sabato 26 dicembre 2015

Barba, Babbo Natale, spettacolo e rivoluzione



Per ribellione e protesta, nel ’68, una generazione di giovani
da imberbe, per un insieme di situazioni, alte e non,
impara a credere nella forza rivoluzionaria della barba,
in ogni sua foggia. Soprattutto se incolta.
E rinuncia a Babbo Natale e ai suoi doni.
E spesso, ancora oggi, la barba rivoluzionaria d’allora
imbianca visi alteri di umiltà e liberi, anche se a volta stanchi.
Per disillusione.

Ma il giovane irriverente di oggi, pronto a battere le mani,
abituato da piccolo ai rumori dell’arte di spettacolo,
ti accusa di conservatorismo, di incapacità di seguire il (suo) cambiamento, 
di essere vecchio, un arnese inutile.
E barboso. E torna a giocare con Babbo Natale
e il suo sacco di regali.

E’ da perdonare. Non conosce la storia e non può immaginare 
quanto sia nobile, benché faticoso, “conservare”,
con la barba, le idee rivoluzionarie di sempre:
tutte le persone sono eguali e hanno pari diritti;
ogni persona ha diritto a una vita degna di essere vissuta,
per luogo e condizioni di abitazione, per strutture di cura
della salute, per occasioni di istruzione/educazione,
per opportunità  di partecipare al tavolo comune del lavoro,
per  possibilità  di gestire un reddito,
per libertà di essere sé stessa.

E non sa, a volte per seguire ambizione, a volte per seguire leaders,
a volte per imitare Babbo Natale, che se il cambiamento non tocca
le forme e le strutture del Potere, il Potere, a sua volta,
sempre uguale a sé stesso, riesce ad avvolgere tutti
nella sua opacità, persino la generazione  del cambiamento.

Forse ancora oggi è bene non inseguire Babbo Natale
e i suoi casuali omaggi e conservare la barba,
specie se è sede di allergie per il Potere fine a sé stesso
e memoria di rivoluzione.

O no?

Severo Laleo

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