domenica 30 novembre 2014

Solidarietà, genitorialità e crisi economica



Firenze. Piazzale  Coop. Un giorno di sole di Novembre.
Una sorridente giovane e un giovane scattante,
vispi nella capigliatura brillante,
diversi per colore di pelle, ma entrambi colorati d’azzurro,
grazie a una fasciatutina dell’unhcr,
con rapidi movimenti vigilano all’entrata,
attenti e pronti all’incontro.
Già di lontano squadrano l’avventore,
muovono qualche passo in apparenza distratto,
e improvvisamente eccoli gioiosi davanti a te
a chiederti un contributo di solidarietà per i Rifugiati.
Le risposte sono le più disparate, sempre cortesi.
Grazie, oggi son di fretta.” “Ho già donato.”
Qualche battuta e via.
Eppure la risposta del signore dai capelli grigi
è più articolata. Ed è tanto sincera quanto amara.
Non ho nulla da donare, davvero, e seppure ho qualcosa
la darò a mio figlio, che non ha ancora un lavoro.
Mi dispiace”.
Il giovane scattante di colpo si blocca. Muto.
La sorridente giovane, mentre il signore dai capelli grigi
va via, forte gli lancia un “Grazie lo stesso”. Mesto.
E oggi sui giornali sia la cronaca di una continua guerra
tra i poveri sia un “13,2% Disoccupazione mai così alta”.
Una perversa crisi economica intristisce la solidarietà.
O no?

Severo Laleo

mercoledì 26 novembre 2014

Una vittoria per la democrazia: sovranità conviviale vs sovranità elettorale

Quando tante persone, anzi tantissime, non sentono più il dovere
di andare a votare, il significato è chiaro: niente/nessuno merita
più la fiducia, perché i partiti, in quanto luoghi di dibattito 
e di formazione, sono morti; niente/nessuno merita di “rappresentare
le persone nelle istituzioni, perché troppo spesso
i candidati, ballerini tra una cordata e l’altra, sono indifendibili
sul piano della competenza morale (sì è una competenza,
la moralità, specie in politica, e non un tratto personale del carattere, 
anzi andrebbe “misurata”, con regole trasparenti e controllabili, 
prima di consentire l'accesso a una carica pubblica, 
quale valutazione di merito); niente/nessuno riesce a mobilitare, 
perché ormai è morto anche l’ascolto dei leader dal carisma, 
italiana maniera, esclusivamente affabulatorio.
Una volta c’era Bossi, il populista tuonante contro i più deboli 
della “catena umana”, ora l’epigono è Salvini, il mitragliante,
ma sempre contro gli “ultimi”; una volta c’era il populista Berlusconi,
il genio della comunicazione, il “liberale” (si fa per dire!), ora 
–saltata la distinzione oppositiva destra/sinistra- l’epigono è Renzi
il socialista del futuro è solo l’inizio”; una volta c’era Grillo
il vaffa lucido delle piazze rivoluzionarie, ora è ancora Grillo
inutile barcamenante, l’epigono stanco di sé stesso. 
E tutti maschi pieni di sé. Grandi di Ego.

Eppure per la democrazia non è un giorno nero. E’ un giorno di giubilo.
Le persone, libere di votare, hanno scelto di non votare, lasciando
a una minoranza la responsabilità del “non cambiamento”, 
qualunque sia il suo nome. E insieme la responsabilità
del perdurare della corruzione, dell’illegalità, dell’evasione fiscale, 
della criminalità. In una parola, la responsabilità del crescente 
divario tra povertà e ricchezza, tra chi ha e chi non ha, tra chi può
e chi non può, tra chi conosce il “capo di turno” e chi non conosce 
nessuno. Niente è cambiato. Identico il verso.
La democrazia delle persone alla pari è ancora un’utopia.
Eppure la giustizia sociale non può tollerare, anzi proprio 
non sopporta, la corruzione e la illegalità diffusa 
con i suoi condoni sempre in agguato.

La sconfitta dei leader, nella forma arcaica di lotta tra “galli”,
o nella forma moderna di “giocatori in campo”, è definitiva.
E’ ora di aprire gli occhi. E per la sinistra non è ora di chiedere
a qualche nuovo leader (Landini?) di “scendere in campo
a “giocare la partita”.
La politica è roba seria, di tutti per tutti. E se in Emilia Romagna
e in Calabria è morta con l’astensione di massa la sovranità elettorale 
è ora ormai, almeno a sinistra, di costruire la sovranità conviviale, 
per “la distribuzione equitativa del lavoro e della ricchezza;
per la democratizzazione di tutte le istanze della vita pubblica;
per la fine della corruzione e dell’impunità che hanno trasformato 
il sogno europeo di uguaglianza, libertà e fraternità nell'incubo 
di una società ingiusta, disuguale, oligarchica e cinica”,
per la democrazia delle persone, perché “la democrazia, 
è la capacità di decidere tra tutti ciò che è di tutti” 
(dal Manifesto di sostegno a Podemos).

Il leaderismo, esito storico del maschilismo e della sua visione
del potere, è da superare definitivamente. Le persone libere
non hanno bisogno di conduttori, di comunicatori, 
anche se continueranno a  chiedere a competenti e disponibili 
di assumere l’incarico di coordinare e “originare” le decisioni. 
Ma la struttura di direzione politica nei partiti 
e nelle istituzioni non può continuare a essere monocratica, 
affidata a una figura solitaria, maschile o femminile, 
un Obama o una Merkelquasi a perpetuare il retaggio 
di un’idea di potere medievale, o di vecchia democrazia, 
ma dovrà essere duale, di coppia, bicratica, di un uomo 
e una donna. Solo i maschilisti inconsapevoli non riescono a leggere
e prevedere e immaginare i tanti vantaggi, innegabili, 
sul piano culturale e sociale, derivanti da una nuova struttura duale
del governo. E solo la pigrizia conservatrice non vuole riconoscere
il passo verso una più matura civilizzazione della società.
Le donne non devono più essere chiamate, dal decisore di turno, 
a fare il numero pari, a dare visibilità di contorno. 
Le donne hanno diritto, per legge, attraverso nuove forme 
di organizzazione del servizio potere, di essere sempre alla pari, 
in ogni sede di decisione, per garantire nuove, inedite, 
possibilità di comprensione dei bisogni delle persone tutte,
e nuove possibilità di realizzazione di ogni azione utile a dare 
esigibilità a quei bisogni. Nuove forme di direzione politica 
e di organizzazione politica potranno generare nuovi modelli 
di stare insieme politicamente nei territori per andare oltre 
una sovranità limitata all'espressione di un voto ogni tanto.
Non basta chiedere/gridare “scioperiamo la democrazia”, 
è necessario trovarsi insieme nei mille luoghi possibili e là costruire 
insieme, tra persone alla pari, il convivio politico
Spetta alla sinistra, superate le insidie frazionanti degli egoismi
di Narciso, retaggio di un antico maschilismo, trovare una unità 
conviviale per il bene comune.

O no?
Severo Laleo




mercoledì 12 novembre 2014

La nonna, i nipoti e la scrivania tarlata



La scrivania ha ormai più due secoli. Appare solida.
Nel dopoguerra ha subìto un importante intervento
di restauro. Quasi una nuova costituzione.
Anche se purtroppo i tarli, nel profondo della struttura,
continuano a divorare il legno massello di sostegno.
E nell’oscurità.

In tanti anni la nonna ha riempito il piano della scrivania
di libri e fascicoli di studio. E di mille sparsi appunti,
per discorsi e riflessioni, e per memoria. Completamente.
Ma lento e continuo, con ripensamenti e andirivieni,
è proceduto il ricambio di libri e fascicoli.
E a peso costante la scrivania ha resistito.
Nonna e scrivania insieme hanno disegnato la sede
degli studi e della meditazione, della ricerca e del dubbio, 
dell’ascolto e del dialogo, della discussione
e della decisione, dell’accordo e del conflitto.
In responsabilità. Senza applausi e spesso in solitudine.
Per il bene di tutti.

Eppure i nipoti di casa non tollerano la vecchia scrivania,
piena e polverosa. E non vogliono sedere a studiare.
Non serve. Una poltrona, una sedia, un tavolo bastano
per un Apple. E per googlare. E basta un tweet per comunicare,
e per dire un sì alle decisioni. Con l’applauso o il fastidio
di tanti. Meditare, dialogare, tallonare il dubbio
è perdere tempo. Esprimere solidarietà non dà profitto,
provare empatia è un lusso. Anzi, in quanto sentimenti residui
di un tempo passato, bloccano l’azione.
Mentre agire è tutto. Avanti. Spavaldi, incuranti.

Intanto per la fretta di tutto movimentare e trasformare,
per l’ansia di cambiare, i fascicoli, cartacei,
tuttora vivi e vegeti, si accumulano, abbondanti e pesanti,
giorno dopo giorno, e, là buttati con rumore, giacciono, 
senza soluzione, senza possibilità di ricambio, 
sulla vecchia scrivania tarlata.
Così il peso incontrollato e in continua rivoluzione dei fascicoli,
tutti aperti e confusi, abbandonati e ripresi,
preme senza sosta e cresce; mentre i tarli, antichi e nascosti, 
con avida violenza, ampliano gallerie e minano la stabilità,
con il rischio sicuro di rovina.

Forse per evitare il crollo è tempo di sentire la nonna.
I nipoti, si sa, non battono il tempo sapiente della cura.
O no?
Severo Laleo









lunedì 10 novembre 2014

Mille Euro e le mense separate



Se dei ricchi –d’accordo sul termine, o no?- pagano Mille Euro
per rendere forte un Partito (o forse solo il suo leader)
non è per un gratuito dono –i doni hanno un’altra portata,
fuori menù- ma è solo perché, al di là di qualsiasi altro
soggettivo interesse, quei ricchi hanno un’idea chiara
del modello di società da sostenere e difendere.
Una società divisa tra chi può e chi non può,
una società fondata sulla divisione/separazione,
quasi una nuova apartheid, da esibire, per dominio politico,
tra ricchi e poveri, tra successo e sfiga, tra leopolda
e cortei di piazza.

La forte determinazione politica, soprattutto dell’attuale 
segretario del Pd, di dividere il campo di battaglia 
tra i veloci seguaci del nuovo e i pigri sostenitori del vecchio
tra quelli che “si son presi il partito e il governo” e i “gufi”,  
è direttamente, anche in ogni suo disegno politico, 
dalla riforma del Senato alla legge elettorale,
dalla ventura riforma del Lavoro alla già sicura confusione
tra merito e clientele, è, ripeto,direttamente funzionale 
a questa nuova separazione, netta, per usare antiche parole 
gramsciane, tra “oppressori e oppressi”.
Ai primi il compito di dirigere la società, di preparare il futuro (sic!) 
e distribuire bonus, ai secondi la possibilità di applaudire
e di votare senza l’uguaglianza costituzionale del valore
del proprio voto. E all’apparire evidente degli scontri,
esito obbligato della determinazione politica di quel segretario, 
senza pudore si attribuisce agli oppressi la volontà
di ogni rottura/divisione. E’ un ritornello antico.

Eppure i seduti alla mensa separata del Pd di Renzi,
se non si ingannano, pagano Mille Euro per dare,
con i soldi, forza a questo Pd che,
in quanto Partito del Socialismo Europeo, dovrà realizzare,
grazie anche a quel sostegno, la giustizia sociale, la giustizia fiscale, 
la lotta a ogni tipo di illegalità e a ogni forma di criminalità,
e soprattutto un welfare avanzato per garantire pari dignità
a ogni persona. A beneficio degli oppressi.

E così ai tavoli della raccolta fondi del Pd i finanziatori 
sono tutti gioiosi, sono tutti o quasi, almeno per il momento, 
socialisti, sono tutti democratici, sono tutti portatori 
di una moderna visione della società, giusta e libera, 
ma a una condizione, antica e “incivile”, 
che le mense tra i finanziatori e i beneficiari siano sempre separate. 
Per il miglior beneficio degli oppressori.

Forse toccherà ad altri socialisti, o semplicemente ad altre persone 
di altra storia e cultura, produrre la “civiltà” del convivio
senza più l’esibizione di separazioni per censo, senza più separazione 
tra i Mille Euro e i dieci.

O no?
Severo Laleo