domenica 29 settembre 2013

L’Albergo a 5 Stelle e la sovranità conviviale


Adesso, purtroppo, è chiaro. Anche per chi, con interesse,
ha seguito i lavori. Sin dall’inizio.
L’Albergo a 5 Stelle di Beppe Grillo è vuoto.
E’senza vita reale. E può essere utile solo a vacanzieri danarosi,
accorti, appunto, solo alla conta delle Stelle, e a frodare il fisco,
mentre è un miraggio per chi fa fatica ad arrivare a fine mese.
E’ una struttura, sì, a 5 Stelle, ma solo per le "maestranze".
Lì, infatti, puoi trovare, il padrone, sempre affannato a controllar tutto,
sbraitando a destra e a manca, senza posa.
Puoi trovare l’amministratore, una specie di ragioniere capo,
diligente nel calcolare gli importi di tutti gli scontrini.
Puoi trovare l’abile addetto alla comunicazione strategica,
esterno  alla ditta, intento solo ad avvisar la manodopera.
Puoi trovare moderni strilloni, impegnati, è vero, con passione,
a propagandare, senza rivali, le qualità di quell’Albergo a 5 Stelle.
E puoi trovare una schiera di camerieri veloci nel servire.
In pratica è una struttura prigione, con le porte tutte chiuse
e con le inferriate a tutte le finestre, ad ogni piano, senza gioia e senza amore.
E se ti capita di sentir cori di sghignazzi, scoppi di risate,
e spesso urla di vittoria, sappi, è solo per coprire la solitudine.
Forse nell’Albergo a 5 Stelle manca completamente l’idea 
della sovranità conviviale della Politica. Magari in streaming. Sempre.
O no?
Severo Laleo


giovedì 26 settembre 2013

Napolitano, da vigile silenzio a parole inequivocabili



Questa volta il nostro Presidente Napolitano è stato tempestivo.
Molto tempestivo.
Forse avrà anche atteso qualche chiarimento, ma, in assenza
di chiarimenti, non si è lasciato trascinare nel vortice dell’indugio
e delle interpretazioni laceranti e insidiose; anzi, davanti  
all’inaudito attacco alle nostre istituzioni, gravissimo,
(le inverosimili cioè dimissioni di massa dei parlamentari del Pdl,
sia pure solo annunciate e non codificate in un documento),
Napolitano ha trasformato il suo silenzio vigile in un discorso inequivocabile.
Così la sua, a volte incompresa, prudenza, lucida e pensante,
e il suo incessante impegno a modernizzare l’incontrollabile dibattito/scontro 
politico nel nostro anomalo Paese (le larghe intese contengono, 
per il Presidente, oltre il dovere del governare, anche un contenuto
politico di civiltà, al di là della fragilità delle soggettività in campo) 
hanno ora sperimentato il limite, il punto di non ritorno, superato il quale
l’oltraggio al nostro Stato di diritto può diventare fatale.
Per impedire l’oltraggio, Napolitano ha sentito ora il dovere
di intervenire. Per noi e la Costituzione.
Eppure, sebbene inequivocabili le sue parole, Napolitano
non sbatte la porta, anzi lascia un premuroso spiraglio,
da buon genitore, a indicare la possibilità di un recupero/ritorno. 
Ecco la sua dichiarazione:
"L'orientamento assunto ieri sera dall'Assemblea dei gruppi parlamentari del PdL 
non è stato formalizzato in un documento conclusivo reso pubblico e portato 
a conoscenza dei Presidenti delle Camere e del Presidente della Repubblica". 
E' quanto si legge in una dichiarazione del Capo dello Stato. " Ma non posso 
egualmente che definire inquietante l'annuncio di dimissioni
in massa dal Parlamento - ovvero di dimissioni individuali, le sole presentabili 
- di tutti gli eletti nel PdL. Ciò configurerebbe infatti l'intento, o produrrebbe 
l'effetto, di colpire alla radice la funzionalità delle Camere.
Non meno inquietante sarebbe il proposito di compiere tale gesto
al fine di esercitare un'estrema pressione sul Capo dello Stato
per il più ravvicinato scioglimento delle Camere. C'è ancora tempo, e mi auguro 
se ne faccia buon uso, per trovare il modo di esprimere - se è questa la volontà 
dei parlamentari del PdL - la loro vicinanza politica e umana al Presidente del PdL, 
senza mettere in causa il pieno svolgimento delle funzioni dei due rami 
del Parlamento. Non occorre poi neppure rilevare la gravità e assurdità dell'evocare 
un "colpo di Stato" o una "operazione eversiva" in atto contro il leader del PdL. 
L'applicazione di una sentenza di condanna definitiva, inflitta secondo le norme 
del nostro ordinamento giuridico per fatti specifici di violazione della legge, 
è dato costitutivo di qualsiasi Stato di diritto in Europa, così come lo è 
la non interferenza del Capo dello Stato o del Primo Ministro
in decisioni indipendenti dell'autorità giudiziaria."

Oggi le sue parole, inequivocabili, sono anche le mie/nostre. Ed esprimono
un monito fermo per una cultura del limite.
O no?
Severo Laleo


venerdì 20 settembre 2013

Napolitano, le sue parole, il suo silenzio vigile, il suo dovere

Questa volta non vorrei essere d’accordo con chi, 
trascurando del tutto la logica del contesto, utilizza brani del discorso 
di Napolitano, in ricordo di Loris D’Ambrosio, per aprire una polemica politica.
E’ vero, siamo tutti in attesa di parole chiare da parte del Presidente 
sul videomessaggio del Cavaliere Condannato,
ma l’assenza di un Presidenziale monito ad hoc, non giustifica operazioni 
di rielaborazioni di discorsi nati per altre esigenze, sebbene contengano 
dei riferimenti importanti a politica e giustizia.
E’ bene conservare intatta la nostra delusione per il silenzio Presidenziale 
(tra l’altro se il Presidente non “parla” siamo sempre liberi di “parlare” noi, 
e forte, per esprimere comunque la vitalità di una democrazia di persone civili 
a prescindere dal mutismo Presidenziale), ma non dirigiamo ogni pezzo 
del discorso di Napolitano nella direzione della nostra delusione.
Non è utile e confonde le idee.

Essendo certo il dato dell’assenza di ogni riferimento esplicito
al videomessaggio, si cerchi di cogliere, se si vuole, nelle parole
di Napolitano, il “detto” e non il “nondetto”.
Nel discorso di oggi alla Luiss, Napolitano, con irriducibilità, continua a difendere 
i magistrati quali “impiegati pubblici” (e insieme tutti gli "impiegati"),
contro quanti hanno usato, anche di recente, il sintagma
impiegati pubblici” in senso dispregiativo, molto dispregiativo,
dipingendo i “pubblici ministeri”, per di più, “rosi dall’invidia”.
Anzi, non paghi, chiarivano:  "esiste una magistratura fatta
di impiegati statali che hanno fatto un compitino, vincendo
un concorso, e che ora sono liberi, indipendenti, irresponsabili 
perché non subiscono nessun controllo e mettono sotto 
gli altri poteri dello Stato, quello esecutivo e quello legislativo”.
Contro tal genìa di spregiatori, il Presidente, nel rispetto
del suo alto compito, si schiera e insiste: "Non c'è nulla di più impegnativo 
e delicato che amministrare giustizia, garantire
quella rigorosa osservanza delle leggi, quel severo controllo
di legalità, che rappresentano… "un imperativo assoluto 
per la salute della Repubblica". Anche la considerazione della peculiarità 
di questa funzione, e l'inequivoco rispetto per la magistratura
che ne è investita, sono invece stati e sono spesso travolti nella spirale 
di contrapposizioni tra politica e giustizia che da troppi anni 
imperversa nel nostro paese".

Non si possono fare salti di gioia, continua a tenere il Presidente
un’innaturale equidistanza, quasi obtorto collo, tra giustizia e politica,
solo ai fini di un appello perché la politica e la giustizia cessino
di "concepirsi ed esprimersi come mondi ostili, guidati
dal sospetto reciproco, anziché uniti da una comune
responsabilità istituzionale”,  ma da che parte stia è chiarissimo.
E quasi si giustifica per tanta tenacia, confessando: “Ci tocca operare 
in questo senso, senza arrenderci a resistenze ormai radicate 
e a nuove recrudescenze del conflitto da spegnere nell'interesse del paese”. 
Giustificando forse così anche il suo vigile ….silenzio.
E anche quando, nel ricordare l’impegno del suo amico e consigliere, rivela: 
Il Consigliere D'Ambrosio mi ha, innanzitutto, sempre spinto a mettere 
l'accento sull'importanza decisiva della formazione non solo in senso
culturale e tecnico-giuridico ma in senso deontologico cioè come acquisizione 
di modelli di comportamento ispirati a quei valori e criteri - l'equilibrio, 
la sobrietà ed il riserbo, l'assoluta imparzialità e il senso della misura 
e del limite - che sono il miglior presidio dell'autorità e dell'indipendenza 
del magistrato”, non si può non essere d’accordo. Anche perché il senso della misura
e del limite sono sì virtù per un magistrato, ma obbligano, perché il limite
non sia mai valicato, il Presidente a intervenire con ferma determinazione 
contro chi insulta la magistratura. Una volta l’insulto “i giudici sono matti, 
sono mentalmente disturbati hanno turbe psichiche e sono antropologicamente 
diversi dalla razza umana” ebbe da parte del Presidente Ciampi
una risposta immediata. Senza sconti.

E va bene, Napolitano oggi ha parlato di Loris D’Ambrosio.
Ma il Presidente Napolitano, alle più gravi insinuazioni insultanti dell’oggi, 
deve ancora, a noi cittadini miti, un chiarimento,
anche perché è in qualche modo coinvolto.
Deve spiegare qual è, sentito il videomessaggio di Berlusconi
(ex premier condannato per  frode fiscale e già commensale
non casuale di persone di mafia),  il suo diretto o indiretto rapporto, 
da Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura,
con quella parte di Magistratura, se esiste,  pervicacemente organizzata
per realizzare il socialismo per via giudiziaria”.
Qualcuno potrebbe sempre pensare, data per assodata
tra i berlusconiani la diabolicità dei comunisti, che quei giudici
godano, in segreto, dell’appoggio di un Presidente socialcomunista.
Ma se il Presidente ritiene quel videomessaggio, con incitamento alla ribellione (farsa), 
ab imis falso, insultante, illiberale fino all'eversione o almeno irrispettoso 
nei confronti delle istituzioni costituzionali, è bene che parli. 
E subito. Senza sconti. Ricordando Ciampi.
Altrimenti ognuno può pensare …
O no?

Severo Laleo

giovedì 19 settembre 2013

La setta segreta dei socialisti e il silenzio (per ora) grave del Presidente



Il videomessaggio di Berlusconi non è giunto nuovo.
E il suo esito non è stato un sole giallo splendente,
secondo l’etereo Alfano, ma un sole rosso (suo malgrado) cadente.
Anzi, nella sua sostanza, il messaggio tanto atteso
era stato anticipato da una fedelissima, già dai cento percorsi,
molto interessata, la Santanchè.
Infatti, dalla poltrona di un dibattito in tv, nel generale stupore,
la Santanchè, quasi svelando una verità frutto di una sua personale intensa ricerca, 
aveva definito Magistratura Democratica
una “setta segreta. Parole testuali, non casuali, scaturite
dalle profonde analisi e studi e riflessioni degli incontri
tra dirigenti in Arcore.

Il videomessaggio di Berlusconi ne svela ora il perché:
in Italia –scandisce il nostro- opera una “magistratura
che vuole arrivare al socialismo per via giudiziaria”.
Oh porca miseria! E senza dire niente a nessuno?
In segreto, appunto. Nelle trame delle indagini
e nei bersagli delle sentenze. In continuità con la Rivoluzione d’Ottobre.

La notizia è grossa, sensazionale  e la dà in video,
da fine esperto di informazione/comunicazione,
il liberale ex premier. Che appare molto preoccupato.
Quasi terreo. Perché il pericolo di “arrivare al socialismo
è imminente. E per “via giudiziaria”, data l’assenza di socialisti
nel campo della lotta politica: neanche SEL è socialista!
Ma i giudici contro Berlusconi, sì, sono una setta segreta
di socialisti, perché se a giudicare fossero stati chiamati dei giudici liberali 
non l’avrebbero condannato. Sicuro.
E di colpo nei volti degli innumerevoli antisocialisti in pectore,
di ogni genere e formazione, di ogni età e condizione,
ammoniti da un fermo dito indice di un confidenziale “tu”,
è apparso il timore agghiacciante di perdere tutto,
insieme a un ardente desiderio di scendere, al seguito del Capo,
subito in campo a difendere la libertà minacciata,
mentre negli sconsolati occhi dei venticinque socialisti è apparsa
una gioiosa speranza di futuro, insieme a un tenero impegno
a continuare la lotta al riparo di Magistratura Democratica.

Ma nel videomessaggio non si coglie con chiarezza
se la “setta segreta”, per “arrivare al socialismo”, goda dell’appoggio 
di un vecchio socialcomunista Presidente
ora del Consiglio Superiore della Magistratura,
comunque chiamato in causa.

Forse i venticinque socialisti si aspettano ora dal compagno Presidente 
in qualche modo parole di incoraggiamento
nel proseguire il cammino verso il sol dell’avvenire, appunto
alla luce del sole senza più correre dietro ai disegni carbonari
della “setta segreta”. E giustamente, perché credono nello Stato
di diritto.

Ma se il Presidente resterà muto di fronte alla verità terribile
dell’ ”avanzamento del socialismo per via giudiziaria”, con tanta energia 
enunciata da un ex premier liberale, condannato per frode fiscale
dalle leggi del nostro libero e democratico Stato,
al mondo tra i più garantisti, e condannato a pagare
un risarcimento a un suo concorrente proprio per aver corrotto
un membro di quella sana magistratura non socialista,
se il Presidente resterà muto, apparirà complice di un attacco eversivo 
non solo contro la magistratura, ma contro lo stesso
Stato di diritto e le sue istituzioni, e per quei venticinque
socialisti sarà la fine di un sogno di rinascita.

O no?
Severo Laleo



martedì 17 settembre 2013

Veltroni e Renzi e l’ “I care”diventa “Tsunami”


Ma a questo Renzi non gli riesce proprio di costruire.
Ha sempre in mente furie, travolgimenti generali e sfasci.
Per convincere non conosce limiti, è sempre pronto
a immaginare “novità”, e mai insieme/alla pari con gli altri,
sempre al di sopra, in continua ricerca di collaboratori, seguaci, elettori. 
Per vincere. 
Appare straordinaria quest’ansia del vincere,
al par di accaniti giocatori. E di bambini vivaci.
E quasi non avverte il bisogno della virtù della prudenza,
senza la quale non c’è politica. Neppure della pazienza,
grazie alla quale soltanto è possibile porsi “davanti a ogni uomo,
anche al nemico e all’antagonista, in atteggiamento favorevole,
in modo da rendere possibile una comprensione
e un accostamento liberi da pregiudizi e da condanne” (V. Eid).
E non pago della violenza della “rottamazione”,
non pago della violenza dell’”asfaltatura”, inventa ora,
per sconfiggere le correnti, il violento “tsunami delle idee”.
Calma, calma.
Le idee, in genere, anche quando sono rivoluzionarie,
servono a costruire un mondo nuovo,
in genere, più giusto, più a misura d’uomo,
più civile, più uguale, più cooperativo, più solidale,
e nonviolento. E non possono, con improvviso tsunami,
radere al suolo tutte le costruzioni, lasciando solo macerie.
Fa un certo senso vedere insieme, dietro un tavolo,
il Veltroni dell’ “I care” e il Renzi dello “tsunami”,
il Veltroni dell’ “ho imparato che il problema degli altri
è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è politica.
Sortirne da soli è avarizia”, con il Renzi sodale di compagni
di percorso tutti con "ambizione di non porsi limiti”.
Purtroppo, quando si tratta di lotta per il potere,
le contraddizioni stridenti scorrono lievi nell’oblio.
Tanto non esistono limiti.

Forse è bene eleggere il “leader” del Pd (meglio se una coppia,
un uomo e una donna), per sorteggio, perché coordini, a sinistra,
in spirito conviviale, il pensiero e l’azione non di una massa elettorale, 
ma di una comunità di valori e di intenti.
Tutti insieme, senza avarizia.
O no?
Severo Laleo

P.S. In un paese non brillante per mitezza è bene continuare
a precisare: l’analisi/giudizio riguarda esclusivamente il discorso

politico e non le persone. 

lunedì 16 settembre 2013

Rottamare…asfaltare…e non solo



Il problema non è l’abilità nella comunicazione di Renzi.
Il problema è la perdita del senso del limite,
in questi venti anni di violenza verbale del berlusconismo,
da parte di un popolo vociante, ora anche nel Pd,
disposto ad applaudire le battute vivaci di un “leader
in fieri, e a rinunciare, prostrato dalle delusioni,
al suo dovere di esercitare il controllo sulle parole/simbolo
del discorso politico.

Un popolo, sempre nella sua parte più chiassosa,
pronto a seguire il suo capopopolo teatrante e violento.
E non esercita più la sua critica civile.
Anzi si lascia cullare da sogni parolai di palingenesi.
A destra, o nei suoi pressi, è già successo, con Bossi,
Berlusconi, Di Pietro, Grillo; nel Pd giunge ora “nuovo”.
Con Renzi. E con gli applausi dell’emozione.

Renzi è un inventore di termini nuovi per la nuova politica,
Quando non gioca a pallone e non ha “rigori” da calciare,
lasciando il “campo” già di Berlusconi, inventa, ai fini di lotta interna,  
la “rottamazione”; e, ai fini di lotta elettorale,
l’ “asfaltatura”: “Se andiamo a elezioni, li asfaltiamo”.

Nessuno ha i brividi. Perché siamo ormai dentro un flusso
ininterrotto di aggressività. Così espressioni, anche sbagliate, appaiono gioco, 
per colpire l’immaginazione, per far rumore.
Anzi, a parer di molti, si tratta di termini
di grande efficacia, e, a parere di altri, anche di chiara
rivelazione di un’ambizione violenta. Coperta ora da leggerezza
del dire, ora da sorriso, ora da ironia, ora da sarcasmo,
ora da ostilità, ora da spavalderia, infine da esclusione dal “carro”.
E sempre con un‘ottima ragione tra le mani: la propria.
Anche quando si tratta di riconoscere il “merito” ai “bravi
contro i “fedeli”: “Se vinciamo al congresso, in questo partito andranno 
avanti i bravi e non i fedeli o chi si imbosca. Non si andrà avanti solo 
mostrando una tessera”. Una violenza da imbroglio.

Intanto il Pd applaude, dando forza al potere di un “capo”.
E già sorgono nuovi proseliti dal fiuto guadagnino.
La logica del nemico è finalmente approdata nel Pd,
prima contro le persone del Pd, ora contro gli avversari.
E la sinistra storica del dialogo e il popolarismo cattolico
della pace non si preoccupano, o non s’accorgono,
di accogliere messaggi allettanti, e insieme subdoli, di audacia,
forieri di zuffe senz’anima.
Persino il “leader” Vendola, nonviolento, chiude un occhio,
per un occhiolino.

Eppure il popolo italiano, soprattutto il popolo del referendum
sul bene pubblico acqua, ha ancora una riserva di mitezza.
E forse vuole ancora aspirare a una democrazia a sovranità conviviale
magari per “leader” una coppia, un uomo e una donna,
da nominare per sorteggio. Con gran risparmio di aggressione individuale 
e altrettanta accumulazione di socialità.
Forse di questa mitezza il popolo del referendum si avvarrà.

O no?

Severo Laleo







mercoledì 11 settembre 2013

La frode fiscale pretende un seggio al Senato. Forza Italia



Dopo ore di schermaglie e di minacce, e di parole spropositate 
(Schifani ha parlato di “plotone di esecuzione” e di “camera a gas”: 
solo il Pdl non comprende la volgarità del paragone), alla fine
la proposta giunge ed è questa: “Il senatore Andrea Augello
del PDL ha concluso la sua ampia relazione chiedendo 
che venga convalidata la posizione del Cavaliere, ovvero che il leader
del Pdl non decada dal suo seggio a Palazzo Madama”.

In altre parole, un Senatore di questa Repubblica, obbediente
perinde ac cadaver, al suo Capo, perché dal suo Capo, per via
del Porcellum, nominato, ma laicamente libero da ogni 
condizionamento di civiltà etica e/o di retaggio liberale,
ritiene, dopo una meditata analisi della normativa vigente,
lunga 80 pagine, legittima, normale, auspicabile, doverosa
la presenza di un condannato per frode fiscale nel Senato.

Che dire? La pervicace lotta di una oligarchia del denaro
e dei privilegi contro la legalità democratica ha raggiunto
il suo apice. E un’altra martellante pubblicità progresso
è partita a sostegno della devastazione imminente del diritto.
Eppure, l’Augello, forse, non ha tutti i torti: gli interessi
della Nazione devono essere tutti rappresentati in Parlamento.
Anche gli interessi dei frodatori del fisco.
O no?

Severo Laleo