lunedì 20 giugno 2011

Le parole di SEL: limite, convivialità, rifondazione democratica



 E’ stato pubblicato l’altro ieri, nel sito di Sinistra Ecologia e Libertà (http://www.sinistraecologialiberta.it/), a cura della Presidenza dell’Assemblea Nazionale, l’Odg conclusivo dell’Assemblea Nazionale SEL, dal titolo, un po’ retorico e a timbro slogan, “La partita è riaperta” (e di questi tempi di partite truccate, sarebbe bene tenersi alla larga da questo vocabolario vecchio da mondo del calcio di segno berlusconiano).
E’ un documento ampio, per interlocutori interni (soprattutto sul ruolo e la funzione dei partiti politici) ed esterni (sulla necessità delle primarie). Ma qui sarà utilizzato solo per la sottolineatura di “nuove” parole/idee.
1. L’idea del “limite
E’ scritto nel documento:La chiave di lettura di questi referendum, per noi soprattutto, è quella di spostare inequivocabilmente il nostro punto di vista sulla realtà a partire da una rinnovata cultura ecologista ed ambientalista, che sappia guardare alla crisi del modello di sviluppo e di convivenza sociale, con le lenti della responsabilità nei confronti delle generazioni future, introiettando il concetto del limite, tante volte ignorato da una ideologia sviluppista presente in tutte le tradizioni della sinistra”. L’idea di “limite” è  qui recuperata, giustamente, a partire da una visione ecologista e ambientalista del futuro; ma l’idea di “limite”, se estesa, ad esempio, anche alla dimensione sociale, all’interno di un processo di estensione di una “cultura del limite”, potrebbe, da un lato, marcare la necessità, costituzionale, di definire, attraverso un equo sistema fiscale a incisiva progressività, un limite alla ricchezza, dall’altro, attraverso l’istituzione di un reddito minimo garantito, potrebbe marcare la necessità,  costituzionale, di  definire un limite alla povertà. E la diffusione e la pratica di una “cultura del limite” potrebbero contribuire a includere nel discorso politico l’idea di “mitezza”, e la possibilità stessa, quindi, di introdurre, nel confronto politico, la perseveranza del dialogo contro il continuo ricorso alla guerra, armata e non.
2. L’idea di “convivialità
E’ scritto nel documento: “Dobbiamo poter affermare che è necessaria una rivoluzione del “buon vivere”, un nuovo modello di convivenza e di convivialità”. Lanciare, oggi, nell’epoca del modello berlusconiano, segnato dall’egoismo esasperato e prepotente dei tanti suoi adepti, l’idea della necessità di una rivoluzione del “buon vivere, e, sempre oggi, nell’epoca del danarismo avvilente, dell’affarismo di cricca, del vendersi per toccar potere e incartar denaro,  sia pure con la libertà dei “servi liberi”, lanciare l’idea di una società “conviviale” significa, senza dubbio, aver coraggio, ma se non si sperimenta un’abitudine al “buon vivere” e alla “convivialità, ad esempio, a partire dai circoli SEL, il coraggio diventa parola e il tonfo nel desiderio dell’utopia un fatto. E se, nell’elaborazione dei progetti di legge, si tenesse conto, non solo dell’impatto ambientale, ma anche dell’impatto “conviviale”, forse insieme si imparerà a creare un’abitudine nuova al “buon vivere”.
3. La “rifondazione democratica
E’ scritto nel documento: “…ricostruire una lettura della società e una proposta di rifondazione democratica basata sui principi costituzionali e sul coinvolgimento dei cittadini nelle scelte politiche per il futuro”.
Forse l’opera di una “rifondazione democratica” è la più importante, e precede ogni altra “rivoluzione”.
E il suo inveramento dovrebbe trovar luogo già nell’organizzazione democratica dei partiti, troppo spesso a conduzione monarchica (perché, ad esempio, non si guarda a una conduzione “consolare”, a due, di un uomo e una donna, insieme?).
Nel nostro Paese, la cura del “particulare”,  estranea alle regole di una democrazia liberale,  è ancora molto diffusa, ed è l’esito di una cultura dell'anti-Stato.
La colpa, da una parte, è sì della scuola (con l'inesistente educazione dei giovani alla pratica della democrazia nel rispetto dei principi liberali), e, insieme, del cattivo esempio delle classi di governo (con la pratica diffusa del clientelismo, e del familismo amorale),ma, dall'altra, è soprattutto “merito”,
personale ed esclusivo, della corsa a “meno Stato” del berlusconismo.
E’ stata una colpa la scarsa attenzione della cultura scolastica italiana ai principi fondamentali del liberalismo. Nelle migliaia di pagine dedicate, nei tantissimi testi scolastici di storia e filosofia, alle vicende e alle idee del Novecento, solo pochissime volte si incontra il nome di Piero Gobetti,
e, sempre pochissime volte, si dà conto del suo limpido e meditato, sul piano etico e politico, rifiuto del Fascismo, un rifiuto elaborato con chiarezza già al primo apparire del Fascismo, con i suoi primi violenti attacchi al sistema di regole di uno Stato liberale, un rifiuto esplicitato quasi in solitudine, perché tanti altri intellettuali, pur liberali, preferirono stare a guardare o mantenere un atteggiamento di pericoloso distacco e di ambigua equidistanza. Se il popolo italiano avesse potuto comprendere a fondo e interiorizzare la lezione di Gobetti, forse non saremmo qui oggi a parlare di rifondazione democratica.
Ma è merito personale e esclusivo di SB l'aver conquistato a sé il consenso, certo non del popolo, per così dire, gobettiano, ma, sicuramente, con pieno successo, di quel popolo, soprattutto di destra, che pur aveva manifestato un'alta considerazione e un rispetto totale nei confronti dell'azione dei giudici di mani pulite, schierandosi quindi a difesa dello Stato contro la cattiva politica delle tangenti. E proprio a partire da tangentopoli, con un'opera martellante e continua (basti ricordare, solo per fare un esempio, i forsennati attacchi al ruolo di servitori dello Stato dei giudici nella trasmissione “Sgarbi Quotidiani”), SB è riuscito a trasformare quel popolo di difensori, comunque, della primazia dello Stato nei confronti dell'agire dei governanti, in fanatici tifosi, da stadio, dell'intoccabilità del Capo, perché eletto dal popolo,di fronte alla legge e ai giudici, tifosi pronti a dare, lieti dell'irriverente linguaggio del calcio, del “cornuto” all'arbitro. Forse più che il carisma poté il danaro.
E con passar degli anni, anche nella maggior parte della popolazione, grazie a quest'azione pubblicitaria di disgregazione dei fondamenti di uno Stato liberale, la magistratura si trovò a scendere, nelle classifiche della fiducia dei cittadini, dal primo posto ai posti di coda.
Tocca a SEL, con nuova pazienza,e a tutti gli oppositori, oggi d'obbligo liberali, rifondare la democrazia.
O no?
Severo Laleo

giovedì 16 giugno 2011

Il ritorno del senso del limite

Oggi vorrei semplicemente segnalare e fare mio quest'intervento di Ugo Mattei, pubblicato su Il Manifesto.


Persone comuni alla conquista della storia
Un'emozione politica così forte non me la ricordavo più. Erano almeno vent'anni che le nostre idee, la nostra passione e il nostro immaginario venivano sistematicamente sconfitti in modo del tutto bipartisan. In questi sciagurati vent'anni di "fine della storia" le poche belle fiammate politiche venivano dalla ribellione sempre repressa con violenza bruta da uno Stato progressivamente asservito ai poteri forti. Vent'anni di accentuato delirio di onnipotenza da parte dei vincitori della guerra fredda. Vent'anni in cui la guerra calda è stata normalizzata e trasformata in polizia internazionale.
In questi vent'anni la sovranità passava implacabilmente dalle istituzioni politiche nazionali, a quelle economiche globali simbiotiche con gli apparati militari e industriali che governano gli Stati uniti d'America. In questi vent'anni nel mondo occidentale la sinistra declinava drammaticamente perché gli assetti politici tollerati dai nuovi padroni globali del mondo non potevano che convergere al centro (cioè a destra). Insieme alla sinistra e a un pensiero ecologista ancora incapace di declinarsi con piena dignità politica, tramontava in tutto l'Occidente il senso del limite. In Italia il terreno preparato dal craxismo in piena era reagan-tatcheriana, spazzava via quel pudore, quella sobrietà, se vogliamo pure quell'ipocrisia (che pur sempre è senso del limite) che tradizionalmente caratterizzava tanto la vecchia Democrazia cristiana quanto il Partito comunista, risparmiando agli italiani se non altro l'orrore della volgarità autocompiaciuta. In questi anni si diffondeva potente e vincente, amplificato dalla professione degli economisti che in massa avevano abbandonato Keynes, il pensiero neoliberale. Il pensiero critico fuggiva da Marx e si trasformava progressivamente in pensiero debole. Il diritto abbandonava le vecchie pretese di costruire un governo democratico dell'economia e si trasformava in un apparato sempre più mite con i forti e forte con i deboli. Sul piano delle politiche la globalizzazione imponeva flessibilità, nuovi sfruttamenti, privatizzazioni, trasferimenti massicci dal pubblico al privato, saccheggio dell'ambiente e dei beni comuni.
Per molti di noi questi sono stati vent'anni di studio e di riflessione, dedicati a capire i fenomeni intorno a noi e a immaginare come concretamente avrebbe potuto essere un mondo diverso, più bello, cosmopolita e rispettoso di tutti. Sul finire degli anni novanta abbiamo cominciato sistematicamente a raccogliere dati accademici e materiali politici sul fallimento di quel modello di sviluppo. All'inizio del nuovo millennio la battaglia di Cochabamba mostrava come l'acqua, che tutto fa vivere e tutto connette, fosse al cuore delle nuove dinamiche di sfruttamento e di saccheggio di Gaia, il nostro pianeta vivo. La categoria giuridico-politico del "comune" cominciava ad essere elaborata e forniva un prodigioso linguaggio nuovo capace di connettere fra loro le tante diverse battaglie di coloro sulla cui pelle si stavano svolgendo i processi della globalizzazione finanziaria. Spesso le pratiche nuove camminano sulle idee nuove e i beni comuni hanno svolto e svolgeranno ancora questa funzione. Sono stati i beni comuni a legare fra loro le battaglie contro la legge Gelmini dell'autunno scorso, quelle contro il ricatto della Fiat, nonché quelle di lunga durata sui territori dai No Tav al No Dal Molin.
Queste persone, questi territori e queste battaglie hanno ripreso dignità con questa vittoria. Soprattutto, nella battaglia referendaria si è verificato un prodigioso risveglio di tante persone comuni, i veri protagonisti di questa battaglia. Tanti laici, cattolici, comunisti, ambientalisti, accomunati da un rispetto del senso del limite dell'uomo nei confronti della natura e scevre dal delirio di onnipotenza e dal narcisismo. Questo è il nuovo blocco sociale che ha vinto il referendum e vuole guidare un'inversione autentica della rotta. È stato questo un referendum pensato da persone comuni e votato da persone comuni. Un referendum di cittadini che ha saputo sconfiggere la mercificazione e la trasformazione del cittadino in consumatore abbindolato dal marketing.
A queste persone comuni che stanno facendo l'Italia del dopo fine della storia non importa chi si intesterà la vittoria referendaria. A tutti costoro non importa la politica dei talk show perché mentre c'erano i talk show in tutto quest'ultimo anno e mezzo accorrevano in frotte ai nostri comizi e ai nostri momenti di formazione critica. Queste persone hanno dato un messaggio politico forte e chiaro. Basta con l'ideologia della fine della storia. Basta con la falsa tirannia del rigore economico a senso unico che ha attraversato in modo completamente bipartisan lo scorso ventennio. La micro contingenza della politica attuale del palazzo italiano ci interessa assai poco. Ma certo non sarà una nuova convergenza al centro in nome della sconfitta del berlusconismo che ci proponga governi di salvezza nazionale da primi anni novanta (per intenderci un'asse Bersani-Tremonti) che potrà pensare di interpretare questi nuovi eventi.
I referendum sono stati il corrispondente italiano delle Primavere arabe e degli indignados. I leader capaci di interpretarli in parte ci sono e in parte verranno. Per ora abbiamo fermato il saccheggio finale dell'acqua e dei servizi pubblici di interesse generale; abbiamo scongiurato la follia nucleare in Italia e abbiamo salvato la democrazia diretta nel paese. Non poco per delle persone comuni.

martedì 14 giugno 2011

Un popolo “nuovo” in corsa per la democrazia.

Il risultato complessivo della tornata referendaria esprime, con chiarezza,
l’esistenza di un “nuovo” popolo non più disponibile a delegare ad altri
le decisioni fondamentali intorno ai "beni comuni":
per questa volta, l’acqua, la tutela della salute e dell’ambiente, 
l'uguaglianza di tutti davanti alla legge.
Chi ha votato, a prescindere dalla sua collocazione politica, 
a sinistra, al centro, a destra,
ha voluto, tra l'altro, esprimere, a mio avviso, e in prima persona,
anche queste semplici valutazioni:
1. non abbiamo bisogno delle indicazioni dei partiti, o peggio, 
dei “capi” per “scegliere”;
2. vogliamo e sappiamo contare, senza “aiutini”, soprattutto quando si vota; 
3. e sappiamo, in rete, non solo "giocare", ma anche "agitarci", 
quando e se necessario;
4. sappiamo di essere uguali, senza distinzione alcuna, davanti alla legge;
5. e, per questo, la “legalità” per noi viene prima di tutto 
(si può essere a favore del nucleare, ma non contro il principio
“la legge è uguale per tutti”!);
6. abbiamo fiducia nel “pubblico”, soprattutto quando si tratta di gestione 
di un bene pubblico, qual è, per questa volta, l’acqua;
7. ma questo non significa che nel “pubblico” la classe politica 
possa continuare a decidere e fare affari, per la spinta degli interessi privati, 
fuori dall’interesse pubblico;
8. vogliamo un ambiente sano e pulito, e soprattutto non correre rischi 
di nessun tipo con il nucleare;
9. e poiché abbiamo scelto, con i quattro sì, 
la garanzia del pubblico nella gestione dell’acqua,
la certezza della legge per tutti, 
la sicurezza dell’ambiente dal rischio nucleare,
la tutela della salute per noi e per chi verrà, 
intendiamo estendere anche ai giovani,
e al lavoro dei giovani, garanzie, certezze, sicurezze, tutele.
10. vogliamo, quindi, un’Italia diversa, libera, di centrodestra o di centrosinistra,
ma senza “capi” e senza “servi liberi e forti”.
Questo voto referendario, insieme, dunque, a una voglia di autogoverno,
chiede, in ultimo, una riflessione seria sia sul tema dell'attenzione 
ai limiti nell'uso delle risorse naturali,
sia sull'importanza dell'idea di sostenibilità nel rispetto dell'ambiente,
quasi indirizzando a un'ampia apertura alla cultura del limite.
O no?
Severo Laleo


domenica 12 giugno 2011

Domenica 12 Giugno 2011: l’Italia non è più fascista!




Il sole stamane splende sbilenco. Almeno qui a Firenze.
I portoni dei palazzi anni trenta, spesso a mezzogiorno 
chiusi sulla strada, più volte s’aprono contro il solito.
E il marciapiede offrono non al singolo frettoloso,
ma a coppie e gruppi chiacchieroni.
Si va al bar, si va a messa, si va al giardino, si passeggia, si sosta.
Eppure, se tu riuscissi dall’alto a disegnare il tranquillo 
girìo di ognuno, annoteresti in mappa un unico nodo 
d’incrocio per ogni percorso:
un nodo strano, non frequente di domenica: una scuola elementare.
Al di là della propria direzione, tutti passano per il seggio.
Si va a votare.
E trovi in fila il vecchio solo con il bastone, alto e sorridente,
una nonna stanca, seduta paziente ad aspettare il suo turno,
due giovani, alla soglia del seggio, giovani davvero, a sussurrare,
dolci e discreti, d’amore, un padre chiassoso 
con due piccoli curiosi, la famiglia del colonnello Liberale, 
al completo, nel silenzio del dovere,
i due carabinieri serenissimi a vigilare,
e i giovani del seggio, attivi e timidi, tra schede cellulari e urne.
Ho votato. Quattro sì. Con una vogliosa illuminazione in mente:
l’Italia non è più fascista!
O no?
Severo Laleo
P.S.
E un amico di destra, ma di lontano, a conferma mi scrive:
“ho già votato per il rilevamento delle 11,
nonostante l'età e "lo acciacco" ......”

giovedì 9 giugno 2011

Il futuro del centrosinistra avrà un esordio “liberale”


“Nel cantiere dell’alternativa non distribuiamo le magliette con i colori delle squadre,
ma apriamo piuttosto le porte anche a tanti altri che non vengono dai partiti
e che portano, competenze, esperienze di vita, ricchezza di cultura.
E in quel cantiere, insieme agli altri, proviamo a farci le domande giuste
e a darci le risposte giuste: non è forse questo il programma dell’alternativa?”.
(Vendola, Intervista a cura di Maria Teresa Meli, Corriere della Sera 8 Giugno 2011).

Apriamolo dunque questo "cantiere", questa “bottega artigiana”
con le sue maestranze, con i suoi progetti, con i suoi tempi.
Non abbiamo paura: il pericolo di confusione non esiste,
se ogni compito è rispettato.
Abbandoniamo l’idea antica dell’"orticello",
da coltivare  in egoistico isolamento,
senza slanci ideali, senza sguardo comune.
Guardiamo avanti, a un'alleanza di "educazione liberale",
un'alleanza capace, cioè, di dare all'Italia di domani,
dopo il fascismo, il leghismo, il berlusconismo,
quel che nella Prima Repubblica Dc e Pci mai riuscirono a dare:
una visione e una pratica "liberale" della democrazia,
dove la responsabile serietà del civico comportamento
diventi costume diffuso di tutti. E segni una nuova modernità.
Torniamo a discutere di bene pubblico,
e buttiamo a mare populismi e trasformismi,
imparando a non correre solo dietro il nostro "particulare".
Uniamo tutte le forze “liberali” dell'opposizione, tutte,
per sconfiggere il populismo affaristico e spavaldo
dell'oggi berlusconiano, con il suo seguito a danarismo avvilente.
Svuotiamo con una larga intesa “liberale”,
la strategia dei “liberi servi” di Ferrara,
pronti a rinnovare, ancora una volta, l’inchino al capo.
Costruiamo un'alleanza aperta, di respiro "liberale",
con quanti condividono l’obiettivo politico
della trasformazione "liberale" del nostro Paese,
sia per salvare le nostre attuali istituzioni democratiche,
e insieme estendere i processi per una democrazia avanzata
(penso, ad esempio, alla pratica della trasparenza assoluta),
sia per concordare, con i possibili alleati, una via d'uscita,
rapidamente praticabile, di tanti giovani dal precariato.
Abbiamo il dovere di recuperare democrazia e libertà,
e insieme passione civile, reale e non virtuale,
tanto attesa e pretesa dalle nuove generazioni.
E questo è comunque un compito della sinistra.
Almeno bisogna tentare. E il tentativo inviterà alla chiarezza
e sarà un merito di Sel, anche se andrà male.
Ma a quel punto molti elettori avranno più argomenti per decidere.
O no?
Severo Laleo