mercoledì 29 aprile 2015

I Responsabili non finiscono mai



I governi a volte durano più a lungo grazie a Responsabili.
E’ una pratica, questa dell’apporto di Responsabili, introdotta,
nella nostra bella patria del trasformismo,
almeno di recente, nel nostro Parlamento, da un originale statista, 
Silvio Berlusconi. Ma non è una pratica solo per trasformisti.
E’ una pratica ormai “universale”, utile anche per superare dissensi 
di metodo e di merito all’interno di una stessa forza politica.
Quando si tratta di tener in vita un Governo spesso non si resiste.
Anzi, proprio di fronte alla possibile caduta di un Governo,
crescono i devoti della Responsabilità.
Questa volta i Responsabili sono tutti del Pd (è bene precisare:
la polemica è contro una scelta politica, e non contro le persone:
le persone sono sempre più di una scelta politica), sono intorno
a una cinquantina, i quali, convinti che “la fiducia sulla legge elettorale 
si sarebbe potuta evitare [eh, già!]”, constatato che “se non ci fossero
i numeri il governo cadrebbe, con tutte le conseguenze del caso”[ma no!], 
interrogatisi se non approvare la legge elettorale, già migliorata,
è un buon motivo “per far cadere un governo … in questa fase 
delicatissima per l'Italia” [non sia mai detto!], decidono “di votare
la fiducia” [giusto!], perché “far cadere il governo del pd sarebbe
una scelta irresponsabile e autolesionista”[ragionamento logico!],
e dichiarano: “Il nostro impegno proseguirà senza sosta [esclusa
la sosta per la legge elettorale!], sui temi dello sviluppo, del lavoro
e della giustizia sociale, che rappresentano oggi le preoccupazioni 
principali delle cittadine e dei cittadini italiani e che sono
il fondamento di una azione riformista di sinistra [se qualcuno 
concederà alla sinistra riformista un posto a tavola!].
Lo faremo dalla nostra salda posizione di minoranza del partito,
una minoranza solida, autonoma nelle scelte e responsabile
nei comportamenti [ah, vabbe’, allora il posto a tavola
è già sicuro con i capilista!]".

Per fortuna esistono gli irresponsabili, pronti a rifiutare
la pratica avvilente (la Storia non tradisce mai) dei Responsabili,
e proprio in materia di legge elettorale, dove il Governo è un intruso. 
E qui, guarda caso, il giudizio è pressoché unanime.
L’irresponsabile Epifani, con l’etica della semplicità, a tutti comprensibile, 
senza arzigogoli ha dichiarato alla Camera:
Si dice spesso che Parigi val bene una messa, ma per molti di noi
il rapporto tra mezzi e fini non è quello che spesso viene definito,
perché fini giusti implicano mezzi giusti e mezzi sbagliati non sempre
portano a fini giusti e condivisi”. 

E sembra lanciare un monito: attenzione, quando in Politica
si ha bisogno dei Responsabili è forse perché altri,
da soli, hanno giocato senza produrre corresponsabilità.

O no?

Severo Laleo

lunedì 27 aprile 2015

Buffoni di Camera: parola di costituzionalista



E’ difficile credere.
Il deputato del PD, Giuseppe Lauricella, docente universitario, 
costituzionalista, uomo, almeno per biografia,
di ideali democratici e di cultura,
così ha spiegato all’Ansa il probabile comportamento
dei suoi onorevoli colleghi, rappresentanti del Popolo Italiano,
qualora fossero chiamati a votare la legge elettorale
con voto segreto: “Con lo scrutinio segreto almeno metà
dei parlamentari di M5S, di FI e dei partiti piccoli, voterebbe
per l’Italicum che è un sistema che piace a quasi tutti,
al di là di quanto affermano in pubblico.
Ai Cinque Stelle piace il premio alla lista anziché alla coalizione,
perché quasi gli garantisce di andare al ballottaggio; e poi
con i capilista bloccati anche gli attuali parlamentari più in vista
sarebbero sicuri di essere rieletti. Inoltre la soglia di sbarramento
al 3% tutti i partiti minori sono sicuri di entrare in Parlamento”.

Traduco incredulo. E vorrei sbagliare.

1. La metà dei deputati del M5S, di FI, di SEL e degli altri partiti piccoli, 
sono bugiardi, imbroglioni, falsi e infingardi perché affermano in pubblico 
il contrario di quanto nel segreto della propria viltà realmente pensano.
2. Il M5S in particolare, nonostante la netta opposizione parolaia,
e agitatoria, in realtà coltiva con “piacere” l’idea di andare
al ballottaggio, a prescindere da ogni giudizio di merito
sulla legge elettorale.
3. Addirittura i deputati “più in vista”, i deputati cioè
con più esperienza parlamentare e cultura politica,
e responsabilità dirigenziale, di fronte alla possibilità
di essere rieletti con il meccanismo dei capilista,
in verità sono egoisticamente interessati a facilmente piegarsi
in vista di una poltrona “sicura”.
4. Infine, tutti i partiti minori si agitano a vuoto,
fanno ammuina, ma in realtà sono d’accordo, perché,
grazie al 3%, hanno sicuro qualche spazio,
sempre di poltrone, alla Camera.

Ecco, questo è il quadro dipinto, con indifferente cinismo politico,
anzi con la giocondità sicura di chi tutto ha già capito,
proprio da esperto e fine  costituzionalista, da un rappresentante delle Istituzioni, 
per giunta democratico.
Italicum o non Italicum, se questo è il livello, narrato e reale,
 dei nostri rappresentanti al Parlamento, la nostra democrazia
è già morta. Forse da un pezzo. Per assenza di cultura,
per vuoto di etica,  per sfacciataggine in politica.
Scriveva Gobetti, nel 1922: “Una nazione (…) che rinuncia
per pigrizia alla lotta politica, è una nazione che vale poco”.

O no?

Severo Laleo

La scuola dell’Italicum. Lettera a una Preside.



Carissima Preside, anzi Dirigente Scolastica,
anzi, via le formalità, carissima Lucia,

non so se hai letto le dichiarazioni della nostra Ministra
Giannini a Repubblica. Sono molto interessanti, da meditare,  
perché rivelano, della Ministra, sia la sua visione culturale
e politica, sia la sua figurazione futura della scuola.
E sono un tutt’uno. Anche in vista dell’approvazione
dell’Italicum. Lo so, tu hai solo da guadagnare da questo DDL
la Buona Scuola, ma, a riflettere fino in fondo, non so se è
proprio vero, e non so se è compatibile, la Buona Scuola,
con la tua sensibilità di persona dedita alla formazione
dei giovani, sia sul piano pedagogico, sia sul piano culturale,
sia sul piano etico-politico.

Per quanto riguarda la visione culturale e politica,
1. la nostra Ministra, pur competente nel comprendere
i significati delle parole, lascia, liberaldemocratica,
senza difficoltà Scelta Civica, per approdare, socialista, al Pd;
una novità nella storia dei Ministri dell’Istruzione, legittima,
senza dubbio, anzi, ad essere sinceri, incarna bene una virtù
di tanti italiani, più attenti ai “fatti” e meno alle “parole”;
2. anche se, nel lamentarsi dei fatti di Bologna, pretende,
sempre da esperta di linguistica, tra i microfoni della stampa
e il cordone dei forzuti del servizio di sicurezza, di chiamare
i suoi contestatori, armati di cartelli e pentolame, “squadristi”, 
strapazzando lucidamente la lingua italiana. E la storia.
3. Infine, la nostra Ministra non omaggia la prudenza
della cultura del dubbio, almeno nelle questioni riguardanti
le plurali visioni del vivere; no, la nostra Ministra, cancellando
la sua “cultura” liberaldemocratica, dichiara, con amabile eleganza,
di avere, novella “socialista”,  la “certezza che tra i docenti
ci sia un'inerzia diffusa”, anzi avverte il rischio che non vogliano 
partecipare al cambiamento”.
Questa è la nuova cultura. Ma tant’è!

Per quanto riguarda il futuro della scuola,
carissima mia Preside, vorrei sottoporre alla tua attenzione
queste asciutte parole di risposta della nostra Ministra
a una chiara domanda del giornalista circa il potere
del dirigente scolastico, il tuo potere: "Un preside
che sbaglia perderà l'indennità e poi il ruolo,
la valutazione li riguarda da vicino”. E sembra ammiccare:
nessun problema, saremo attenti noi! I vigili!
E’ chiaro? Attenta Lucia, la valutazione ti “riguarda da vicino”.
Lo so, tu non temi nessun controllore, sei troppo brava.
Ma il cerchio si chiude, comunque. Il futuro della scuola
è già scritto. Il Preside, a prescindere, deve tener conto
del potere dei suoi valutatori, i valutatori del potere di nomina
della burocrazia ministeriale, anzi del Ministro in persona,
anzi del Governo. E se con l’Italicum il potere sarà tutto
di un solo Premier, a cascata, di conseguenza, tutto cadrà
nel controllo diretto dell’Esecutivo.
La “rivoluzione” è servita. Ma il nome a te è già noto.
O no?
Buon lavoro, carissima Lucia.
E auguri, per tutto, ma più per le tue ragazze e ragazzi.


Severo Laleo

domenica 26 aprile 2015

Il lamento antistorico della Linguista Giannini



Pare abbia dichiarato la Ministra Giannini:
"Mi hanno insultata, parolacce irripetibili. Non mi hanno permesso
di parlare, in un luogo pensato per discutere: una Festa dell'Unità. Erano disinteressati ad ascoltare quello che avevo da dire. 
Come li vuole chiamare, quei cinquanta di Bologna. Squadristi. Insegno linguistica da tempo e non trovo altro termine. Sono stata aggredita da cinquanta squadristi. Vivaddio, solo verbalmente".
D’accordo, gli insulti sono inammissibili. Sempre.
Ma la Ministra  sbaglia. E di grosso. Insegnerà pur linguistica
da tempo, ma non certo usa a proposito la lingua italiana,
se chiama “squadristi” i partecipanti a una contestazione rumorosa,
a base di pentolame, con tante donne, qualcuna con bimbo
in braccio, e alla presenza della stampa e sotto la vigilanza
di un apparato di sicurezza.
Ma via, un po’ di serietà! Anche nel vocabolario!

O no?

Severo Laleo

sabato 25 aprile 2015

25 Aprile 2015. Per un’etica della Resistenza



La tragica morte in mare di persone migranti
in cerca di nuova vita
ha interrogato ad horas la civiltà nostra d’Europa.
Alla fine, solo per spostare qualche spicciolo.
La fissazione dei conti uccide tutto inesorabilmente.
L’Europa muore d’avarizia. Nei suoi leader.
E smarrisce nella contabilità la Resistenza.
Bisogna avvertire: la Resistenza non è più sulle montagne.
La Resistenza è in noi, perché è un’etica comune. Universale.
Un’etica per sempre, oltre la Storia. Altrimenti è finzione,
e rito inutile di celebrazione.
Nel suo saggio del 2011 dal titolo “La virtù della resistenza.
Resistere, prendersi cura, non cedere Carol Gilligan scrive:
 “Uno degli aspetti più tragici della civilizzazione è che le norme morali 
ci hanno allontanato da ciò che solo ora riconosciamo essere la cifra 
della nostra umanità. L’olocausto ha fatto emergere i limiti delle teorie 
sullo sviluppo morale mostrando che i tradizionali criteri di valutazione 
dell’adeguatezza morale –intelligenza ed istruzione- non sono sufficienti 
a impedire le atrocità. In un certo senso, l’avevamo sempre saputo, 
eppure continuiamo a stupirci quando l’ingiustizia viene perpetrata 
dai migliori e dai più brillanti’, per usare l’espressione con cui David Halberstam 
descrive gli uomini che guidarono la guerra in Vietnam (…) Perché l’ingiustizia 
si ripresenta in maniera sistematica in società basate su istituzioni 
e valori democratici? Da cosa origine la resistenza etica?
Indagando (…) siamo riusciti a considerare l’etica della cura (…) 
come un’etica della resistenza che ha la virtù di contrastare l’ingiustizia 
e la riduzione al silenzio. S tratta di un’etica, propria degli esseri umani, 
essenziale alla democrazia e al funzionamento della società globale. 
Più precisamente e in termini controversi, si tratta di un’etica femminista 
che storicamente lotta per liberare la democrazia dal patriarcato (…) 
In una cor­nice patriar­cale la cura è un’etica fem­mi­nile. In una cor­nice 
democratica la cura è un’etica dell’umano (…) Pren­dersi cura esige atten­zione, 
empa­tia, ascolto, rispetto (…). È un’etica rela­zio­nale basata su una premessa 
di inter­di­pen­denza. Non è altrui­smo”.
Forse, oggi, 25 Aprile, ha di nuovo senso Resistere. Per ritrovare umanità.
O no?
Severo Laleo


venerdì 24 aprile 2015

Il valore diverso dei soldi e la civiltà



A volte la lettura di una pagina di giornale, sia pure online,
è illuminante, e quasi misura quanto sia facile smarrire
il senso del limite e quanto sia profonda la nostra perdizione
civile. Stamani trovi, nell’ordine, per caso, queste notizie.
Da una parte,
l’esultanza clamorosa (gioia inutile) di un Premier per aver ottenuto, 
in una riunione ad hoc, da partner europei, campioni di micragna, 
qualche milione di euro per “bloccare”, con un più ferreo controllo, 
il traffico di extracomunitari verso le nostre sponde e quindi “respingere” 
(dove? quanto sia crudelmente violenta questa parola, pochi s’accorgono), 
l’arrivo di disperate persone (d’ogni tipo, è vero, eppur sempre disperate),
dall’altra,
la “normale”, silenziosa e non esaltante, trattativa di “riparazione
di una star vocale per aver sottratto, secondo l’accusa, qualche milione di euro 
al Fisco del nostro Paese, tanto pressappoco quanto ha agitato il sonno 
dei nostri governanti subito precipitatisi in Europa a chiedere un aiuto. 
Per soldi, non per comprendere, insieme, la tragedia.
E per soldi, i Partners, stracciano, moderni ignoranti,
(l’Unione, “consapevole del suo patrimonio spirituale e morale, 
si fonda sui valori indivisibili e universali della dignità umana, 
della libertà, dell'uguaglianza e della solidarietà”).
Ma si sa, questi principi valgono sulla carta.

Quale esultanza allora è mai possibile se nel tuo bel Paese
si consente troppo spesso a un privato, ora beccato, 
tra i tanti ancora nascosti, di sottrarre al fisco quanto basta a salvare 
nel mare vite di persone in cerca di un po’ di fortuna e felicità 
(la parola è grossa, forse)?
Quale esultanza allora è mai possibile se nel tuo bel Paese si decide,
in leggerezza, di spendere  miliardi per aerei di guerra e si invoca aiuto 
frenetico per reperire qualche milione da destinare a persone disperate?
E ti accorgi quanto sia fragile, labile, il limite tra un’idea di civiltà 
fondata sulla “cura” dell’altra persona e la pratica di un egoismo “privato” 
per danarismo avvilente.
Forse qualcosa già non funziona nel nostro bel Paese. E in Europa.

O no?

Severo Laleo 

lunedì 20 aprile 2015

La meglio scuola e gli “imbroglioni” del ddl la BuonaScuola



Personalmente non ho dubbi. Almeno per polemica. Il ddl la BuonaScuola 
è stato scritto da “imbroglioni”, insensibili e indifferenti, chiaramente, 
per stile di scrittura e per passione etico-politica, alle “finalità” del fare scuola. 
Sì, “imbroglioni”, perché in realtà agli estensori del ddl non importa 
assolutamente nulla della possibilità di civilizzazione della società attraverso 
la scuola, soprattutto quale luogo dove la modalità di sperimentare la relazione 
tra persone nei differenti ruoli sia già un esempio/modello di civiltà, al contrario, 
agli estensori del ddl importa solo acciarpare un testo (in questo senso linguistico, 
imbroglioni”) per  ubbidire a un orientamento politico di semplificazione 
e di accentramento del processo delle decisioni, con l’esclusivo compito 
di trasformare una struttura istituzionale, oggi, nonostante ambiguità e difetti, 
a carattere partecipativo, collegiale e a corresponsabilità forte, in una struttura, 
domani, “privata”, a carattere piramidale,  secondo gerarchia, con rinforzo 
premio/castigo. Estensori “imbroglioni”, perché spacciano per moderno e nuovo 
un ritorno secco, data la centralità del dirigente scolastico, agli anni prima 
del sessantotto (i nuovi governanti del settore scuola, a partire da Gelmini
hanno un odio iroso per il  ’68), quando era nei poteri del Preside, 
attraverso le note di qualifica, da Insufficiente a Ottimo, bloccare o anticipare 
gli scatti biennali di stipendio. 
Eppure la ministra, Stefania Giannini, è convinta di difendere una “riforma 
culturale rivoluzionaria”», e, con una gentilezza oltre misura, dichiara: 
quando la riforma sarà capita fino in fondo [grazie!] da tutti, ci sarà 
un'accettazione ma soprattutto una partecipazione ancora più ampia”. Mah! 
Forse la Ministra confonde partecipazione con “supinazione”, dal momento 
che proprio la sua riforma cancella a scuola l’idea di comunità tra pari 
in responsabile e libera collaborazione/partecipazione, e “rafforza”, anche 
tra i banchi e nelle aule l’antico, degli italiani, per ricordare Gobetti
animo di schiavo”. 
Estensori “imbroglioni”, perché il ddl recante disposizioni per la Riforma 
del sistema nazionale di istruzione, e si sottolinea Riforma del sistema nazionale 
di istruzione, nel suo Capo Iha quali Finalità il nulla. E il vestito del nulla, 
integrale, è il seguente: “Art 1. (Oggetto e finalità). Il disegno di legge intende 
disciplinare l’autonomia delle istituzioni scolastiche dotando le scuole 
delle necessarie risorse umane, materiali e finanziarie e degli strumenti 
necessari a realizzare le proprie scelte formative ed organizzative.
Le disposizioni in oggetto sono volte a garantire la massima flessibilità, 
diversificazione, efficienza ed efficacia del sistema scolastico attraverso 
un uso ottimale delle risorse e delle strutture e all’introduzione di tecnologie 
innovative in raccordo con le esigenze del territorio. A tal fine le singole 
istituzioni scolastiche definiscono il proprio fabbisogno attraverso 
la predisposizione di un piano triennale dell’offerta formativa volto a potenziare 
e valorizzare le conoscenze e le competenze degli studenti e l’apertura 
della comunità scolastica al territorio.
Solo all’art. 2, il Capo Finalità trova minima la sua chiave. 
E quel “disciplinare l’autonomia” diventa un semplice rafforzamento 
dell’”autonomia scolastica prevista dal regolamento di cui al decreto 
del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275”.  Un testo d’altri tempi, 
dunque. E qual è il suo “rafforzamento”? Qual è, a dire con Giannini
la rivoluzioneSemplicemente la cancellazione subdola del senso pieno 
e socialmente rilevante dell’autonomia del ’99, soprattutto quando ribadisce 
principi di cultura pedagogica. Le finalità nel testo del Regolamento 
dell’Autonomia sono chiare: “Art 1. Natura e scopi. L'autonomia 
delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo 
culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi 
di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, 
adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche 
specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo,
coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione 
e con l'esigenza di migliorare l'efficacia del processo di insegnamento 
e di apprendimento... Art. 4 Autonomia didattica. Le istituzioni scolastiche, 
nel rispetto della libertà di insegnamento, della libertà di scelta educativa 
delle famiglie e delle finalità generali del sistema … concretizzano gli obiettivi 
nazionali in percorsi formativi funzionali alla realizzazione del diritto 
ad apprendere e alla crescita educativa di tutti gli alunni, riconoscono 
e valorizzano le diversità, promuovono le potenzialità di ciascuno adottando 
tutte le iniziative utili al raggiungimento del successo formativo”.
Ma con il ddl la BuonaScuola diventa “rivoluzione” il superare ogni riferimento 
al raggiungimento del successo formativo, ogni riferimento al pluralismo 
culturale, al pieno sviluppo della persona umana, al diritto ad apprendere 
e alla crescita educativa di tutti gli alunni, alla libertà di insegnamento
una libertà ancora così cara nel testo del ’99 da essere preservata 
con un articolo ad hoc, il 15: Competenze escluse. Sono escluse dall'attribuzione 
alle istituzioni scolastiche le seguenti funzioni in materia di personale 
il cui esercizio è legato ad un ambito territoriale più ampio di quello 
di competenza della singola istituzione, ovvero richiede garanzie particolari 
in relazione alla tutela della libertà di insegnamentoa) la formazione 
delle graduatorie permanenti riferite ad ambiti territoriali più vasti di quelli 
della singola istituzione scolastica; b) reclutamento del personale docente, 
amministrativo, tecnico e ausiliario con rapporto di lavoro a tempo 
indeterminato; c) mobilità esterna alle istituzioni scolastiche e utilizzazione 
del personale eccedente l'organico funzionale di istituto; d) autorizzazioni 
per utilizzazioni ed esoneri per i quali sia previsto un contingente nazionale; 
comandi, utilizzazioni e collocamenti fuori ruolo …”.
Ma i nuovi governanti non hanno la preoccupazione di attivare "garanzie 
particolari in relazione alla tutela della libertà di insegnamento". 
La preoccupazione dei nuovi governanti, al contrario, è tutta nel controllare 
la “buona scuola”, attraverso il “nuovo centrale” Dirigente Scolastico, 
una figura tuttofare, debole in verità, di controllore controllato (dovrebbero 
guardare lontano e scendere in piazza, insieme a tutte le altre componenti,
i dirigenti scolastici a difendere la libertà di insegnamento, l’autonomia didattica, 
la collegialità, la corresponsabilità pedagogica dell’intera comunità scolastica). 
Il ddl la BuonaScuola non ha altre novità oltre “il potenziamento 
e la valorizzazione delle funzioni del dirigente scolastico”. 
Le novità, anzi, tutte di ordine manageriale, in assenza di una visione moderna 
di cura per la persona in età di apprendimento fino a 18 anni, discendono 
esclusivamente dalla centralità del ruolo del dirigente: 
Il dirigente scolastico assume un ruolo centrale per la determinazione 
del fabbisogno e della migliore offerta formativa dell’istituzione scolastica 
e la sua funzione è rafforzata, al fine di garantire una gestione immediata 
ed efficiente delle risorse umane, finanziarie, tecnologiche e materiali”. 
E torna il ritornello avvilente della gestione immediata e efficiente, a nascondere 
l’obiettivo dell’impoverimento della libertà pedagogica e didattica della comunità 
scuola a favore dell’odiato, a parole, potere della burocrazia manageriale.
Persino il curriculum dello studente non è immaginato per l’esercizio della libertà 
di apprendimento, a prescindere, oltre la logica strumentale di rendita futura,  
quanto, al contrario, per il controllo di utilità da parte di altri: specie se datore 
di lavoro. Il grido di minaccia del Premier nel proclamare il suo incredibile 
la scuola è delle famiglie”, dopo il volgare suo ridere per la protesta del mondo 
della scuola, dà un’idea terribilmente chiara della caduta culturale (e istituzionale)  
dei nostri governanti. E fatto più grave, non suscita reazioni di rigetto immediato 
nel suo Partito. E tra gli intellettuali. Inimmaginabile. Ora diventa anche chiaro, 
conseguentemente, il perché del rifiuto di questi governanti di confrontarsi 
con il testo della LIP, preparato non da “imbroglioni”, ma da quanti, 
in ogni componente della comunità scolastica, hanno a cuore 
il “diritto all’educazione, all’istruzione e alla formazione  nel rispetto 
dei “principi di pluralismo e di laicità”.
La meglio scuola è la scuola della libertà di insegnamento e di apprendimento, 
è la scuola della promozione della persona fino all’età di 18 anni, sempre, 
senza ipotesi di insuccesso e di espulsione per demerito (il diritto 
alla formazione ha con sé implicitamente il diritto al successo, 
il diritto alla promozione, intendendo per promozione non tanto il passaggio, 
spesso ipocrita, per scrutinio, da una classe all’altra, quanto il percorso di reale 
avanzamento lungo la linea di una continua crescita culturale e umana), 
la meglio scuola è la scuola bottega, la scuola cooperativa e dialogante, 
dove la relazione docente/studente non è più chiusa nel trinomio 
lezione-interrogazione-voto, ma è aperta nella ricerca continua da un legame 
di empatia, intorno a un comune tavolo di lavoro di trasmissione 
e produzione di saperi.
La meglio scuola è la LIP, perché è la scuola nata da un ampio e diffuso dibattito 
per iniziativa popolare, e non è certo la scuola del Governo, tramite il Ministero, 
tramite il Dirigente Scolastico. Quella, è solo la “Buona Scuola”.

O no?
Severo Laleo


La morte dei migranti in mare e la barbarie latente



La nostra retorica politica, d'ogni parte, pretende di costruire sempre un futuro migliore per tutti: e si capisce, 
l'idea di progresso civile è nel dna della nostra civiltà occidentale, patria del diritto e dei diritti della persona.

Ma perché dunque lasciamo morire nel mare persone 
in cerca di appena un po’ di futuro, e di un minimo di diritti, 
e indignati e sconvolti continuiamo a chiacchierare
di responsabilità, di impegni, di nuove misure, 
e ci affanniamo nella ricerca comune di una modalità 
per “impedire”, “bloccare”, “controllare”, “risparmiare”, 
dando a queste parole un nuovo significato di “morte”?

E’ il mistero della profonda barbarie latente.

Per difendere il senso stesso della nostra civiltà, 
e umanità, per dare un minimo di verità ai grandi proclami 
di tante Dichiarazioni, esiste una sola possibilità: 
non solo salvare la vita delle persone, comunque 
e sempre, ma accogliere nel miglior modo possibile 
i diseredati della terra. Senza perdere un attimo. 
Perché l'agire solidale non significa essere “buoni”, 
significa semplicemente essere “vivi”.

O no?

SeveroLaleo

venerdì 17 aprile 2015

Lettera aperta alle/ai parlamentari “tenaci” (inutilmente)




  
Care  e cari Parlamentari “tenaci
(sì, è stata la vostra “tenacia”  a inorgoglire il tweet di Renzi
Grazie alla tenacia dei deputati terminati i voti sulla seconda lettura
della riforma costituzionale. Un abbraccio a  gufi e sorci verdi”),

a ben ragione “tenaci” nel sostenere, contro gufi e sorciverdi,
(è colorito il nostro costituzionale dibattito politico) il vostro Premier,
e di corsa, e di notte, e ad aula vuota, e senza fiatare,
nemmeno contro gli insopportabili strappi  alle regole comuni, 
proprio comuni, di civile convivenza parlamentare,
ora dall’America giunge direttamente alla vostra “tenacia”  
il nuovo cambiamento, il nuovo verso. Sempre nuovo,
rapido e irremovibile (almeno per un qualche tempo).

La nuova linea (chissà se è stato consultato Giachetti,
sempre attento, a suo dire, a non essere scavalcato),
nasce all’interno di una logica di scambio, infelice,
degna dell’altro abile politico d’Italia,
almeno secondo la stampa dell’epoca,
il già Ministro di Riforme (ahi, queste Riforme!), Bossi,
ed è perentoriamente definita da un lesto, secco, convincente:
 “Il Senato può tornare elettivo”.

Care e cari Parlamentari “tenaci” ,
dispiace, ma la vostra “tenacia“, pur ammirata,
può essere ritenuta inutile in qualsiasi momento,
ad nutum, a comando. Almeno per ora.
Perché con l’Italicum non servirà nemmeno più.

 O no?

Severo Laleo

lunedì 13 aprile 2015

E’ donna, è nonna, e non corre



Hillary Clinton, con l’annuncio della sua candidatura per la corsa
a Presidente degli Stati Uniti, non spiazza certo i media,
ma introduce nella simbologia del discorso politico, almeno per noi 
in Italia, interessanti variazioni.
E’ una donna, è una nonna, e non corre.

E’ una donna.
In Italia, forse anche per colpa della pratica maschilista di cooptare
nelle sedi di direzione/governo donne non “disturbanti
il manovratore di turno”, non è stato ancora possibile vedere,
nemmeno immaginare, una donna Presidente del Consiglio
o Presidente della Repubblica (un incarico esplorativo
per la formazione del Governo toccò -se non erro- a Nilde Iotti,
in qualità di Presidente della Camera,) o Segretaria di un Partito
(se si esclude qualche eccezione in formazioni minoritarie).
La Politica, per dirla con Panebianco, da noi è ancora affare
tra Maschi Alfa. E, anche se non esiste controprova, è legittimo
e facile immaginare un elenco lungo di danni arrecati al Paese
da una visione e pratica del Potere tutta al maschile, soprattutto
in termini di rappresentazione pubblica della diseguale relazione 
uomo/donna. E ancora oggi la presenza di donne al Governo dipende 
solo dalla “generosità” di un Maschio, in assenza
di norme di parità.
Finalmente una donna “non dipendente”!

E’ una nonna.
Tutta la retorica sul giovanilismo, imperante da noi, crolla di colpo 
dinanzi alla scelta di Hillary. Nel Partito Democratico degli Stati Uniti, 
pur dopo l’esperienza del “giovane” Obama, nessuno
si sogna di costruire la battaglia politica contro la nonna
in nome di una “generazione”.  La rottamazione, con il suo carico
di violenza, è un unicum italiano (e violenza è anche l’occupazione 
del Potere). In una democrazia aperta la Politica è per tutti,
almeno sino a un limite di età definito,
e la conoscenza del mondo e della vita, attraverso studi
ed esperienze, spesso facilita e rende più forte
la saggezza/prudenza rispetto all’ambizione/dismisura
nell’azione di direzione.
Finalmente una persona d’età!

Non corre.
L’immagine di un Obama correre agile e rapido per la scala
dell’Air Force One sarà sostituita dall’immagine
di un incedere deciso e sicuro, senza più corse a rischio,
di Hillary. Ma nessuno negli Usa, in Italia forse sì,
potrebbe mai immaginare di stabilire un legame possibile,
meno che mai virtuoso, tra la qualità dell’azione di governo
e la “velocità” dei passi.
Finalmente, grazie Hillary!

O no?

Severo Laleo

venerdì 10 aprile 2015

De Gennaro, Orfini, Renzi … e la cultura del limite



Solo un filo di ragionamento,
con un occhio alla “cultura del limite”,
alla cultura cioè di un “alt”, di un “fermarsi” del Potere
dinanzi alla violenza, alla tracotanza, all'andare oltre il limite,
oltre il lecito, oltre il legittimo, in una parola, dinanzi alla hybris.
Specie se il Potere vuol essere espressione di democrazia.

I fatti. De Gennaro, nato nel 1948, quest’anno, quindi, in età
di pensione (ma il pensionamento, in una società civile attenta
al “limite”, attenta cioè a valutare il “lavoro” solo quale componente 
temporanea della vita, non dovrebbe essere per tutti,
senza esclusioni, obbligatorio a una certa età, seppure differenziata 
per settore di impiego? Nella Chiesa il “limite” massimo,
per i Cardinali, è 75 anni, nella Repubblica Italiana non esistono limiti, mah!), 
De Gennaro, dunque, ai tempi dei fatti del G8 di Genova
e dell’irruzione alla Diaz, era il Capo Responsabile della Polizia
di Stato. Oggi, per la sentenza di condanna dell’Italia da parte
della Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo,  
quell'irruzione della Polizia, alle dipendenze sempre del Capo
De Gennaro, nella scuola Diaz, la notte del 21 luglio 2001,
durante il G8 di Genova, “deve essere qualificata come tortura”.
Una condanna all’unanimità. Senza appello.
Chiunque oggi incontri De Gennaro, al di là del giudizio
intorno alla persona, non in discussione, può sempre dire:
Ecco il Capo della Polizia responsabile, consapevole
o inconsapevole, della tortura nella scuola Diaz”.
Ricordare la sua assoluzione nel processo in Italia per salvare
De Gennaro dalle dimissioni è fuori luogo, non ha senso:
un condannato, a rigore anche in Italia, non può diventare
un Manager di Stato. O no?
In qualsiasi Paese civile il responsabile “Capo” di una tortura 
perpetrata ai danni di cittadini indifesi sarebbe già dimissionario,
al di là del timido richiamo alla “coscienza” di una rottamatrice
di razza, qual è la Serracchiani e al di là dell’inutile richiamo 
all'assoluzione del Presidente dell'Autorità Nazionale Anticorruzione, 
Cantone.
Ma il problema non è di una “coscienza”, o di un’assoluzione,
è semplicemente delle Istituzioni, del Governo, in particolare,
se non vuole alimentare il sospetto di complicità. Grave.
E il sospetto esiste, se è sordo, il Governo, anche alle parole
del pm Enrico Zucca: “I fatti sono gravissimi per l'Italia
perché hanno visto coinvolti i vertici delle forze
di polizia che hanno ricevuto in questi anni attestati di stima
e solidarietà come se non fossero stati coinvolti da questi fatti.
E De Gennaro, indubbiamente, non conosce limiti.

Orfini, Presidente del Pd, conosce sì i limiti e afferma:
Lo dissi quando fu nominato e lo ripeto oggi dopo la sentenza. 
Trovo vergognoso che De Gennaro sia presidente di Finmeccanica”.
Vergognoso, per le Istituzioni, s’intende. Bene. Bravo. Ma appena
è sconfessato dal suo Segretario di Partito, il rottamatore
per antonomasia, su una questione cruciale per l’etica pubblica,
subito s’adegua/acquatta  con un: “Resto della mia idea:
il cambiamento che il Pd sta promuovendo nel paese non dovrebbe 
fermarsi di fronte alla  porta dei soliti noti”. Ma resta, purtroppo,
anche l'Orfini, al di qua della porta, ubbidiente, dimostrando 
di non conoscere il limite della sua dignità politica 
(non si può essere complici di scelte vergognose!).

Infine il Presidente del Consiglio, Renzi, un altro Capo Responsabile
all'indomani della sentenza, invece di preoccuparsi, 
chiedendo le dimissioni di De Gennaro, di salvare l’integrità civile
della democrazia del suo Paese e l’integrità della libertà
di manifestazione delle persone del suo Paese,
e insieme la sua presentabilità etica all’estero, si preoccupa,
da vecchio Capo, tetragono al rispetto del diritto del dissenso,
limite invalicabile in ogni Paese civile dell’Europa, 
si preoccupa, ripeto, degli affari di Finmeccanica. 
E blinda l’ex Capo della Polizia con un semplice: “Il governo 
riconferma con convinzione la propria fiducia nei vertici 
di Finmeccanica e segnatamente di Gianni De Gennaro.”
Senza limiti, appunto, contro il bene delle nostre Istituzioni.

Forse il Potere, almeno in Italia, è losco. Sempre.
Qualunque sia il “verso”! 
E forse i nostri governanti hanno tutti bisogno di iniezioni
di cultura liberale. Nel senso di cultura delle istituzioni
e di cultura del limite. Per superare una volta per tutte
la diffusa  (in)cultura di "Capi" sempre a cavallo.

O no?

Severo Laleo