domenica 27 febbraio 2011

Il Popolo della Libertà e l'uso distorto del vocabolario. Inculcare per educare

Ha appena finito la sua arringa il capo popolo della libertà.
Ha difeso, davanti a una platea di cristiani, la famiglia italiana
dalle malefatte della scuola pubblica.
E ha gridato convinto: “Educare i figli liberamente vuol dire
di non esser costretti a mandarli a scuola in una scuola di stato
dove ci sono degli insegnanti che vogliono inculcare dei principi
che sono il contrario di quelli che i genitori vogliono inculcare ai loro figli.”
La banalità falsa dell'affermazione è lapalissiana.
Poveri figli. Teste vuote da riempire.
Dovunque siano, a casa o a scuola, trovano sempre in agguato
degli adulti, non importa se buoni o cattivi, ma pronti subito a "inculcare",
minacciosi, dunque, i "principi".
Adulti a una dimensione: mai un carezzare, mai un rimproverare,
mai un dialogare, solo e sempre un "inculcare".
Non si smentisce mai il capo popolo della libertà e signore della tv.
Il suo obiettivo è solo e sempre organizzare campagne d'informazione...pubblicitaria,
giocando, senza regole, con parole, simboli, gesti, comportamenti,
attraverso i quali "inculcare" ogni "principio" utile...per il successo di mercato.
Non ha idea della complessità dell'educazione. Del rischio dell'educare.
Per il nostro, l'educare non esiste, vale solo l'inculcare.
O no?

sabato 26 febbraio 2011

Un vento nuovo dall'Austria: abolire le bocciature


Gira, già da un po’ di tempo, purtroppo solo tra i siti dedicati alla scuola,
e su qualche giornale, la notizia dell’abolizione in Austria, qui a due passi da noi,
della “bocciatura”. Eppure nessun dibattito vero e produttivo s’è aperto né tra,
e all’interno dei, sindacati né tra, e all’interno dei, partiti.
E non parliamo del silenzio della Gelmini, giustamente nascosta e coperta
rispetto a una notizia di questo tipo, e di ora, del duemiiiilauuuundici!
Un silenzio d’obbligo per chi è ideologicamente impegnata nel propagandare
un ritorno al passato, alla cosiddetta scuola del “merito” (si sa quale, ormai!),
ma, in verità, della “selezione”, e caparbiamente fissata a far dimenticare
gli sconquassi demeritocratici del ’68, attraverso una battaglia culturale, a suo dire,
memorabile e/o epocale, ma povera di novità ideali.
Sveglia uomini e donne di scuola, l’Austria apre anche per noi un dibattito
ormai ineludibile sul significato del fare scuola, oggi, nel duemila,
nel mondo globalizzato e nel tempo della diffusione di una nuova hybris,
del correre oltre il limite in ogni campo, materiale e valoriale.
E’ saggio tornare a discutere del significato di “promozione” e di “bocciatura”
per disegnare la scuola del futuro, del senso stesso, cioè, del fare ed essere scuola,
spazzando via, di colpo, tutti i conseguenti discorsi legati all’identificazione
della “persona studente”con la moderna, ed efficiente, ed efficace,
nozione di “cliente”.
Innanzitutto diciamo subito una verità (almeno pare) circa l’origine
di questa scarsa attenzione per il tema “bocciatura”: in Italia non ci si preoccupa
tanto degli insuccessi scolastici e dell’alta percentuale delle ripetenze,
soprattutto nella secondaria superiore, perché, da una parte, i “raccomandati”
non hanno bisogno di abolire le bocciature,
tanto ce la fanno sempre, dall’altra i “ripetenti” o lasciano e abbandonano la scuola
(molto spesso, purtroppo), o, in quanto provenienti, generalmente, da famiglie
senza voce in capitolo, si rassegnano facilmente, e, con saggezza disperata,
tornano a seguire l’inutilità di un rito burocratico.
La storia dei bocciati deve ancora essere scritta. Sicuramente è ricca
di amarezze infinite, nell’età difficile e di ricerca di identità dell’adolescenza,
e solo qualche volta, per fortuite circostanze, non programmate dalla scuola,
riserva racconti di“rinascite” felici.
Ora, anche se la ministra socialdemocratica dell’Istruzione dell’Austria, Schmied,
è intenzionata ad abolire la “bocciatura”, anche perché “non aiuta alla competitività,
utilizzando, quindi, un argomento “sensibile” per una vasta platea politica,
a me piace, al contrario, immaginare una scuola,
a partire da un domani prossimo futuro,
al centro, per quantità e qualità di risorse da investire, della programmazione
di un nuovo governo, una scuola dell’obbligo, per tutte/i, fino a 18 anni
e senza “bocciature”, una scuola pronta a intervenire per dare
a ogni persona studente
quanto è giusto per il “suo massimo sviluppo”, a prescindere dalla quantità/qualità
dei risultati in termini di competenze settoriali.
Per quale obiettivo? Perché le persone nate “libere e eguali in dignità e diritti”
possano, anche durante la propria vita, acquisire tutta la strumentazione necessaria
per continuare a vivere “libere e eguali in dignità e diritti”.
O no?


domenica 20 febbraio 2011

La menzogna palese uccide il confronto e assolve la violenza. Intervenga il Giurì d’Onore, a difesa dell’onorabilità della Camera.




Ha scritto Michele Serra su Repubblica il 5 Febbraio scorso: 
Dunque. La Camera dei deputati del vostro e mio Paese ha votato, a maggioranza, a favore della seguente tesi: Silvio Berlusconi telefonò alla Questura di Milano perché effettivamente convinto che la minorenne marocchina ivi trattenuta fosse la nipote di Mubarak, e di conseguenza era “preoccupato di tutelare le relazioni internazionali” (sono le parole testuali dell´onorevole Maurizio Paniz, del Pdl). Le ipotesi interpretative, secondo logica, sono due e due soltanto. Prima ipotesi: 315 deputati della Repubblica hanno avallato con il loro voto questa ricostruzione perché convinti che sia vera. Ne consegue che considerano il (loro) presidente del Consiglio uno scemo totale, così sprovvisto di discernimento da poter credere che una delle signorine prezzolate conosciute a Arcore fosse la nipote di un capo di Stato, e avendolo saputo, per giunta, di averla ugualmente scritturata per i suoi festini. Secondo caso: i 315 deputati hanno sottoscritto questa esilarante storiella sapendo perfettamente che è una balla. Ma preferiscono sottoscrivere il falso piuttosto che ammettere che il (loro) presidente del Consiglio possa finire davanti ai giudici per una malinconica faccenda di prostituzione minorile. Dopo il voto vittorioso, parecchi nella maggioranza ridevano. Di che cosa è difficile dire, visto che con il loro voto hanno certificato di essere o dei sostenitori di un cretino, o dei pubblici mentitori".

A proposito di “Scintille” di Gad Lerner



Ho avuto in regalo “Scintille”, da mio figlio:
“Buona lettura, papà. Fammi sapere, poi, eh! ”.
“Oh, grazie. D’accordo, ti farò sapere”.

Non è un libro facile da leggere il libro di Gad Lerner “Scintille”;
per capire ogni passaggio, se sei nella moltitudine dei lettori,
hai sempre bisogno dell’Enciclopedia e dell’Atlante.
Eppure è un libro bello da leggere. Il parlar sincero dell’autore ti cattura. 
Non c’è niente da fare.
Non è “Scintille” una storia familiare e basta,
o un percorso semplicemente personale di Gad Lerner;
“Scintille” è davvero una storia di “anime vagabonde”,
di “ogni” anima vagabonda e, insieme, di “ogni” pellegrino in cerca del luogo 
dell’abbraccio d’amore, stretto e di riposo, con le proprie anime.
Non è “Scintille” un racconto a una dimensione, né culturale, né religiosa, né politica;
“Scintille” è un racconto crogiolo di tutte le nostre identità spezzate,
di questa parte di mondo, nella speranza attesa di una fusione di “civiltà”.
Non è “Scintille” un diario breve delle tante e ripetute incomprensioni, 
non solo caratteriali, tra genitori e figli, tra padre e figlio;
“Scintille” è un diario continuo (e affettuoso)
dell’importanza fondamentale, radicale, della positiva relazione padre/figlio.
E il Gad Lerner di “Scintille” non è il giornalista di qualità, a volte antipatico e tignoso,
abile nel raccontare e nel costruire situazioni di significato 
per una discussione a più voci; 
il Gad Lerner di “Scintille” perde ogni residuo di antipatia
e diventa la persona aperta nel suo discutere di sé con gli altri, con noi tutti.
Perciò dopo aver letto “Scintille” Gad mi è diventato simpatico,
e ha dilatato i confini della mia povera empatia.
Ma, attenzione, Gad mi è diventato simpatico durante la lettura del suo "Scintille", 
quindi prima che firmasse, con vera e universale signorilità,
l’epiteto “cafone” nei confronti di un cafone.
Mi pare sia giusto precisare.
O no?

giovedì 17 febbraio 2011

Rosy Bindi for President. Perfetto: via alla scossa liberale.

La proposta di Vendola, chiara nella sua felice sintesi:
«Rosy Bindi alla guida di una grande coalizione di emergenza democratica»
appare condivisibile e saggia, e chiude,
si spera definitivamente, la fase delle interlocuzioni ambigue,
per aprire la fase riflessiva delle decisioni.
La crisi politica e sociale, e insieme istituzionale e culturale,
esplosa, nel bene e nel male, a conclusione dal ventennio berlusconiano,
è al suo punto di non ritorno.

lunedì 14 febbraio 2011

Il Popolo della Libertà e ...l'uso distorto del vocabolario. I/le "radical chic".

Per la ministra Gelmini, in piazza, domenica, al Nord, al Sud e nelle Isole,
erano presenti solo "poche radical chic".
Drastica sintesi, con un colpo ad effetto (offensivo?): le donne, dei cortei della dignità
di "Se non ora quando?", erano "poche" e "radical chic".
Chiarissimo.
Ora, che le donne presenti nelle piazze d'Italia, ieri, fossero, a giudizio della Gelmini,
"poche", può anche dirsi, perché, indubbiamente, un milione di donne
rispetto ai sessanta milioni di abitanti, non è  tantissimo,
è solo un sessantesimo dell'intera popolazione.
Ma che fossero "radical chic" è una stupidaggine ad arte buttata via,
o un segno, ancora una volta, di fragilità semantica.

sabato 12 febbraio 2011

“In mutande, ma vivi”. E noi si aggiunge: comunque con dignità!




Oggi G. Ferrara ha avuto il suo momento magico di battaglia per un “vivere in mutande”.
E’ stata un’esibizione di allegra vitalità e di "liberale" felicità,
con tante mutande colorate in scena, nel teatro “delle libertà”. Il Dal Verme.
E, nell’ordine, in un crescendo virtuoso e illuminante,
G. Ferrara, nel difendere, in aperta e commovente sincerità, 
“l’amicizia e la collaborazione” con Silvio Berlusconi,
scopre il “moralismo vero”, proprio degli amici del Popolo della Libertà,
contro il “neopuritanesimo ipocrita”, degli intellettuali da “Repubblica”, ieri,
delle masse femminili “usate per scopi politici”, domani;
I. Zanicchi, con grande umiltà, confessa di “aver peccato”, ieri, cantando per i comunisti,
in cambio di molto fruttuoso danaro,
e grida, garbatamente, oggi, in cambio di nulla, per amore di verità,
alle donne del “Se non ora quando?”
di essere “usate per scopi politici e questo fa schifo”.

giovedì 10 febbraio 2011

Le donne domenica protestano anche per gli uomini. Per un principio di civiltà.




Un sacco di distinguo, da parte di donne e di uomini, 
sulla manifestazione del 13 Febbraio,
organizzata da donne a difesa della dignità delle donne.
Troppi.
C’è chi accusa le donne di moralismo/bacchettonismo;
c’è chi ad arte prova a confondere le lotte del femminismo,
lotte di liberazione dalle violenze d’ogni genere,
con l’esaltazione (senile) della “vita delle mutande” e/o “nelle mutande”;
c’è chi, da liberale (sic!) all’Ostellino, registra il versante sessuale del libero mercato;
c’è chi, da cliente di SB alla Stracquadanio, sostiene, senza orpelli moralistici,
la possibilità della valutazione delle forme femminili
ai fini della carriera politica, del successo, del guadagno dei denari;
c’è chi dimentica la Costituzione, la Dichiarazione Universale dei diritti umani,
la Convenzione sui diritti dei minori, per garantire un diritto di privacy del reato.

mercoledì 9 febbraio 2011

La banalizzazione spottica della Costituzione. A firma Silvio Berlusconi.




L’articolo 41 della nostra Costituzione recita:
L'iniziativa economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale
o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni
perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.
Un testo chiaro ed essenziale, con un suo ritmo interno, anche gradevole, costruito per dare senso e valore alla dimensione economica della persona e della società,
dove ogni parola è sintesi di una storia, di una visione della vita, 
di un progetto comune per il futuro del Paese.
Ora, con l’obiettivo spot di aprire una nuova fase di crescita economica, 
giunge a sorpresala proposta di SB di modifica di questo articolo,
pur vivo ai tempi della straordinaria crescita degli anni del boom economico italiano.
Ma straordinaria, sia pure da perfezionare, è la stesura del nuovo testo, 
proposto, a sentir SB, da esperti.Ecco il nuovo testo 
(in grassetto le “novità” degli esperti):
“L’iniziativa e l’attività economica privata è libera,
ed è permesso tutto ciò che non è vietato dalla legge.
Scompare dal testo la storia liberale e l’etica sociale 
ed entra prepotentemente l’ossessione della legge (da rispettare).
Mi dispiace per gli esperti, ma questa è la banalizzazione spottica 
della Costituzione a firma SB.
O no?

Cani randagi e cagnolini educati.

Gli animalisti, in questi giorni, sono in crisi. Ma solo per vicende del Nord.
E per le proposte, di donne operanti nel Nord, riguardanti cani randagi e cagnolini ben educati.
E sono gli animalisti da una parte preoccupati per i cani randagi di Cantù
e dall'altra gratificati (si fa per dire!) per i cagnolini educati di Milano.

lunedì 7 febbraio 2011

Dai "senegalesi" la verità sull'infantilismo del popolo italiano (maschio)


"Capo, un attimo solo, capo..."
"Grazie, capo!"
"Ciao, capo!"
Non ho mai capito perché tutti gli ambulanti di origine africana e non solo,
quando in strada si rivolgono al maschio italiano per aprire un contatto di vendita,
usino, tra l'affettuoso e il canzonatorio, il termine "capo";
forse per ottenere più facilmente udienza, attenzione, buona disposizione d'animo.
Mentre, chissà perché, non usano "capa" per le signore.
Quale sarà la ragione?
Quando e dove hanno concordato tutti insieme gli ambulanti d’ogni paese
di rispettare questa regola generale di chiamata con l’uso del vocativo “capo”?
Non è chiaro.
Forse i “senegalesi” d’ogni terra straniera hanno capito subito l’animo di noi italiani,
hanno intuito la nostra aspirazione a diventare “capi”
e a furia di “capo, capo”, solleticano il nostro infantilismo.
E nessuno di noi, gratificato dal “capo”, riprende: “Non sono capo, sono signor..”!
Confessiamo.
Il popolo italiano (maschio) è per la gran parte ancora un popolo di “capi”,
è un popolo non abituato a confrontarsi alla pari con gli altri,
e per questo, quando non afferra il comando, arretra per viltà a schiavo.
Perché di fronte a un altro “capo” ha sempre paura di perdere,
e per non perdere acquatta a rate la sua intelligenza al potere del “capo”.
E’ la scuola del fascismo, è la scuola del berlusconismo.
Scommetto.
Quando in Italia crescerà la cultura liberale, a destra e a sinistra,
nessun “senegalese” dirà più per strada “capo”.
E sarà il giorno della democrazia tra liberi, senza fascismo né berlusconismo.
O no?

sabato 5 febbraio 2011

La logica del posto fisso. O per tutti o per nessuno.


L’altro giorno, alla Camera, 315 deputati, coperti e allineati,
seguendo il suggerimento del Popolo della Libertà
(di dire con struggenti argomenti la fandonia del millennio),
hanno votato e sottoscritto, senza fiatare, la seguente dichiarazione:
 “Silvio Berlusconi ha telefonato alla Questura di Milano,
nell’esercizio delle sue funzioni,
e ha chiesto la liberazione della minorenne marocchina Karima,
arrestata di notte per furto,
e il suo affidamento temporaneo a una giovane consigliera regionale,
sempre, naturalmente, del Popolo della Libertà (in questo caso, libertà veramente!),
sollecita, quest’ultima, a consegnare l’arrestata nella mani di un’etera brasiliana,
e tutto questo solo per evitare un incidente diplomatico,
perché la marocchina Karima è nipote del Presidente egiziano Mubarack”.
Proprio così, più o meno.
Con quale logica hanno sottoscritto questa inenarrabile dichiarazione?
La logica del posto fisso. Comprensibilissima.
Chi mai potrebbe accettare per sé il rischio della precarietà?
Hanno votato compatti, disciplinati dalla bugia magica, 
per trasformare il loro posto a tempo determinato
in posto fisso, con diritto a pensione. Per sé e per gli altri deputati.
Ora, un minimo di proprietà transitiva di giustizia vorrebbe che tutti i precari di Italia,
seguendo il suggerimento del datore di lavoro del Popolo della Libertà,
dichiarassero che Ruby è la nipote di Mubarak,
per vedere il loro posto precario trasformarsi in posto fisso.
O no?
P.S. Una volta si era soliti dire “vedi, l’asino vola!”;
oggi si potrà dire “vedi, è la nipote di Mubarak!”

venerdì 4 febbraio 2011

Precarietà al bando. Nasce l'Agenzia Nazionale del Lavoro a Tempo Indeterminato.



"Ciao, Antonio, come va?"
"Bene"
"Bene, bene. Ma come mai a quest'ora di mattina alla Coop?"
"Eh, mi hanno licenziato"
"Licenziato?"
"Sì, purtroppo, dopo due anni e dieci mesi ti licenziano, lo fanno con tutti, per evitare di assumere a tempo indeterminato."
"Ma scusa il tuo lavoro di ingegnere non era fondamentale per la tua ditta?"
"Fin quando ci sei sì, ma presto avranno un altro precario!"
"Mannaggia! Ciao Antonio, salutami Giulia. Non t'avvilire!"
Insieme alla spesa porto a casa tutta la mia rabbia. 

Non è possibile distruggere il futuro dei giovani in questo modo, 
e insieme distruggere la possibilità stessa dell'esistenza di nuove famiglie, 
di nuove generazioni.
Non è possibile distruggere il futuro del lavoro e insieme la crescita di questo Paese, 

rinunciando alla presenza continua nel mondo del lavoro dell'entusiasmo, della creatività, 
della generosità, dell'intelligenza dei giovani.
Che Paese è quel Paese che non lotta per cambiare questo stato di cose?
Vorrei sognare/vedere la  costituzione di un'AGENZIA Nazionale del Lavoro, 

alla quale siano iscritti/e tutti, dico tutti/e, i/le giovani senza un lavoro a tempo indeterminato. Un'AGENZIA unica alla quale i datori di lavoro, pubblici e privati, devono rivolgersi 
per l'avviamento al lavoro, non stagionale, dei giovani. 
Un'AGENZIA per l'assunzione solo a tempo indeterminato.
Sono aperte le iscrizioni. Nessuno resti fuori.
O no?

mercoledì 2 febbraio 2011

Non è solo questione di donne, è questione di civiltà.

Il problema non è solo la “dignità” delle donne, 
il problema non è solo la relazione uomo/donna, 
il problema è anche, nell’ordine:
1.una strutturazione della società, nell’immaginario collettivo, ancora fondata su un modello maschile di stampo medievale, duro a morire e ancora diffuso in Italia, per il quale “dove io, maschio, impero, è lecito tutto, perché io, maschio, a “casa mia”, definisco il limite”;
2.la trasposizione di questo modello nella “politica” e nelle pratiche dell’amministrazione, pubblica e privata, per il quale l’idea di potere è definita dall’esercizio del “comando” (possibilmente per sempre o per il più lungo tempo possibile) e non del “servizio” a tempo determinato e concordato (nel tempo della precarietà per i giovani, si amplia, in politica, la definitività degli anziani!), dall’efficienza monocratica contro l’efficienza della partecipazione democratica;
3.la necessità di accumulare ricchezza (danarismo avvilente) per estendere l’area del potere e degli acquisti (corpi, menti, simboli);
4.la proposizione di una cultura della violenza (non sono necessari i manganelli!) contro la cultura del limite per consentire di superare leggi, controlli, senso della misura.
Un grande lavoro di trasformazione culturale (rivoluzione culturale!) di questo paese è necessario per costruire un’Italia migliore.
E basterebbe partire dalla interiorizzazione della nostra Carta Costituzionale e della Dichiarazione Universale dei diritti umani.
O no?

Non è questione di donne, è questione di civiltà.


Caro Gad Lerner, anzi, gentiluomo Gad Lerner,
grazie per il suo lucido commento. Pienamente d'accordo. Eppure, vorrei aggiungere, esiste una moltitudine di persone, donne e uomini, nel nostro Paese, nelle città moderne e nei paesi sperduti, che, pur senza letture, da sempre sa che la “dignità” è la “base della civiltà”, e sa capire e praticare il “rispetto”.
O no?


La ribellione degli uomini
IL MASCHIO italiano schierato con le donne che si ribellano all'offesa della loro dignità? Tale è la sfida allo stereotipo del vitellone nazionale, da esporlo come minimo a sospetti e ironie. Il furbacchione si trincera dietro alle suore e alle femministe solo ora che c'è di mezzo Berlusconi, altrimenti... È roso dall'invidia per il maturo dongiovanni; si ricicla bacchettone dopo aver predicato la libertà sessuale; spia dal buco della serratura il bottino che mai riuscì a procacciarsi. traduce la frustrazione in moralismo. E avanti di questo passo: quasi dovessimo coprirci di ridicolo, noi uomini, per solidarizzare con le nostre concittadine in un paese noto ormai come il più misogino dell'occidente. Afflitto non a caso dal più alto tasso europeo d'inattività femminile (una donna su due non trova o non cerca lavoro, dato Istat 2009). Per non parlare della loro emarginazione dal potere politico.