sabato 25 luglio 2015

La violenza, la vecchia di stazione e i giudici di Firenze


Stazione di Napoli, Napoli Centrale, proprio Napoli Napoli.
Sono gli anni della minigonna. Anni lontanissimi.
Una giovane donna è in fila per il biglietto del treno.
Ai lati della fila, per confine, dei solidi corrimano, a mo’ di  tubi,
di un ottone a tratti lucido e brillante. A volte opaco di sudicio.
In stazione, per il biglietto, s’era prigionieri di fila, senza catene.
Vuoi lasciare la fila? Devi essere abile a piegarti ad angolo retto,
e sgusciar via furtivo dal tubo d’ottone. Per stanchezza, e per la gioia
degli astanti: l’operazione biglietto era un’avventura dialogica.
All'improvviso un giovane “malvissuto”, con la fretta nelle gambe,
entra nella fila all'altezza della giovane donna e la stringe tra le braccia.
Gesti e intenzioni e violenza appaiono chiari a tutti.
Al gridare della giovane donna s’accorre in tanti.
Ma è lesto il malvissuto a fuggire.
Resta inconsolabile un pianto nelle braccia di solidarietà di un’altra donna
di fila, mentre a passi tardi e lenti  s'appressa la Polfer.
L’atrio di Napoli Centrale, esperto di violenza scippagna, si raggela.
Ma una vecchia (h)abitué di stazione urla sparata.
La memoria restituisce ancora quel suono violento, pressappoco:
Ave raggione  ‘o guaglione, è annura ‘a fetente”.

Per fortuna quella vecchia di stazione non esiste più.
Ma son rimasti ancora dei giudici, a Firenze, ad argomentare,
al par della vecchia, per giustificare una sconcertante violenza.
O no?

Severo Laleo

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