parole per una "cultura del limite" a cura di Severo Laleo ... de tous temps penseurs, sages ou philosophes, ont cherché les moyens à s'opposer à la démesure (hybris) ... les convivialistes
sabato 24 febbraio 2018
Non gli resta che ... giurare
Chissà se il giuramento facile sia una prerogativa
della nostra classe politica.
Certo è che a non pochi leader (si fa per dire!),
in un modo o nell'altro, è capitato di sostenere
e rafforzare le proprie affermazioni e/o impegni
con un giuramento. Solenne, erga omnes.
E senza risparmiare i figli.
La "parola" evidentemente non basta più,
la credibilità è a zero.
E allora un giuramento può venire in aiuto,
anche se solo in un comizio,
per simulazione di un'investitura.
E' così che anche Salvini ha giurato,
da Presidente del Consiglio, per gioco.
"Mi impegno e giuro - ha gridato, con in mano
a pendolo un rosario- di essere fedele
al mio popolo, a 60 milioni di italiani, di servirlo
con onestà e coraggio, giuro di applicare davvero
la Costituzione italiana, da molti ignorata,
e giuro di farlo rispettando gli insegnamenti contenuti
in questo sacro Vangelo".
A parte la confusione gravissima e inammissibile
per ogni persona civile, credente o non credente,
tra affari di politica e insegnamenti del Vangelo
e le preghiere del Rosario (oltre ogni limite),
forse non c'è per nulla bisogno di giurare
per "servire il popolo",
basta solo, al popolo, restituirgli il potere.
O no?
Severo Laleo
venerdì 23 febbraio 2018
Trump, il dolore e le armi
Alla
fine Trump ha ricevuto alla Casa Bianca una delegazione
di
giovani studenti scampati alle stragi nelle scuole,
di
docenti presenti
sul fronte di un’inedita guerra impazzita,
di
genitori
dei tanti
allievi e
allieve uccise,
sempre
da
una mano giovane,
ma facilmente
armata
di
proposito
per
una strage, proprio
a scuola,
là
dove si entra perché la società incrementi la sua civilizzazione,
là
dove si entra perché ognuna/o possa crescere insieme ad altre/i,
nell'irrinunciabile
rispetto
della dignità/vita
di ogni persona.
Ma
Trump,
invitato dal suo staff ad ascoltare
(glielo
hanno scritto su un foglietto, I
hear you,
perché
non se ne dimenticasse), pare non comprendere,
per
la
sua
natura, il dolore delle persone sedute
intorno
a lui
e
la pressante, chiara, emotivamente sottolineata, richiesta
di porre fine al mercato libero delle armi.
E
assente e vuoto dinanzi al dolore, passato, presente e futuro,
per
tante morti di giovani a causa di un uso spropositato
e
senza controllo di armi per stragi, propone di armare i docenti.
Armi
contro armi, per la gioia ricca della lobby delle armi.
Non
meritano gli US un Presidente così incapace di ascoltare
e
di capire (lo staff gli doveva ricordare anche di provare
a
capire!), così prono
agli interessi dell’industria/commercio
delle
armi. Gli US non potranno a lungo continuare a tacere
di
fronte alla protesta diretta di studenti, genitori e docenti.
Chi
inventò le armi sicuramente fu un uomo selvaggio, barbaro,
feroce
-scrisse un antico inascoltato
autore-,
ma se
ancora
con
le armi noi
si chiude
ogni possibilità di “relazione/dialogo”
tra
persone e popoli e ancora si sceglie comunque di sparare,
la
strada verso la civilizzazione dell’umanità è
ancora
molto accidentata.
O
no?
Severo
Laleo
P.S.
1.
Si legge di scuole contrarie agli scioperi contro
la detenzione
e
l’uso delle armi, fino alla minaccia di espulsione degli studenti
aderenti: va
bene il
nobile principio
della neutralità della scuola
nella
formazione del
personale giudizio di ogni persona,
ma di
fronte alla
possibilità della violenza, la
protesta
è d’obbligo e educa.
2.
Perché le azioni di stragi hanno un così marcato stampo maschile?
giovedì 22 febbraio 2018
Carcerazione e sicurezza
Già
strillano a destra (e non solo), nei bar e a casa, a tavola,
davanti a un televisore sempre più largo, i
difensori del
carcere
ad ogni costo, sempre e comunque,
magari duro, a seria
punizione, e
senza pietismi di sorta,
di fronte all’approvazione della riforma
carceraria,
in
Consiglio dei Ministri oggi, 22 Febbraio,
giorno della Cattedra di
San Pietro Apostolo.
L’equazione
è semplice: più carceri, più sicurezza.
Se la riforma dell’ordinamento carcerario crea condizioni
per
il miglioramento della vita di detenute/i,
allora non s’ha da fare.
Forse non
è così. La carcerazione, a giusta pena di un reato,
quando chiude
il/la condannato/a in una "cella" senza possibilità
di sperimentare, secondo
percorsi ad personam, vie d’uscita
per misure alternative, nel
rispetto della dignità della persona,
diventa senza senso e
avvilente.
Il
grado di avanzamento del processo di civilizzazione di un Paese
è
leggibile anche nell'estensione della "cella": quanto più
questa è elastica,
tanto
più il Paese è civile, sempre nel rispetto del principio universale
della
dignità della persona.
O
no?
Severo
Laleo
lunedì 19 febbraio 2018
Gentaglia e valore delle persone
A
leggere i giornali di oggi, 19 febbraio, San Barbato di Benevento
(convertì
i Longobardi al cristianesimo), il ministro Calenda pare
abbia
così reagito, con parole piene di disprezzo,
alla
decisione della Embraco di procedere, in quel di Riva di
Chieri,
con
il licenziamento di 497 operai: "L'azienda
licenzia,
non
incontrerò più questa gentaglia irresponsabile".
Ora,
perché il ministro Calenda, persona valente, perde la
pazienza
e
insieme il controllo del suo vocabolario e giunge a usare parole
di
un insulto così pesante: gentaglia?
Ecco
la sua giustificazione: “L’azienda -dichiara il
ministro- ha dimostrato
una mancanza di attenzione al valore delle persone
e alla responsabilità sociale dell’impresa.”
una mancanza di attenzione al valore delle persone
e alla responsabilità sociale dell’impresa.”
Se
è così, Calenda
ha solo usato con forza il suo vocabolario;
in
verità, chi
non rispetta il valore
delle persone,
calpestato purtroppo
e
stracciato in questi decenni di mala legislazione sul lavoro,
diventa
a
pieno
merito, specie se non sa emendarsi, “gentaglia”.
O
no?
Severo
Laleo
domenica 18 febbraio 2018
Potere al Popolo: per una scuola della “promozione”
Nel programma elettorale di Potere al Popolo, a proposito di scuola,
tra molto altro, si legge:
l’introduzione di un limite massimo di 20 alunni per classe
e la generalizzazione del tempo pieno per il primo ciclo d’istruzione,
l’elevamento dell’obbligo scolastico (e non formativo ) a 18 anni.
Si può essere d’accordo, anche se nel linguaggio elettoralese
tra molto altro, si legge:
l’introduzione di un limite massimo di 20 alunni per classe
e la generalizzazione del tempo pieno per il primo ciclo d’istruzione,
l’elevamento dell’obbligo scolastico (e non formativo ) a 18 anni.
Si può essere d’accordo, anche se nel linguaggio elettoralese
la vita delle
persone, di studenti e docenti, stenta a comparire.
D’accordo, 20
alunne/i per classe è una scelta/regola fondamentale
per una didattica ad
personam, attenta alla crescita individuale
di ogni alunna/o.
D’accordo, la
generalizzazione del tempo pieno, soprattutto per il primo
ciclo d’istruzione,
è fondamentale per dare alle alunne/i in difficoltà
di apprendimento
tempi e occasioni per incrementare abilità e conoscenze.
D’accordo,
l’elevamento dell’obbligo scolastico (e non formativo) a 18 anni
è un provvedimento
necessario per elevare la qualità della democrazia
nel nostro Paese, in
un processo di civilizzazione sempre più avanzato.
Eppure, se non si
tocca il sistema scuola nel suo esplicarsi,
cioè nella
relazione studente/docente, in breve, nel metodo di trasmissione
del sapere, non si inciderà mai in profondità nella qualità
dell’istruzione/formazione.
del sapere, non si inciderà mai in profondità nella qualità
dell’istruzione/formazione.
Se la relazione
docente/studente rimane ancora tutta chiusa nel trinomio
lezione-interrogazione-voto,
con tutti i nuovi riti collegati,
i fallimenti a
scuola di tante giovani persone continueranno a esistere.
L’insuccesso scolastico, i
risultati scadenti, la dispersione
-è capitato di scrivere altre volte-
-è capitato di scrivere altre volte-
sono quasi una
naturale conseguenza di questo sistema educativo,
costruito in un
lontano passato, esclusivamente per misurare e valutare,
promuovere e
bocciare. Al di là della qualità degli apprendimenti.
Per carità,
nobilissime figure di docenti, ieri e oggi, hanno saputo rompere
e superare questo
rigido schema, hanno saputo costruire con allieve/i
una positiva
relazione didattica, hanno saputo quindi non solo trasmettere,
ma anche “produrre”
cultura, com’è giusto fare con tutti i limiti possibili.
Ma questo soggettivo
sforzo di tante/i non ha eliminato la struttura profonda
del lavoro didattico
a scuola, ancora oggi centrato sulla scansione
lezione-interrogazione-voto,
dove l’ultimo termine, voto, sembra rappresentare
la sintesi di tutto
il processo o, comunque, diventare il solo elemento capace
di destare
l’interesse di tutti, genitori compresi.
Superare tutto
questo rientra in una grande sfida politica: bisogna costruire
con le giovani
persone un’interazione didattica di tipo, come dire, cooperativo,
senza esclusioni per
alcuna/o, grazie a un’ampia disponibilità
di risorse umane e
strumentali.
Se la scuola non
riesce a“promuovere”, in realtà “boccia”,
con grave danno comune.
Forse, a scuola, i
risultati di allieve/i, in una parola, la “promozione”
per ogni giovane
persona, dipendono molto da investimenti in persone e mezzi
per il superamento
del trinomio lezione-interrogazione-voto.
O no?
Severo Laleo
sabato 17 febbraio 2018
Ingenuità ... in attesa di giudizio
Titolo di Repubblica online, oggi, S. Marianna, con il sole
in ascesa: <<Indagato figlio di De Luca. Perquisiti casa e studio. Renzi: "Il fratello, nostro candidato, non c'entra">>.
Avrà anche ragione Renzi, ma, si sa,
spesso nel Sud (solo?) i singoli hanno un ruolo
soltanto all'interno di una “famiglia”,
con tutti gli oneri e gli onori.
E spesso sono presenti, in un modo o nell'altro,
nel dibattito elettorale, tanti padri:
e il padre di De Luca, appunto,
e il padre di Di Battista, e il padre di Di Maio,
e il padre di Casaleggio, e il padre di Renzi,
e il padre di ..., perché la politica è maschia!
E spesso la stessa famiglia è molto unita,
con un legame quasi religioso: libertà personale
e laicità sono valori dipendenti, variabili e funzionali,
del vincolo familiare. Specie in Campania!
Ergo, a occhio e croce, il candidato De Luca,
fratello dell'indagato, è innanzitutto membro
di una "famiglia", senza dubbio politicamente forte
e, quindi, ottima,
e solo a seguire un militante del PD.
Forse è un'ingenuità dire "non c'entra".
O no?
Severo Laleo
lunedì 12 febbraio 2018
Potere al Popolo: resiste “il” "capo politico", anche se diventa “portavoce” e donna
Dopo
il fortunato slogan, ora alquanto trascurato, acciaccato, speriamo
non proprio sgarrupato, "uno vale uno", gridato a
ragione dal M5S
ad indicare la propensione del
movimento per la democrazia dal basso,
in rete, partecipata, diretta
(a quando l’introduzione sperimentale
del sorteggio?), oggi, in
questa campagna elettorale, a ricordare il valore
di una democrazia piena e partecipata, ampia e difficile, ricca di tantissime
voci di
persone alla pari, è solo Potere al Popolo.
Infatti,
se una fallace legge elettorale prima s’inventa, senza pudore
linguistico, l’espressione “capo
della forza politica”,
proprio così “capo”,
e poi
sancisce l’obbligo
per ogni partito
di depositare
insieme
al contrassegno
e al
programma elettorale
il nome e il cognome
di
ogni distruzione di
un agire
politico democratico
e trasparente).
Dicono le persone di Potere
al Popolo:
noi
non abbiamo
capi
o leader,
“per
noi fare politica è dare voce e forza a una collettività, alle
resistenze,
ai bisogni che attraversano il paese”.
Ben
detto, in attesa del ben fare!
E
già
il
programma è scaturito
da
un’opera
di scrittura collettiva,
perché per Potere
al Popolo
l’obiettivo
dichiarato,
facile
per ora a dirsi,
è
“costruire una vera democrazia e ridare potere al popolo”.
Si tratta di una speranza dotata, pare, di consapevole impegno.
E
per questo le persone di Potere
al Popolo
non
scelgono
un “capo”,
ma un “portavoce,
anzi una portavoce, delle migliaia di storie
del nostro popolo, una
di noi, che condivide le nostre condizioni di vita,
speranze,
progetti".
E
sia.
Ma sempre “una”
è! Anche se solo portavoce.
Il
vizio, per la democrazia piena di persone alla pari, è proprio
in
quell’ “un”! Quell’
“un”,
associato
a “capo”, è
il
risultato
di una lunga storia
di potere maschile. E’ quasi l’esito
di
un duello. E’ la supremazia
di un “capo” vincitore, il quale fonda/istituisce la
struttura monocratica
del “potere”, ed è tutta e sola
opera/produzione del maschilismo.
Ora
nel programma scritto dalle tante
persone
di Potere
al Popolo
al
punto 12, tra
tanto altro, si
legge:
“noi
lottiamo per
•
la
radicale rimessa in discussione dei ruoli maschile e femminile
nella
riproduzione sociale ed un sistema di welfare che liberi
tempo di
vita per tutte e tutti;
•
la
rottura del carattere monosessuato dello spazio pubblico e della
politica.
Ecco,
forse per rimettere in discussione “i
ruoli maschile e femminile”
e per rompere il “carattere
monosessuato dello spazio pubblico
e della politica”
sarebbe utile, se ben si intendono le parole,
sperimentare una
presenza
duale
nel ruolo di portavoce,
un uomo e una donna, quasi a rompere quel
monocratismo
di origine maschilista, ma ancora oggi quasi
esclusivamente
dominato da figure, parole, atti maschili, con nuove
forme e modelli
di relazioni tra i ruoli maschile e femminile anche a
livello
di coordinamento di idee/azioni/decisioni: dall’uomo solo
al comando,
all’uomo e alla donna insieme a portar
voce.
E
tale scelta forse
avrà anche un suo “indotto” politico e
culturale per le nuove generazioni.
O
no?
Severo
Laleo
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