costituzionale e democratica?
Se si rafforza la governance con la riforma, i SI brindano,
perché credono di aver “semplificato” il governo di un Paese,
perché assimilano/confondono il Paese con un’Azienda,
e chissà, il Premier con l’Amministratore Delegato,
il Consiglio dei Ministri con il Consiglio di Amministrazione
insieme alle sue procedure di rapida decisione in un mondo 
a concorrenza spinta (spietata).
La politica non c’entra. La democrazia, poi! 
Specie se “l´unità della democrazia è l´unità degli uomini che, 
per qualunque motivo, sentono questo dovere di capirsi
a vicenda e di tenere reciprocamente conto delle proprie opinioni
e delle proprie preferenze.” (Guido Calogero)

Se anche l’OCSE si accontenta ormai del semplice “rafforzamento 
della governance” a scapito della complessità della mediazione politica, 
chi resta a difendere la democrazia e le sue relazioni? Forse solo le persone 
del NO, incorreggibili e testarde nel difendere il processo di estensione 
della partecipazione politica corale nel rispetto non della governance
ma della vita delle persone in carne ed ossa.
O no?

Severo Laleo

lunedì 28 novembre 2016

La insensata questione dei compagni di strada in tema di referendum



Spesso sento chiedere: ma con chi stai? insieme a chi voti?

Non esiste risposta più semplice, valida senza dubbio per i più, 
anche se volutamente inascoltata e negata. Questa: si sta dalla parte 
dei   p r o p r i   convincimenti e si vota secondo i   p r o p r i   princìpi.
In tempi ormai lontani molti “vecchi” di oggi scelsero, insieme a molti altri 
ora disponibili a rischiare il “nuovo”, di stare con gli ultimi, i deboli, 
perché potessero lottare per i loro pieni diritti. E si sapeva allora, 
quando ci si schierava in lotta, che quanto più forte era la possibilità 
degli ultimi di "partecipare" al "bene comune", anche con le occasioni di “voto”, 
tanta più alta era la possibilità che avessero voce e fossero ascoltati. 
La storia stessa della democrazia, per quanto in Italia sia stata
e continua a essere (ultimo esempio De Luca) soffocata da un deprimente 
clientelismo, è comunque un processo di estensione del diritto di voto 
e del moltiplicarsi delle sue occasioni; anche quanto racconta per ultimo la Brexit 
è dentro questo processo, piaccia o no (e non a caso molti “riformatori”, 
"nuovi" democratici, avrebbero negato quell’occasione di voto, 
perché non adatta al sentire del “popolo”!).
Parecchi di quei molti continuano a stare con questo percorso di marcia 
di estensione della democrazia e rifiutano per principio ogni lusinga di efficienza, 
lungo questo percorso di maturità di un popolo. 
In democrazia non esistono scorciatoie; in democrazia si confligge, possibilmente 
in convivialità, con rispetto e dentro una cultura del limite; quando esiste in una riforma 
anche il più remoto pericolo di far saltare qualche "limite" costituzionale già fissato 
per "contenere" il Potere (ad esempio le modalità di elezione di Presidente 
della Repubblica e dei giudici della Corte Costituzionale), bisogna  allarmarsi, 
comunque, a prescindere, senza guardare in faccia a nessuno. Alla semplificazione 
della velocità la democrazia preferisce la  m i t e z z a  del dialogo, perché solo 
la mitezza paziente obbliga all'educazione, al rispetto, alle decisioni comuni in termini 
di “regole”; bisogna dubitare delle "vie brevi", veloci, allettanti e ingannevoli, 
perché travolgono, passando oltre senza fermarsi a riflettere, le libertà reali 
delle persone. Forse hanno ragione gli studenti, almeno idealmente, 
quando affidano, a un cartellone in un corteo per il NO, queste parole: 
Sul nostro futuro decidiamo noi!”. 
.
O no?
Severo Laleo


martedì 22 novembre 2016

De Luca, il governatore, il premier Renzi e il PIL: quando il fine giustifica i mezzi

Quando in questo blog si scrive della assenza, 
nella "nuova" gestione del Governo, di un sistema 
di valori ideali (eppure, per definizione, la Politica 
dovrebbe guidare il processo di civilizzazione 
dell'umanità), e dell'assenza, quindi, di un orientamento 
etico, quando si scrive dell'assenza di "cultura del limite" 
e della possibile, quindi, esplosione di una latente violenza, 
si vuole essenzialmente  porre l'attenzione 
sulla degenerazione dell'agire politico 
(oltre il limite del lecito) nel tentare di ottenere 
un qualche vantaggio/risultato a qualsiasi costo, 
di raggiungere un qualche fine con qualsiasi mezzo. 
In una parola, l'assenza di cultura politica, 
con il suo fondo dialogico e mite e conviviale, 
genera la lotta per il Potere, agitando un grezzo 
e primitivo istinto machiavellico. 
Un esempio vivo? Ecco.
De Luca, il Governatore spiccio e facile all'insulto 
e tutto teso al risultato, "vecchio stampo", 
di una Campania comunque più avanti e civile, 
incita, con il suo parlare incivile, 300 sindaci 
a darsi da fare, con ogni mezzo, per portare 
quanti più voti possibili al SI nel referendum. 
Forse perché il referendum rende il Paese più moderno? 
No, perché Renzi è un "fiume di soldi". 
La chiarezza non difetta al De Luca. 
Renzi, il Premier veloce e facile a inventare "bonus" 
e tutto teso a vincere, "nuovo stampo", di un'Italia comunque più avanti e moderna, dichiara, 
senza imbarazzo, per non perdere voti freschi: 
Non condivido i metodi di Vincenzo De Luca, 
ma se tutto il Sud fosse stato amministrato 
come Salerno, avremmo un punto di Pil in più”. 
Anche il Premier ha il dono della chiarezza 
d'inganno degli slogan: forse, per un pugno di Pil, 
va bene tutto. Anche 100 De Luca nel Sud!

O no? 
Severo Laleo

sabato 19 novembre 2016

Un’”accozzaglia” di NO ... per difendere la mitezza della Costituzione del 1948



Il Premier, a Matera, nella terra dura dei “sassi”, terra pronta a scavare
in ognuno di noi riflessioni profonde sulle radici della fatica umana per vivere,
a Matera, il Premier, incurante della grevità delle sue parole,
nella sua personale battaglia propagandistica per il SI, sempre oltre il limite
della sua istituzionale figura, grida insultante: “In questo referendum vediamo
che c'è un'accozzaglia di tutti contro una sola persona. Senza una proposta 
alternativa. Ma vi rendete conto che ci sono Berlusconi e Travaglio insieme, 
D'Alema e Grillo insieme...". E addita nomi/volti al comune spregio.
Quanto inganno e quanta violenza in questa maniera di esprimersi!
E’ solo burbanza parolaia o svela un’aggressività reale? E perché?

1. L’inganno
L’inganno è confondere un voto libero, di libera coscienza, di ogni libera
persona, pro o contro la Costituzione del 1948, con una battaglia di scontro 
politico elettorale. Perché dovrebbero avere una proposta alternativa i Berlusconi 
(Forza Italia), i Travaglio (un giornalista), i D’Alema (fino a prova contraria del PD, 
e compagno di partito del Premier), e i Grillo (M5S), se il tema è la difesa 
della Costituzione? Qual è il nesso logico tra un voto personale e di libera 
determinazione a difesa della Costituzione del 1948 e l’obbligo di una proposta 
alternativa? L’inganno è ridurre la libertà della persona liberamente comunque 
votante –si tratta di milioni di persone, nerbo liberale della nostra democrazia- 
a “seguace” di questo o l’altro “Capo”, confondendo il libero convincimento 
con la gregarietà. E’ questo il livello ormai della nostra democrazia? 
Se questa è la logica del “Capo del Governo”, la logica cioè del con me 
(la maggioranza silenziosa) o contro di me (l’accozzaglia di tutti), 
ogni persona in grado di giudicare in maniera critica e autonoma
ogni persona educata, grazie alla Costituzione del 1948, alla democrazia 
tra pari, non dovrebbe molto preoccuparsi per la salute istituzionale 
del proprio Paese?

2. La violenza
La violenza è contrapporre alla “persona” del Premier l’”accozzaglia
di tutti gli altri! Accozzaglia? Si conosce il significato delle parole?
Un NO, libero, anzi ora anche coraggioso, è forse un numero in un’accozzaglia?
Donde deriva al Premier tanta maleducazione? E questo il suo esempio dall’alto
per esprimere rispetto di ogni decisione? Per quale strano mistero,
noto solo al Premier, la scelta libera del NO serve a riempire semplicemente 
un’accozzaglia contro la sua persona? Ma sa il Premier dell’esistenza di milioni 
di persone libere, le quali non sono ossessionate dalla centralità della persona 
del Premier? Perché continuare a ridurre un referendum costituzionale 
in una lotta per il Potere? E solo per addetti ai lavori (Berlusconi, D'Alema, 
Renzi, Grillo)? E non è forse questa lotta per il Potere anche  il perno centrale 
della battaglia del Premier?

Avverto una profonda amarezza nel vedere il Premier del mio Paese
parlare la lingua dei maleducati, dei violenti, degli ostinati dall’ambizione
del Potere e basta. E avverto una più profonda amarezza se osservo 
la determinazione con la quale, il Premier, il Premier di tutti, ha deciso 
di dividere/lacerare il Paese, con la complicità di un ex Presidente 
della Repubblica e il silenzio del nuovo inquilino del Quirinale. 
Ancora una volta cui prodest?

Per evitare di “giungere alle mani” tra le maggioranza silenziosa del Premier
e l’accozzaglia degli altri, per non abituarsi a leggere con disprezzo le immagini 
di uomini politici di un fronte (giungerà a breve ad hoc un depliant del Premier),
per confermare un libero spirito Costituente di dialogo e di dibattito, conviene forse 
opporre alle parole di inganno e di violenza del Premier (ricordando, per onor del vero, 
in questa gara di insulti non essere da meno molti dei NO) la mitezza 
della Costituzione del 1948.
O no?

Severo Laleo

mercoledì 16 novembre 2016

La ferita insidiosa del referendum della discordia. Lettera a un amico




Carissimo mio amico, ti ricordi?, era già successo. Ai tempi di Berlusconi.
Ai tempi cioè della divisione netta del Paese tra berlusconiani
e antiberlusconiani. E ricorderai, i “vecchi”, i quali pur avevano vissuto
le lotte furibonde tra democristiani e comunisti in difficili periodi
elettorali, mai avevano registrato una portata di risentimento personale
così esacerbante gli uni contro gli altri come con Berlusconi imperante,
quando a  dominare il linguaggio politico non era la vita reale delle persone,
ma il “corpo” di Berlusconi. La “vita” di Berlusconi. E il suo Potere.
E mai era successo che un’intera classe politica fosse così suddita
e serva e prona nei confronti del suo “Capo”, da votare in Parlamento
la macroscopica, indigeribile bugia, nostra vergogna perenne:
Ruby, nipote di Mubarack!”.
E tutto è successo, noi ben sappiamo, perché la logica del Capo
non è una logica della Democrazia.
I tempi di Berlusconi sono stati grevi e duri per divisione politica,
anche all’interno di interi gruppi familiari, dove la continuità degli affetti
non sempre è stata più forte della divisione politica, con liti ad personam:
o con Berlusconi o contro Berlusconi!
Per fortuna per noi, con Berlusconi la divisione attraversava due campi
ben distinti: centrodestra e centrosinistra, pur con i soliti interessati
transfughi e trasformisti, genìa molto italiana (in Italia siamo facilmente
di destra o di sinistra senza essere mai stati prima “liberali”;
si preferisce il tifo e l’accucciarsi silenzioso alla militanza critica,
soprattutto, ben sai, per un avvilente danarismo!).
Ma noi, caro amico, in quei tempi si era, anche con personali differenze,
insieme a difendere la Costituzione contro i pericoli di una svolta
nella direzione della governabilità contro rappresentatività.

Sembravano finiti quei tempi! Invece no! Che è successo ora?
Ancora una volta troppi si insultano e si dividono, ancora su una persona,
un “Capo” (l’onnipresente Renzi e/o il dietro le quinte Napolitano?),
un “Capo” comunque, ancora una volta innovatore costituzionale
(anche Berlusconi scese in campo per innovare, anzi per guidare una “rivoluzione”),
ma non in grado di capire la stridente e pericolosa contraddizione
di una riforma valida comunque per tutti, ma decisa con forza
(una forza ammirata dai seguaci plaudenti) solo grazie ai numeri
di una maggioranza gonfiata da una legge elettorale incostituzionale,
il Porcellum, e da alleanze non sempre alla luce del sole.
Eppure questa volta la divisione è più acerba, più pesante,
più tracciante sofferenze, perché giunge a separare amici
e compagni di una vita. E a volte padri e figli.
Viene a produrre ferite proprio nel corpo di quanti per una vita
hanno creduto di avere valori comuni; e condivisione di comportamenti,
grazie a tanti scioperi insieme, a tante manifestazioni corali.
Soprattutto a difesa della Costituzione e del controllo democratico
di ogni sua “riforma”.

Quanto uniti, e forti di un’idea di democrazia integrale,
si era, ricorderai benissimo, ai funerali di Berlinguer?
E’ vero, cambiano i tempi, la società, le persone, i nomi,
ma può mai cambiare, senza una riflessione comune
e ponderata, la direzione di marcia verso l’estensione della democrazia
con un’inversione verso la sua riduzione?
Questo è cambiare verso?
Abbandonare la scelta antica, e densa di proposte, di essere con gli ultimi
e i poveri, per stringere legami teneri e arrendevoli con i primi e i ricchi?
E che ricchi!
E ora? Ora, caro mio amico, si scoprono, quei “compagni”, a difendere,
comunque sia, visioni differenti e contrastanti della “democrazia”,
a vedere il male dove per anni hanno situato il bene, a subire,
solo ascoltando, metodi diversi di argomentare, stili di comunicazione
chiassosi, sfottenti, sarcastici, zeppi di slogan, dopo aver partecipato,
per una vita, tutti insieme e di persona, alla formazione della comune
cultura politica, solidale, magari fumando troppo, dopo aver con pazienza
rinunciato, se non tutti, molti almeno, in attesa di tempi migliori,
a battersi, ad esempio, a difesa dell’art. 18 (nel suo significato reale
di rispetto profondo della persona nel lavoro),
o per una scuola libera da ogni condizionamento burocratico
(i nuovi dirigenti scolastici, parecchi oggi felici per il “nuovo potere”,
pronti a intervenire per “contenere” la costituzionalmente protetta
libertà di insegnamento, non s’accorgono di essere tornati a reggere
un meccanismo facilmente dall’alto controllabile e guidabile,
ad opera di una nuova burocrazia di servizio).
Una divisione, non per argomenti, ma tra persone, artefatta, cercata,
costruita proprio in un campo, il campo delle regole, nel quale tutti,
proprio tutti, almeno tra quanti accettano l’idea di “regola”,
hanno diritto di arare. Cui prodest? Perché tanto diffuso astio?
Ha una sua origine? Interna o anche esterna? Potrà produrre nuovi ideali?
Dove è stato nascosto/confinato il “Bene Comune”?
E’ così breve e labile la nostra memoria?

Infine tanta amara divisione solo per una lotta per il Potere
(a sentire le accuse, senza pudore, vicendevoli, degli uni contro gli altri),
soprattutto da gran parte delle classi dirigenti ora guerreggianti,
indifferenti per consolidata cultura (si fa per dire!) al Bene Comune.

Quando si è votato nel 2013, tutto questo non era né in programma
né immaginabile. E se per “vincere” la sfida epocale (nuovi o vecchi,
gli italiani si divertono con la sceneggiata) si perde il senso del limite,
se si cede all’oltraggio, forse la strada per la discordia, irreversibile,
è già aperta. E se una deriva autoritaria è in futuro probabile, oggi
è già in atto, da ogni parte in guerra, una deriva sfrontata e insolente.
Per questo, per evitare di dare il mio contributo a questa deriva,
carissimo amico mio, credo giunga utile il conforto del (mio) silenzio.


O no?
Severo Laleo


Promemoria per il Referendum: eguaglianza opera di civiltà



In tempi di negazione/confusione di differenze tra destra e sinistra,
in tempi di ricerca di “potere/dominio” da parte di tanti Maschi Alfa,
pur nelle vetuste democrazie dell’Occidente,
in tempi di riduzione degli spazi di democrazia
per superare il fastidio del dibattito
a fronte di rapide decisioni in affari e impresa,
in tempi di inchini a una ricchezza senza limiti,
in tempi di disconoscimento dei diritti della povertà
comunque si configuri, a livello planetario,
forse è bene ricordare ai più, con Guido Calogero,
che “la diseguaglianza appartiene alla natura
ma il lavoro della libertà umana è sempre quello
di vincerla e di ricondurla nell’ambito della maggiore
eguaglianza possibile, che è opera di civiltà
e continua e inesauribile “correzione” della natura ineguale”.

Altrimenti è barbarie.

O no?

Severo Laleo

lunedì 14 novembre 2016

Promemoria per il Referendum: democrazia è colloquio



In tempi di ricerca di rapporto diretto tra “capi” e “seguaci”,
in tempi di fastidio per la fatica della negoziazione continua,
in tempi di urla scomposte e insulti contro ogni interlocutore,
è bene ricordare, con Guido Calogero, che la democrazia è “colloquio”, ricerca di “un armonico contemperamento 
fra intervento proprio e cordiale attenzione per l’intervento altrui”. Perché l’agire politico non è autoaffermazione 
e “volontà di potenza”, ma volontà di comprendere l’altro 
e di costruire, insieme all’altro, nel rispetto del “senso del limite” 
e della misura,  uno spazio comune e condiviso.
La volontà del limite, in contrapposizione con la volontà di potenza,
connota la concezione della civiltà ed “è a un tempo limitazione
e promozione di libertà”.

O no?
Severo Laleo


domenica 13 novembre 2016

La riforma costituzionale, una scelta politica e culturale passatista per bloccare/superare la Costituzione dell’Antifascismo



Statuto Albertino 1848
Del Senato Art. 33. - Il Senato è composto di membri nominati a vita dal Re,
in numero non limitato, aventi l'età, di quarant'anni compiuti, e scelti 
nelle categorie seguenti: 1° Gli Arcivescovi e Vescovi dello Stato; 2° Il Presidente della Camera 
dei Deputati; 3° I Deputati dopo tre legislature, o sei anni di esercizio; 4° I Ministri di Stato; 
5° I Ministri Segretarii di Stato; 6° Gli Ambasciatori; 7° Gli Inviati straordinarii, dopo tre anni 
di tali funzioni; 8° I Primi Presidenti e Presidenti del Magistrato di Cassazione e della Camera dei Conti;
 9° I Primi Presidenti dei Magistrati d'appello; 10° L'Avvocato Generale presso il Magistrato 
di Cassazione, ed il Procuratore Generale, dopo cinque anni di funzioni; 11° I Presidenti di Classe 
dei Magistrati di appello, dopo tre anni di funzioni; 12° I Consiglieri del Magistrato di Cassazione 
e della Camera dei Conti, dopo cinque anni di funzioni; 13° Gli Avvocati Generali o Fiscali Generali 
presso i Magistrati d'appello, dopo cinque anni di funzioni; 14° Gli Uffiziali Generali di terra e di mare. 
Tuttavia i Maggiori Generali e i Contr'Ammiragli dovranno avere da cinque anni quel grado in attività; 
15° I Consiglieri di Stato, dopo cinque anni di funzioni; 16° I Membri dei Consigli di Divisione, 
dopo tre elezioni alla loro presidenza; 17° Gli Intendenti Generali, dopo sette anni di esercizio; 
18° I membri della Regia Accademia delle Scienze, dopo sette anni di nomina; 19° I Membri ordinarii 
del Consiglio superiore d'Istruzione pubblica, dopo sette anni di esercizio; 20° Coloro che con servizi 
o meriti eminenti avranno illustrata la Patria; 21° Le persone, che da tre anni pagano tremila lire 
d'imposizione diretta in ragione de' loro beni, o della loro industria.

In breve, lo Statuto del 1848 prevede un Senato di nominati, 
ma tra persone con alte esperienze di servizio pubblico.
Nessuna possibilità di accesso agli evasori!
E diventa, per forza di regole, espressione di  una “casta”
(absit iniuria verbis).

Costituzione del 1948
Art. 57. Il Senato della Repubblica e` eletto a base regionale, salvi i seggi 
assegnati alla circoscrizione Estero. Il numero dei senatori elettivi 
e` di trecentoquindici, sei dei quali eletti nella circoscrizione Estero.

In breve, la Costituzione del 1948 prevede un Senato eletto dal popolo 
a suffragio universale, ma con senatori di almeno 40 anni. 
E diventa, per forza di regole, espressione di comunità regionali.

Riforma 2016
Art 57. Il Senato della Repubblica è composto da novantacinque senatori 
rappresentativi delle istituzioni territoriali e da cinque senatori 
che possono essere nominati dal Presidente della Repubblica. 
I Consigli regionali e i Consigli delle Province autonome di Trento 
e di Bolzano eleggono, con metodo proporzionale, i senatori 
fra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascuno, 
fra i sindaci dei comuni dei rispettivi territori.

In breve, la Riforma del 2016 prevede un Senato di “scelti/eletti/nominati” 
(ancora da definire), tra Consiglieri Regionali e Sindaci 
senza più vincoli dell’età. E diventa, per forza di regole, 
espressione di  una “casta” locale (absit iniuria verbis?).

Compariamo: lo Statuto del 1848 prevede un Senato di nominati 
tra determinate categorie.
La Costituzione del 1948 prevede un Senato di eletti dal popolo a suffragio 
universale tra tutte le persone di almeno 40 anni.
La riforma del 2016 prevede un senato di “scelti/eletti/nominati” 
tra due determinate categorie: consiglieri regionale e sindaci. 

Forse è onesto, per restare moderni, preferire il profondo respiro
democratico della Costituzione del 1948.

O no?
Severo Laleo


venerdì 11 novembre 2016

Il SI di Luigi Berlinguer, l'anniversario di Antonio Gramsci e l'invito di Pescara



Si sa perché l'ex ministro della (Pubblica) Istruzione Luigi Berlinguer
vota SI, ora, al prossimo referendum costituzionale. E' facile.
Vota SI, perché ha dimostrato, negli anni del suo governo della scuola,
di avere una visione della burocrazia centrale di Stato direttiva,
onnivora e pigliatutto (una volta anche abbonamenti a riviste si decidevano
al “centro”!), in contraddizione piena con il parallelo sviluppo di norme
per l’autonomia scolastica; e conseguentemente di avere una visione 
"amministrativa" della democrazia, secondo la quale è possibile 
guidare dal "centro", con obbligate procedure, tutte le attività 
(dagli scrutini alla scelta dei libri di testo!).
Per questo non si smentisce Luigi Berlinguer con il suo SI. Tra l’altro 
parecchi a sinistra hanno questa "coerenza": centralismo vs autonomia.

Nel 1997, l'allora ministro Berlinguer, con molta disinvoltura istituzionale,
firmò una Circolare per invitare le autorità scolastiche periferiche
a celebrare il 60° anniversario della morte di Antonio Gramsci
(povero Gramsci!). La circolare creò qualche sconcerto,
ma diede la misura di una visione: il ruvido dirigismo del Ministro
persino in un settore a libertà costituzionale garantita.
Per fortuna il mio buon Preside, con una comunicazione interna,
"liberò" ogni docente da una pur burocratica osservanza,
stroncando quell'invito dall'alto con queste parole (a memoria):
"non è mestier di Ministro indicare le personalità della storia da celebrare 
a scuola". Era il minimo sindacale in difesa dell'autonomia didattica.

Oggi è nei giornali la notizia dell'invito rivolto, tramite i dirigenti scolastici,
a studenti e docenti a partecipare a Pescara a un'iniziativa "culturale"
riempita dalla presenza del Premier, non direttamente dal Ministero,
ma da parte della sua periferica burocrazia scolastica,
al servizio, forse, per timore o per condizionamento o per servaggio,
del Potere Politico. Basta riprendere qualche passaggio dell'invito
(l’evento è il Festival delle Letterature di Pescara): "Spettabili dirigenti ....
ci farebbe piacere (ci farebbe piacere? che significa?)
che ne deste comunicazione ai vostri docenti e studenti, in modo da favorire
la loro massima partecipazione alla rassegna (perché mai? per quale
specifico –e imprevisto- obiettivo didattico?) ... Il Festival
sarà aperto, giovedì 10 novembre, presso il teatro Circus di Pescara,
dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi, che sarà intervistato da Luca Sofri:
mai, in Abruzzo, un evento culturale è stato inaugurato alla presenza
di una così alta carica dello Stato.” (è scritto proprio così!).
La visione non cambia: centralismo vs autonomia. E con adulazione.

Se quindi è possibile oggi alla burocrazia scolastica una così plateale 
ingerenza, con un invito mirato e raccomandato, nella programmazione 
educativa di tutte le scuole di una città/provincia/regione, quanto sarà facile 
domani alla "nuova" burocrazia, alle dirette dipendenze di un più "forte
Potere Politico, entrare nel vivo del corpo scolastico a dettar norme 
e disposizioni di natura educativa? Soprattutto con la Buona Scuola 
e il suo controllo diretto
dei Dirigenti Scolastici? Quale visione avrà della autonomia scolastica
la "nuova" burocrazia, se già fin da ora è così attenta a "servire"?
La riforma della Costituzione è il compimento sia di una visione politica
di riduzione della democrazia, proprio attraverso una "nuova"
burocrazia politica dominante (l'attacco alla burocrazia di oggi, in parte giustificato,
è anche un attacco alla sua autonomia), sia di una svolta nelle relazioni
Stato/Autonomia Locale nella direzione di un centralismo diffidente
del dibattito democratico e impaziente di agire.
E così spetta alla "nuova" Politica di restaurare il "vecchio" centralismo.
Forse ogni idea di velocizzazione/semplificazione dei processi decisionali
reca sempre con sé una visione oscura di "dominio".
O no?

Severo Laleo

lunedì 7 novembre 2016

La Leopolda, la battaglia finale, il “fuori fuori” e l’idea di democrazia




La battaglia finale del 4 dicembre –grida, a leggere HP,  il Premier
(il Premier di tutti!)- è il derby (la fissazione per il calcio, di memoria
berlusconiana, è dura a morire!) tra passato e futuro, cinismo e speranza,
rabbia e proposta, la nostalgia e il domani”.
E la dominata platea dei seguaci (o tifosi), la platea cioè del futuro 
contro il passato, della speranza contro il cinismo, della proposta 
contro la rabbia, del domani contro la nostalgia, appena il Premier 
(il Premier di tutti!) si scaglia contro D'Alema, Bersani, Speranza 
(Cuperlo è salvo per un pelo), urla, già pronta per la battaglia finale 
(aggettivo di tristissima connotazione): “Fuori, Fuori”.
Il Pd del mite Bersani è definitivamente morto: la Leopolda tiene 
altre persone, altri propositi, altra cultura, altre alleanze, altra vis.
Se non sei leopoldino, sei il passato, sei cinico, sei rabbioso, sei nostalgico.
Si è ormai oltre il limite, il senso della misura è perduto, 
in un manicheismo infantile, con hybris in agguato. Eppure il Premier 
è il Premier di tutti, anche dei cattivi con il NO!

Passi pure il tifo da stadio (da Craxi, a Berlusconi, a Renzi il tifo 
è sempre contro un “nemico”), ma non si può lasciar passare 
l’idea corta di democrazia espressa nelle parole di foga dal Premier 
(il Premier di tutti!). Quali parole? Eccole, ancora recuperate in HP.
Nel difendere la sua Riforma contro il fronte del NO, il Premier strilla:
Loro dicono di difendere la Costituzione, ma semplicemente cercano 
di difendere i loro privilegi (chissà perché i privilegi dei “loro” 
sono diversi dai privilegi dei “suoi”) e la possibilità di tornare al Potere
(grida proprio Potere!) Sanno che il 4 dicembre è la loro ultima occasione 
per tornare in pistaquesta è la partita (e dai, basta, Premier, 
con le solite parole: pistapartita, rigore, palla, scendere in campo)
non ce n’è altre, non ci prendiamo in giro! Ma quale articolo 70!”. 
Quando si dice entrare nel merito! 
Non c’è che dire, è proprio la battaglia finale.

Incredibile! La stampa ripete e non vuole comprendere 
la gravità delle parole. Ormai  nel ventennio dei leader e dei leaderini 
(Renzi è l’ultimo tra i tanti) abbiamo perso il senso di comunità 
democratica. E’ una rissa continua. E sempre tra i “capi”. 
Le persone normali sono invitate a ascoltare e a seguire.
Rileggiamo questo passaggio “loro … semplicemente cercano … 
la possibilità di tornare al Potere”. La battaglia è per il Potere!
Bisognerebbe preoccuparsi (si fa per dire: siamo pur sempre italiani!)
per le parole usate dal Premier (il Premier di tutti!) per attaccare
i sostenitori del NO. Sono parole pesanti: da una parte, tutte rivolte 
ai leader (anche qui, si fa per dire, ma quali leader!) di quel campo del NO,
senza prendere minimamente in conto le ragioni sincere di milioni 
di persone decise liberamente a votare NO, a prescindere da quei leader 
(D’Alema, De Mita, Berlusconi), dall’altra rivelano un’idea disordinata 
e personalissima della democrazia; sembra dire il Premier 
(il Premier di tutti!): attenti, se vince il NO, “loro” potrebbero tornare 
al Potere; se invece vince il SI’ gli si toglierà la possibilità di tornare 
al Potere. Il SI’ servirà a sbarrargli la strada.
Perché, cosa cambia veramente con la Riforma? Che c’entra il SI’ 
con il tornare al Potere? Perché il SI’ dovrebbe impedire a “loro” 
di tornare al Potere. Non sono forse libere le elezioni? 
O si sa già chi prenderà il Poterechi vincerà, cioè, 
e con quale legge elettorale, le prossime elezioni politiche, 
solo in conseguenza del risultato referendario? 
E perché sarebbe la battaglia finale? Per chi?
E quale valore esprimono in democrazia tutti i NO di milioni di persone 
interessate solo all’estensione e non alla riduzione degli spazi 
di democrazia?  Anche quei NO lottano per il Potere?
Qualcosa non torna.
Anche qui la colpa sarà della fretta e della semplificazione.
E Napolitano, già Presidente super partes (si fa per dire), 
non ha nulla da raccomandare? E’ anche lui per la battaglia finale
E a chi appartiene?  A quei ”loro” o ai “suoi”?
Tertium non datur! Che disastro!
Anche il voto del Presidente Mattarella, pur simbolo di unità, 
in questa logica, servirà a spaccare in due il Paese.
Sarà bene si astenga, se è l'ultima battaglia. Non può partecipare 
alla  battaglia finale! Il sospetto di essere, in questa battaglia finale,
comunque da una parte, sarebbe troppo pesante per il garante dell'Unità.
Nella battaglia finale dovrà essere neutrale.

Una volta - i giovani di oggi non potranno capire - in Italia si applicava
contro il PCI la conventio ad excludendum; quell’idea ad excludendum 
ora torna in auge con più vis d’azione. Ma contro quei “loro”.
Insomma la Riforma serve per impedire a quei “loro” di tornare al Potere!

Ma dove sono i giornalisti  liberali in questo Paese!

Forse solo per il Premier la preoccupazione non è l’art.70;
il Premier ha un’altra preoccupazione, ed è detta con estrema chiarezza,
ed è quella di togliere, con il SI’, a quei “loro”, la possibilità di tornare 
in pista (ormai la terminologia è sempre da stadio!).
Ecco a cosa servono i SI’; perciò la battaglia è finale!
Quali scenari prevede con il SI’ il Premier (il Premier di tutti!)
tali da sbarrare ai NO la possibilità di tornare al Potere? Non è dato sapere.
Trovo questa vis contro quei “loro” (noi semplici persone libere votanti NO, 
non contiamo per il Premier) molto confusa e sconveniente in un uomo 
di Stato. E pericolosa per il futuro. Anche solo per intrinseca sciatteria.
O no?

Severo Laleo