mercoledì 22 novembre 2017

Scalfari tra Berlusconi e Di Maio




Che i nostri rappresentanti politici, spesso al vertice dei partiti/movimenti,
siano, almeno per molti nella generazione dei canuti pensionati,
inadeguati, incompetenti, molto spesso arroganti, imbroglioni a tappe
e nel profondo maschilisti, è fatto assodato.
(Le eccezioni confermano la regola.)
Che Eugenio Scalfari, pur canuto da tempo, dichiari tra Di Maio e Berlusconi
di preferire quest'ultimo, è fatto incredibile ma comprensibile.
Sì, perché Scalfari da una parte dimentica tutto quanto meritoriamente
la Repubblica ha scritto di e su Berlusconi, insistendo a chiare lettere
sull'importanza di irrinunciabili principi liberali per ogni moderna democrazia,
dall'altra conferma la sua propensione a considerare la politica mestier
di leader/capi, sempre, o quasi, maschi. A prescindere. Il "sentire popolare",
ragione o rabbia che sia, per Scalfari è semplicemente un dato sociologico
ininfluente, una variabile dipendente dal "capo" di turno.
Quindi inesistente. Scalfari intende la politica, il fare politica,
l'agire politico quale confronto tra leader. Ma è davvero così?
davvero la politica è scontro tra leader, al di là di programmi, valori,
interessi, comportamenti, etica? non è la politica l'etica praticata in pubblico?
è davvero la democrazia una grande "finzione"?


Al contrario di Scalfari, persone oneste e ragionevoli, e indignate, se fossero chiamate
a scegliere tra Berlusconi e Di Maio, quindi tra due "parti" ben distinguibili
sul piano dei programmi e dei comportamenti, non avrebbero dubbi,
sceglierebbero Di Maio, e non per il leader, Di Maio, casuale e temporaneo,
inesperto e senza un preciso bagaglio di competenze,
ma per almeno qualche buon motivo presente nel programma politico del M5S.
Tanto perché a volte il "sentire popolare" è più avanti rispetto alle scelte dei maestri!

Anche se, in verità, l'astensionismo è oggi nel nostro Paese la prova più diretta
e immediata della scarsa credibilità della politica e dei suoi leader.
Forse un giorno la democrazia, superato il leaderismo monocratico
maschile, non sarà più una "finzione".
O no?
Severo Laleo

mercoledì 8 novembre 2017

Montanari e la leadership: capo, maschile singolare, plurale, nome singolo. Ma duale?




Nel suo intervento su huffingtonpost di oggi, Tomaso Montanari,
pur lieto ormai del successo, a sinistra del Pd, della tesi già sostenuta
il 18 giugno al Teatro Brancaccio di Roma
("il centrosinistra è morto ed esiste una Sinistra con un suo progetto di Paese"),
indica, perché la neonata volontà di stare insieme a sinistra non si ingarbugli,
almeno cinque nodi da sciogliere a breve tra i tanti.
Si tratta di osservazioni tutte da prendere in seria considerazione
e quindi da discutere (apertura a tutte le forze disponibili della sinistra larga,
programma comune, percorsi d’azione, liste).
Qui si vuole prendere in considerazione il “quarto nodo”, questo:
Il quarto nodo: la leadership, appunto. Che non può essere calata dall'alto.
Né può essere maschile singolare. Deve essere plurale, capace di tenere
insieme i generi e le generazioni. La maledetta legge elettorale voluta
da tutte le destre obbliga a indicare un "capo", letteralmente.
E dunque ci dovrà essere anche un nome singolo: condiviso, autorevole,
capace di coordinare senza comandare. Ma dentro una struttura plurale”.

Perfetto! Eppure qualcosa si potrebbe aggiungere in segno di discontinuità
e di sperimentazione. Se una brutta legge elettorale “obbliga” a indicare 
un “capo” (proprio così, un “capo”: ormai, in tempi di crisi della democrazia,
non ci si vergogna più di (in)seguire un “capo”), ripeto, se una brutta legge 
elettorale “obbliga” a indicare un “capo”, perché, dopo aver affermato 
la necessità di una leadership plurale e aver rifiutato una leadership 
maschile singolare, non si propone di sperimentare un coordinamento duale
di un uomo e una donna, invece di stancarsi a cercare un “nome singolo, 
condiviso, autorevole, capace di coordinare senza comandare”?
Perché non si abbandona definitivamente l’idea dell’Uno,
quasi sempre “maschile singolare” per sperimentare l’uno/due, 
maschile e femminile? 
Esiste una ragione politica, logica, storica di impedimento 
per una guida/coordinamento duale? Una donna e un uomo alla pari?
Forse per sottrarre la Politica al rischio del monocratismo maschilista, 
è bene sperimentare la guida duale, di un uomo e una donna insieme. 
Almeno a sinistra.
O no?

 Severo Laleo