venerdì 23 febbraio 2018

Trump, il dolore e le armi




Alla fine Trump ha ricevuto alla Casa Bianca una delegazione
di giovani studenti scampati alle stragi nelle scuole,
di docenti presenti sul fronte di un’inedita guerra impazzita,
di genitori dei tanti allievi e allieve uccise,
sempre da una mano giovane, ma facilmente armata di proposito
per una strage, proprio a scuola,
là dove si entra perché la società incrementi la sua civilizzazione,
là dove si entra perché ognuna/o possa crescere insieme ad altre/i, 
nell'irrinunciabile rispetto della dignità/vita di ogni persona.

Ma Trump, invitato dal suo staff ad ascoltare
(glielo hanno scritto su un foglietto, I hear you,
perché non se ne dimenticasse), pare non comprendere,
per la sua natura, il dolore delle persone sedute intorno a lui
e la pressante, chiara, emotivamente sottolineata, richiesta 
di porre fine al mercato libero delle armi.

E assente e vuoto dinanzi al dolore, passato, presente e futuro,
per tante morti di giovani a causa di un uso spropositato
e senza controllo di armi per stragi, propone di armare i docenti.
Armi contro armi, per la gioia ricca della lobby delle armi.

Non meritano gli US un Presidente così incapace di ascoltare
e di capire (lo staff gli doveva ricordare anche di provare
a capire!), così prono agli interessi dell’industria/commercio
delle armi. Gli US non potranno a lungo continuare a tacere
di fronte alla protesta diretta di studenti, genitori e docenti.

Chi inventò le armi sicuramente fu un uomo selvaggio, barbaro,
feroce -scrisse un antico inascoltato autore-, ma se ancora
con le armi noi si chiude ogni possibilità di “relazione/dialogo
tra persone e popoli e ancora si sceglie comunque di sparare,
la strada verso la civilizzazione dell’umanità è ancora 
molto accidentata.
O no?
Severo Laleo

P.S.
1. Si legge di scuole contrarie agli scioperi contro la detenzione
e l’uso delle armi, fino alla minaccia di espulsione degli studenti
aderenti: va bene il nobile principio della neutralità della scuola 
nella formazione del personale giudizio di ogni persona, 
ma di fronte alla possibilità della violenza, la protesta è d’obbligo e educa.

2. Perché le azioni di stragi hanno un così marcato stampo maschile?

giovedì 22 febbraio 2018

Carcerazione e sicurezza




Già strillano a destra (e non solo), nei bar e a casa, a tavola, 
davanti a un televisore sempre più largo, i difensori del carcere 
ad ogni costo, sempre e comunque, 
magari duro, a seria punizione, e senza pietismi di sorta, 
di fronte all’approvazione della riforma carceraria,
in Consiglio dei Ministri oggi, 22 Febbraio, 
giorno della Cattedra di San Pietro Apostolo.

L’equazione è semplice: più carceri, più sicurezza.
Se la riforma dell’ordinamento carcerario crea condizioni
per il miglioramento della vita di detenute/i, 
allora non s’ha da fare.

Forse non è così. La carcerazione, a giusta pena di un reato,
quando chiude il/la condannato/a in una "cella" senza possibilità 
di sperimentare, secondo percorsi ad personam, vie d’uscita 
per misure alternative, nel rispetto della dignità della persona, 
diventa senza senso e avvilente.

Il grado di avanzamento del processo di civilizzazione di un Paese
è leggibile anche nell'estensione della "cella": quanto più questa è elastica,
tanto più il Paese è civile, sempre nel rispetto del principio universale
della dignità della persona.

O no?
Severo Laleo

lunedì 19 febbraio 2018

Gentaglia e valore delle persone




A leggere i giornali di oggi, 19 febbraio, San Barbato di Benevento
(convertì i Longobardi al cristianesimo), il ministro Calenda pare
abbia così reagito, con parole piene di disprezzo,
alla decisione della Embraco di procedere, in quel di Riva di Chieri,
con il licenziamento di 497 operai: "L'azienda licenzia,
non incontrerò più questa gentaglia irresponsabile".

Ora, perché il ministro Calenda, persona valente, perde la pazienza
e insieme il controllo del suo vocabolario e giunge a usare parole
di un insulto così pesante: gentaglia?

Ecco la sua giustificazione: “L’azienda -dichiara il ministro- ha dimostrato 
una mancanza di attenzione al valore delle persone 
e alla responsabilità sociale dell’impresa.

Se è così, Calenda ha solo usato con forza il suo vocabolario;
in verità, chi non rispetta il valore delle persone, calpestato purtroppo
e stracciato in questi decenni di mala legislazione sul lavoro,
diventa a pieno merito, specie se non sa emendarsi, “gentaglia”.
O no?
Severo Laleo




domenica 18 febbraio 2018

Potere al Popolo: per una scuola della “promozione”



Nel programma elettorale di Potere al Popolo, a proposito di scuola,
tra molto altro, si legge:
l’introduzione di un limite massimo di 20 alunni per classe
e la generalizzazione del tempo pieno per il primo ciclo d’istruzione, 
l’elevamento dell’obbligo scolastico (e non formativo ) a 18 anni.
Si può essere d’accordo, anche se nel linguaggio elettoralese
la vita delle persone, di studenti e docenti, stenta a comparire.
D’accordo, 20 alunne/i per classe è una scelta/regola fondamentale
per una didattica ad personam, attenta alla crescita individuale
di ogni alunna/o.
D’accordo, la generalizzazione del tempo pieno, soprattutto per il primo
ciclo d’istruzione, è fondamentale per dare alle alunne/i in difficoltà
di apprendimento tempi e occasioni per incrementare abilità e conoscenze.
D’accordo, l’elevamento dell’obbligo scolastico (e non formativo) a 18 anni
è un provvedimento necessario per elevare la qualità della democrazia
nel nostro Paese, in un processo di civilizzazione sempre più avanzato.

Eppure, se non si tocca il sistema scuola nel suo esplicarsi,
cioè nella relazione studente/docente, in breve, nel metodo di trasmissione 
del sapere, non si inciderà mai in profondità nella qualità 
dell’istruzione/formazione.
Se la relazione docente/studente rimane ancora tutta chiusa nel trinomio
lezione-interrogazione-voto, con tutti i nuovi riti collegati,
i fallimenti a scuola di tante giovani persone continueranno a esistere.
L’insuccesso scolastico, i risultati scadenti, la dispersione 
-è capitato di scrivere altre volte-
sono quasi una naturale conseguenza di questo sistema educativo,
costruito in un lontano passato, esclusivamente per misurare e valutare,
promuovere e bocciare. Al di là della qualità degli apprendimenti.

Per carità, nobilissime figure di docenti, ieri e oggi, hanno saputo rompere
e superare questo rigido schema, hanno saputo costruire con allieve/i
una positiva relazione didattica, hanno saputo quindi non solo trasmettere,
ma anche “produrre” cultura, com’è giusto fare con tutti i limiti possibili.
Ma questo soggettivo sforzo di tante/i non ha eliminato la struttura profonda
del lavoro didattico a scuola, ancora oggi centrato sulla scansione
lezione-interrogazione-voto, dove l’ultimo termine, voto, sembra rappresentare
la sintesi di tutto il processo o, comunque, diventare il solo elemento capace
di destare l’interesse di tutti, genitori compresi.

Superare tutto questo rientra in una grande sfida politica: bisogna costruire
con le giovani persone un’interazione didattica di tipo, come dire, cooperativo,
senza esclusioni per alcuna/o, grazie a un’ampia disponibilità
di risorse umane e strumentali.
Se la scuola non riesce a“promuovere”, in realtà “boccia”, con grave danno comune.
Forse, a scuola, i risultati di allieve/i, in una parola, la “promozione
per ogni giovane persona, dipendono molto da investimenti in persone e mezzi
per il superamento del trinomio lezione-interrogazione-voto.
O no?
Severo Laleo

sabato 17 febbraio 2018

Ingenuità ... in attesa di giudizio




Titolo di Repubblica online, oggi, S. Marianna, con il sole
in ascesa: <<Indagato figlio di De Luca. Perquisiti casa e studio. Renzi: "Il fratello, nostro candidato, non c'entra">>.

Avrà anche ragione Renzi, ma, si sa,
spesso nel Sud (solo?) i singoli hanno un ruolo
soltanto all'interno di una “famiglia”,
con tutti gli oneri e gli onori.
E spesso sono presenti, in un modo o nell'altro,
nel dibattito elettorale, tanti padri:
e il padre di De Luca, appunto,
e il padre di Di Battista, e il padre di Di Maio,
e il padre di Casaleggio, e il padre di Renzi,
e il padre di ..., perché la politica è maschia!
E spesso la stessa famiglia è molto unita,
con un legame quasi religioso: libertà personale
e laicità sono valori dipendenti, variabili e funzionali,
del vincolo familiare. Specie in Campania!

Ergo, a occhio e croce, il candidato De Luca,
fratello dell'indagato, è innanzitutto membro
di una "famiglia", senza dubbio politicamente forte
e, quindi, ottima,
e solo a seguire un militante del PD.

Forse è un'ingenuità dire "non c'entra".
O no?
Severo Laleo





lunedì 12 febbraio 2018

Potere al Popolo: resiste “il” "capo politico", anche se diventa “portavoce” e donna







Dopo il fortunato slogan, ora alquanto trascurato, acciaccato, speriamo 
non proprio sgarrupato, "uno vale uno", gridato a ragione dal M5S 
ad indicare la propensione del movimento per la democrazia dal basso, 
in rete, partecipata, diretta (a quando l’introduzione sperimentale 
del sorteggio?), oggi, in questa campagna elettorale, a ricordare il valore 
di una democrazia piena e partecipata, ampia e difficile, ricca di tantissime 
voci di persone alla pari, è solo Potere al Popolo.
Infatti, se una fallace legge elettorale prima s’inventa, senza pudore 
linguistico, l’espressione “capo della forza politica, proprio così “capo”, 
e poi sancisce l’obbligo per ogni partito di depositare insieme 
al contrassegno e al programma elettorale il nome e il cognome 
di tal "capo”, ben venga il sagace e irridente spot di Potere al Popolo 
a smontare la retorica fuori tempo del “capo (causa prima 
di ogni distruzione di un agire politico democratico e trasparente). 

Dicono le persone di Potere al Popolo: noi non abbiamo capi o leader
per noi fare politica è dare voce e forza a una collettività, alle resistenze, 
ai bisogni che attraversano il paese”. Ben detto, in attesa del ben fare!
E già il programma è scaturito da un’opera di scrittura collettiva, 
perché per Potere al Popolo l’obiettivo dichiarato, facile per ora a dirsi, 
ècostruire una vera democrazia e ridare potere al popolo”. 
Si tratta di una speranza dotata, pare, di consapevole impegno.
E per questo le persone di Potere al Popolo non scelgono un “capo”, 
ma un “portavoce, anzi una portavoce, delle migliaia di storie 
del nostro popolo, una di noi, che condivide le nostre condizioni di vita, 
speranze, progetti".

E sia. Ma sempre “una” è! Anche se solo portavoce.
Il vizio, per la democrazia piena di persone alla pari, è proprio 
in quell’ “un”! Quell’ “un”, associato a “capo”, è il risultato di una lunga storia 
di potere maschile. E’ quasi l’esito di un duello. E’ la supremazia 
di un “capo” vincitore, il quale fonda/istituisce la struttura monocratica 
del “potere”, ed è tutta e sola opera/produzione del maschilismo.

Ora nel programma scritto dalle tante persone di Potere al Popolo 
al punto 12, tra tanto altro, si legge: “noi lottiamo per 
la radicale rimessa in discussione dei ruoli maschile e femminile 
nella riproduzione sociale ed un sistema di welfare che liberi 
tempo di vita per tutte e tutti;
la rottura del carattere monosessuato dello spazio pubblico e della politica.

Ecco, forse per rimettere in discussione “i ruoli maschile e femminile” 
e per rompere il “carattere monosessuato dello spazio pubblico 
e della politica” sarebbe utile, se ben si intendono le parole, 
sperimentare una presenza duale nel ruolo di portavoce, 
un uomo e una donna, quasi a rompere quel monocratismo 
di origine maschilista, ma ancora oggi quasi esclusivamente 
dominato da figure, parole, atti maschili, con nuove forme e modelli 
di relazioni tra i ruoli maschile e femminile anche a livello 
di coordinamento di idee/azioni/decisioni: dall’uomo solo al comando, 
all’uomo e alla donna insieme a portar voce. E tale scelta forse 
avrà anche un suo “indotto” politico e culturale per le nuove generazioni.
O no?
Severo Laleo

martedì 5 dicembre 2017

Liberi e uguali....e maschi



Chi ha dato all'uomo Grasso l'ascia del leader? 
Altri  leader di altri piccoli partiti. Purtroppo altri uomini. 
E tutti dotati, per definizione, di ascia, pur se pacifisti.
È mancato a questi leader di piccoli partiti il coraggio 
di buttarsi nel gorgo di rabbia della sofferenza sociale, 
per ascoltare e chiedere lumi, e sostegno; 
è mancato a questi leader di piccoli partiti il coraggio 
di scendere con umiltà nel circuito 
della domanda, ai limiti dell'indignazione,  
di una normale legalità, per garantire un impegno 
di assoluta trasparenza. 
È mancata a questi leader della sinistra la lungimiranza 
di guardare alla società nella sua dimensione reale, 
pesante, di genere, di uomini e di donne, con pari dignità 
in ogni senso, per andare oltre il leaderismo monocratico 
per costruire a sinistra la novità, anche sperimentale, 
di una leadership a due, di un uomo e una donna, 
con pari facoltà e dovere di mediazione/intesa.
Se si fosse data voce alla sofferenza sociale 
e alla domanda di legalità, forse altri/e, sconosciuti/e ai più, sarebbero diventate, nell'entusiasmo di una partecipazione
dal basso, guide di un nuovo progetto di società 
a sinistra. E chissà, forse sarebbe stato scelto anche Grasso, 
ma insieme a una Francesca.
La sinistra, per usare un'espressione da non ripetere, è donna; 
e se la sinistra è solo in mano a uomini, 
perde la sua ragion d'essere.
O no?
Severo Laleo

mercoledì 22 novembre 2017

Scalfari tra Berlusconi e Di Maio




Che i nostri rappresentanti politici, spesso al vertice dei partiti/movimenti,
siano, almeno per molti nella generazione dei canuti pensionati,
inadeguati, incompetenti, molto spesso arroganti, imbroglioni a tappe
e nel profondo maschilisti, è fatto assodato.
(Le eccezioni confermano la regola.)
Che Eugenio Scalfari, pur canuto da tempo, dichiari tra Di Maio e Berlusconi
di preferire quest'ultimo, è fatto incredibile ma comprensibile.
Sì, perché Scalfari da una parte dimentica tutto quanto meritoriamente
la Repubblica ha scritto di e su Berlusconi, insistendo a chiare lettere
sull'importanza di irrinunciabili principi liberali per ogni moderna democrazia,
dall'altra conferma la sua propensione a considerare la politica mestier
di leader/capi, sempre, o quasi, maschi. A prescindere. Il "sentire popolare",
ragione o rabbia che sia, per Scalfari è semplicemente un dato sociologico
ininfluente, una variabile dipendente dal "capo" di turno.
Quindi inesistente. Scalfari intende la politica, il fare politica,
l'agire politico quale confronto tra leader. Ma è davvero così?
davvero la politica è scontro tra leader, al di là di programmi, valori,
interessi, comportamenti, etica? non è la politica l'etica praticata in pubblico?
è davvero la democrazia una grande "finzione"?


Al contrario di Scalfari, persone oneste e ragionevoli, e indignate, se fossero chiamate
a scegliere tra Berlusconi e Di Maio, quindi tra due "parti" ben distinguibili
sul piano dei programmi e dei comportamenti, non avrebbero dubbi,
sceglierebbero Di Maio, e non per il leader, Di Maio, casuale e temporaneo,
inesperto e senza un preciso bagaglio di competenze,
ma per almeno qualche buon motivo presente nel programma politico del M5S.
Tanto perché a volte il "sentire popolare" è più avanti rispetto alle scelte dei maestri!

Anche se, in verità, l'astensionismo è oggi nel nostro Paese la prova più diretta
e immediata della scarsa credibilità della politica e dei suoi leader.
Forse un giorno la democrazia, superato il leaderismo monocratico
maschile, non sarà più una "finzione".
O no?
Severo Laleo

mercoledì 8 novembre 2017

Montanari e la leadership: capo, maschile singolare, plurale, nome singolo. Ma duale?




Nel suo intervento su huffingtonpost di oggi, Tomaso Montanari,
pur lieto ormai del successo, a sinistra del Pd, della tesi già sostenuta
il 18 giugno al Teatro Brancaccio di Roma
("il centrosinistra è morto ed esiste una Sinistra con un suo progetto di Paese"),
indica, perché la neonata volontà di stare insieme a sinistra non si ingarbugli,
almeno cinque nodi da sciogliere a breve tra i tanti.
Si tratta di osservazioni tutte da prendere in seria considerazione
e quindi da discutere (apertura a tutte le forze disponibili della sinistra larga,
programma comune, percorsi d’azione, liste).
Qui si vuole prendere in considerazione il “quarto nodo”, questo:
Il quarto nodo: la leadership, appunto. Che non può essere calata dall'alto.
Né può essere maschile singolare. Deve essere plurale, capace di tenere
insieme i generi e le generazioni. La maledetta legge elettorale voluta
da tutte le destre obbliga a indicare un "capo", letteralmente.
E dunque ci dovrà essere anche un nome singolo: condiviso, autorevole,
capace di coordinare senza comandare. Ma dentro una struttura plurale”.

Perfetto! Eppure qualcosa si potrebbe aggiungere in segno di discontinuità
e di sperimentazione. Se una brutta legge elettorale “obbliga” a indicare 
un “capo” (proprio così, un “capo”: ormai, in tempi di crisi della democrazia,
non ci si vergogna più di (in)seguire un “capo”), ripeto, se una brutta legge 
elettorale “obbliga” a indicare un “capo”, perché, dopo aver affermato 
la necessità di una leadership plurale e aver rifiutato una leadership 
maschile singolare, non si propone di sperimentare un coordinamento duale
di un uomo e una donna, invece di stancarsi a cercare un “nome singolo, 
condiviso, autorevole, capace di coordinare senza comandare”?
Perché non si abbandona definitivamente l’idea dell’Uno,
quasi sempre “maschile singolare” per sperimentare l’uno/due, 
maschile e femminile? 
Esiste una ragione politica, logica, storica di impedimento 
per una guida/coordinamento duale? Una donna e un uomo alla pari?
Forse per sottrarre la Politica al rischio del monocratismo maschilista, 
è bene sperimentare la guida duale, di un uomo e una donna insieme. 
Almeno a sinistra.
O no?

 Severo Laleo