Caro Scapece,
con l'autunno mi diventi sempre un po' più pigro, eh! Non ho ancora ricevuto tue notizie, come mai? E' solo colpa della raccolta delle olive? Ho capito! Va bene, va bene! Intanto ti scrivo io. E ti racconto subito di una mia curiosa scoperta (si fa per dire!): sai, anche nella lettura di libri esiste una specie di eterogenesi dei fini: senti, ho scelto di leggere il libro di Lea Melandri, Dialogo tra una femminista e un misogino. La Ragione di Weininger, per seguire essenzialmente i ragionamenti della "femminista", eppure alla fine mi è cresciuta la curiosità di conoscere meglio il pensiero di Otto Weininger, il "misogino". Hai capito!
In verità il "merito" è tutto della stessa Melandri, perché nel suo immaginario dialogare con il giovane Weininger (autore di Sesso e Carattere) riesce a cogliere nella radicale misoginia del suo interlocutore spunti/elementi interessanti e, mi piace credere, suscettibili di sicura evoluzione, se, dopo la pubblicazione nel 1903 della sua tesi di laurea, appunto dal titolo Sesso e Carattere, non avesse deciso di uscir di vita per sua volontà a soli 23 anni. La lucidità di Weininger nel riconoscere, senza infingimenti e coperture di ipocrisia, "tutta la barbarie del sesso maschile contro quello femminile" è straordinaria, grazie anche a un genuino tono apodittico da giovane studioso. E per farti piacere ti dirò, tanto con te sono libero di esagerare, che se il Machiavelli di Foscolo "alle genti svela di che lacrime grondi e di che sangue” il potere del Principe, il Weininger di Melandri, pur negando alla donna, ridotta a "materia", la sua individualità, "svela" di quale imperdonabile colpa si sia macchiato l'Uomo nel rubare l'anima alla Donna.
Il dialogo tra la femminista e il misogino appare limpido e sincero, e sembra quasi tendere alla ricerca, se non di una comune conclusione, impossibile, almeno di una comprensiva convergenza, tanto è sentito il rispetto della "femminista" per il suo interlocutore "misogino"; il dialogo, del resto, se è dialogo, non finisce mai!
Ma tu già sai dove vorrei portarti! Vengo al punto. Scrive Melandri: "Guardando oggi le donne che stanno occupando ruoli di rilievo nella vita sociale, è difficile non concordare con Weininger quando associa l'emancipazione alla loro parte maschile, che si accompagna a una femminilità tradizionale. Quello che si vede sempre più frequentemente in scena è una sorta di 'ibrido', combinazione dei due volti di una differenza di genere che richiama, all'interno della cultura patriarcale, la figura mitica dell'androgino: un corpo di donna con una testa d'uomo. Non a caso sono molte le donne che, nei loro ruoli istituzionali o nelle loro professioni, chiedono l'appellativo maschile".
Non so se si possa concordare con Weininger, ma so per certo che se una donna occupa un ruolo di rilievo -intendo politico e/o istituzionale- si trova a essere catapultata in una struttura di potere costruita ab initio dalla cultura maschile; l'"ibrido" nasce anche da un'oggettiva condizione, perché la donna è comunque "costretta" a occupare un ruolo di rilievo sempre definito dal sistema patriarcale nella sua struttura generale. Ed è costretta quindi a muoversi in un circoscritto spazio non suo, dove appare "ospite". E qui torna la mia domanda: l'attuale, diffuso assetto istituzionale del "potere", ancora fondato sul monocratismo, quale indubbio esito storico del dominio patriarcale, può ancora essere utile per costruire una democrazia paritaria di/tra/con uomini e donne? Non sono forse state interiorizzate come neutre (e in quanto tali, accolte senza riflessione critica) anche le strutture istituzionali prodotte dal dominio maschile?
Ecco, già ti vedo scuotere la testa. Va bene, basta, mi fermo qua. Tanto a Natale avremo modo di continuare a dialogare. Ma leggimi il Dialogo, mi raccomando.
Stammi bene, caro Scapece, e a presto, dunque!
Severo