sabato 29 dicembre 2012

Ha una sua nobile corazza il Bersani. E non è “italiano”




Dopo aver scelto, senza chiasso (per vergogna?), in passato, Berlusconi,
il Vaticano, non pago degli errori, continua a scegliere.
E oggi sceglie Monti, a chiare lettere, un po' chiassose.  
E parla, ora, di “nobiltà della politica”,
attraverso il serio tecnico Professore,
obliando il suo attivo contributo, per anni, alla “miseria della politica”,
attraverso l’allegro miliardario Imprenditore.

Nel 1994, per paura, il sostegno della Chiesa a Berlusconi 
aveva un suo obiettivo: fermare la “gioiosa macchina da guerra” 
dei progressisti; nel 2013, fissa nell'obiettivo di bloccare l’onda, 
dalle primarie sollevata, dei democratici, ancora per paura, la Chiesa 
conserva il suo sostegno a Montiper “recuperare –è altisonante l’ambizione- 
il senso più alto e nobile della politica”.
Insieme all’UDC, da sempre nobile e in ogni parte d’Italia,
insieme a Montezemolo, di persona alto e nobile, insieme a tanti altri,
ad esempio Della Vedova, nobilmente, già caduto in errore!

Ma Bersani ha per fortuna una sua corazza: conosce la nobiltà… del limite
della politica e non spartisce con gli altri “italiani” l’idea del “capo”
(anche un ambulante senegalese conosce la nazionale fragilità: 
l’italiano è sempre “capo”), e soprattutto dà l’idea, Bersani, di sapere sempre 
da che parte stare, con una sua nobiltà.
E all’Osservatore Romano, impegnato in questa campagna di recupero
della perduta nobiltà, risponde: “Una rivalutazione della nobiltà 
della politica? Per me non è una sorpresa,  penso alle nostre 
sindachesse della Locride. La nobiltà in politica non mi sorprende, 
quando si riesce a guardarla dal basso
ed io farò così”. Forse questo Bersani un po’ sorprende. 
O no?
Severo Laleo


mercoledì 26 dicembre 2012

C. Mazzini da ilfattoquotidiano.it per una cultura del limite


Ecco un contributo molto efficace a sostegno della cultura del limite.

Il concetto di limite ha una moltitudine di declinazioni: esiste un limite in matematica, un limite nell’arte, uno in filosofia che ovviamente ci dà anche la definizione più utile. Il limite ha quindi due accezioni: una positiva,  dove il limite  è l’ambito entro cui si ha la certezza di agire, di essere. L’altra negativa, per cui il limite è ciò che ci ostacola, che ci stringe entro confini.
Ma il limite di cui voglio parlare oggi risale al 1972 e si tratta di uno studio, il “Rapporto sui limiti dello sviluppo”, tratto dal famoso libro “The Limits to Growth” – I limiti dello sviluppo- commissionato dal MIT al Club di Roma. Che, in estrema sintesi, diceva:
  • Se l’attuale tasso di crescita della popolazione, dell’industrializzazione, dell’inquinamento, della produzione di cibo e dello sfruttamento delle risorse continuerà inalterato, i limiti dello sviluppo su questo pianeta saranno raggiunti in un momento imprecisato entro i prossimi cento anni. Il risultato più probabile sarà un declino improvviso ed incontrollabile della popolazione e della capacità industriale.
  • ciascuna persona sulla terra siano soddisfatte, e ciascuno abbia uguali opportunità di realizzare il proprio potenziale umano.
Era il 1972 e queste conclusioni furono il frutto di analisi fatte con strumenti “preistorici”: senza i moderni supercomputer, senza satelliti, senza Internet. Eppure da allora poco o nulla è stato fatto, anzi come sul Titanic, stiamo ballando tranquilli mentre già s’intravede l’iceberg. La cosa più grave, però, è che in questo caso l’iceberg ce lo avevano segnalato per tempo.
Come dicevo nello scorso post, dobbiamo passare dal concetto di “save the planet” a quello di “save the umans”, e per fare questo dovremo necessariamente iniziare a convivere con una nuova cultura del limite.
Esiste un limite alla velocità della tua autovettura ed un limite alle ore che puoi lavorare, un limite alle parole che puoi dire e agli affetti che puoi ricevere o dare. Esiste un limite al numero di mail a cui si può rispondere in un giorno, al numero di libri che puoi leggere, al numero di cose che puoi acquistare.
Trasformare la consapevolezza dei molti limiti in una risorsa è la vera sfida, sapere che abbiamo un solo pianeta a disposizione, una sola vita e spesso una sola opportunità, ci può aiutare a concorrere al progetto “save the humans”. Ricordando sempre ciò che diceva Albert Einstein: “Solo due cose sono infinite, l’universo e la stupidità umana. E non sono sicuro della prima”.


Credo sia doveroso un grazie per Claudio Mazzini.
O no?
Severo Laleo

“Scendo in campo” e “saliamo in politica”: cmq sempre contro la sinistra




Per fortuna cambia il linguaggio. Non più “si scende in campo”,
con Berlusconi, ma, con Monti, si sale, anzi, “saliamo in politica”.
Per il nostro immaginario, un cambiamento radicale:
al mondo del “si scende in campo” del calcio, al mondo del grido Forza Italia,
con la variante sfortunata di Renzi (ma il nuovo non può imitare!)
del “calcio di rigore”, ora, dopo vent’anni di dominio e imitazioni da parte di tutti,
anche a sinistra, dove Sel inventò la “partita”(si è salvato solo Bersani,
testardo nel suo vocabolario, serio, e insieme bonario, alla Crozza),
si oppone il mondo del “saliamo in politica”.
E cambiano finalmente le direzioni (scendere/salire) e le sedi (campo/politica).
Il tecnico Monti sa dell’importanza del dominio del linguaggio nella propaganda
elettorale e prova a cambiare rotta, lasciando per sempre, davanti al TV, i “tifosi
del campo di calcio, e carezzando, con Twitter, gli “innovatori” della politica.

Eppure il fine sia di “scendere in campo” sia di “salire in politica
è sempre uguale, da Berlusconi a Monti: impedire alla sinistra 
di raggiungere il governo. Esiste una costante nella nostra storia.
E ogni arnese, nel senso strumentale del termine, vecchio e giovane, di destra, 
di centro, di centrosinistra, da Casini a Montezemolo, da Ichino a Riccardi, 
tanto per non far nomi, è ottimo per raggiungere l’obiettivo: 
il carisma dei soldi dell’allegro, fortunato, liberale, maschio imprenditore 
all’uopo, dunque, cede il passo 
al carisma della tecnica del serio, studioso, liberale, attento professore. 
Entrambi italiani bene attrezzati quanto a manovre elettorali,
dalla "rivoluzione liberale" all' "agenda Monti", sempre, e comunque, 
per salvare l'Italia, in continuità, dal 94 al 2013.

Forse è bene per una volta chiedere alla sinistra di resistere, con forza,
sia pure con il buon Bersani.
O no?
Severo Laleo

Monti: “Deve cambiare il modo di vedere la donna”. Sì, dal monocratismo al bicratismo





Indubbiamente Monti, con la sua scandita frase sulla “donna”,
ha avuto il merito di attirare l’attenzione su un problema reale
della nostra società e della nostra democrazia: il ruolo della donna.
E il pensiero è andato subito a lavoro, welfare, famiglia, carriere,
pari opportunità. Tutte cose utili e visibili. E certo qualcosa di buono
dovrà pur scaturire. Ma se anche non poche “donne”, pur prudenti,
hanno accolto favorevolmente il richiamo del nostro Primo Ministro,
a me è sembrato, il dire di Monti, solo la nuova versione, comunque,
di maschilismo, antico e sempre vivo, sia pure, questa volta, accorto
e illuminato … dall’economia.
"Cambiare il modo di vedere la donna", significa sì cambiare “visione”,
ma significa anche lasciare immutato il sistema di organizzazione
del potere nelle nostre cosiddette avanzate società.
Monti sembra dire: chi ha il compito di governare deve saper guardare
in termini nuovi alla “donna”, valutando soprattutto gli aspetti
di sviluppo economico e sociale, ma senza modificare l’assetto di potere.
Al contrario la società ha il problema della “donna”,
perché esiste il problema dell’uomo, anzi del maschio.
Quando noi guardiamo all'organizzazione sociale del potere
e alla dislocazione e organizzazione delle sedi decisionali,
a ogni livello, troviamo imperante e senza ombra di criticità
–nessuno mette in discussione l’assetto dominante-  
il monocratismo maschilista. A decidere, ad assumere responsabilità,
di guida  e di proposta, è sempre “uno”, anche quando è “donna”;
è, cioè, quell’”uno”, il risultato di una visione maschile del mondo.
Guai ad affidare, quindi, il destino delle donne a questa “visione”,
al di là di tutte le buone intenzioni di cambiamento.
Diamo uno sguardo alla famiglia di oggi, ancora “cellula” sociale,
non più a guida monocratica, (non esiste più il “capo famiglia”)
e guardiamo all'organizzazione decisionale e di potere della famiglia
con gli occhi della nuova figliolanza.
Cosa osservano i nuovi nati? Non vedono più un mondo articolato sull’”uno”,
ma sulla “coppia”, molto frequentemente, un uomo e una donna.
Ora, non insegnate a quel/la bambino/a come deve “vedere la donna”,
perché in famiglia, se è davvero nuova, vede la “donna” come vede l’”uomo”.
Un paese civile e moderno, con una democrazia di genere,
non si preoccupa di come vedere la donna,
magari cambiando il vecchio modo di vedere,
ma come modificare la struttura di organizzazione del potere
che ha escluso e esclude la donna per diffuso incontrastato maschilismo.
Fu una semplice nuova regola, il voto alla donne, nel 1946,
a cambiare il modo di vedere la donna. E cambiò la società.
Sarà una nuova semplice regola, la democrazia di genere, nel …,
a cambiare il modo di vedere la donna. E cambierà la società.
Se il primo ministro non fosse solo “uno”, ma fosse una “coppia”,
un uomo e una donna, e così, a cascata, in tutti i luoghi di lavoro
e di decisione (anche nei consigli di amministrazione)
uomini e donne sarebbero finalmente alla pari. Sempre. 
Non più un monocratismo, esito di maschilismo, ma un bicratismo perfetto, 
uomo donna. E forse allora non sarà necessario
cambiare il modo di vedere la donna”, ma solo il modo di organizzarsi 
dei maschi.
O no?
Severo Laleo


martedì 25 dicembre 2012

A Natale, con Bagnasco, per riscoprire il “limite”




Ecco, a sostegno di una “cultura del limite”, possibile per atei e credenti,
qualche indicazione, autorevole, di Chiesa, da parte del Card. Bagnasco.

Sono sue, del Cardinale Angelo Bagnasco, le parole appresso
riportate e  tratte dall’omelia per la messa di Natale
celebrata nella cattedrale di San Lorenzo, nel centro del capoluogo ligure.
Sono nostre solo le sottolineature.

Oggi «una certa cultura cerca di superare i limiti,
siano essi fisici o morali o psichici,
perché li si vede come una “condanna”,
invece portano con loro una grazia.
Potremmo dire che c’è bisogno di una vera cultura del limite».

«I limiti umani ricordano che ciascuno ha bisogno degli altri 
e che tutti hanno bisogno di Dio.
Ci ricordano che l’uomo si realizza solo nel dono di sé,
cioè quando vive la relazione con gli altri e ne accetta i legami che,
nella famiglia, con gli amici, nel lavoro, nella società,
non sono il contrario della libertà, ma la sua condizione.
La società odierna cammina sul sentiero dell’individualismo esasperato,
ma va verso il baratro del disumano, 
dove sopravvive chi è più forte e scaltro»

«La contingenza dura che stiamo vivendo dev’essere vissuta come limite
che ci spinge a mettere insieme le risorse di intelligenza e di cuore
per costruire con fiducia un domani più sereno per tutti,
a incominciare dai più deboli
Questo è un Natale di prova
e per questo dobbiamo ancora più allargare lo sguardo
e stringere i legami dell’amore».

Per una volta, si può essere d’accordo, a prescindere.
O no?
Severo Laleo


sabato 22 dicembre 2012

Femminicidio, la vecchia di stazione e i vestiti provocanti



Stazione di Napoli, Napoli Centrale, proprio Napoli Napoli.
Sono gli anni della minigonna. Anni lontanissimi.
Una giovane donna è in fila per il biglietto del treno.
Ai lati della fila, per confine, dei solidi corrimano, a mo’ di  tubi,
di un ottone a tratti lucido e brillante. A volte opaco di sudicio.
In stazione, per il biglietto, s’era prigionieri di fila, senza catene.
Vuoi lasciare la fila? Devi essere abile a piegarti ad angolo retto,
e sgusciar via furtivo dal tubo d’ottone. Per stanchezza, e per la gioia
degli astanti: l’operazione biglietto era un’avventura dialogica.
All'improvviso un giovane “malvissuto”, con la fretta nelle gambe,
entra nella fila all'altezza della giovane donna e la stringe tra le braccia.
Gesti e intenzioni e violenza appaiono chiari a tutti.
Al gridare della giovane donna s’accorre in tanti. Ma è lesto il malvissuto a fuggire.
Resta inconsolabile un pianto nelle braccia di solidarietà di un’altra donna
di fila, mentre a passi tardi e lenti  s'appressa la Polfer.
L’atrio di Napoli Centrale, esperto di violenza scippagna, si raggela.
Ma una vecchia (h)abitué di stazione urla sparata.
La memoria restituisce ancora quel suono violento, pressappoco:
Ave raggione  ‘o guaglione, è annura ‘a fetente”.

Per fortuna quella vecchia di stazione non esiste più.
Forse è rimasto solo Bruno Volpe, a scrivere e ad a r g o m e n t a r e 
quella sconcertante violenza.
O no?
Severo Laleo

Ecco, a riprova,  l’urlo sparato del Volpe:

Proseguiamo nella nostra analisi su quel fenomeno che i soliti tromboni di giornali e Tv chiamano "femminicidio". Aspettiamo risposte su come definire gli aborti: stragi? Notoriamente, l'aborto lo decide la donna in combutta col marito e sono molti di più dei cosiddetti femminicidi. Una stampa fanatica e deviata, attribuisce all'uomo che non accetterebbe la separazione, questa spinta alla violenza. In alcuni casi, questa diagnosi può anche essere vera. Tuttavia, non è serio che qualche psichiatra esprima giudizi, a priori e dalla Tv, senza aver esaminato personalmente i soggetti interessati. Non sarebbe il caso di analizzare episodio per episodio, senza generalizzare e seriamente, anche per evitare l'odio nei confronti dei mariti e degli uomini? Domandiamoci. Possibile che in un sol colpo gli uomini siano impazziti e che il cervello sia partito? Non lo crediamo. Il nodo sta nel fatto che le donne sempre più spesso provocano, cadono nell'arroganza, ...
... si credono autosufficienti e finiscono con esasperare le tensioni esistenti.
Bambini abbandonati a loro stessi, case sporche, piatti in tavola freddi e da fast food, vestiti sudici e da portare in lavanderia, eccetera... Dunque se una famiglia finisce a ramengo e si arriva al delitto (FORMA DI VIOLENZA DA CONDANNARE E PUNIRE CON FERMEZZA), spesso le responsabilità sono condivise.
Quante volte vediamo ragazze e anche signore mature circolare per la strada in vestiti provocanti e succinti?
Quanti tradimenti si consumano sui luoghi di lavoro, nelle palestre, nei cinema, eccetera?
Potrebbero farne a meno. Costoro provocano gli istinti peggiori e se poi si arriva anche alla violenza o all'abuso sessuale (lo ribadiamo: roba da mascalzoni), facciano un sano esame di coscienza: "forse questo ce lo siamo cercate anche noi"?
Basterebbe, per esempio, proibire o limitare ai negozi di lingerie femminile di esporre la loro mercanzia per la via pubblica per attutire certi impulsi; proibire l'immonda pornografia; proibire gli spot televisivi erotici, anche in primo pomeriggio. Ma questa società malata di pornografia ed esibizionismo, davanti al commercio, proprio non ne vuol sapere: così le donne diventano libertine e gli uomini, già esauriti, talvolta esagerano.
Bruno Volpe

La favola del padrone




C’era una volta un allegro buon padrone di un partito di servi liberi
che un bel giorno decise di sentire il dovere irresistibile di scendere in campo
per difendere dai comunisti cattivi il Paese che amava con tutto il cuore.
E ogni giorno da giornali e da tv tuonava, con quanto fiato aveva in gola,
Basta tasse… è necessaria una rivoluzione liberale…
è già pronto un milione di posti di lavoro… il merito innanzitutto,
a scuola e nel mercato…e libertà per tutti…
Tutti gli elettori, armati di voto, accolsero con entusiasmo il suo gridare,
e quando, giunto il momento, chiesero  conto dei proclami,
si trovarono senza rivoluzione liberale, sempre con le tasse, senza il milione
di posti di lavoro, con un immeritevole ministro del merito,
con l’ingabbiamento subdolo della libera concorrenza nel mercato,
con la libertà per tutti ma tagliata su misura ai giudici.
Un quasi scherzo di cattivo genere.
Ma gli elettori, e spesso  è capitato nella serva Italia, ingenui e creduloni,
c’erano cascati. E del correre a votare s’erano pentiti.
Ora quel padrone è tornato a tuonare, e di nuovo urla la sua voce,
la voce del padrone,  per richiamar gente in quantità,
e già corrono in tanti ad ascoltare il ritornello “come prima, più di prima”.
E in tv e nei giornali al centro domina l’allegro buon padrone,
obbligato per irresistibile dovere a scendere in campo contro la sinistra.

Forse, se si fosse semplicemente tutti contadini, fini e civili,
a vuoto griderebbe quel padrone di pecore e senz’alcun ascolto.
O no?
Severo Laleo

martedì 18 dicembre 2012

Nel Paese dei pacchi è tempo di spacchettare




Con la sua nuova, infinita, discesa in campo (ormai impraticabile),  
il problema non è più solo Silvio Berlusconi. Il problema vero, a questo punto,
è scoprire se questo nostro Paese, pur privo, storicamente, e strutturalmente,
di educazione liberale, riuscirà finalmente a liberarsi del suo infantilismo elettorale;
anzi, è corretto dire, tanto irrimediabile sarà l’infantilismo elettorale
del nostro Paese, quanto esteso sarà il consenso, misurabile in voti,
per  Silvio Berlusconi. Qualunque altro tipo di voto, anche grillesco, 
avrà una sua ragion d’essere: almeno sarà stato corretto provare.

Ma nessuno dovrebbe più avere il coraggio di dire “proviamo
nel caso di Silvio Berlusconi, nemmeno Iva Zanicchi.
E se ragione avrà avuto Indro Montanelli, un decennio di “vaccinazione
dovrebbe pur bastare per scongiurare una nuova rovinosa ricaduta.

Eppure non mancano liberi uomini di penna pronti a definire,
e a descrivere, per futura memoria, addirittura, storica, l’abilità politica
più grande, inimitabile e irraggiungibile, di Silvio Berlusconi, nell’arte
di impacchettare e spacchettare le forze politiche, a piacere,
a seconda delle situazioni, da grande stratega di battaglie elettorali.
E ancora giudicano memorabile, per genialità politica,
l’uso sapiente nel giostrare i suoi pacchi (e pacchetti) nel 1994.
E ancora aspettano, abituati, il nuovo colpo geniale del pacco a sorpresa. 

Ma, ora, forse, grazie a Bonolis e eredi, tutti gli italiani hanno imparato 
a giocare con i pacchi. E ciascuno abbraccia e si stringe al suo.
O no?
Severo Laleo


domenica 16 dicembre 2012

Valore Scuola




Ecco un titolo, oggi, su LA STAMPA. It:
AMERICA SOTTO CHOC
La preside e le insegnanti morte mentre cercavano 
di proteggere gli allievi. Scontro sui «fucili liberi»
FRANCESCO SEMPRINI, MAURIZIO MOLINARI
“La preside e le insegnanti morte mentre cercavano di proteggere gli allievi.”
Anche nelle tragedie, e non è, purtroppo, la prima volta, la scuola,
attraverso le sue “maestre”,
continua a svolgere in silenzio il suo ruolo universale di civilizzazione della società.
O no?
Severo Laleo

martedì 4 dicembre 2012

Saggi di retorica a confronto oltre la democrazia




Scriveva Minzolini, da cronista interessato, su La Stampa del 9 Aprile 2009,
a proposito di Silvio Berlusconi in visita a L’Aquila:

“…Snocciola un numero infinito di cifre Silvio Berlusconi...
Fa previsioni sui tempi necessari per stimare i danni
E per tirare su il morale dei presenti di fronte alla disgrazia e alla morte
che ha colpito questo pezzo d'Italia si concede una battuta:
«Sono 44 ore che non dormo. Un record di resistenza per uno che ha 35 anni».
Indossa un maglione blu e ha il piglio deciso del direttore dei lavori,
del comandante dei pompieri, del capo militare, 
ma anche la comprensione del preteSilvio Berlusconi nelle emergenze 
si esalta. La sua attitudine e' la politica del «fare». ....
Quando e' alle prese con problemi pratici il premier si intriga. ...
Dalla sua bocca escono idee su idee...ha lanciato una miriade 
di proposte. La politica del fare. All'Aquila come a Napoli. 
Sfoggia il consueto «pragmatismo»....il Cavaliere e' un tipo che bada 
al sodo...Gioca sulla velocita' delle decisioni....c'è il premier-ingegnere…
c'è il premier-generale…Il premier-prete...E il premier-psicologo ....”

Scrive Adinolfi, da combattente appassionato, nel suo Blog il 1 Dicembre 2012
a proposito di Matteo Renzi, in campagna elettorale.

“…Il voto a Matteo Renzi è il voto a un uomo estremamente coraggioso.
Io ho avuto due privilegi: … quello di vedere Renzi in azione da vicino.
Lo conosco da tanti anni, non mi meraviglia la sua contagiosa energia,
ne è sempre stato dotato. Ma Matteo da questo giro d'Italia,
da questa esperienza di possibile candidato alla guida del paese,
è un Matteo trasformato: è un leader, 
con tempistiche e capacità decisionali di un leader, 
con la pazienza davanti agli innumerevoli attacchi di un leader,
con la resistenza in battaglie di lungo periodo di un leader.
In tv ha stravinto i confronti, ha dimostrato doti comunicative uniche,
ha usato internet e i social network come nessuno mai nella storia dei partiti
di questo paese. E' un leader con "lo sguardo dritto e aperto nel futuro".
Uno che le cose le dice a muso duro, guardando dritto in faccia 
l'interlocutore. E ne ha dette, senza tirarsi indietro, fino alle "20 differenze"
che rappresentano il manifesto politico delle idee per si è battuto 
come un leone. Noi, con lui, ci siamo battuti come leoni. Anzi, è più adatta 
l'immagine di Daniel Pennac: quando siamo scaraventati nella fossa dei leoni,
quelli come noi si mangiano i leoni…
Battendoci con coraggio fino alla sfinimento, poi servirà qualche giorno
di riposo e si ripartirà per la battaglia finale, quella delle politiche,
a sostegno di chiunque vinca. Ma sarebbe giusto e bello vedere vincere
Matteo Renzi che è diventato la bandiera di un'ansia di radicale 
cambiamento che ogni italiano respira e noi abbiamo provato 
a respirare a quel ritmo.

Forse è tempo di tornare alla sobrietà della democrazia tra pari, alla normalità
della democrazia di genere;  i maschi, per di più,  praticano scarsamente il limite
e spesso si gonfiano troppo.
O no?
Severo Laleo