venerdì 7 marzo 2025

8 Marzo 2025: liberare le istituzioni dal modello maschile

 Si legge in Wikipedia alla voce "Ni una menos": "Ni una menos (lett. "Non una di meno") è un movimento femminista socio-politico che si batte contro la violenza di genere, il patriarcato, il maschilismo, il machismo e il sessismo tramite scioperi, manifestazioni e mobilitazioni non violente. Si adopera per una società libera dalla logica patriarcale e per liberare le istituzioni, i media, il lavoro e i comportamenti da un modello in prevalenza maschile".

Bene. D'accordo pienamente. Eppure non sono ancora di dominio pubblico le proposte per "liberare le istituzioni... da un modello in prevalenza maschile".

Forse sarà necessario studiare con nuova passione le origini delle nostre istituzioni, soprattutto politiche, per analizzare quanto esse siano debitrici nella loro conformazione attuale alla cultura maschilista: ad esempio, l'idea di avere "un capo" (e ora capita anche "una capa") all'apice della piramide decisionale non è forse derivante dall'antica logica del "duello" tra Maschi Alfa? Comanda chi vince tra due maschi: di qui l'idea della "normalità" della forza/violenza, della "normalità" del monocratismo, dell'"uomo solo al comando"! Il monocratismo, sia pure in regimi democratici, è cmq l'esito storico-istituzionale di una cultura maschilista.

Ora, se si lavora per "liberare le istituzioni" dal "modello maschile" bisognerebbe anche immaginare forme di parità assoluta (e estesa) tra uomini e donne: ad esempio, avere a guida di un governo non più solo "un capo" (e quasi sempre un uomo), con la sua originaria cultura, ma insieme un uomo e una donna, l'uno e l'altra con la "propria" cultura, superando così il monocratismo con il bicratismo, di per sé cmq dialogico e riflessivo. Non solo. Anche tutte le sedi istituzionali di dibattito politico e decisionale, per essere libere dal "modello maschile", dovrebbero avere una composizione a "parità assoluta" uomini/donne; la composizione di un parlamento non può essere affidato al caso o a un'ineguale competizione. 

Forse solo con la parità assoluta e con il bicratismo è possibile immaginare una società nuova non può fondata sulla logica della "forza".

O no?

Severo Laleo

P.S.

Scrive oggi, nella giornata dell'8 Marzo, Giorgia Serughetti su "Domani", in un articolo pare molto "sentito": "Il femminismo ha saputo dire una parola "altra" sulla guerra fin dal tempo dalle mobilitazioni delle suffragiste. Si pensi a quando nel 1915, centodieci anni fa, nell'infuriare della Prima guerra mondiale, oltre mille donne si ritrovarono all'Aja per il primo Congresso internazionale delle donne per la pace, per «stringersi le mani da sorelle, al di là della guerra delle nazioni»... È quindi tempo per il pensiero e la politica femminista di affinare le armi della critica e gli strumenti di lotta, per rintracciare la radice antica del dominio patriarcale dentro la dinamica e la retorica dello scontro armato, svelando la dimensione di genere di ogni disegno nazionalistico di potenza".

Bene. D'accordo. Ma non è più tempo solo di "affinare le armi della critica e gli strumenti di lotta, per rintracciare la radice antica del dominio patriarcale dentro la dinamica e la retorica dello scontro armato", forse è giunto il tempo di un impegno politico forte per trasformare le istituzioni politiche attuali, segnate proprio dal "dominio patriarcale", in istituzioni "altre".

O no? 






mercoledì 5 marzo 2025

Un'Europa con le armi e senza un'anima non serve

 E l'Europa, nata sull'idea forte e nuova di "mai più la guerra", dopo il terrore disumano scatenato dal nazifascismo con la Seconda Guerra Mondiale, si trova ora, dimentica dei suoi valori, e quasi intontita dai proclami volgari di vecchi maschi autoritari o aspiranti tali, a rincorrere il Riarmo Generale. E senza un ragionamento nuovo, solo con infantile emotività. Forse non si è ancora studiato abbastanza quanto la cultura patriarcale di tanti attuali governanti, esaltati monocrati, e di tutte le strutture istituzionali delle democrazie moderne impermeabili al femminismo pacifista, possa influire sull'idea/pratica dell'inevitabilità della guerra. 

Possibile non sappia quest'Europa spendersi per trovare strade di pace? E possa solo accontentarsi di esistere per riaffermare un sua semplice identità di facciata? E addirittura possa resistere muta di fronte all'abisso di violenza in atto in Medio Oriente, elevando l'ipocrisia a sistema di relazioni? Forse è ora di definire/ concordare in ogni relazione un limite d'obbligo oltre il quale a nessuna/o sia lecito andare. E non è forse lecito lavorare per definire limiti, ad esempio, tra l'altro, alla ricchezza per evitare deliri di onnipotenza di singole persone, e alla povertà per evitare cadute nella solitudine del degrado di ogni singola persona? Non esiste pace senza giustizia sociale.

Giusto abitare la piazza in nome dell'Europa? Sì, certo, specie se si tratta dell'idea di Europa secondo il "manifesto" della Fondazione PerugiaAssisi. Ecco di seguito il testo integrale:


Dobbiamo ricostruire un’Europa di pace Non basta dire “Europa, Europa…” per evitare l’inferno

“Dobbiamo recuperare lo spirito di Ventotene e lo slancio pionieristico dei Padri Fondatori, che seppero mettere da parte le ostilità della guerra, porre fine ai guasti del nazionalismo dandoci un progetto capace di coniugare pace, democrazia, diritti, sviluppo e uguaglianza.” Discorso di insediamento del Presidente del Parlamento Europeo David Sassoli (Strasburgo, 3 luglio 2019)

Cosa possiamo fare per salvare l’Unione Europea? Per promuovere l’Unione “politica”? Per colmare il gap esistente tra le ambizioni e la realtà?

Partiamo dal presupposto che siamo tutti d’accordo sul fatto che c’è bisogno di più Europa, soprattutto di più Europa “politica”. In molti lo stiamo ripetendo da diversi lustri, quanto meno dalla caduta del Muro di Berlino e dalla fine dell’era bipolare.

Il punto è: quale Europa “politica” vogliamo?

L’Europa che rilancia una folle corsa al riarmo o l’Europa che avvia un negoziato globale per la pace e la giustizia sociale internazionale? 

L’Europa sonnambula che cammina verso il precipizio trascinando con sé le popolazioni che dovrebbe servire o l’Europa determinata “a salvare le future generazioni dal flagello della guerra e a riaffermare la fede nei diritti fondamentali, nella dignità e nel valore della persona umana”?

L’Europa che lascia impuniti i crimini più atroci, quali i crimini di guerra e contro l’umanità o l’Europa che fa della giustizia penale internazionale una delle sue priorità?

L’Europa dei doppi standards – si alle sanzioni contro la Russia, no alle sanzioni contro Israele, si al mandato d’arresto internazionale contro Putin, no al mandato d’arresto internazionale contro Netanyahu – o l’Europa della legge uguale per tutti?

L’Europa che fa prevalere le criminali politiche neoliberiste sulla giustizia sociale, climatica e di genere o l’Europa che vuole dare piena attuazione agli obiettivi di sviluppo sostenibile entro il 2030 come previsto dall’Agenda delle Nazioni Unite?

L’Europa che alimenta la tumultuosa crescita dei partiti di estrema destra, cova nel suo seno i nazionalismi e costruisce muri ai suoi confini esterni, o l’Europa dei diritti fondamentali, dello stato sociale, della solidarietà, dell’accoglienza, dell’inclusione? E ancora.

L’Europa intergovernativa dell’unanimità e dei veti o l’Europa sopranazionale della maggioranza qualificata con un ruolo centrale del Parlamento europeo e del Comitato europeo delle Regioni e con un dialogo strutturato con le organizzazioni della società civile?

Quali sono i valori dell'Unione Europea? L'individuazione dei valori è fondamentale perché consente di capire le ragioni profonde che stanno alla radice del processo di integrazione sopranazionale europeo. Il prof. Antonio Papisca scriveva: “Il problema dei valori è il problema del perché dell'UE, della sua identità: l'Europa unita eventualmente si, ma à quoi faire?"

Qual è l’identità dell’Europa? Quella di difendere i rispettivi confini nazionali per evitare che le persone che cercano di fuggire dalle guerre e dalla fame possano arrivare da noi, o quella di spegnere gli incendi lavorando per la pace e il rispetto di tutti i diritti umani per tutti?

L’UE è sempre stata un attore civile (economico, commerciale, culturale). Un attore di soft power, a sostegno del diritto internazionale dei diritti umani, della diplomazia preventiva e del multilateralismo efficace, anche di fronte a minacce globali quali terrorismo, conflitti regionali, proliferazione di armi di distruzione di massa.

Per diventare un attore di hard power ci vogliono unità, visione, strategia, leadership, tutte caratteristiche che mancano all’UE. Ma soprattutto ci vogliono soldi, tanti soldi, che non ci sono o che bisogna togliere alla cura delle persone, della loro dignità e dei loro diritti fondamentali.

Oggi, l’UE è divisa. E’ divisa sulla politica estera, sulla politica di difesa, sullo sviluppo di una politica industriale in materia di armamenti, sulla politica di asilo e immigrazione, sulla politica della cittadinanza, sulla politica fiscale, sul green deal, …. 

Ma non può esistere una politica comune di difesa senza una politica estera comune, senza una visione strategica di lungo periodo. Per esempio: quali saranno i rapporti dell’UE con la Russia quando la guerra sarà finita? Saranno rapporti fondati sul dialogo e la cooperazione o sulla deterrenza e il riarmo? La mancanza di una visione e di una volontà unitaria rimane dunque il problema centrale dell’UE.

* * *

Il futuro della pace e della sicurezza dell’Europa non può essere affidato alla follia di governanti che alimentano le guerre e una nuova spaventosa corsa al riarmo. Oggi c’è bisogno di una nuova Conferenza di Helsinki che, come nel 1975, riunisca tutti gli Stati del nostro continente e dia nuovo avvio alla costruzione in Europa di un sistema di sicurezza comune, dall’Atlantico agli Urali, basato sul disarmo, i diritti umani, il diritto all’autodeterminazione dei popoli e i diritti delle minoranze.

L’Europa deve ricominciare a lavorare per la pace, con coraggio, lungimiranza e creatività. Come fecero i Padri fondatori dell’Europa che, sulle macerie di due guerre mondiali, in un tempo di grandi sofferenze e divisioni, “osarono trasformare i modelli che provocavano soltanto violenza e distruzione”. Grazie a questo sforzo straordinario, l’Europa è stata un originale progetto e un grande esperimento di pace. Nessuno può permettersi di cancellare quella che è la prima ragion d’essere dell’Europa.

L'Europa che vogliamo ripudia la guerra, è fondata sulla pace e sui diritti umani, sulla dignità umana e sui diritti che le ineriscono, sui valori indivisibili e universali della libertà, della democrazia, dell'eguaglianza, della giustizia e della solidarietà.

L’Europa che vogliamo è aperta, democratica, solidale e nonviolenta. E’ l’Europa della convivialità e dell’interculturalità; un’Europa che è accoglienza di popoli, di lingue, di culture, di identità e di storie diverse; un’Europa che rifiuta il razzismo e la discriminazione in tutte le sue forme; che riconosce e rispetta i diritti dei migranti e il diritto d’asilo ai profughi e rifugiati in fuga dalla guerra, dalla violenza e dalla fame.

 Abbiamo bisogno urgente di un’Europa di pace:

decisa a riaffermare sé stessa come soggetto politico di pace, democratico e indipendente; 

determinata a costruire un ordine mondiale più giusto, pacifico e democratico centrato sulle Nazioni Unite e sul diritto internazionale dei diritti umani, sulla solidarietà e la cooperazione internazionale; 

decisa a contrastare la corsa al riarmo, a promuovere il disarmo e a combattere la fame, la sete, le malattie e la povertà promuovendo un’economia di pace e giustizia; 

impegnata a ridefinire coerentemente i suoi rapporti di amicizia e cooperazione con tutti i popoli e i paesi, a partire dai suoi vicini, con il mondo arabo e con il resto del mondo.

 Abbiamo bisogno di un’Europa che sappia agire non in base alla legge della forza ma con la forza della legge. In questa prospettiva, l’Onu, istituzione multilaterale per antonomasia, è indispensabile per gestire l’ordine mondiale nel rispetto di “tutti i diritti umani per tutti” e per costruire un’economia di giustizia. C’è bisogno di una istituzione mondiale in cui tutti gli stati, grandi e piccoli, siano rappresentati e tutti i popoli, anche i più lontani e diseredati, possano far sentire la loro voce. Se l’UE è sincera nel proclamare oggi la centralità delle Nazioni Unite, occorre senza indugio che persegua il duplice obiettivo del potenziamento e della democratizzazione della massima organizzazione mondiale.

 La via giuridica e istituzionale alla pace, con al centro l’architettura multilaterale e il diritto internazionale dei diritti umani generato all’indomani della Seconda guerra mondiale, è la bussola che l’Unione Europea deve seguire se vuole continuare ad esistere.

 

Marco Mascia, Presidente Centro Diritti Umani “Antonio Papisca” – Università di Padova 

Flavio Lotti, Presidente Fondazione PerugiAssisi per la Cultura della Pace 3 marzo 2025"

Tutte/i in piazza a difendere l'Europa, e soprattutto questa idea di Europa.

O no?

Severo Laleo