venerdì 15 febbraio 2013

Un “limite” all'antico dominio maschile: il bicratismo




One Billion Rising
ora è possibile dire, è diventata, nonostante non abbia goduto
in ogni Paese di una piena e diffusa copertura mediatica,
la più grande manifestazione universale di donne (e uomini)
mai organizzata prima, per affermare, dal basso,
proprio dal basso, senza necessità di devianti mediazioni, l’idea,
semplice, ma ancora difficile da realizzare, di non violenza tra persone,
a prescindere da Stati, governi, società, culture, religioni, proprietà, soldi.
Non violenza tra persone? Sì, perché denunciare, oggi, danzando,
la violenza di maschio contro la libertà di persona della donna,
è anche un invito a denunciare, con più forza, domani, e non solo danzando,
la violenza dell’uomo contro la libertà/dignità di ogni altra persona.
One Billion Rising
ha aperto, quindi, un nuovo percorso di civilizzazione nelle nostre società
a livello planetario. E tanto, grazie alle donne. Alla gioia danzante delle donne.

Eppure il germe della violenza di genere, al di là di ogni “curvatura” soggettiva,
è, forse, tutto nell'idea, ancora presente e viva in molte “regioni” culturali 
del mondo, della superiorità illimitata del maschio nei confronti della donna,
una superiorità la quale, mai negata nella lunga durata della storia,
ha prodotto l’idea universale, questa sì non ancora dappertutto in discussione,
del “dominio/potere”, via via, del maschio, del “despota”, del “padrone”,
dell’”uno”, del “capo”, del “monocrate”, del “duce”, del “leader”,
in ogni sede della decisione privata e pubblica. Un'idea violenta in sé,
anche se il ruolo del monocrate decisore è affidato a una donna.
Questa cultura/visione del mondo della naturalità del monocratismo,
chiaro esito obbligato del maschilismo imperante nei secoli,
ha bisogno di un rovesciamento/superamento, attraverso la produzione
di nuove regole di rappresentazione e relazioni sociali tra generi,
nel privato e nel pubblico. In breve, sarà la democrazia di genere,
con il suo bicratismo, a sconfiggere la violenza del maschio.


Basterebbe, per spezzare la secolare convinzione della superiorità del maschio,
scrivere una semplicissima norma di qualche rigo, più o meno di questo tipo:
In ogni sede di potere decisionale la presenza di uomini e donne deve essere pari”.
Che c’è di sconvolgente! Quali argomenti in contrario possono essere inventati
senza cadere nel ridicolo? Eppure i maschi (non tutti) resistono, e resistono
le donne a dominante cultura maschilista. Quando ci si siede intorno
al grande tavolo del mondo, a colpo d’occhio, uomini e donne si trovano divisi
perfettamente a metà o quasi. E siedono insieme. Ma quando il grande tavolo 
del mondo si trasforma nei tanti piccoli tavoli di decisione, di potere, di governo,
la presenza delle donne diventa casuale, facoltativa, opzionale; e appena i tavoli
diventano istituzionali, di amministrazione, di controllo, la presenza delle donne,
se va bene, è “quotata” al minimo. E non si siede più insieme. E’ ora di sostituire
il monocratismo con il bicratismo, dall'uno alla coppia, e ogni resistente mito
di superiorità crolla davanti alla visibile parità di genere.

Se si vuole dunque aprire una via possibile al cambiamento della società,
nella direzione dell’assoluto rispetto reciproco tra persone, dell’assoluta pari
libertà di genere, inverando l’art.1 della Dichiarazione Universale dei Diritti
Umani, e, conseguentemente, nella direzione dell’estensione della democrazia
e soprattutto della formazione di una decisione pubblica non più
condizionata/dominata da una cultura di genere maschile, in tutte
le “sedi/posizioni” di natura decisoria di pubblica utilità la presenza uomo/donna 
non può non essere pari.
La violenza del dominio maschile forse ha bisogno di un nuovo “limite”:
il bicratismo di genere.
O no?
Severo Laleo




mercoledì 13 febbraio 2013

Giannino "è fuori di testa"... sì, ma del padrone




Grazie a FARE per Fermare il declino
per la prima volta, in una campagna elettorale, l'Italia, per fortuna, avrà una moderna, 
aperta, europea, e non solo, forza/presenza 
liberale, alla Gobetti (o quasi), perché capace 
di smascherare l'italiana pratica 
del clientelismo dei liberalmonopolisti, presenti, 
dappertutto, trasversalmente, nel sistema 
amministrativo e politico del nostro Paese. 
Per una persona della vecchia sinistra,
fuori mercato, è davvero una grande opportunità 
di confronto almeno per tentare di dar senso 
concreto all'idea di libertà e di solidarietà, magari attraverso l'adozione di una cultura del limite.
O no?
Severo Laleo

sabato 9 febbraio 2013

La grande rivelazione: la Propaganda Virtuale e il Popolo Reale




Ormai è chiaro: le persone maggiorenni italiane avranno modo,
 il 24 e 25 Febbraio, dopo aver seguito o no il Festival di Sanremo,
di rivelare non tanto per quale coalizione e partito votino,
quanto per quale visione/cultura politica  propendano.
Una volta per tutte, senza possibilità di dubbio, si saprà
se il nostro Paese è in Europa o in un’altra zona geopolitica.
Nel Giugno 2011, il risultato referendario, dopo anni di deriva illiberale,
svelò finalmente un altro Paese. Quale Paese svelerà il Febbraio 2013?

Se la “grande rivelazione sarà possibile è ancora grazie a Berlusconi.
Eppure in questo blog di “cultura del limite” 
s’era già deciso di non seguire più Berlusconi, sia perché “malato”,
e quindi oggettivamente persona meritevole di comprensione e rispetto,
sia perché definitivamente “sconfitto” dalla storia, italiana e planetaria,
della politica, e quindi meritevole di inoperoso oblio.
Invece al nostro povero Silvio Berlusconi dobbiamo ancora attenzione,
sia pure per l’ultima volta. Ecco il punto.
Il PDL, per le prossime elezioni, ha presentato il suo programma.
Ufficialmente consegnato insieme al simbolo. Documento quindi
con un suo vincolo ideale, seriamente determinato da un team di eccellenza. Seriamente? Si fa per dire: tutto è solo un gioco.
Vuoi forse trovare la restituzione dell’IMU in contanti? Nessuna traccia.
Vuoi forse trovare i quattro milioni di posti di lavoro? Nessuna traccia.
Vuoi forse trovare il condono fiscale tombale? Nessuna traccia.
Vuoi forse trovare il condono totale edilizio? Nessuna traccia.
Ma Berlusconi sa di parlare al suo Popolo della sua Libertà,
e liberamente supera  il suo programma e per ampliare la sua libertà e la libertà
del suo Popolo, propone, oltre il limite, a gran voce:
1.      A tutto il Popolo: restituzione in contanti dell’IMU già versata
per la prima casa.
2.      Al Popolo dei giovani: quattro nuovi milioni di posti di lavoro.
3.      Al Popolo degli evasori fiscali, suoi elettori: il condono fiscale tombale
(il massimo della semplicità e della trasparenza, qual è la tomba).
4.      Al Popolo degli abusivi tutti, per necessità e per lusso: condono edilizio
totale (dimenticando di aggiungere il grande incremento di lavoro per studi tecnici moderni, creativi e all’avanguardia).

Il Popolo è avvertito: a Febbraio, dunque, la grande rivelazione:
o si fa l’Italia nuova o si muore.

O no?
Severo Laleo

martedì 5 febbraio 2013

Rispetto per le persone in elemosina




In questo blog si è parlato altre volte di accattonaggio
e si è sostenuta la liceità del “cercar soldi”, un mestiere come gli altri,
da tutelare, anzi da “patentare”.
Ora si vuole qui riportare un articolo tratto da Ilfattoquotidiano.it
circa l’assurdità di una legge o almeno delle sue conseguenze.  
Ecco.
Il reato di accattonaggio e la cecità della legge  di  Daniela Padoan 
Una mamma romena è stata arrestata davanti ai suoi tre bambini, dopo essere
stata condannata per accattonaggio. La condanna è avvenuta in contumacia: 
nessuno si era preso la briga di rintracciarla. Peccato che la denuncia risalisse 
a sei anni fa, e che nel frattempo la donna – grazie alla Casa della Carità 
di don Colmegna, a Milano – avesse trovato una casa e un lavoro, così da poter 
mandare i figli a scuola.
Oggi “condivido” lo spazio sul blog riportando la denuncia della Fondazione 
Condividereche si offre di farsi carico dell’eventuale sanzione pecuniaria 
sostitutiva del carcere. Che è l’essenza: cosa accadrebbe, altrimenti, 
di questa piccola famiglia che si è appena rimessa in piedi? 
Ma la questione è politica, e mette a nudo tutte le retoriche dell’accoglienza.

Il braccio insensato della legge
Avrete sentito forse parlare in questi ultimi due giorni dello sciopero della fame iniziato da Don Colmegna per chiedere la scarcerazione di una madre di tre bambini che è stata a lungo ospite della Casa della Carità di Milano. Nel lontano 2006 questa donna romena, come tante, chiedeva l’elemosina sui mezzi pubblici insieme a una bambina. Furono trovate dalle forze dell’ordine, e lei fu denunciata per il reato di “accattonaggio con minore”. La cosa inizialmente non ebbe seguito e la denuncia rimase dormiente negli armadi del Tribunale, insieme a migliaia di altre denunce.
Nel frattempo, Don Colmegna aveva accolto nella Casa della Carità questa persona, ospitandola per un lungo periodo e aiutandola fattivamente in un percorso di reinserimento che le aveva permesso di trovare un lavoro onesto e una casa per lei e le sue tre bambine.
Felice conclusione di un percorso di reinserimento sociale? Per nulla…
Negli anni successivi, la legge si è mossa lenta ma inesorabile. Sono state fatte ricerche per rintracciare senza successo Anna (nome di fantasia) che è stata quindi dichiarata contumace (peccato che nel frattempo avesse eletto residenza presso la casa di Don Colmegna). Il processo a suo carico si è quindi celebrato a sua insaputa, ed è stata condannata a sei mesi di carcere. Qualche giorno fa, i carabinieri l’hanno arrestata davanti alle sue tre bambine e l’hanno portata in carcere.
Ulteriore lato assurdo di questa vicenda, è che in Italia nessuno con una condanna sino a tre anni va in carcere, perché nel 99% nei casi vengono applicati i benefici di legge che evitano la carcerazione e prevedono pene alternative, ivi compresa una sanzione pecuniaria. Non è stato cosi per Anna, che tanto si era data da fare per inserirsi nella società trovando un lavoro regolare e mantenendo la sua famiglia.
Questa storia dimostra quanto assurda possa essere una pedissequa applicazione della legge che vede il mondo con i paraocchi. La vicenda mi ricorda molto la multa di 2.000 euro comminata a Maurizio, colpevole di dormire in un’auto senza ruote in un campo di grano. Per quanto fosse la sua unica casa, il Comune intervenne sequestrando l’auto perché non assicurata, costringendolo così a dormire in tenda, e lo multò per soprammercato. 
Ho preso contatti con Don Colmegna e gli ho dato la mia disponibilità a farmi carico dell’eventuale sanzione pecuniaria, qualora il giudice accettasse questa soluzione al posto del carcere.
Eppure chiedere l’elemosina è un lavoro, con i suoi tempi, le sue modalità, la sua fatica.
O no?
Severo Laleo

I padroni, i partiti e la vaga democrazia




La Fiat, in Italia, rappresenta la modernità, il futuro, 
l’avanguardia della tecnologia, e, insieme, la creatività “nostrale”, 
tipica dei nostri territori, provinciale, quasi un’indicazione geografica protetta 
(IGP), a mo’ di “melannurca”: ha creato, di fatto, la Fiat
grazie a una managerialità padronapur in tempo di clima elettorale, 
gli stipendi garantiti senza lavoroanche se solo per 19 operai a targa FIOM.
La novità è grossissima, originalissima, ma desta scarso dibattito. Anzi silenzio.
I “padroni”, si sa, sono per la libertà, e non tollerano condizionamenti esterni.
E padroni sono molti giornali, se lasciano il racconto nella cronaca.
E padronali sono anche le parole di qualche partito, 
se non sceglie subito la lotta.  
E padronale è il silenzio dei sindacati del lavoro, 
se la solidarietà scordano.
E impotente e padronale discorre di dignità la Ministra del Lavoro Fornero.
Solo la FIOM s’indigna e chiede l’intervento delle Istituzioni.
Ma niente cambia, per ora. 
Perché il nostro è ancora un paese a democrazia vaga.

E come potrebbe essere diversamente, se a costruire la democrazia, in Italia,
e a svolgere i controlli della democrazia, sono partiti che non conoscono,
e non praticano, al proprio interno, la democrazia?
Anzi i “soci” di partito spesso si affidano allegramente a un “padrone”,
meglio se ricco o di alto nome.
E ogni partito, con qualche rara importante eccezione, ha il suo padrone.
E ogni padrone di partito propone tutto e il contrario di tutto:
una pratica facile da apprendere, anche per professori di serietà.
Perché i padroni comunque amano la libertà, di comandare e di decidere,
per il bene dei fedeli sostenitori.
Eppure quei padroni, sia pure grazie ad alleanze, avranno domani il compito 
di servire le istituzioni. E’ mai possibile?

Forse il Paese che ha manganellato a morte Piero Gobetti,
in assenza di un ravvedimento operoso,
continuerà ancora a carezzare un’idea vaga di democrazia,
almeno fino a quando una legge sui partiti non ci avrà obbligato
a praticare la democrazia senza padroni.


O no?
Severo Laleo




martedì 29 gennaio 2013

A partire da una stupidaggine, l’idea di una scuola sensata




E’ bastata una stupidaggine, un’idea cioè senza un serio costrutto,
e senza un fine chiaro, chissà da chi costruita nell’area Monti,
per aprire in campagna elettorale il fronte della scuola.
Senza questa stupidaggine, di restringere a un solo mese le ferie degli insegnanti
con chiusura degli edifici, oggi di scuola non si parlerebbe.
Grazie quindi alla proposta stupidaggine, da Brunetta, sempre tempestivo,
definita proposta giusta, di scuola ora si può parlare.
Bersani, in verità, dal suo punto di vista, utilizza la stupidaggine
per dare subito qualche sensata riposta, in questi termini:
"Prima di parlare di allungare o accorciare vacanze estive,
teniamo le scuole aperte tutto il giorno per attività didattiche.
Le scuole devono stare in piedi. Per questo allentare Patto Stabilità
sui Comuni per un grande piano di piccole opere locali…
il primo giorno di governo ci mettiamo coi comuni, facciamo una deroga
al patto di stabilità, e facciamo manutenzione straordinaria delle scuole, così diamo anche un po' di lavoro in giro".
Bersani, coerente con la sua idea fissa di risolvere la grande questione lavoro,
s’impegna, subito, a un’opera di estensione del tempo scuola
scuole aperte tutto il giorno” (piano didattico), e, insieme,
a un’opera, ormai inderogabile, di manutenzione delle scuole
(piano della sicurezza e fruibilità degli spazi), anche per dare
un po' di lavoro in giro”.
Pratico Bersani, ma fa torto, sulla scuola,  sia al suo, di premier,
buon programma di coalizione, firmato da tutti gli alleati,
sia all’ottimo programma di SEL (la questione di più programmi è,
a non essere maligni, tutta interna al sistema politico italiano,
ambiguo e condizionato da porcellate: ma le nuove generazioni, forse,
 sapranno costringere a un’unità di parola, almeno negli accordi).

La ricostruzione

Entrambi i programmi esprimono un giudizio severissimo
sull’operato della Ministra Gelmini, ma anche del Ministro Profumo.
La scuola e l’università italiane, già fiaccate da un quindicennio
di riforme inconcludenti e contraddittorie -si legge nel Programma
di Coalizione-, hanno ricevuto nell’ultima stagione un colpo quasi letale.
Ora si tratta di avviare un’opera di ricostruzione vera e propria” 
Nel Programma di SEL il giudizio è senz’appello. E merita una citazione piena.
I dati parlano drammaticamente chiaro: l’Italia spende per l’istruzione
solo il 9% del totale della spesa pubblica, quando la media dei paesi industrializzati è superiore al 13%. Nella classifica OCSE 
sugli investimenti e sullo stato di salute del sistema della Formazione 
nei paesi più industrializzati del mondo siamo penultimi, al 31° posto 
su 32. Le leggi finanziarie degli ultimi anni, che hanno utilizzato 
le risorse della scuola per fare cassa, e la controriforma della Gelmini, cioè il più grande tentativo di distruzione del sistema di formazione pubblica e di demonizzazione degli insegnanti, hanno portato a questo risultato. Chi è venuto dopo, il ministro Profumo, ha operato in piena continuità: aumento delle risorse alle scuole private e tagli per gli enti pubblici di ricerca, blocca i concorsi universitari e proroga i rettori, indice un “concorsone” in cui i titoli accumulati non hanno alcun valore, lascia irrisolto il problema di chi nella scuola lavora da anni in totale precarietà e si propone di ridurre gli Organi Collegiali.

Lotta alla dispersione: la scuola per tutte e per tutti, senza esclusioni 

Si legge nel Programma di Coalizione: “Nella prossima legislatura partiremo da un piano straordinario contro la dispersione scolastica, soprattutto nelle zone a più forte infiltrazione criminale, dal varo 
di misure operative per il diritto allo studio, da un investimento 
sulla ricerca avanzata nei settori trainanti e a più alto contenuto d’innovazione. Tutto ciò nel quadro del valore universalistico 
della formazione, della promozione della ricerca scientifica 
e della ricerca di base in ambito umanistico. Dalla scuola dell’infanzia 
e dell’obbligo alla secondaria e all’università: la sfida è avviare il tempo di una società della formazione lunga e permanente che non abbandoni nessuno lungo la via della crescita, dell’aggiornamento, di possibili esigenze di mobilità. Solo così, del resto, si formano classi dirigenti all’altezza, e solo così il sapere riacquista la sua fondamentale carica di emancipazione e realizzazione di sé”.
Più sibillina appare la conclusione del discorso, una volta definiti gli impegni,
perché torna in campo il tema del rigore della spesa.
Ecco il brano “a rischio”: “A fronte di questo impegno, garantiremo processi di riqualificazione e di rigore della spesa, avendo come riferimento il grado di preparazione degli studenti e il raggiungimento degli obiettivi formativi”. E davvero non è facile capire.
Al contrario, senza passaggi sibillini il discorso degli impegni secondo
il Programma di SEL. “Nella scuola che vogliamo il tempo pieno 
è garantito a tutti. Abbiamo urgenza di abbattere la dispersione
scolastica che in alcune aree del paese supera il 20%.  Per questo 
è necessario introdurre l’obbligo scolastico fino ai 18 anni. E abbiamo 
bisogno di scuole pubbliche di qualità in tutto il territorio nazionale,
che operino in reale autonomia. Proprio per questo è indispensabile
garantire Organi Collegiali democratici, aperti, che abbiano pieno 
riconoscimento e diritto d’intervento nella didattica e negli aspetti 
organizzativi. Una delle priorità è il programma di edilizia scolastica
perché non possiamo più vivere tragedie come quelle di San Giuliano,
non possiamo più pensare che i nostri figli passino la maggior parte 
della loro giornata dentro strutture pericolanti, fatiscenti, con barriere 
architettoniche che limitano l’accesso ai diversamente abili e privi 
di connettività. Attraverso il taglio delle spese per l’acquisto
degli inutili aerei da guerra F 35 possiamo recuperare risorse 
da investire in un forte programma di edilizia scolastica in tutto 
il territorio nazionale che rinnovi le strutture  e le adegui 
alla normativa antisismica, le doti di connettività, di laboratori  
e degli altri strumenti necessari. C’è bisogno di nuovi insegnanti
Ben tre generazioni di insegnanti sono intrappolati nella vergognosa 
gabbia della precarietà. Per questo noi proponiamo un piano 
pluriennale di immissione in ruolo dei precari, fino ad esaurimento 
delle graduatorie, coprendo tutti i posti disponibili nelle scuole. 
Oggi l’organico scolastico è fortemente sottodimensionato 
rispetto alle necessità: sono infatti ben 81 mila 
i posti disponibili per docenti e più di 12 mila quelli 
per il personale ATA. E’ necessario stabilire regole certe 
di reclutamento, sulla base delle reali esigenze di formazione 
degli studenti. Bisognerà per questo reintrodurre il tempo pieno 
e le ore di laboratorio che Gelmini aveva cancellato 
e garantire la presenza di insegnanti di sostegno, secondo il bisogno 
certificato. La soluzione praticabile è il concorso periodico 
che copra il fabbisogno a partire dalla percentuale 
degli organici funzionali. La formazione dei docenti 
deve essere garantita e obbligatoria durante tutto il percorso 
lavorativo, attraverso le unità territoriali di supporto 
pedagogico-didattico. La formazione, come sappiamo, 
inizia dalla nascita e le famiglie italiane, 
ed in particolare le donne gravate dal doppio compito del lavoro 
e della cura, necessitano con urgenza di nuovi nidi pubblici, 
che garantiscano un numero di posti pari almeno al 30% dei bambini 
fino a tre anni. La scuola deve formare alla vita: 
recuperiamo le ore sottratte da Gelmini e lavoriamo 
per l’unificazione dei cicli liceali e tecnico-professionali, 
investendo maggiormente nella materie professionalizzanti. 
E’ così che la scuola potrà esercitare un ruolo preminente 
nell’organizzazione della società, della produzione 
e della formazione delle generazioni. La qualità delle nostra scuola 
va costantemente valutata e misurata. 
Per questo intendiamo istituire un percorso di valutazione 
complessivo del sistema scolastico, così da verificarne l’adeguatezza 
e la rispondenza alle necessità espresse dagli studenti e 
dai cambiamenti sociali e culturali in atto. La valutazione 
verrà affidata ad un ente autonomo, non di diretta nomina 
ministeriale, dovrà avere finalità compensative e di supporto 
alle realtà scolastiche in difficoltà, e utilizzerà modalità statistiche 
con indicatori e parametri misurabili e quantificabili. 
La valutazione coinvolgerà il Consiglio di Istituto e il Collegio 
dei Docenti. La scuola è degli studenti, mentre oggi il diritto 
allo studio è fortemente messo in discussione dall’aumento 
delle tasse, dai costi non più sostenibili delle famiglie 
per l’acquisto dei libri di testo e del materiale scolastico, 
dall’erosione delle borse di studio. Vanno messe in campo 
con urgenza le risorse necessarie a garantire le borse di studio, 
forme di reddito indiretto come la mobilità gratuita per gli studenti, 
e strumenti fiscali come la deducibilità delle spese per la scuola.

Altro che riduzione delle ferie! E forse con una scuola a tempo pieno, 
con l’introduzione di nuove figure professionali, l'antica,
sempre uguale a sè stessa, didattica del trinomio lezione-interrogazione-voto
cadrà nell’oblio.

O no?
Severo Laleo

lunedì 28 gennaio 2013

La cultura finalmente ha un suo nuovo fondamento: l’art.1 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani




Dichiara Yehoshua, “da uomo di cultura, spesso a contatto con i giovani in Israele
e nel mondo”, a l'Unità: «la demonizzazione dell’altro da sé 
spesso nasce dall’ignoranza e si alimenta di stereotipi. 
Al tempo stesso, però, non bisogna cullare una idea salvifica 
della cultura. La cultura non basta: nazismo e fascismo sono nati
in Paesi ricchi di storia, musica e arte». 

Vero. Dunque, il problema diventa: quale cultura?

Forse, la cultura, anche nelle sue espressioni di musica,
di arte, di poesia, di creazione della bellezza,
di qualsivoglia produzione dell’uomo,
se ignora la realtà dell’altro,
se nell’altro non riesce a percepire il suo sé,
se non interiorizza e non pratica  l’idea dell’uguaglianza degli uomini
e della dignità della persona,
diventa un terribile e tragico gioco di inganni per pochi.
O no?
Severo Laleo

Monti, le tre carte e la serietà della politica




La serietà politica, con il conseguente trasparente impegno
a mantenere la parola data (a introdurre questa “novità”, almeno adesso,
in questi tempi bui di politica spettacolo senza più memoria,
è stato Renzi: con il suo comportamento post-primarie ha restituito,
in un paese di così tanti buffoni, dignità alla politica, e senza essere professore),
la serietà politica, ripeto, da noi è un optional nelle mani
di imbroglioni per vocazione, anche quando sono stimati professori,
capaci sì di intendere discorsi seri, e scientifici, ma anche,
per antica italica consuetudine, di praticare l’arte della bricconeria
attraverso il gioco delle tre carte, perché tanto in politica, si sa,
Re di Denaro vince.
E così, l’altro giorno, il “serio” professore Monti apre al PD
con questa parole: “Con il Pd, ma senza Vendola”.

Ora se i commentatori politici trovano normale (si fa per dire!)
questo ammiccante sussurro del Professore al PD,
partito di possibile maggioranza relativa, partito che ha sottoscritto
un accordo di coalizione e di programma con Sel e altri,
e lo riportano senza un commento critico, anzi ritenendolo ammissibile,
mi chiedo, qual è il grado di serietà della nostra vita politica?
Evidentemente si dà per scontato che sia possibile rinnegare gli accordi
e non mantenere la parola data (almeno in assenza di eclatanti sconvolgimenti).
Il Professore sarà anche salito in politica, ma mette sotto i piedi l’idea
di democrazia, quella che riguarda tutti noi, persone serie di un paese civile.
O no?
Severo Laleo


domenica 27 gennaio 2013

La civiltà dalle sbarre di un carcere


In questo blog di parole per una “cultura del limite”, 
l’articolo di Giuliano Amato, a ragion veduta, invita a non dimenticare 
i discorsi di civiltà, e intorno ai diritti, davanti ai cancelli di un carcere.

Carceri finalmente al centro dell’attenzione
Da G.Amato Il 27 gennaio 2013 
Sarà perché alla fine Marco Pannella è riuscito ad attirare sulle carceri  l’attenzione di tutti, sarà perché gli ha dato di recente  manforte la Corte europea dei diritti, certo si è che quest’anno, per la prima volta,  il problema carcerario  l’ha fatta da protagonista nelle parole degli alti magistrati che hanno aperto in tutta Italia l’anno giudiziario.  Ed è importante che esso sia emerso in primo luogo per quello che è, una violazione grave e quotidiana dei diritti di migliaia di persone, della quale siamo tutti chiamati a rispondere.
E’ appunto quello che da anni dice Marco Pannella, ma  siccome ci ha troppo abituato, davanti ai  temi più diversi, a dipingerli tutti con linguaggio estremo e provocatorio, è finita molte volte che le sue denunce sono divenute un refrain al quale avevamo fatto l’orecchio. Attenzione, se c’è un caso nel quale quel linguaggio è appropriato, è proprio quello delle carceri.
Siamo abituati a identificare la civiltà affermatasi fra di noi nel corso degli ultimi secoli nei parlamenti eletti dal popolo,  nel principio di eguaglianza, nei nostri diritti, nel rispetto per la nostra dignità. Ma i diritti e la dignità non sono soltanto nostri, sono di tutti, anche di chi finisce in carcere, giuste o ingiuste che siano le ragioni per cui ci finisce. Per questo la civiltà in cui ci riconosciamo  porta a cancellare il carcere come lo conoscevano i nostri antenati. Quel carcere era infatti fondato su principi opposti a quelli a cui tutti ci inchiniamo oggi. Era fondato sul potere  riconosciuto ai governanti non di detenere, ma  di annientare i propri  nemici e quelli che erano ritenuti i nemici della società. Finire in carcere significava perciò non avere più diritti ed essere assoggettati alle condizioni di vita più impossibili e disagiate, un preludio della morte che si finiva anzi per desiderare al più presto. E in genere ci pensava il freddo a farla arrivare.
Ebbene non tutti forse hanno capito che quel carcere a noi non è più consentito. Noi , in base ai principi della nostra civiltà e alle norme che in conformità ad essi abbiamo adottato nella nostra costituzione e nelle convenzioni internazionali dalle quali siamo vincolati, non abbiamo il diritto di mantenere in vita carceri che somiglino a quelle di un tempo. E quindi non abbiamo né il diritto né il potere di tenerci dentro chicchessia, quali che ne siano le colpe e le responsabilità. Il carcere oggi non deve annientare le persone, deve privarle della sola libertà personale e spingerle in questo stato di costrizione verso la rieducazione,  vale a dire, in primo luogo, verso l’accettazione della società (e delle sue regole)  nella quale dovranno rientrare.
Ebbene, le carceri italiane raramente rispondono a questo modello e sempre più, invece, accatastano i detenuti in celle sovraffollate, dove nessuno ha un proprio spazio, dove manca ogni riservatezza, dove mancano la doccia, la carta igienica e il sapone, dove ciò che viene alimentato può essere soltanto o la depressione o la ribellione. Non certo la rieducazione.  Se così è,  è vero che siamo tutti dei fuori legge, e quindi il rimedio dovrà essere all’altezza di una illegalità tanto enorme.

E’ un rimedio che non potrà esaurirsi  in un’unica misura e questo lo sa anche chi chiede l’amnistia, la quale, in assenza d’altro, avrebbe solo effetti temporanei.  Prima di tutto  dobbiamo noi, noi tutti convincerci che il carcere di oggi non può essere come quello dei secoli scorsi. E  quindi non storcere il naso (come si è fatto) quando si è appresa la qualità del carcere in cui sconta la sua pena Anders Breivik, il norvegese che fece strage di giovani laburisti nel luglio di due anni fa. Così ha da essere la nostra civiltà.  Poi  devono i magistrati convincersi tutti che il carcere  va usato come extrema ratio e che in particolare la detenzione preventiva  va imposta quando serve davvero e non quando fa comodo per sbarazzarsi intanto dell’imputato. A questo fine, utilissime e importanti sono state le parole che abbiamo sentito pronunciare dai vertici stessi della magistratura per l’inaugurazione dell’anno giudiziario.  Su queste fondamenta, c’è a conclusione ciò che il legislatore dovrà fare per porre fine ai processi senza fine e alla comminazione a raffica di pene detentive fuori posto. A quel punto, anche eccezionali misure svuota-carceri una tantum acquisterebbero una legittimità ed un senso (per quanto rimanga difficile, ove si trattasse di amnistia, ottenere la maggioranza dei due terzi “sui singoli articoli e sulla votazione finale”, richiesta dalla Costituzione).
Sembra un lungo percorso. Ma il tema è talmente maturo che il paese può compierlo ormai in pochissimi mesi.

O no?
Severo Laleo

martedì 22 gennaio 2013

L’epifania di Monti a Ballarò




Monti, già tecnico superbo, si dimostra, ora, politico insopportabile,
sia perché dalla serietà degli studi economici riesce a scivolare,
per naturale attitudine, nella banalità delle battute 
degli studi televisivi, sia perché continua, a suo modo, 
secondo la tradizione spaccona italiana, 
a porsi su un predellino e a fare e disfare, alla berluscona maniera,
serio epigono del berlusconismo allegro.
Forse solo il mite Bersani, fermo nel suo convinto rifiuto, 
in questa campagna elettorale,
dell’insulto, del sarcasmo, del cabaret, può cambiare l’Italia. 
Almeno quanto a compostezza e misura.
O no?
Severo Laleo

venerdì 18 gennaio 2013

Se Vendola avesse proposto per SEL


Se Vendola avesse proposto per SEL
non solo le sue utili e brillanti narrazioni, con il conseguente, grave a sinistra,
affievolimento del dibattito comune, e con il vistoso incremento di variegate spinte,
non solo soggettive, a percorrere sentieri altri;
se Vendola avesse proposto per SEL
non solo il suo nome simbolo, con il conseguente consenso, 
grave almeno per SEL, alla diffusione dell’idea dell’insostituibilità del “capo”, 
inopportuna e sbagliata;
se Vendola avesse proposto per SEL
una vera e propria segreteria politica, magari bina, ossia gemina, ossia doppia,
cioè costituita da un uomo e una donna, a tempo pieno, efficiente
e, soprattutto, appassionata di democrazia, oggi la campagna elettorale
del Partito avrebbe nel suo ideale paniere punti chiari, comprensibili,
condivisi, irrinunciabili di programma, i "famosi" punti di SEL.

Ma qual è (stato) il contributo originale, vincolante/imprescindibile di SEL 
al programma di governo della coalizione di centrosinistra? Non è dato sapere.
Anzi, peggio, è possibile sapere/verificare, perché, per capire, basta un semplice
confronto tra la Carta di Intenti del PD, "Italia Bene Comune",
e la Carta di Intenti della Coalizione, "L’Italia Giusta".

Forse la segreteria di un partito della “nuova” sinistra, questa è SEL,
avrebbe il compito obbligato, sulla scia certamente delle opzioni politiche
del suo Manifesto, di: 1. estendere, proprio colmando con la partecipazione viva 
delle persone quel “vuoto di democrazia” del ventennio berlusconiano, 
la pratica della democrazia, prima al suo interno, con nuovi metodi 
di discussione/decisione, ad ogni livello di partecipazione, delle proposte 
di politica generale, magari con nuove regole di trasparenza/selezione di dirigenti, 
e successivamente, soprattutto con la vittoria elettorale, estendere 
la pratica della democrazia all'esterno, alla società tutta;  
2. di progettare/realizzare, dopo ampio, approfondito confronto con il PD,
nell’ambito del profilo comune del programma, proprie e riconoscibili
proposte di governo, a suggello dell’alleanza, sulle quali spendere
la passione politica di ogni buon militante consapevole.

Al contrario SEL si trova, al di là di ogni altra buona ragione, a essere,
ancora una volta, un obbediente, ma non più unanimemente, comitato elettorale.
O no?
Severo Laleo

giovedì 17 gennaio 2013

La caciara del Caimano




A sinistra, almeno se ci si chiama Nanni Moretti,
anche quando si vuole esprimere un giudizio critico, forte e definitivo,
su un personaggio politico, potente, grazie a un consenso da carisma di soldi,
e pericoloso, per la sua naturale vocazione di tiranno,
si cerca sempre di guardare in alto, di ingrandire, e nobilitare, le parti.
E si immagina tragica, con “Il Caimano”, la sua uscita di scena,
a danni gravi al Paese ormai inferti.

Macché, il nostro imprenditore prestato alla politica esce di scena
così, briosamente, tra calde sedie di un moderno studio Tv,
da Santoro stancamente allestito a campo di un improbabile dibattito,
tra una gag e l’altra, per pubblico divertimento,
alla presenza di un suo fan di successo, Massimo Boldi,
ricco di audience, ma povero di popolo,
senza una rivolta violenta, senza un atto da dramma politico,
senza una scarica sociale di rivoluzione dei suoi “servi liberi”.
E’ andato via così il capo di un ventennio di riduzione dell’etica pubblica,
nella caciara mediatica in continua rappresentazione di sé.

Ma se questo Paese ha ancora
un minimo di memoria storica, da cittadinanza attiva,
un minimo di cultura liberale, alla Piero Gobetti,
un minimo di serietà, alla Tina Anselmi,
un minimo di attenzione ai movimenti reali della società, alla Milena Gabanelli,
non perderebbe il suo tempo a seguir gesti e parole di un vecchio guitto.
Minimamente.

Ma, si sa, il nostro sistema di informazione, in gran parte, è abituato a divertirsi.
E per questo continua ad alimentare la caciara del Caimano.
O no?
Severo Laleo

martedì 15 gennaio 2013

Non è più tempo di “dirsi favorevole”, è tempo di “imporre”, altrimenti…




Nichi Vendola  si e’ detto favorevole alla proposta
di uno stipendio minimo garantito,
questa volta sulla spinta della dichiarazione dell'attuale Presidente 
dell'Eurogruppo Jean-Claude Juncker
pur esponente del Partito Popolare Cristiano Sociale.
E ha aggiunto, a sentire l’intervista a “Radio 24”:
L’Europa sarebbe più forte se in tutto il Vecchio Continente
ci fosse una soglia minima; dal mio punto di vista sarebbe interessante
immaginare anche una soglia massima delle retribuzioni.
Perché no? Per esempio nelle pubbliche amministrazioni,
sarebbe una cosa sensata porre un limite non soltanto in basso,
ma anche in alto”.

Ora, poiché la concretizzazione di uno stipendio minimo garantito
e  la definizione di limiti, in basso e in alto, alle retribuzioni,
almeno nella pubblica amministrazione,
dipendono solo da leggi da votare in Parlamento,
non potrebbe Vendola, con la forza dei giovani voti di SEL,
chiedere, e strappare, al PD, quale condizione sine qua non
per la coalizione, un tanto impegno?

Forse non esiste ancora alcun accordo di coalizione tra SEL e PD
intorno a definiti e specifici punti di programma,
forse esiste solo, a pensar male, un organigramma di carriere,
ma sarebbe ora di porre all'attenzione degli elettori,
con democratica trasparenza,
non più rinviabile, o graziosamente concessa,
i “contenuti”, irrinunciabili per SEL, di un patto di governo,
anche a prescindere dalle alleanze e dai nomi degli alleati.

O no?
Severo Laleo

domenica 13 gennaio 2013

Morin: dalla rivoluzione alla metamorfosi, e l’etica del freno



Morin e l’etica del limite: "solo speculazione e profitti 
senza limiti. Se non le si pone freno, 
saremo nell'anticamera della catastrofe".


Di seguito l’intervista di Giacomo Leso a Edgar Morin, uscita su “L’Espresso
Non parla più della rivoluzione, Edgar Morin, il patriarca della gauche francese e la voce più autorevole del Paese che è (idealmente) alle origini di tutte le rivoluzioni. Preferisce la parola metamorfosi: più complessa e ambivalente. Arrivato all'età di 90 anni si misura con temi come l'Apocalisse e il futuro dell'umanità, e in un sottile gioco degli specchi tra la disperazione (per lo stato attuale del pianeta Terra, per la pochezza dei politici, per gli eccessi del capitalismo sfrenato) e la speranza. Speranza, nonostante la coscienza di vivere dentro una catastrofe ("Ho conosciuto i momenti oscuri della storia. So che non sono eterni"). Perché, dice in questa intervista a "l'Espresso", la storia è imprevedibile. E' fatta da persone che portano avanti con coraggio idee considerate devianti e marginali. Il professore ci riceve nel suo studio al Marais a Parigi: un tavolo lungo, una finestra che dà sui tetti, e pile di libri dappertutto; tra questi, il suo ultimo volume "La voie" (la via), in cui tira le somme della sua lunga vita e cerca di tracciare una nuova strada per il genere umano".

Cominciamo con la differenza tra rivoluzione e metamorfosi.

"La rivoluzione vuole fare tabula rasa del passato e dare un nuovo inizio, e quasi sempre finisce male. Metamorfosi invece significa pensare al bene dell'intera umanità in continuità con il passato. Ecco io sono per questa soluzione".

Oggi il mondo occidentale è in ammirazione per la Rivoluzione dei gelsomini nei paesi arabi, rivoluzione, non metamorfosi...
"Iniziata da giovani non violenti con aspirazione alla libertà e alla dignità. La rivoluzione è in atto, ma non si può sapere come finirà. La violenza, invece, è arrivata, dalla parte del potere. In Libia ha provocato un'insurrezione e l'intervento dell'Occidente".

L'ambivalenza della storia.
"Questo è il vero problema. Allarghiamo il discorso. Pensi alla mondializzazione. E' la peggiore, ma anche la miglior cosa che ci potesse capitare. Non si può vedere da un lato tutto il bene e dall'altro solo il male. Nella storia il bene spesso è stato causa del male".

Come proteggersi da questo rischio?
"Con l'ecologia dell'azione".

Vale a dire?
"Qualsiasi azione intrapresa, foss'anche con le migliori intenzioni, si scontra a un certo punto con condizioni storiche e sociologiche date. E' là che può sfuggire al controllo e invertire il senso. Si deve essere coscienti che ogni decisione è una scommessa e che solo una strategia precisa, permette la correzione dei probabili errori dell'azione in corso".

Per la filosofia occidentale ci fu uno spartiacque nel 1755 con il terremoto di Lisbona. Fu la svolta nel pensiero illuminista, su cui siamo cresciuti tutti.
"Solo le catastrofi ci permettono di prendere coscienza dei problemi fondamentali. Terremoti, tsunami ci mostrano le minacce vitali che pesano sulla biosfera. E basti pensare al Giappone, oggi. Si è capito che la sicurezza assoluta è un mito: la realtà invece è composta da negligenze e scorie radioattive nocive per migliaia d'anni. E anche che il nucleare, per sua stessa organizzazione, è una forma di totalitarismo economico: non può esistere senza il segreto, che favorisce lo strapotere delle lobby".

E allora, dall'esperienza dei suoi 90 anni cosa è il Male?
"E' la barbarie umana. Che però ha diverse forme. Ha un volto antico: guerra, conflitto, dominazione, sfruttamento, tortura, disprezzo, umiliazione. La nostra barbarie contemporanea è invece tecno-economica: fondata su calcolo e profitto. Fra le qualità umane riconosce solo quelle che sono misurabili, catalogabili con dei numeri, ignorando il fondo della natura umana: l'amore, l'odio, la gioia, la tristezza. A volte capita l'alleanza tra le due specie di barbarie. Il primo sodalizio si è manifestato ad Auschwitz dove è stato industrializzato il massacro di popolazioni ebree e rom. Ma attenti, il potenziale del Male è in ciascuno di noi".

Sta dicendo che avanziamo incerti verso l'Apocalisse.
"Colpa di una mitologia: quella dell'economia neo-liberale che è l'altra faccia del mito del comunismo. C'è ancora gente che pensa, che l'economia liberale sia la realtà.
Non è vero, è solo ideologia. Non è nemmeno una teoria del mercato,
perché oggi non ci sono più regole e non c'è più concorrenza,
solo speculazione e profitti senza limiti.
Se non le si pone freno, saremo nell'anticamera della catastrofe".

Imparare a porre freno a speculazione e profitti senza limiti
è forse il compito della politica per le nuove generazioni.
O no?
Severo Laleo

I partiti, le liste in Italia appartengono





dall’Unità:
"Voto, 215 i simboli: solo il Pd senza nome leader".

I partiti personali, in una democrazia moderna, 
sono un’anomalia, è bene ripeterlo, 
e a sinistra sono un errore insopportabile.
Il problema non è il leader del Partito, eletto, 
e cmq temporaneo, ma il padrone del Partito.
Un Partito, con pratica democratica, non ha padroni.
Sarà il Governo Bersani –oggi il solo leader 
coerente sul punto- in grado di approvare una legge, 
finalmente, di  regolamentazione
della vita democratica all’interno dei Partiti?
Noi si spera.
Un'ultima osservazione.
Per quanto riguarda il fronte più avanzato della Sinistra
di governo in Italia, SEL, dispiace vedere ancora Vendola
nel simbolo del Partito: è ancora l’imitazione di un errore.
O no?
Severo Laleo