martedì 12 agosto 2014

L’intelligenza liberale, l’oligarchia e il referendum



Ilvo Diamanti e Eugenio Scalfari, pur non credendo
alle mire autoritarie del nostro Premier, e quindi al pericolo dell’autoritarismo 
–in verità il discorso non riguarda il Premier e le sue mire, ma l’oggettivo, 
osservabile, misurabile danno in senso autoritario provocabile dalla riforma 
costituzionale in itinere- definiscono comunque il giovane Premier
con un tuffo nel passato, giù fino ai tempi della Grande Riforma 
(era d’obbligo allora la maiuscola!), un “nuovoCraxi, e escogitano 
per l’occasione una terminologia ad hoc: per Ilvo Diamanti il disegno 
del Premier è una “democrazia personale”, per Eugenio Scalfari
il tratto del Premier sa di “egemonia individuale”.
L’intelligenza liberale di Diamanti e Scalfari, per noi tutti
un alto stimolo per ogni discorso critico sulla società,
appare questa volta strabica, perché bloccata da un’analisi
ad personam, quasi succuba di una visione esclusivamente leaderistica 
della politica; colpisce, e quasi stordisce, questo
lor trovarsi d’accordo nell’attribuire alle mire di una persona 
(sempre un uomo da noi e non è un caso: quando una Merkel* anche in Italia?) 
quanto è oggettivamente solo una conseguenza
sia della fragilità politica, in termini di personale responsabilità, trasversalmente, 
di una classe dirigente, sia la diffusa assenza
di cultura liberale in un Paese facile agli innamoramenti.
Craxi a suo tempo non andò mai oltre il 15%, perché le persone 
allora nella cabina elettorale non semplicemente sceglievano
un partito o un leader, ma versavano nell’urna una scheda
piena di vita reale e orgogliosa di un’appartenenza forte.
Anche quando sbagliata, per costrizione clientelare.
Non è più così.
La discesa in campo di Berlusconi, ammiratore di Craxi,
contribuì a sbaragliare le appartenenze con la sua retorica bombardante  
dell’”Io”, e la democrazia, nel bene e nel male,
dei partiti si trasformò, complice il voto, in “democrazia personale
o in “egemonia individuale”. Nacque allora il capo, il padrone,
impropriamente il leader. E quel passaggio, alimentato acriticamente a destra, 
al centro e a sinistra (e qui con gravi conseguenze ancora oggi visibili) 
da troppi imitatori, ha oggi ripreso vigore, dopo il tentativo non riuscito 
di Bersani di “uccidere” il leaderismo smargiasso, in nome di una democrazia
a più ampia partecipazione, e senza inganni.
Berlusconi è stato sì sconfitto nelle urne dal centrosinistra
di Bersani –sa Iddio quanto ha inciso il Presidente Napolitano
nel liquidare il tandem Bersani/Letta!- e da un corpo elettorale deciso 
a chiudere una brutta pagina della storia d’Italia,
ma la sua sconfitta non ha segnato un’inversione di rotta
nella modalità del “far politica”.
Anzi quella modalità si è trasferita inopinatamente nel “nuovo” Pd.
Il Berlusconi catturato ha catturato l’Italia furbesca, allegra, manovriera 
e maschilista, l’Italia di “una mano lava l’altra”,
di “chiudi un occhio”, di “basta con lacci e lacciuoli”,
di “ora si diventa tutti ricchi”. In altre parole l’Italia comunque,
certo tra gli altri, di Razzi e Scilipoti.
Capita così di vedere oggi il “nuovo” della sinistra protetto
dal “vecchio” della destra. In una terribile intesa cordiale.
Questo è il dato.
Non c’entra quindi nulla con il rischio di autoritarismo
la “democrazia personale” del Premier né c’entra la sua “egemonia individuale”, 
c’entra al contrario la cultura politica senza etica
e senza personale e critica responsabilità di un gran numero
di addetti alla politica. Una cultura accomodante, insieme supina
e feroce, pronta a ferire le persone (e di questo Letta ha un’esperienza diretta),
ma soprattutto una cultura senza memoria.
Chi ha vinto le elezioni nel 2013? Con quale programma?
Chi ha diviso il centrosinistra tra maggioranza e opposizione
contro il volere degli elettori? Chi utilizza una legge elettorale incostituzionale,
il Porcellum, per riformare la Costituzione?
Quali elettori hanno consentito al Pd di avere un’ampia maggioranza alla Camera?
L’intelligenza liberale può anche ragionare di “democrazia personale” 
e di “egemonia individuale”, e preferire l’oligarchia, anche se degli eletti, 
ma solo il referendum, attraverso una decisione diretta,
dirà della qualità della nostra democrazia.
A prescindere dalle interpretazioni di un Premier.
E’ già successo, nel giugno 2011, grazie anche a una sinistra
con le idee chiare. E succederà ancora.
E il ciclo originato da Berlusconi e perdurante nei suoi epigoni
avrà la sua fine. Una volta per tutte.

O no?
Severo Laleo



* Forse gli anni della Merkel al potere, alla fine, al di là di ogni altra valutazione,
grazie alla “serietà”, sul piano etico-politico, della persona, regaleranno alla Germania,
alle nuove generazioni, una limpida educazione nella direzione della parità di genere, e quindi
della democrazia del dialogo tra pari, più di quanto un pur sistematico progetto educativo
possa offrire. Al contrario, da noi i guasti del berlusconismo sono già chiari a tutti
e continueranno purtroppo a pesare ancora a lungo, perché parte di un’intera generazione
ha subito per un qualche aspetto il suo “fascino” di prepotenza semplificatoria. Anche nell’agire politico.

venerdì 8 agosto 2014

Nessuno fermerà il cambiamento … dei “gentiluomini”



Mentre tutto intorno sembra di corsa cambiare,
almeno questo è il ritornello, e già s’agita il “nuovo” dell’avvenire,
per l’astuzia della storia,
tornano i “gentiluomini” con i riti segreti degli antichi patti.
E sì, ormai è chiaro a tutti, l’Italia e il suo futuro assetto costituzionale 
sono semplicemente, d’ora in avanti, sempre più, 
nelle mani dei  “gentiluomini”. Naturalmente maschi.
E i “gentiluomini”, a dire del capogruppo di Forza Italia in Senato,
anch'egli gentiluomo, i “gentiluomini”, appunto, sono Renzi e Berlusconi.
E’ solo grazie a questi due “gentiluomini” se il ddl Boschi di riforma costituzionale 
è stato approvato. Tutto il resto è contorno insipido, coreografia pomposa,
sceneggiata urlata. A partire dal Presidente del Senato. Peccato!
Tutto il resto non serve: i “gentiluomini” hanno forza per decidere da soli.
In questo senso non mancano le dichiarazioni di soddisfazione.
Soprattutto nella destra berlusconiana
(in verità nel Pd qualche motivato sussulto di “libertà di voto” ha aperto 
un qualche spiraglio contro il conformismo di sempre: almeno non si potrà più, 
grazie ai dissidenti Pd, continuare a dire, con Gobetti
che gli italiani hanno animo di schiavi).
Ed ecco le dichiarazioni. Inizia il gentiluomo Paolo Romani:
Il voto di oggi è la dimostrazione che Forza Italia è protagonista 
e fondamentale, senza di noi non ci sarebbe stata la maggioranza“. 
E continua, trionfante: “Mi auguro che l’asse con il Pd terrà 
anche sull’Italicum perché il patto fra Renzi e Berlusconi 
è un accordo fra gentiluomini.
Proprio così.
E la soddisfazione di Forza Italia continua anche nell’animo del nostro Premier
ormai sicuro, grazie a 183 senatori, tra i più “vecchi” del Senato
– i senatori “nuovi” non hanno votato-, di non trovare più ostacoli sulla strada 
di cambiare l’Italia e pazienza se gli arnesi sono i più vecchi possibili. 
E anche il metodo.
Eppure l’affermazione del nostro Premier 
"nessuno può più fermare il cambiamento
è il segno evidente di una latente, per ora, sconfitta politica. 
In realtà la via del cambiamento è senza tracciato sicuro, 
perché il destino dell’Italia non dipende più dal dialogo istituzionale libero 
e aperto di un Parlamento, non dipende più da una condivisione giocata 
con la nobile arte della politica, coinvolgente anche quando i voti sono 
divaricanti, non dipende più dalla forza 
di argomentazioni convincenti, ma dal patto con Silvio Berlusconi
E segna una frattura insanabile. Forse ora, nell'attimo, gradita ai più, 
perché solletica la rabbia con l’invenzione della semplificazione. 
Ma il controllo del voto non può durare all'infinito. 
E gli infingardi di comodo dell’oggi saranno gli infingardi di comodo domani.
Chissà, forse il “nuovo” giunge già vecchio e oscuro, se per “cambiare
il Paese c’è bisogno solo dell’accordo tra due “gentiluomini”.  
Come una volta, con una stretta di mani. magari democratica.
O no?
Severo Laleo

P.S. La senatrice a vita Elena Cattaneo ha motivato la sua astensione 
individuando con serena lucidità tre aspetti critici del percorso legislativo:
"il contesto generale di scarso ascolto e il linguaggio inadatto",
"un dibattito troppo condizionato da strategie di governo e di partito",
un progetto "tecnicamente pasticciato e frettoloso, non in grado di indicare l'esito, 
l'assetto, l'equilibrio, la visione del nuovo assetto costituzionale".
E ha aggiunto: "Non mi convince la non elettività dei senatori, non mi convince 
la modalità di elezione del presidente della Repubblica”.
Da condividere in pieno.
O no?




mercoledì 6 agosto 2014

L’inciucio non cambia “verso” anche se avanza il “nuovo”



C’è qualcosa di sempre, di immodificabile, quindi di vecchio, quasi a “verso” 
obbligato, qualcosa di stantio muffigno, e ora persino maleodorante, 
nei ripetuti incontri tra gli statisti Renzi e Berlusconi.

E’ la costante del maschilismo puro e duro, per nulla scalfito da obblighi 
di quote rosa o da impegni per la parità di genere, strombazzate, 
queste ultime novità, a ogni piè sospinto, solo là dove la gestione del servizio 
del potere è trasparente, in qualche modo, e controllabile e aperto a tutti.
Ma, quando si tratta di combinare accordi, pur non richiesti dal “popolo”,
per il futuro assetto costituzionale dell’Italia, e magari per gli interessi elettorali 
e privati di una ditta con nome e cognome, nel più eclatante dei conflitti 
di interesse e nel più disonorevole dei contratti, se disonorevole è la fedina 
penale, la più disonorevole possibile per credibilità pubblica, di almeno 
un contraente, fedina sciacquata e pulita, a dire anche dei “nuovi” statisti, 
dal voto degli italiani, allora, proprio quando si tratta di combinare accordi, 
il cerchio si chiude, immancabilmente, intorno a pantaloni di grisaglia “classici”, 
a riga perfetta, e a blue jeans scanzonati, senza riga.
Nell'assenza totale, non registrata dalla stampa “democratica”, non contestata 
dal “democratico” Pd, dell’occhio indiscreto, e forse inaffidabile a quel livello 
di statisti, di una qualche donna. Nemmeno una Serracchiani!

E così ti capita di vedere vecchi mal vissuti, quelli comunque da rottamare
in qualsiasi altra situazione di/per propaganda, diventare padri di una Patria, 
ma, forse per vergogna, solo nel segreto di un colloquio.
Berlusconi e Letta, ultrasettantenni, già generazione da boom, 
sorretti dal “giovane” Verdini, da una parte, e la generazione “nuova” 
dei quarantenni, figli comunque del ’68, ma, per ironia della storia, 
a travolgente ambizione di potere, dall'altra: e l’Italia di sempre torna vittoriosa 
nel canto dei galli senza un minimo cambiamento.
Il dominio maschile è immarcescibile. E non cambia “verso”.
Chissà, forse un incontro, anche senza streaming, tra Rosy Bindi 
e Berlusconi non avrebbe generato sospetti di inciucio.
O no?

Severo Laleo