giovedì 27 febbraio 2025

E il Re vende al ricco un incarico pubblico

 Fu la Rivoluzione Francese -e siamo, per chi vuol dimenticare la storia, nel 1789!- a porre fine definitivamente alla compravendita degli incarichi pubblici. 

Nei secoli precedenti era prassi comune, da parte dei potenti di allora, Re e Imperatori, distribuire le cariche pubbliche tramite un contratto di compravendita: ogni carica aveva il suo prezzo. 

Eppure, oggi, tempo d'intelligenza artificiale, la pratica della compravendita di una carica pubblica è  tornata in auge. Chissà, per inventare un nuovo futuro per i popoli! 

È successo: accanto all'aspirante Presidente degli Stati Uniti, un uomo gironzola e spesso si dimena durante la campagna elettorale; dai più è anche definito un genio della modernità, un uomo di grandi impensati progetti futuribili. Ebbene, quest'uomo, per garantirsi un ruolo pubblico all'interno di un'amministrazione di governo, ha avuto un'idea geniale: sborsare moltissimi soldi. Così l'aspirante Presidente, una volta diventato Presidente, sente l'obbligo di ringraziare il suo molto generoso finanziatore con un incarico pubblico importante all'interno della sua nuova amministrazione. 

La "storia" torna sempre se non la si cura! L'avanzatissimo tecnologico esperto di ogni teoria del futuro, per contare su tavoli del potere, può solo comprare la sua carica per intervenire nel pubblico. Il matrimonio di interesse è, quindi, tra una visione imperiale d'altri tempi, diventata dominante grazie a un voto democratico, e una cultura tecnocratica, storicamente depauperata, per di più vestita di una rumorosa motosega!

Si potrebbe sorridere, ma la scelta del "potere democratico" di appaltare un settore pubblico a estranei solo in virtù di soldi è un ritorno a tempi prerivoluzione francese, ed è un pericolo, in termini di civile libertà, per tutte/i.

Forse l'idea, visti anche annessi e connessi, di futuro di questi nuovi gasati "rivoluzionari" nasce già morta! In ogni caso non praevalebunt!

O no?

Severo Laleo

venerdì 21 febbraio 2025

Sylvie Goulard, le "mamme", la pace e altro

 Chi ha seguito stamani Omnibus sulla 7, avrà anche ascoltato, sul finire della trasmissione, l'ottima intervista a Sylvie Goulard. Tra le molte altre riflessioni interessanti sull'Europa e le sue istituzioni, a un certo punto Sylvie Goulard afferma: "Avremo bisogno certamente di istituzioni che decidono più rapidamente, ma oggi la priorità è di andare avanti con una posizione compatta di fronte a questa nuova alleanza America Russia: e qui devo dire, come francese in una tv italiana, che sono stufa degli interessi nazionali, perché l'interesse di tutte le mamme italiane e francesi o tedesche o polacche è di assicurare ai figli un ambiente di pace e di prosperità...La battaglia non è tra di noi. La battaglia deve essere contro chi vuole distruggere le nostre democrazie e il nostro futuro. Dunque basta con questa visione nazionalista!"

Non manca certo di chiarezza Goulard, e di parole per il nostro futuro d'Europa. 

Eppure, anche se non riesce a fare baluginare condizioni di azione, colpisce, e non credo sia un caso o una maniera, quel suo riferirsi alle mamme in quanto, forse per esperienza di vita, per convinzione profonda, radicale, di genere -si potrebbe dire-, (le più) desiderose di pace!

Non si può non essere d'accordo. 

Il problema è capire quando questo conclamato/assodato desiderio delle "mamme" di "un ambiente di pace" per figlie/i  possa diventare, insieme con altre donne e persone, un impegno politico vivo, reale e in atto (e in futuro di riforma delle istituzioni).  Ma è un obbligo politico lavorare su questo fronte.

Si guardi la foto dei protagonisti di Riad: non esprime forse una "situazione" politica di un sol tipo? Ha da riflettere il pensiero dei femminismi e ha da prendere iniziative il movimento dei femminismi, ora, subito, sulla pace e, domani, con tempestività, al lavoro sulla riforma delle istituzioni di rappresentanza e di governo. 

È ancora possibile lasciare al caso la composizione degli organismi assembleari, senza la parità assoluta, uomini/donne, ed è ancora possibile fidarsi del monocratismo esecutivo, esito diretto del dominio maschile nelle istituzioni? 

Forse, se si vuole un futuro di pace, si può andare oltre le "abitudini" dell'esistente.

Se non ora, quando?

O no?

Severo Laleo

lunedì 3 febbraio 2025

Poesia e fede in Nicola Prebenna, Per cieli nuovi e Terra nuova

 Caro Scapece, è un po' che non ci si scrive, ma, lo so, è colpa mia: dietro ai nipoti ci si dimentica degli amici (forse più scusa che verità!). So cmq di essere perdonato.

Credo di averti in altra occasione già parlato di Nicola Prebenna, anch'egli uomo di scuola, e studioso e poeta. E mio amico: un'amicizia nata tra i banchi delle scuole elementari e, seppur non coltivata negli anni per le diverse, lontane strade di vita, ha tacitamente conservato intatta l'intensità antica di un tempo. L'altro giorno ho ricevuto l'ultimo suo libro di poesie, "Per cieli nuovi e Terra nuova", Terebinto Edizioni, 2024. 

Ora, di questa raccolta di poesie vorrei brevemente parlarti, anche per invitarti a leggerle, magari con quella vaga idea, a volte propria di che è avanti negli anni, di credere di non morire e basta. Avrai sentito anche tu il giornalista Aldo Cazzullo, autore del fortunato "Il Dio dei nostri padri", dire, immedesimandosi in suo padre che sentiva di dover dare conto a Dio, di avere una "speranzella" di ritrovarlo, Dio. No, il mio amico Nicola non ha una "speranzella", ha una "visione" della "vita e oltre", dove "la voce infinita del Padre" è presente e certa e "tutti avvolge e tutti consola". "La vita e oltre" è il titolo della sua poesia, credo, testamento; coinvolgente, è da riportare per intero. "Avvolgetemi nel calore dei versi/che ho deposto nel solco del tempo/e della mente; lasciate che il corpo/si muti conforme alle leggi di natura;/l'anima mia disseminata nelle parole/e trapiantata nelle poche opere/qui e là germinate conforto riceva/dal memore pensiero e dall'affettuosa/immersione nella vita che fu/e che ci vide congiunti alla conquista/del bene e intenti a fuggire/il male e i suoi frutti./Dal fondo della tomba anzi tempo/prenotata illumina il buio del vostro/presente la fioca luce della pietà/che su voi veglia e che lontano/repelle il momento dell'incontro,/che pure un giorno avverrà, ma meglio/ per voi se dopo una lunga corsa/ad inseguire voci implumi di bimbi/e conquiste audace del cuore/proteso all'eternità./

Nel calore dei versi e delle parole/nella luce che dal tumulo si irradia/e nel filo esile della memoria/che in voi alberga e si nutre, si perpetua/la vita, la nostra vita, quella/che da sponde opposte e lontane/dell'universo si congiunge nell'attimo/dell'incontro che si fa eterno/e ci sbalza nel regno dell'infinita/voce del Padre, che tutti c'avvolge/e tutti consola./

E la pietra vuoto sepolcro rimane."

Tutta la raccolta è pervasa da una religiosità essenziale, dove la preghiera trova sì il suo posto, non per un isolarsi dal mondo, ma per implorare "bontà e fraternità". In parole e atti. Leggi anche "Il mio regno" e forse concorderai con me. 

Eppure una poesia soprattutto mi ha molto toccato, forse per fatto biografico, perché quasi mi ha trasportato sui banchi della nostra originaria amicizia, dove mi par di vedere Nicola, con i suoi occhi vivissimi, guardate lontano, al suo orizzonte. Eccola, con il titolo "L'orizzonte si apriva": "Entrando nel regno delle prospettive/ possibili mi sono smarrito nei tanti/anfratti che racchiudevano tutti/un segreto e poi ho scoperto/che identica era la disposizione di cuore/a colorare di prospettive reali/l'orizzonte che s'apriva allo sguardo; ed ora il servizio sacro, ora l'amore/per il sapere, ora l'ardore della santità,/ora la scelta della dedizione/ estreme variazioni si facevano/all'ansia di bene senza limiti./E non cessa l'ardore di inseguire sempre/e dovunque il bene intravisto e inseguito./L'animo si riconforta.

Ecco, caro Scapece, questo è il Nicola che ho conosciuto una volta: a questo Nicola ho voluto e voglio ancora bene. 

Leggimelo "Per cieli nuovi e Terra nuova"!

Stammi bene!

Severo