venerdì 21 gennaio 2011

Dalla parte di Karima, ma non di Ruby. Per una cultura del limite.

Comunque sono dalla parte di Karima, almeno sono stato dalla parte di Karima fino al giorno della sua maggiore età. E non solo per scelta personale, ma per imposizione di legge. Nei confronti dei minori esiste un solo comportamento, ed è il rispetto della Convenzione sui diritti dell'Infanzia, al di là di ogni visione etica e delle personali convinzioni morali. In particolare, nel caso specifico di Karima, la Convenzione, all'art.34, prevede, da parte degli Stati, un impegno "a proteggere il fanciullo contro ogni forma di sfruttamento sessuale" e a adottare ogni misura "per impedire: a) che dei fanciulli siano incitati o costretti a dedicarsi a una attività sessuale illegale; b) che dei fanciulli siano sfruttati a fini di prostituzione o di altre pratiche sessuali illegali; c) che dei fanciulli siano sfruttati ai fini della produzione di spettacoli o di materiale a carattere pornografico". Chiarissimo, dunque.
E il rispetto della Convenzione è un atto dovuto soprattutto da parte dei "servitori" dello Stato, e il Presidente del Consiglio, quale primo "servitore" dello Stato, ma abituato purtroppo a vestire solo e sempre l'abito del "padrone", non ha saputo capire e rispettare i diritti di una minorenne. Svelando la sua profonda inadeguatezza rispetto al ruolo, al di là delle ipotesi di reato. Ogni altro “servitore” dello Stato, conscio dei suoi doveri, al suo posto, si sarebbe comportato meglio, pena l’allontanamento cautelare dal posto di lavoro. Trovo giusto quindi gridare l'indignazione, sì “morale”, accogliendo in pieno il “Sermone della decenza” di Barbara Spinelli, su Repubblica, per chiedere le dimissione dell'inadeguato Presidente del Consiglio. E gridare l’esistenza di un “limite” – il rispetto della pari dignità delle persone-, al di là del quale a nessuno sia consentito andare, specie se ricco e potente.
Ma non sono più dalla parte di Ruby, quando sceglie liberamente, da maggiorenne, di usare il suo corpo per "vivere", perché l'uso del proprio corpo per vivere (o vivere meglio) è comunque una rinuncia, consapevole o no, all'esercizio della propria libertà, in quanto realizza una dipendenza totale dal volere di un'altra persona, più ricca e potente, in un diseguale scambio, inaccettabile in una società civile di liberi e uguali. La vendita del corpo (e dell'intelligenza), per qualunque ragione, realizza sì un "profitto", ma spoglia la persona di dignità. Ma se anche i padri/adulti di chi sceglie di usare il corpo per "guadagnare soldi e successo" esprimono gioia e soddisfazione per i comportamenti delle figlie/giovani donne, a prescindere...., è segno che qualcosa è successo in questa nostra Italia negli ultimi decenni: a mio avviso, il dominio diffuso di un danarismo avvilente in un mercato senza limiti. Ecco il nostro tempo, anzi il tempo berlusconiano, ha distrutto i confini entro i quali la cultura, etica e persino economico-giuridica, aveva protetto l'idea di dignità e libertà della persona, per aprire l'era della “casa della libertà” in Arcore, ed eliminare ogni residuo di una cultura del limite. Il denaro oggi non è più il segno di un personale "successo", non è più la conquista di un guadagno con rigore costruito, meritato, riconosciuto, apprezzato, ma è diventato strumento di asservimento, metodo di conquista/tenuta di un potere fine a se stesso, e rende vile l'asservito e più vile il suo padrone, perché cancella ogni responsabilità pubblica e privata, e travolge il limite del rispetto dell’altra persona, uomo/donna, specie se al potere del danaro è associato il potere politico. A proposito del potere travolgente del denaro, persino nei confronti di spiriti forti, mi piace spesso ricordare le parole di un umanista del 500 (L. Vives): "...il denaro, all’inizio semplice strumento per procurarsi il necessario per vivere, divenne strumento di onore, di dignità, di superbia, di iracondia, di arroganza, di vendetta, di vita e di morte, di potere... E una volta attribuito al denaro un così grande valore, non si troverà alcuno che non giudichi suo dovere per qualunque via e maniera, accumularlo, abbracciarlo, conservarlo, a ragione, a torto, giustamente e ingiustamente, senza distinzione tra sacro e profano,tra lecito e illecito. Chi è riuscito ad accumulare denaro è un sapiente, un signore, un re, un uomo di grande e ammirevole giudizio;
al contrario chi non ha denaro, l’uomo povero, è un idiota, da disprezzare, a stento un uomo. Questa opinione, così profondamente da tutti accettata, spinge anche l'uomo per natura noncurante della fortuna a farsi suo schiavo".
Severo Laleo
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