venerdì 16 settembre 2011

L’italia va a picco, viva la Padania



Se sono vere, e sono vere, anzi sacre,
perché officiate dal Capo davanti all’Ampolla di Po piena,
e dinanzi a migliaia di rumorosi fedeli, le parole di Umberto Bossi  
sul destino di morte dell’Italia e di salvezza per la Padania:
«Che l'Italia va a picco l'hanno capito tutti,
perciò bisogna preparare qualcosa di alternativo: la Padania»,
forse esistono le condizioni d’obbligo 
per un intervento del Presidente della Repubblica.
Umberto Bossi è ministro, sì, è ministro, non sembra vero, so anch’io,
ed è ministro della Repubblica Italiana,
e non può abbandonare l’Italia nel suo colare a picco
e lavorare per preparare l’alternativa della Padania.
Non può, non può, non può.
Se lasciamo correre anche quest’ultima furba fandonia,
gridata dal Capo Bossi ad uso delle intelligenze veraci del suo Nord leghista,
non è  più un lasciar perdere 
-tanto sono solo parole senza legami con la realtà-,
ma diventa silenzio complice.

Il Presidente della Repubblica –recita la Costituzione all’art. 87- 
è il capo dello Statoe rappresenta l'unità nazionale”.
Ma rappresenta l’unità nazionale finché esiste, finché è solida,
ma se è in pericolo, per l’abbandono al suo destino di morte 
anche per colpa già in programma di suoi ministri,
il Presidente non può non intervenire.
Difendere l’unità nazionale è un suo dovere.
Ora, se in Parlamento, e al Governo, una forza politica, e ministri,
per la salvezza di una “Regione” (inesistente)  d’Italia,
non esistano un solo istante a rinunciare all’unità nazionale, 
proprio quando il dovere chiama tutti, ministri in primis, 
a un'azione di coraggioso, unitario, disinteressato rinvigorimento,
quel Parlamento e quel Governo e quei ministri son fuori dalla Costituzione.
Il Presidente della Repubblica,  avendo prestato giuramento di fedeltà 
alla Repubblica e di osservanza della Costituzione, 
solennemente dinanzi al Parlamento in seduta comune,
può, e forse deve, di fronte alla minaccia di veder distrutta l’unità del Paese,
a vantaggio e salvezza di una sola parte del Paese, sciogliere le Camere.
O no?
Severo Laleo

giovedì 15 settembre 2011

In crisi il Verbo della Lega. Sì al digitale.



Il capogruppo Della Lega alla Camera, il sempre brillante Reguzzoni, 
così esprime,
in materia di gran rilievo, la manovra in Italia, il suo punto di vista:

“Immaginatevi cosa succedesse,
 se passasse la volontà della sinistra di far cadere il Governo”

Il figlio del Capo della Lega Bossi, più noto (scorrettamente) quale Trota, 
così esprime,
in materia di picciol rilievo, il giro della Padania, il suo punto di vista:

“E’ giusto che si lascino proseguere.

Dopo queste ultime creative, sincere, verbali esternazioni,
il Capo Bossi è seccato,
dappertutto vede dichiarazioni di minaccia al suo imperio,
blocca i Sindaci sulla via della protesta,
si scopre alla fine, dopo anni di cappio, difensore dell’illegalità Milanese,
e  ordina, a tutti i suoi, per le prossime dichiarazioni,
di esprimersi a gesti, imparando l’arte del digitale:
pare sia sempre infallibile in un Paese di…berlusconiana memoria.
O no?
Severo Laleo

domenica 11 settembre 2011

“In che Paese viviamo” tornano sagge alla mente le parole di Veronica Lario



Solo qualche anno fa, a leggere un articolo in Repubblica di Dario Cresto-Dina,
 Veronica Lario, confidandosi con un’amica, si domandava:
In che paese viviamo….Ho cercato di aiutare mio marito, 
ho implorato coloro che gli stanno accanto di fare altrettanto, 
come si farebbe con una persona che non sta bene. 
È stato tutto inutile. Credevo avessero capito, mi sono sbagliata. 
Adesso dico basta".
Parole d’amore solidale. 
Nessun altro, almeno pubblicamente, ha rivelato tanta empatia.
Ma ora sappiamo, grazie alle intercettazioni, in che paese,
anche secondo l’ex- marito di Veronica Lario, viviamo.
E sappiamo quanto “caro” sia (stato) l’amore dei suoi  amici. E quali amici.
E ancora non sappiamo quanto serio, intelligente, disinteressato 
sia (stato) il servizio amico di consigliere del suo fedele sottosegretario,
il gentiluomo Gianni Letta.
Forse, alla fine, nel mondo di SB, ha vinto solo il denaro, 
con la violenta fame dell’oro, con l’irresistibile corsa al successo d’immagine. 
In una parola il danarismo avvilente. 
Con il solo possibile risultato, appunto: l’avvilimento della persona. 
E di un Paese.
O no?
Severo Laleo

sabato 10 settembre 2011

Ernesto Galli della Loggia e l'altrove dell'intellettuale

Oggi, Ernesto Galli della Loggia, sul Corriere, incontra/trova la sua verità e scrive: “Sì, Berlusconi si sta rivelando un pessimo presidente del Consiglio, non si sa come mandarlo via e di fronte alla crisi economica il governo si è mostrato di una pochezza e una goffaggine uniche”.
Bene. E grazie per il coraggio. 
Il tempo della verità (si fa per dire) giunge per tutti.
Eppure il Nostro, appena dopo aver chiuso il suo definitivo giudizio politico su Berlusconi Presidente del Consiglio, e sulla goffaggine senza confronti del  suo Governo, giudizio ormai largamente condivisibile, tenta, attraverso l’uso serrato e rigoroso della logica dell’altrove, di svelare l’altra verità del nostro Paese: “Il problema vero, profondo, strutturale dell'Italia sta altrove. Sta nell'esistenza di un immane blocco sociale conservatore il cui obiettivo è la sopravvivenza e l'immobilità.”
Non è convincente il discorso.
Anzi pare viziato da un’antica abitudine italiana, assente in Montanelli. 
E chiedo:
1.       Se esiste “un immane blocco sociale conservatore” in questo nostro Paese, è possibile anche ipotizzare al suo interno l’esistenza di un’intellettualità diffusa (università, professioni, giornali) silenziosa, priva di cultura liberale, accomodante, complice, ignava?
2.       Nelle ultime tornate elettorali (Referendum, Milano, Napoli) da quale parte si è schierato l’ “immane blocco sociale conservatore”?
Noi forse si crede di conoscere la risposta.
O no?
Severo Laleo


giovedì 8 settembre 2011

Gli amici del Premier


Il signor Alfonso de Patelmante, un benestante signore d’origine meridionale,
cattolico devoto, colto e prudente, ma aperto alla modernità,
farmacista, liberale, anche d’animo, per tradizione familiare e scelta personale,
elettore di Tremonti e ammiratore di Gianni Letta,
nel  lasciare la sua Calabria per  trasferirsi a Roma, 
con la sua moglie e i suoi tre figli,
personalmente telefona a una prestigiosa Agenzia Immobiliare  
per affittare un importante  appartamento nella zona Parioli.
Il colloquio con l’agente immobiliare è facile, chiaro, ampio, 
sino a diventare franco e cordiale.
I due s’intendono subito e chiudono sul prezzo.
E’ ormai fatta per la firma del contratto.
E l’agente, contento  per  la rapidità dell’ottimo accordo,
al suo nuovo e importante cliente, per restituire pari contentezza,
confida, complice, che il proprietario dell’appartamento èèèèèè
una persona giovane e amica del Premier.
La pausa di silenzio al telefono del sig. Alfonso, uomo serio del Sud,
diventa lunga, sino a un lento e attento:
“Oh,  grazie per la sua confidenza, ma forse avrei bisogno di un po’ più di tempo
per la firma del Contratto. Ne vorrò parlare con mia moglie. La richiamerò.”
“Non capisco” -ribatte l’Agente- “qualcosa non va?”
“Senta”  –confessa  sincero  il sig. Alfonso, padre di famiglia liberale del Sud-
 “ho i miei limiti, è che non vorrei avere niente  a che fare con gli amici del Premier!”.
Severo Laleo

martedì 6 settembre 2011

Un contributo per la "cultura del limite"

Dal Quotidiano di Lecco on line "La Provincia di Lecco"
del  3 settembre 2011

I sacrifici e la «cultura del limite»
    Cara provincia 
Adesso che la crisi impone di fare sacrifici, l'opinione pubblica, alla ricerca di qualcuno su cui scaricarli, si è improvvisamente accorta che la distribuzione della ricchezza nel nostro Paese tutto è, fuorchè perfetta. Il guaio è che, dopo aver tentato con risultati incerti di far pagare ai ricchi qualcosa in più degli altri, presto ci dimenticheremo del problema e torneremo al campionato di calcio.
Il fatto è che il nostro sistema economico non conosce la cultura del limite. Ci consideriamo un sistema liberista, fondato sulla libertà di impresa, e non ci rendiamo conto che la libertà senza limiti finisce con l'autodistruggersi e col distruggere il sistema in cui si realizza. Ad esempio, il diritto alla proprietà privata, che ci ha distinti per decenni dalle economie marxiste, non può essere illimitato perchè, se così fosse, sarebbe ipotizzabile uno scenario in cui un singolo individuo, magari meritandolo per le sue straordinarie capacità, si appropria di tutto ciò che esiste sulla Terra, in tal modo facendo carta straccia del diritto alla proprietà privata degli altri sei miliardi di esseri umani. Se questo scenario estremo sembra impossibile a realizzarsi, dobbiamo però chiederci se gli scenari meno estremi che di fatto si realizzano sono tutti rispettosi del diritto alla proprietà privata .
In una realtà economica fatta di risorse limitate, non possono esistere diritti illimitati, e la sapienza dei politici sta nell'individuare i limiti: per tutte le persone fisiche e le persone giuridiche, un limite al reddito annuo, un limite alle risorse finanziarie accumulabili, un limiti al valore dei beni mobili e immobili posseduti. Certo, se questo limite viene fissato a zero come avveniva nelle economie marxiste, o comunque a un livello troppo basso, si uccide l'iniziativa privata e il nostro sistema fa la stessa fine delle economie marxiste. Ma se perseveriamo nel non mettere un limite, l'iniziativa privata viene uccisa ugualmente, sostituita dall'iniziativa esclusiva dei gruppi di potere politico-finanziario, e il controllo democratico sullo Stato diventa una farsa. Se a nessuno fosse permesso di possedere più di, poniamo, un milione di euro in contanti, beni mobili e beni immobili, la spinta a lavorare per raggiungere quel limite rimarrebbe comunque e produrrebbe i suoi frutti, mentre non dovremmo discutere sulle reti televisive del nostro primo ministro, non avremmo gli scandali per le tangenti, la mafia sarebbe in mutande, e metà o forse più dei reati non verrebbe commessa. Assisteremmo a una fuga di cittadini verso Stati che non pongono questi limiti? Ben venga!Perchè la voglia di lavorare non ha nulla a che vedere con la voglia di arricchirsi...
Antonio Attanasio

Viva la vitola



Ora i seguaci di Silvio Berlusconi, 
grazie a favorevoli  intercettazioni, possono, con gran fiducia, sperare in un prossimo futuro di agiatezza,
da sempre promesso dal gentile imprenditore di Cologno,
e cantare, con gioia, non solo: “Meno male che Silvio c’è”,
testo d’amore politico senza pari nel mondo occidentale,
ma anche: “Caro Silvio, sei la vitola nostra!”
O no?
Severo Laleo

lunedì 5 settembre 2011

Quale Paese nel 2013




Il segretario, già di Berlusconi e ora del PDL, Alfano, 
con saggia avvedutezza ha proposto, per il 2013, 
nuovamente, 
la candidatura di Silvio Berlusconi a Premier.

E' un'idea da condividere,

appare lungimirante e di finale chiarimento politico.

E sarà, forse, l'unica, vera occasione,
finalmente,
per capire, sino in fondo, senza più dubbi, 
quanto l'Italia sia un paese di...
persone civili.
O no?
Severo Laleo


giovedì 11 agosto 2011

Tremonti e l'ora della verità


In un solo giorno, anzi nel giro di qualche ora, il nostro Tremonti,
il “professore”  lungimirante, 
l’esperto di economia,
l’intelligente analista,
l’accorto politico,
l’ottimo ministro dei conti in regola,
anzi il superministro,
l’(io)statista d’Italia,
è diventato “fumoso” per Bossi,
ha lasciato “allibito” il Presidente Fini,
e s’è beccato un “questo è tutto scemo” da Casini.
Forse c’è un po’ di giustizia (valutativa) a questo mondo!
O no?
Severo Laleo
P.S. 
E pare abbia già perso il nostro i voti di quattro dei molto "onorevoli" deputati,
tra i tanti  ad nutum di SB.

sabato 30 luglio 2011

Così parlò Tremonti, l’iostatista d'Italia.

La misura del degrado della vita pubblica (specie, dei nostri ministri) in Italia, 
a prescindere da ogni altra valutazione etica e politica, 
e persino dalle felici sintesi della gestualità del Bossi padano
(un giorno forse capiremo i fattori della sua genialità politica e del suo incontrollabile potere sui suoi seguaci),  
non è data solo dal linguaggio insultante dell’inarrivabile Ministro Brunetta 
(le sue performances hanno scalato ormai  le graduatorie degli onori di You Tube) e/o  di altre/i rigorose/i ministre/i.
La misura del degrado, nella sua volgarità più grave, è data ora anche dal linguaggio, non d’istinto, ma a freddo, adottato dal Ministro Tremonti, l’iostatista d’Italia, nel rispondere alle semplici, legittime, rispettose domande postegli  dall’Ambasciatore Romano dalle colonne del Corriere della Sera.
Leggete, da cittadini di un paese libero e democratico,  la sua lettera di risposta.
Mai un riferimento,  per giustificare i suoi comportamenti,  al dovere dell’esemplarità e della trasparenza,  e dell’essere al di sopra di ogni sospetto,  nell’adempimento della  sua funzione di Ministro nell’interesse del Paese; l’unico riferimento al termine Ministro, se si esclude la retorica chiusura della lettera, è al suo “compenso”.
Tutta la lettera ruota intorno al suo ”io”, alla sua “privacy”, ai suoi errori.  Con l’aggravante di quel riferimento, ancora più volgare, alla “beneficenza”. Nessun ministro in Europa si esprimerebbe con queste (scialbe) parole.  Piuttosto preferirebbe dimettersi . Ma così parlò l’iostatista Tremonti:
 È vero quanto ufficialmente in atti: in contropartita della disponibilità di cui sopra, basata su di un accordo verbale revocabile a richiesta, come appunto poi è stato, ho convenuto lo specifico conteggio di una somma a titolo di contributo, pagata via via per ciascuna settimana e calcolata in base alla mia tariffa giornaliera di ospitalità alberghiera. Come facevo prima e come ora appunto faccio ogni settimana in albergo. Aggiungo solo che all'inizio avevo pensato ad un diverso contratto, che ho poi subito escluso, per ragioni personali. Mi ritorna ora nella forma di una paradossale ironia, ma la ragione del tutto non era di convenienza economica, ma di «privacy»! Comunque nessun «nero» e nessuna «irregolarità». Trattandosi di questo tipo di rapporto tra privati cittadini non era infatti dovuta l'emissione di fattura o vietata la forma di pagamento.”  
Incredibile! Ma il nostro, in televisione, per rendere più esplicita la sua volgarità, convinto di  dovere essere più chiaro nei confronti della “piccola gente” davanti al tv,  parlò così:
“Non ho bisogno di  avere illeciti favori, di fregare i soldi agli italiani….Non ho casa a Roma, non me ne frega niente non faccio vita di salotti”. “Non ho bisogno di rubare agli italiani, non l’ho mai fatto e vorrei continuare a non farlo”.
Bravo, e se avesse avuto bisogno? E qual è il limite del (suo) bisogno? 
Forse è proprio  l’ignoranza del “limite”, in ogni campo, l’essenza di questa classe dirigente del berlusconismo.
O no?
Severo Laleo

lunedì 20 giugno 2011

Le parole di SEL: limite, convivialità, rifondazione democratica



 E’ stato pubblicato l’altro ieri, nel sito di Sinistra Ecologia e Libertà (http://www.sinistraecologialiberta.it/), a cura della Presidenza dell’Assemblea Nazionale, l’Odg conclusivo dell’Assemblea Nazionale SEL, dal titolo, un po’ retorico e a timbro slogan, “La partita è riaperta” (e di questi tempi di partite truccate, sarebbe bene tenersi alla larga da questo vocabolario vecchio da mondo del calcio di segno berlusconiano).
E’ un documento ampio, per interlocutori interni (soprattutto sul ruolo e la funzione dei partiti politici) ed esterni (sulla necessità delle primarie). Ma qui sarà utilizzato solo per la sottolineatura di “nuove” parole/idee.
1. L’idea del “limite
E’ scritto nel documento:La chiave di lettura di questi referendum, per noi soprattutto, è quella di spostare inequivocabilmente il nostro punto di vista sulla realtà a partire da una rinnovata cultura ecologista ed ambientalista, che sappia guardare alla crisi del modello di sviluppo e di convivenza sociale, con le lenti della responsabilità nei confronti delle generazioni future, introiettando il concetto del limite, tante volte ignorato da una ideologia sviluppista presente in tutte le tradizioni della sinistra”. L’idea di “limite” è  qui recuperata, giustamente, a partire da una visione ecologista e ambientalista del futuro; ma l’idea di “limite”, se estesa, ad esempio, anche alla dimensione sociale, all’interno di un processo di estensione di una “cultura del limite”, potrebbe, da un lato, marcare la necessità, costituzionale, di definire, attraverso un equo sistema fiscale a incisiva progressività, un limite alla ricchezza, dall’altro, attraverso l’istituzione di un reddito minimo garantito, potrebbe marcare la necessità,  costituzionale, di  definire un limite alla povertà. E la diffusione e la pratica di una “cultura del limite” potrebbero contribuire a includere nel discorso politico l’idea di “mitezza”, e la possibilità stessa, quindi, di introdurre, nel confronto politico, la perseveranza del dialogo contro il continuo ricorso alla guerra, armata e non.
2. L’idea di “convivialità
E’ scritto nel documento: “Dobbiamo poter affermare che è necessaria una rivoluzione del “buon vivere”, un nuovo modello di convivenza e di convivialità”. Lanciare, oggi, nell’epoca del modello berlusconiano, segnato dall’egoismo esasperato e prepotente dei tanti suoi adepti, l’idea della necessità di una rivoluzione del “buon vivere, e, sempre oggi, nell’epoca del danarismo avvilente, dell’affarismo di cricca, del vendersi per toccar potere e incartar denaro,  sia pure con la libertà dei “servi liberi”, lanciare l’idea di una società “conviviale” significa, senza dubbio, aver coraggio, ma se non si sperimenta un’abitudine al “buon vivere” e alla “convivialità, ad esempio, a partire dai circoli SEL, il coraggio diventa parola e il tonfo nel desiderio dell’utopia un fatto. E se, nell’elaborazione dei progetti di legge, si tenesse conto, non solo dell’impatto ambientale, ma anche dell’impatto “conviviale”, forse insieme si imparerà a creare un’abitudine nuova al “buon vivere”.
3. La “rifondazione democratica
E’ scritto nel documento: “…ricostruire una lettura della società e una proposta di rifondazione democratica basata sui principi costituzionali e sul coinvolgimento dei cittadini nelle scelte politiche per il futuro”.
Forse l’opera di una “rifondazione democratica” è la più importante, e precede ogni altra “rivoluzione”.
E il suo inveramento dovrebbe trovar luogo già nell’organizzazione democratica dei partiti, troppo spesso a conduzione monarchica (perché, ad esempio, non si guarda a una conduzione “consolare”, a due, di un uomo e una donna, insieme?).
Nel nostro Paese, la cura del “particulare”,  estranea alle regole di una democrazia liberale,  è ancora molto diffusa, ed è l’esito di una cultura dell'anti-Stato.
La colpa, da una parte, è sì della scuola (con l'inesistente educazione dei giovani alla pratica della democrazia nel rispetto dei principi liberali), e, insieme, del cattivo esempio delle classi di governo (con la pratica diffusa del clientelismo, e del familismo amorale),ma, dall'altra, è soprattutto “merito”,
personale ed esclusivo, della corsa a “meno Stato” del berlusconismo.
E’ stata una colpa la scarsa attenzione della cultura scolastica italiana ai principi fondamentali del liberalismo. Nelle migliaia di pagine dedicate, nei tantissimi testi scolastici di storia e filosofia, alle vicende e alle idee del Novecento, solo pochissime volte si incontra il nome di Piero Gobetti,
e, sempre pochissime volte, si dà conto del suo limpido e meditato, sul piano etico e politico, rifiuto del Fascismo, un rifiuto elaborato con chiarezza già al primo apparire del Fascismo, con i suoi primi violenti attacchi al sistema di regole di uno Stato liberale, un rifiuto esplicitato quasi in solitudine, perché tanti altri intellettuali, pur liberali, preferirono stare a guardare o mantenere un atteggiamento di pericoloso distacco e di ambigua equidistanza. Se il popolo italiano avesse potuto comprendere a fondo e interiorizzare la lezione di Gobetti, forse non saremmo qui oggi a parlare di rifondazione democratica.
Ma è merito personale e esclusivo di SB l'aver conquistato a sé il consenso, certo non del popolo, per così dire, gobettiano, ma, sicuramente, con pieno successo, di quel popolo, soprattutto di destra, che pur aveva manifestato un'alta considerazione e un rispetto totale nei confronti dell'azione dei giudici di mani pulite, schierandosi quindi a difesa dello Stato contro la cattiva politica delle tangenti. E proprio a partire da tangentopoli, con un'opera martellante e continua (basti ricordare, solo per fare un esempio, i forsennati attacchi al ruolo di servitori dello Stato dei giudici nella trasmissione “Sgarbi Quotidiani”), SB è riuscito a trasformare quel popolo di difensori, comunque, della primazia dello Stato nei confronti dell'agire dei governanti, in fanatici tifosi, da stadio, dell'intoccabilità del Capo, perché eletto dal popolo,di fronte alla legge e ai giudici, tifosi pronti a dare, lieti dell'irriverente linguaggio del calcio, del “cornuto” all'arbitro. Forse più che il carisma poté il danaro.
E con passar degli anni, anche nella maggior parte della popolazione, grazie a quest'azione pubblicitaria di disgregazione dei fondamenti di uno Stato liberale, la magistratura si trovò a scendere, nelle classifiche della fiducia dei cittadini, dal primo posto ai posti di coda.
Tocca a SEL, con nuova pazienza,e a tutti gli oppositori, oggi d'obbligo liberali, rifondare la democrazia.
O no?
Severo Laleo

giovedì 16 giugno 2011

Il ritorno del senso del limite

Oggi vorrei semplicemente segnalare e fare mio quest'intervento di Ugo Mattei, pubblicato su Il Manifesto.


Persone comuni alla conquista della storia
Un'emozione politica così forte non me la ricordavo più. Erano almeno vent'anni che le nostre idee, la nostra passione e il nostro immaginario venivano sistematicamente sconfitti in modo del tutto bipartisan. In questi sciagurati vent'anni di "fine della storia" le poche belle fiammate politiche venivano dalla ribellione sempre repressa con violenza bruta da uno Stato progressivamente asservito ai poteri forti. Vent'anni di accentuato delirio di onnipotenza da parte dei vincitori della guerra fredda. Vent'anni in cui la guerra calda è stata normalizzata e trasformata in polizia internazionale.
In questi vent'anni la sovranità passava implacabilmente dalle istituzioni politiche nazionali, a quelle economiche globali simbiotiche con gli apparati militari e industriali che governano gli Stati uniti d'America. In questi vent'anni nel mondo occidentale la sinistra declinava drammaticamente perché gli assetti politici tollerati dai nuovi padroni globali del mondo non potevano che convergere al centro (cioè a destra). Insieme alla sinistra e a un pensiero ecologista ancora incapace di declinarsi con piena dignità politica, tramontava in tutto l'Occidente il senso del limite. In Italia il terreno preparato dal craxismo in piena era reagan-tatcheriana, spazzava via quel pudore, quella sobrietà, se vogliamo pure quell'ipocrisia (che pur sempre è senso del limite) che tradizionalmente caratterizzava tanto la vecchia Democrazia cristiana quanto il Partito comunista, risparmiando agli italiani se non altro l'orrore della volgarità autocompiaciuta. In questi anni si diffondeva potente e vincente, amplificato dalla professione degli economisti che in massa avevano abbandonato Keynes, il pensiero neoliberale. Il pensiero critico fuggiva da Marx e si trasformava progressivamente in pensiero debole. Il diritto abbandonava le vecchie pretese di costruire un governo democratico dell'economia e si trasformava in un apparato sempre più mite con i forti e forte con i deboli. Sul piano delle politiche la globalizzazione imponeva flessibilità, nuovi sfruttamenti, privatizzazioni, trasferimenti massicci dal pubblico al privato, saccheggio dell'ambiente e dei beni comuni.
Per molti di noi questi sono stati vent'anni di studio e di riflessione, dedicati a capire i fenomeni intorno a noi e a immaginare come concretamente avrebbe potuto essere un mondo diverso, più bello, cosmopolita e rispettoso di tutti. Sul finire degli anni novanta abbiamo cominciato sistematicamente a raccogliere dati accademici e materiali politici sul fallimento di quel modello di sviluppo. All'inizio del nuovo millennio la battaglia di Cochabamba mostrava come l'acqua, che tutto fa vivere e tutto connette, fosse al cuore delle nuove dinamiche di sfruttamento e di saccheggio di Gaia, il nostro pianeta vivo. La categoria giuridico-politico del "comune" cominciava ad essere elaborata e forniva un prodigioso linguaggio nuovo capace di connettere fra loro le tante diverse battaglie di coloro sulla cui pelle si stavano svolgendo i processi della globalizzazione finanziaria. Spesso le pratiche nuove camminano sulle idee nuove e i beni comuni hanno svolto e svolgeranno ancora questa funzione. Sono stati i beni comuni a legare fra loro le battaglie contro la legge Gelmini dell'autunno scorso, quelle contro il ricatto della Fiat, nonché quelle di lunga durata sui territori dai No Tav al No Dal Molin.
Queste persone, questi territori e queste battaglie hanno ripreso dignità con questa vittoria. Soprattutto, nella battaglia referendaria si è verificato un prodigioso risveglio di tante persone comuni, i veri protagonisti di questa battaglia. Tanti laici, cattolici, comunisti, ambientalisti, accomunati da un rispetto del senso del limite dell'uomo nei confronti della natura e scevre dal delirio di onnipotenza e dal narcisismo. Questo è il nuovo blocco sociale che ha vinto il referendum e vuole guidare un'inversione autentica della rotta. È stato questo un referendum pensato da persone comuni e votato da persone comuni. Un referendum di cittadini che ha saputo sconfiggere la mercificazione e la trasformazione del cittadino in consumatore abbindolato dal marketing.
A queste persone comuni che stanno facendo l'Italia del dopo fine della storia non importa chi si intesterà la vittoria referendaria. A tutti costoro non importa la politica dei talk show perché mentre c'erano i talk show in tutto quest'ultimo anno e mezzo accorrevano in frotte ai nostri comizi e ai nostri momenti di formazione critica. Queste persone hanno dato un messaggio politico forte e chiaro. Basta con l'ideologia della fine della storia. Basta con la falsa tirannia del rigore economico a senso unico che ha attraversato in modo completamente bipartisan lo scorso ventennio. La micro contingenza della politica attuale del palazzo italiano ci interessa assai poco. Ma certo non sarà una nuova convergenza al centro in nome della sconfitta del berlusconismo che ci proponga governi di salvezza nazionale da primi anni novanta (per intenderci un'asse Bersani-Tremonti) che potrà pensare di interpretare questi nuovi eventi.
I referendum sono stati il corrispondente italiano delle Primavere arabe e degli indignados. I leader capaci di interpretarli in parte ci sono e in parte verranno. Per ora abbiamo fermato il saccheggio finale dell'acqua e dei servizi pubblici di interesse generale; abbiamo scongiurato la follia nucleare in Italia e abbiamo salvato la democrazia diretta nel paese. Non poco per delle persone comuni.