L’Italia, almeno a giudicare dal degrado senza limiti della
politica,
e dal contare i voti di quei troppi elettori “servi liberi”
pronti a seguire un “capo” pur di conseguire avari vantaggi immediati,
è ancora un paese privo di educazione “liberale”,
di quell’educazione/cultura “liberale” fondamentale
per costruire una democrazia moderna e civile,
a prescindere dal colore delle azioni di governo.
In Italia abbiamo dato il nostro consenso alla “discesa in
campo”
di tanti politici nuovi, di chiunque abbia voluto fare
politica,
spesso a destra, ma anche a sinistra,
senza chieder loro di superare l’esame di “cultura liberale”.
Ed è stata la vittoria dell’antipolitica, comunque camuffata.
Il grillismo, al confronto, è quasi una richiesta di decenza
“liberale”.
Essere “liberali” è la precondizione per impegnarsi in
politica,
sia a destra sia sinistra. Tra pari. In ogni senso.
Il mito del “capo” non è “liberale”,
è il misero esito nostrano del maschilismo.
Ieri, poiché, in assenza di rigore intellettuale, definirsi “liberali”
è stato facile, abbiamo visto trionfare in politica,
appunto,
i nuovi “liberali”, conservatori e rivoluzionari (ognuno a
suo modo!),
insieme, senza un minimo di “cultura liberale”,
solo uniti a “occupare” il potere, anche oltre i limiti del
possibile.
Oggi, al governo, a rispettare i limiti, abbiamo tecnici “liberali”,
espressione di moderatismo politico.
E’ stato scritto da un sincero “liberale” quale Valerio Zanone:
“la cultura del limite induce al moderatismo
politico”.
Non so se è sempre possibile.
Certo, quando in un paese civile le differenze tra ricchi e
poveri
superano ogni sopportabile limite, ristabilire l’equità,
ridefinendo un limite per la ricchezza e un limite per la
povertà,
difficilmente potrà essere un’operazione di moderatismo
politico,
comunque da non affidare a dei, pur illuminati, tecnici.
O no?
Severo Laleo
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