Per ribellione e protesta, nel ’68, una
generazione di giovani
da imberbe, per un insieme di situazioni, alte e
non,
impara a credere nella forza rivoluzionaria della
barba,
in ogni sua foggia. Soprattutto se incolta.
E rinuncia a Babbo Natale e ai suoi doni.
E spesso, ancora oggi, la barba rivoluzionaria
d’allora
imbianca visi alteri di umiltà e liberi, anche se
a volta stanchi.
Per disillusione.
Ma il giovane irriverente di oggi, pronto a
battere le mani,
abituato da piccolo ai rumori dell’arte di spettacolo,
ti accusa di conservatorismo, di incapacità di
seguire il (suo) cambiamento,
di essere vecchio, un arnese inutile.
E barboso. E torna a giocare con Babbo Natale
e il suo sacco di regali.
E’ da perdonare. Non conosce la storia e non può
immaginare
quanto sia nobile, benché faticoso, “conservare”,
con la barba, le idee rivoluzionarie di sempre:
tutte le persone sono eguali e hanno pari
diritti;
ogni persona ha diritto a una vita degna di
essere vissuta,
per luogo e condizioni di abitazione, per
strutture di cura
della salute, per occasioni di
istruzione/educazione,
per opportunità di partecipare al tavolo comune del lavoro,
per possibilità
di gestire un reddito,
per libertà di essere sé stessa.
E non sa, a volte per seguire ambizione, a volte
per seguire leaders,
a volte per imitare Babbo Natale, che se il
cambiamento non tocca
le forme e le strutture del Potere, il Potere, a
sua volta,
sempre uguale a sé stesso, riesce ad avvolgere
tutti
nella sua opacità, persino la generazione del cambiamento.
Forse ancora oggi è bene non inseguire Babbo
Natale
e i suoi casuali omaggi e conservare la barba,
specie se è sede di allergie per il Potere fine a
sé stesso
e memoria di rivoluzione.
O no?
Severo Laleo
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