domenica 28 marzo 2021

Bracco, chi era costui. Una stroncatura di Piero Gobetti

 

Bracco, chi era costui? Bracco?

Certo, se non avessi letto la stroncatura di un giovane Piero Gobetti

in una lettera del 1922 a Ada Prospero, la sua ancora più giovane

fidanzata (si tratta di freschi ventenni!), forse non l’avrei mai saputo.

Il fatto è che Gobetti, non solo svolge la sua stroncatura

a tutto campo senza pietà del povero Bracco,

scrittore e drammaturgo, ma gli aggiunge anche delle note,

come dire, di carattere regionale, anzi metropolitane:

non era un veneziano come Goldoni, ma napolitano”,

cioè “presuntuoso, approssimativo, fanfarone”.

Forse è un po’ troppo, specie se hai radici napoletane:

ora a un napoletano gli puoi dare sì dell’“approssimativo”,

soprattutto quando vuole chiudere un discorso,

per tagliar corto e bene, con un “vabbuò ja!”, e gli puoi

anche dare del “fanfarone”, quando vuol far vista d’allegro

con un chiassoso “uè, uè”, ma non gli puoi dare del “presuntuoso”:

il “napolitano” non conosce presunzione, veramente!

Al limite gli puoi giusto dire, e forse per una serie di ragioni storico-sociali

è anche vero, “che ne sa sempre una più del diavolo”,

chiunque esso sia, povero o ricco, capoccione o analfabeta,

perché impara presto a conoscere le turbolenze della vita.

E Bracco (mentre ben altri intellettuali cincischiavano) dimostrerà

di lì a qualche anno, con una scelta politica e morale,

di avere altra pasta d’uomo, non piegandosi al fascismo,

lui pur uomo di mondo e di successo, e di non meritare quelle note

metropolitane, se non bonariamente per gioco tra persone in gamba.

Ma siamo ancora nel 1922, e Gobetti, la cui indefettibile onestà

intellettuale è di esempio per chiunque abbia il dono del pensiero libero,

salva di Bracco almeno la commedia La fine dell’amore,

con questo rapido giudizio: “un’opera valida nella sua leggerezza.”

Ma subito si pente (si fa per dire!) e, al di là dell’opera in questione,

sottolinea: “...anche il suo stile ha una imprecisione e una falsa

pienezza di voluttà viziosa e napoletana che circuisce e disgusta”.

Aiuto!

Ho sentito così, istintivamente, il bisogno di leggere almeno

quell’opera, per capire meglio questo Bracco e farmene una mia idea,

non solo in rispettosa stima nei confronti del Gobetti critico

(che merita sul punto un approfondimento in altra sede),

ma anche con l’intima volontà di onorare la memoria

di un antifascista della prima ora, pronto, senza esitazioni,

a pagar di persona.*


Ebbene, La fine dell’amore è davvero un’opera “valida”,

scritta con un piglio leggero e divertente, con qualche garbata staffilata,

(è definita una “satira” in quattro atti), ma un piglio, a suo modo, fermo

nel denunciare (forse il termine nella sua valenza attuale è troppo forte

e importante per il caso) la vacuità (con nota di squallore nel personaggio 

Rivoli), di un mondo maschile dal quale Bracco sembra prendere bene 

le distanze, cercando al contrario di concedere alla sola figura femminile Anna

la possibilità di comprendere il significato pieno dell’amore tra un uomo 

e una donna, con un cenno vago e fugace all’esistenza di una questione 

femminile (il personaggio Albenga segue “conferenze feministe”!).

Il tutto, appunto, in “leggerezza”, ma una leggerezza gradevole

quasi sollecitante tenuemente una riflessione sull’essere donna

tra cotanti uomini.

O no?

Severo Laleo


*Vorrei qui riportare, per restituire il meritato onore
a un “napolitano” per nulla “presuntutoso, approssimativo
e fanfarone” quanto si può leggere in Wikipedia:
Il 5 novembre 1936, Emma Gramatica, già interprete di alcune opere
teatrali di Roberto Bracco, saputo che il suo amico, ormai settantacinquenne,
versava in cattive condizioni di salute e di forte indigenza, chiese al ministro
della Cultura Popolare Dino Alfieri di aiutarlo finanziariamente, al fine di...
«...trovare un modo pietoso per alleviare la vita che si spegne di quest’uomo
di ingegno che ha avuto gravi torti ma non ha mai fatto nulla di male
e se non ha tentato nulla per riparare i suoi errori non è stato per orgoglio
ma per dignitoso riserbo, temendo di essere mal giudicato
Mussolini dispose d'urgenza che l'aiuto gli fosse concesso
e l'assegno fu recapitato da Alfieri alla Gramatica.
Ma Bracco, messo al corrente dell'iniziativa dell'amica,
non accettò il sussidio. L'attrice fu costretta a restituire la somma,
accompagnata da una lettera dello stesso Bracco al ministro Alfieri,
datata 9 gennaio 1937: «Eccellenza, per una serie di circostanze
che sarebbe qui inutile precisare, mi è pervenuto con molto ritardo
lo chèque di Lire diecimila da Lei inviatomi. (...) Una profonda e benefica
commozione ha prodotto in me l'atto generoso da Lei compiuto
con eleganza di gran signore e con una squisita riservatezza,
in cui ho ben sentito la bontà e la comprensione di chi amorosamente
e validamente vigila le sorti della famiglia artistica italiana.
Ma la commozione profonda e benefica non deve far tacere
la mia coscienza di galantuomo, la quale mi avverte che quel denaro
non mi spetta
E’ vero, puoi notare sì in Bracco un’attenzione insistita all’eloquio
avvolgente, ma quel che ha da dire rispetta onore e verità.
Senza falsità.

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