sabato 25 novembre 2023

Giornata Internazionale per l'eliminazione della violenza sulle donne. La parità nei "luoghi" delle decisioni.

 
La dolorosa, sconvolgente uccisione della giovanissima Giulia Cecchettin,
un femminicidio insopportabile, anche per le sue penosissime modalità,
disegnato/scavato dapprima in una mente senza “confini” e poi portato
a termine, nei suoi conseguenti atroci atti, da parte del suo giovanissimo
(ex)fidanzato, ha aperto un ampio, sofferto e partecipato, dibattito,
questa volta tempestivamente anche nel mondo della politica, alla ricerca
di cause/colpe e di possibili interventi/rimedi. 
In verità un po' tutte/i siamo chiamate/i a prendere la parola 
per tentare di "fare qualcosa", ognuna/o nel suo ambito, piccolo o grande. 
Siamo tutte/i coinvolte/i in qualche modo.
E tutte/i abbiamo paura del ripetersi senza fine di così tanto dolore
e cerchiamo le necessarie analisi e le possibili vie d'uscita, perché
non capiti mai più a nessuna altra donna.

Il Patriarcato
La cultura patriarcale è alla base di un implicito distorto fenomeno
di formazione di tantissimi (tutti?) maschi ancora oggi, pur con differenti
gradi regionali, nel nostro paese, e non solo.
Non sono necessarie lezioni, incontri, seminari, perché la cultura patriarcale
venga trasmessa, bastano le "cose", i "fatti", il "linguaggio" e le istituzioni.
Dentro questo ambiente, più o meno, pur intessuto di tante variabili, 
si respira l'idea che il potere del maschio sia preponderante e non ammetta 
"sconfitte", anzi, di più, si ritiene, sia legittima anche la violenza 
per mantenere quel "potere", fino all'eliminazione dell'altro 
(nel senso comunque di "oggetto").
Il patriarcato è chiamato in causa molto frequentemente nei casi 
di femminicidi, e non a torto, perché la cultura patriarcale, tramando 
nell'ambiente, educa alla violenza, palese e/o latente, 
sì da non comprendere,  quando scatta la violenza, se sei tu libero 
di colpire l'altro o sei tu il riflesso condizionato di una "situazione".
Ma da solo il patriarcato non può essere la causa del femminicidio.
Sul punto scrive parole condivisibili e convincenti G. Pasquino 
su Domani (22 Nov. 2023). Eppure si deve comunque alla strutturazione 
del potere secondo la visione patriarcale l'idea del Capo, dell'Uno 
(quasi sempre maschio), del Capitano, del Duce, del Condottiero, 
del padrone/padre, cui servire/ubbidire è un bene. E questa visione è 
da tutte/i, sia pure a diversi livelli, inconsapevolmente interiorizzata. 
Per immaginare una società nonviolenta, al di là delle dichiarazioni
di principio, sempre utili, e degli interventi per attenuare 
le disuguaglianze è anche necessario immaginare/fondare nuove strutture 
di potere oltre i dispositivi istituzionali della cultura patriarcale. 
Altrimenti i maschi alla “Trump” sono sempre in agguato, 
anche in libere elezioni.

La violenza della guerra
Per eliminare la violenza sulle donne è tempo di riflettere, e agire 
di conseguenza anche a livelli internazionali (Onu, in primis), 
per interrompere sul nascere ogni ipotesi di guerra. 
C'è forse ancora necessità di dimostrare che la guerra con le sue 
conseguenze di devastazioni e di morti colpisce con la sua violenza 
senza limiti soprattutto le donne?
La guerra, si può dire senza ombra di dubbio, è soprattutto una violenza 
sulle donne, avvolgente tutte le donne: crollano case e palazzi e a subire 
questa violenza di distruzione sono soprattutto le donne, muoiono bimbi/e, 
fratelli, padri, sposi e a essere colpite dalla violenza della morte sono 
soprattutto le donne, cadono le bombe e a subire la violenza della fuga 
sradicante sono soprattutto le donne.
Vittime della violenza della guerra non sono i maschi strateghi e potenti,
non sono i combattenti armati, se non in parte e secondo calcolati rischi,
al contrario, sono soprattutto le persone disarmate e fuori dal campo 
di battaglia.
Il femminismo, in questo caso la libera coscienza femminile, non offre 
cittadinanza alla pratica della violenza di guerra. 
La diserzione abita nobilmente la visione pacifista di tanti femminismi. 
E forse la maggioranza delle donne, proprio perché in grado 
di comprendere il dolore universale generato dalla violenza esprime 
una contrarietà netta, diffusa e consapevole contro la guerra.
Sono troppe le donne che piangono con cognizione di causa la guerra.
Una violenza da eliminare. La violenza/guerra appartiene ai "maschi".

Educare alla Parità
Molte voci si spingono a chiedere con sincera intensità una totale 
inversione nell'educazione tout court delle nuove generazioni 
a scuola, condannando, in ambito relazionale, l'educazione fai da te individuale/familiare/social(e) e sostenendo un reale, ben chiaro 
nei suoi obiettivi, quanto più possibile condiviso, progetto 
culturale/formativo; infatti -ci si chiede- se l'educazione fino ai giorni
nostri ha lasciato alle famiglie, ma soprattutto al caso/caos 
delle situazioni/condizioni sociali e ai casuali incontri, un'improbabile 
educazione alla parità e all'affettività, è necessario, al contrario, 
fin dalla scuola materna, educare bimbi/e a conoscersi
e rispettarsi in parità. E così continuando nelle diverse fasi 
della crescita.
Non c'è dubbio, l'educazione tout court e l'educazione di genere 
(alla parità, all'affettività, alla relazione) in particolare può diventare 
il grimaldello più potente per il controllo/eliminazione della violenza 
del maschio sulla donna.
E lungo questa strada bisogna agire anche con adeguati investimenti.
Non si può non essere d'accordo.

La "cultura del limite"
Altre/i insistono sull'idea di abituare le giovani generazioni, 
sin da piccole/i, a scuola e in famiglia, a porsi il senso del limite. 
Scrive sul Fatto M. Lanfranco: "Insegnare il senso del limite agli uomini, 
fin da piccolissimi, non è limitare, vietare o impedire: significa offrire 
il margine e il confine sul quale costruire relazioni sane e equilibrate,
nelle quali sono valide e apprezzabili tutte le voci e i desideri in gioco."
Non si può non essere d'accordo. Ma educare al senso del limite 
significa anche intervenire su tutte le situazioni di disparità 
nella società a ogni livello, economico, sociale, culturale. 
La cultura del limite non è una scelta in ambito personale,
è alla base di un processo di civilizzazione verso una società 
nonviolenta fino a eliminare la barbarie delle guerre.
E sull'Avvenire, con parole forse più accorate, scrive R. Mensuali
"Il maschio violento è un uomo per cui il mondo e la vita coincidono 
con la propria esuberante e immediata natura. Ciò che ci salverà, 
allora è la cultura di un "bordo" e di confini.
La base solida di una rinnovata "scuola" sentimentale dovrà essere 
una sorta di "teologia del confine"....Bisogna imparare ad accettare 
e far emergere il valore di un "bordo", nelle relazioni umane. 
Di un limite. Non è una barriera, il bordo,
è un confine che chiama all'impegno e alla responsabilità di conoscerlo,
prima di attraversarlo, di rispettarlo senza scavalcarlo e di amarlo 
senza calpestarlo”.
Parole perfette anche per questo blog.

La "paura" degli uomini
Gli uomini, in verità, dicono altre/i, nonostante siano da sempre immersi
nel continuum culturale della forza/dominio dei modelli virili, quando
si scontrano con la libera determinazione della donna che credono
"propria", hanno paura di perdere il "potere" e, di fronte al nuovo stato 
di frustrazione e insicurezza, possono cedere alla violenza. 
C'è del vero, ma non è tutto.
In ogni caso l'invito a "scardinare le gabbie dei modelli di genere" e 
a "accogliere la libertà" (Serughetti) è un passo necessario e decisivo, 
ma non da affidare, purtroppo, alla sola buona volontà/disposizione 
delle singole persone. Forse sono necessarie innovazioni di genere 
nelle strutture di potere.

L'impegno dei "maschi" a manifestare
A difendersi dalla violenza dei maschi sono le donne e sono 
anche le donne a voler gridare in piazza in mille manifestazioni 
la rabbia/dolore da una parte, in quanto "oggetti" di violenza, 
e la gioia lucente dall'altra nel reclamare il diritto di essere soggetti liberi, 
con la libera determinazione nella relazione, con la libera convinzione 
della parità di genere.
Eppure sono anche tanti gli uomini disponibili a scendere in piazza 
per essere coinvolti nella grande manifestazione per l'eliminazione 
della violenza sulle donne, aprendo all'interno della "comunità" dei maschi 
un dibattito alla ricerca di tutti gli elementi/segni/atti di potere/sopraffazione 
sulle donne interiorizzati in secoli di cultura maschilista e patriarcale. 
E' questo scendere in piazza un contributo molto forte al fine di offrire 
esempi di autocritica operante alle nuove generazioni.
Perché il manifestare in piazza esprime la volontà, dichiarata e praticata,
di un cambiamento culturale fondato sul reciproco rispetto nella relazione
uomo/donna.

La parità (visibile) nei "luoghi" del potere
Oggi alla manifestazione organizzata da Non Una di Meno torna 
questa consapevolezza: "Gli uomini uccidono perché possono, 
e non solo perché sono educati a farlo, ma perché viviamo in una struttura 
in cui il potere è ancora maschile. Non voler intervenire su questo porta 
a interventi cosmetici nel migliore dei casi, dannosi nel peggiore".
Il potere è ancora maschile è una verità. E maschile dappertutto 
è la sua visibilità. E la visibilità educa più di tante parole.
E' ora di riflettere, almeno da parte dei femminismi, sull'organizzazione
del potere a ogni livello, soprattutto a livello istituzionale, individuando 
possibili percorsi di superamento delle istituzioni finora sperimentate 
e date per "naturali(e naturali non sono, anzi paiono non rispettare 
la natura!).
Se "i sessi sono due" e hanno pari dignità, non si comprende perché
nell'organizzazione del potere, tutto ancora fondato sulla cultura 
maschilista, non si debba superare il monocratismo (costruito 
dal/sul sesso forte), esito storico-istituzionale di quella cultura, 
con il bicratismo di genere.
La “coppia” diventa così un “luogo” di "potere", ora dialogante,
all’interno del quale la "scelta", qualunque sia, non prevede l’eliminazione 
dell’altro. E tutte/i si interiorizzerà un altro modo di intendere la relazione.
La sostituzione dell'"uno" (maschio) con il "due" (maschio/femmina) 
nelle strutture di potere aprirebbe a una nuova visione antropologica 
e potrebbe contribuire all'eliminazione della violenza di un sesso 
(il maschile) sull'altro sesso (il femminile), educando "dal vivo" le nuove 
generazioni all'idea della comune, pari responsabilità tra i sessi.

O no?
Severo Laleo


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