sabato 28 ottobre 2023

L'ottimismo di Piero Gobetti

Caro Scapece,
sai, ho finito ora di leggere anche un'altra biografia
di Piero Gobetti "La vita di Piero Gobetti", scritta da Umberto Morra
di Lavriano e uscita nel 1984.
Mentre la biografia di Pianciola, molto utile e chiara e ricca di preziose
foto, rimane un ottimo testo di documentata ricerca storica,
questa di Morra, pur nell'obbligo dell'analisi delle fonti, appare
senza dubbio molto partecipata, e a tratti coinvolgente; Morra, si sa,
è persona che ha conosciuto direttamente e bene Piero, appartiene
alla cerchia degli amici sin dall'ottobre del 1922, e non manca quindi,
nel raccontare, di far sentire la sua presenza viva con annotazioni
e giudizi, comunque siano, anche severi, ma sempre puntuali,
preparati con garbo, e di felice scrittura.
Vorrei segnalarti qui solo due punti, e lascio da parte, anche se,
devo dirti, è molto bello da leggere, il capitolo "L'incontro con Ada".
Ecco il primo punto.
Sono stato favorevolmente colpito dal fatto che Morra attribuisca
a Gobetti un ottimismo pieno, correggendo un suo primo giudizio
espresso in occasione della commemorazione di Piero
sulla "Fiera Letteraria", all'indomani dell'improvvisa morte.
(Parlò allora di pessimismo gobettiano!)
In verità tutto il volume, in ogni "capitolo" della vita di Piero,
è un sottolineare continuamente, in qualunque attività Piero si cimenti,
l'intenso suo lavoro e il grande suo entusiasmo. Ma se leggi le pagine
43,44,45 (controlla, e dimmi se riesci a leggere il file che ti ho inviato)
potrai direttamente capire, condividere e apprezzare la finissima analisi
di Morra. Scrive Morra: "L'ottimismo gobettiano era stato una rivalsa
e una negazione della faciloneria romantica, degli ideali avulsi,
delle illusioni a buon mercato. Era fondato su un apprendimento
costoso della realtà, su esperienze non epidermiche né sbadate...
Senza la forza dell'ottimismo, cioè di una fondata aspettativa
di risultati e della convinzione di essere presente alla vita
che si andava svolgendo e non lo contaddiceva, come avrebbe potuto
predisporre la sua attività e addirittura esporre fino in fondo
il suo confidente pensiero?" E questo è solo l'inizio!
Ritorna, nel capitolo "L'occupazione delle fabbriche", un'altra
dimensione dell'ottimismo gobettiano.
Ora ti trascrivo il brano: "Il suo ottimismo era la carica vitale
che lo spingeva al lavoro, che incarnava per lui
le prospettive future. Sapeva anche lui (forse non proprio allora,
giovanissimo com'era, ma l'avrebbe saputo presto) che esse erano
lontane, ma non se ne adontava o se ne crucciava, non aveva
da raggiungere traguardi personali (nemmeno quelli di una cattedra!),
scriveva -e viveva- per la storia. E la storia, possiamo pur dirlo
senza peccare di infatuazione, gli ha dato ragione".
Non si può non essere d'accordo.
L'altro punto sul quale vorrei attirare la tua attenzione è il giudizio,
a mio avviso molto preciso, lucido ma emotivamente molto sentito
(almeno mi piace immaginare), espresso sulla personalità di Piero
da Barbara Allason nel suo libro "Memorie di un'antifascista"
(e il richiamo all'antifascismo è la cifra assoluta per comprendere
l'esito inevitabile del "mondo" gobettiano nel suo farsi): "Furono
le sue prime campagne qualche volta ingiuste -egli era tanto giovane
e poteva errare- mai mosse da personale superbia o vanagloria,
meno che mai dal personale interesse, sempre da questo anelito,
a purificare, svecchiare, snidare i comodi, i pavidi, i transigenti,
gli uomini dalla coscienza elastica [espressione intensa: oggi
la "coscienza elastica" è giunta al governo del paese!], per instaurare
la disciplina dura, la lotta, l'affermazione delle proprie convinzioni
e della propria attività a costo di farsi dei nemici, di pregiudicarsi
la carriera e gli affari".
Credo abbia proprio ragione Allason.
O no?
Stammi bene
il tuo Severo
PS Eppure mi piacerebbe capire di più circa l'origine e il senso di quell' "anelito".


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