giovedì 9 giugno 2011

Il futuro del centrosinistra avrà un esordio “liberale”


“Nel cantiere dell’alternativa non distribuiamo le magliette con i colori delle squadre,
ma apriamo piuttosto le porte anche a tanti altri che non vengono dai partiti
e che portano, competenze, esperienze di vita, ricchezza di cultura.
E in quel cantiere, insieme agli altri, proviamo a farci le domande giuste
e a darci le risposte giuste: non è forse questo il programma dell’alternativa?”.
(Vendola, Intervista a cura di Maria Teresa Meli, Corriere della Sera 8 Giugno 2011).

Apriamolo dunque questo "cantiere", questa “bottega artigiana”
con le sue maestranze, con i suoi progetti, con i suoi tempi.
Non abbiamo paura: il pericolo di confusione non esiste,
se ogni compito è rispettato.
Abbandoniamo l’idea antica dell’"orticello",
da coltivare  in egoistico isolamento,
senza slanci ideali, senza sguardo comune.
Guardiamo avanti, a un'alleanza di "educazione liberale",
un'alleanza capace, cioè, di dare all'Italia di domani,
dopo il fascismo, il leghismo, il berlusconismo,
quel che nella Prima Repubblica Dc e Pci mai riuscirono a dare:
una visione e una pratica "liberale" della democrazia,
dove la responsabile serietà del civico comportamento
diventi costume diffuso di tutti. E segni una nuova modernità.
Torniamo a discutere di bene pubblico,
e buttiamo a mare populismi e trasformismi,
imparando a non correre solo dietro il nostro "particulare".
Uniamo tutte le forze “liberali” dell'opposizione, tutte,
per sconfiggere il populismo affaristico e spavaldo
dell'oggi berlusconiano, con il suo seguito a danarismo avvilente.
Svuotiamo con una larga intesa “liberale”,
la strategia dei “liberi servi” di Ferrara,
pronti a rinnovare, ancora una volta, l’inchino al capo.
Costruiamo un'alleanza aperta, di respiro "liberale",
con quanti condividono l’obiettivo politico
della trasformazione "liberale" del nostro Paese,
sia per salvare le nostre attuali istituzioni democratiche,
e insieme estendere i processi per una democrazia avanzata
(penso, ad esempio, alla pratica della trasparenza assoluta),
sia per concordare, con i possibili alleati, una via d'uscita,
rapidamente praticabile, di tanti giovani dal precariato.
Abbiamo il dovere di recuperare democrazia e libertà,
e insieme passione civile, reale e non virtuale,
tanto attesa e pretesa dalle nuove generazioni.
E questo è comunque un compito della sinistra.
Almeno bisogna tentare. E il tentativo inviterà alla chiarezza
e sarà un merito di Sel, anche se andrà male.
Ma a quel punto molti elettori avranno più argomenti per decidere.
O no?
Severo Laleo




sabato 28 maggio 2011

Dalle “convergenze parallele” alla “coesione responsabile”



Una volta, almeno a partire dai formidabili anni sessanta, e giù di seguito,
la politica era più complessa, difficile a dirsi, quasi un esercizio per iniziati.
Passione e ideologia segnavano ogni discorso politico.
Dal contadino di Cerignola, all’intellettuale di Torino.
Discorsi profondi, da interpretare, senza gesti.
Per voglia di partecipazione, per imparare a “contare”.
L’adesione a un progetto politico, sempre rigorosamente della collettività,
della comunità, prendeva dentro, la ragione e i sentimenti,
e,  a suo modo, ognuno aveva il suo “sol dell’avvenire”.
E la coerenza era misura d’intelligenza politica, quasi d’onore.
Qualcuno scoprì persino il senso politico della questione morale.
Oggi, grazie soprattutto a una nuova classe politica non più di partito,
ma imprenditoriale e/o di “popolo”, tutto è più facile, più semplificato.
La politica diventa immediata. Senza memoria. 
Macina tutto e il contrario di tutto.
Senza la dimensione del futuro. Senza discorsi.
Solo slogan gridati e gesti semplici, chiari.
Non perde tempo la politica in coerenza. Guarda al frutto. 
Sempre individuale. E ha imparato molto bene a “contare”, 
perché sa gustare il danarismo avvilente,
scoprendo, in Parlamento, la  virtù della “responsabilità”.
La “questione morale” è moralismo, è il ritorno dei puritani. Vecchiume.
Una volta, per capire la strategia politica,
ti si dava da interpretare le “convergenze parallele”,
oggi per tutti basta l’icasticità del gesto del dito medio.
Il passaggio dalla complessità alla semplificazione è ormai avvenuto.
E diventa non più necessario in politica farsi un’idea propria e libera,
informarsi, partecipare, indignarsi, protestare, condividere,
è sufficiente “legarsi” a un “capo”, a cui “si deve” qualcosa 
(chiunque sia il “capo”, dovunque collocato).
Esprime bene questa nuova condizione di semplificazione
nell’impegno politico una dichiarazione di Emilio Fede:
"Proteggo il premier. Da amico vero del presidente Berlusconi,
a cui rimarrò legato per tutta la vita,
perché gli devo la mia seconda giovinezza professionale,
ho sempre cercato di proteggerlo”.
Ecco i nuovi termini: protezione, legame, “dover tutto”.
Semplice, no?
E una conferma giunge anche dal Presidente del Consiglio, quando spiega:
"Pochi giorni fa per l'ennesima volta abbiamo ottenuto la fiducia alla Camera
con una maggioranza che dopo la diaspora di Fini e Casini
è numericamente inferiore ma politicamente più coesa”.
Chiarissimo: il libero confronto politico con Casini e Fini
è stato sostituito dal fervido desiderio di “coesione”
-legame più a stretta, ma ambigua, tenuta- dei Responsabili
(e viene in mente un bell’articolo di Guido Viale, apparso su il manifesto
del 29 aprile dal titolo “Il desiderio italiano di essere servi”).
Forse anche il carisma, se crea “servo legame”, non è carisma.
O no?
Severo Laleo

P.S.
Ma il gentile, garbato, colto, moderato, cattolico Gianni Letta
è dentro questa logica del “legame”?

domenica 8 maggio 2011

E verranno a trivellar le menti…


La manifestazione No-trivelle day,  svoltasi, oggi, 7 Maggio,  a Termoli,
è stata una protesta motivata, responsabile e necessaria,
almeno per l’affermazione di un principio:
l’indisponibilità di un bene ambientale comune per fini di profitto.
Dal palco Lucio Dalla così ha espresso la sua rabbia amara:
"Non posso pensare che si sia presa una decisione del genere.
E' un provvedimento folle,
che arriva da gente senza scrupoli e senza amore per la propria terra".
Proprio così:  “gente senza scrupoli e senza amore per la propria terra”.
Anche se ognuno è libero di coltivare il “suo” amore,
non ha torto Lucio Dalla. E torto non hanno gli attenti abitanti dei luoghi.
Personalmente tifo per la vittoria degli antitrivellatori,
perché ancora provano gioia nel rapporto con la natura,
perché ancora si preoccupano della salute delle generazioni future,
perché ancora hanno un’idea del limite nell’offesa all’ambiente.
E vorrei tanto vederla questa vittoria, perché aprirebbe la strada
a una democrazia a felicità consapevole per tutti,
contro una democrazia a felicità arraffona per pochi.
Ma bisogna essere attrezzati per la vittoria,
perché viviamo tempi di danarismo avvilente.
Viviamo tempi nei quali, complice il berlusconismo,
l’ossequio al denaro e al successo e alle carriere d’ogni tipo
è senza limiti, e quindi foriero di una nuova idea di “libertà”,
di una nuova idea di “etica”:
la libertà d’impresa senza vincoli, e l’etica del fare.
Già immagino, se le menti si lasciano trivellare, i contatti del futuro.
Vedi quell’accanito oppositore, ora sul palco: con il tempo scenderà;
altrimenti, in un paese a civismo ridotto, a che servono i soldi?
a che servono i “posti”? a che servono le “gratifiche”?
E l’idea di una paga, dal nome sviluppo, per tutti
inviterà a riflessioni ardite sull’estetica delle trivelle al tramonto.
E la pratica del servilismo, tanto in auge in questi tempi di edonismo
di matrice berlusconiana, produrrà le nuove libertà dei  guadagni
senza i lacci e i lacciuoli ambientali.
Spero tengano duro gli antitrivellatori,
per la difesa dell’ambiente e delle nostre felicità.
E sappiano che oggi la Resistenza non è più sulle montagne,
la Resistenza oggi ha da vincere le sue battaglie nelle paludi degli affari.
O no?
Severo Laleo

domenica 1 maggio 2011

Primo Maggio 2011: di nuovo insieme per salvare i diritti del lavoro. E la libertà.


Ecco una terna di notizie di questi ultimi giorni.
Notizie riguardanti il lavoro e la sua festa,
sulle quali è utile insieme per un attimo riflettere,
se si vuole tentare di tenere unite tutte le forze del lavoro,
stabile, precario, negato.
Prima notizia:
la disoccupazione giovanile è la più alta in Europa, è ormai al 29%,
l’1,3% in più sul marzo 2010, e in crescita dello 0,3% anche sul febbraio 2011.
Seconda notizia:
la festa del 1° Maggio è per la prima volta messa seriamente in discussione,
se anche i sindacati litigano e si dividono, nel giorno dell’unità,
quando i Sindaci (di centro-destra a Milano, di centro-sinistra a Firenze)
offrono ai commercianti la libera facoltà di tenere aperti i negozi.
Terza notizia:
a Portella della Ginestra, luogo di memoria del dolore per tutti i lavoratori d’Italia
-dove la banda di Salvatore Giuliano, con la complicità di pezzi di Stato,
il Primo Maggio del 1947,
sparò sulla folla in festa, contadini soprattutto, 
uccidendo 11 persone e ferendone 27-
il Sindaco ha organizzato la festa “Cannoli & Friends”, invitando Lele Mora.
Dietro le notizie, le nuove situazioni sociali e culturali dei nostri tempi infelici:
1. la disperazione giovanile del lavoro negato e del lavoro precario,
con conseguente indifferenza dei giovani 
nei confronti dell’impegno sociale e politico;
2. la divisione tra i sindacati scaturita dall’attacco,
da parte di amministrazioni “moderne” ed “efficienti”,
con conseguente invito a un consumismo non richiesto e fuori tempo;
3. la organizzazione di una sagra paesana a cavallo tra il giorno
della memoria del dolore e la dimensione turistica dei “cannoli”,
con conseguente confusione di storia e di valori.
Ora sono proprio queste situazioni a dare il segno chiaro
di questi nuovi tempi di modernità giocosa, leggera e schiavizzante.
Ma questo Primo Maggio vogliamo tornare insieme, in unità,
a salvare i diritti del lavoro e a difendere la libertà.
Nel rispetto della nostra Carta Costituzionale.
O no?
Severo Laleo

mercoledì 20 aprile 2011

Il senso del limite e la fine del berlusconismo

Oggi, per la cultura del limite, è un giorno felice.
Lassini, l’autore/ispiratore, per sua ammissione, dei manifesti 
Via le BR dalle Procure
dichiara, amareggiato e pentito, di ritirarsi dalla competizione elettorale
per il consiglio comunale di Milano,
e scrive al Presidente Napolitano per chiedere sincere scuse per il suo gesto.
E appare davvero “colpito” dal messaggio del nostro capo dello Stato.
Quasi un rinsavimento, un tornare al senso del limite nella lotta politica.
Il Presidente del Senato, Renato Schifani, 
sempre dopo l’intervento del Presidente della Repubblica,
invita il Popolo della Libertà, popolo ubbidiente, sempre pronto a coprirsi
dietro i giudizi del Premier sui giudici,
a prendere le distanze, senza se senza ma” dall'autore dei manifesti.
Anche la candidata a sindaco di Milano, Letizia Moratti, 
sempre dopo l’intervento di Napolitano,
dichiara la sua candidatura “incompatibile con quella di Roberto Lassini”,
confermando il valore del rispetto per le istituzioni, 
rispetto dal Premier quasi mai praticato.
Ma cosa avrà detto il nostro caro Presidente della Repubblica?
Ecco le sue parole: “Nelle contrapposizioni politiche ed elettorali, 
e in particolare nelle polemiche sull'amministrazione della giustizia, 
si sta toccando il limite oltre il quale possono insorgere le più pericolose
esasperazioni e degenerazioni. Di qui il mio costante richiamo 
al senso della misura e della responsabilità da parte di tutti”.
Parole semplici, normali, chiare, comprensibili a tutti.
Eppure il suo richiamo al senso della misura toglie questa volta
fiato ai sostenitori vocianti e sempre più scalmanati del Presidente del Consiglio,
e segna la fine del berlusconismo,
del berlusconismo dagli slogan d’assalto,
del berlusconismo dai ritornelli aggressivi,
del berlusconismo a danarismo avvilente,
del berlusconismo a manganellate tramite giornali e tv,
del berlusconismo delle “libertà” oltre le regole,
del berlusconismo e basta,
se oggi il povero candidato Lassini, il Presidente del Senato Schifani 
e la sindaca Letizia Moratti,
tutti di matrice Popolo della Libertà,
abbandonano la furia propagandistica del Capo, e prendono le distanze.
Solo Gianni Letta, uomo garbato, colto e democratico, mai oltre le righe,
non è riuscito a frenare l’indifendibile entusiasmo antimagistrati 
del suo (ex) datore di lavoro (absit iniuria verbis),
assegnando al suo silenzio il marchio di un'approvazione.
E’ il mistero del nostro moderatismo liberale e cattolico!
O no?
Severo Laleo

martedì 12 aprile 2011

Nove Aprile: ma siete sicure/i? Il posto fisso?


Care/i precarie/i,
il Nove Aprile ha chiuso un’epoca. E ha chiarito un equivoco.
Le piazze colorate e festose hanno gridato:
precario è bello, è giovane, è interessante, è vario, è moderno!
E ha svelato finalmente l’invidia dei genitori nei confronti dei figli,
dei genitori imbalsamati contro figli giramondo,
dei genitori monogami contro figli a legami deboli,
dei genitori fissi contro figli flessibili,
dei genitori senza “vita” contro figli pieni di “vita”.
Non ne posso più. Ho bisogno di aprirmi, di raccontare,
dall’alto del mio posto fisso.
Il peso mi opprime. E’ tempo di liberarsi.
Sì, sono un “privilegiato”, e me ne vergogno.
Non ho idea dell’essere precario. Con gran mio dispiacere.
Non posso comprendere a pieno il vostro “disagio”.
Ora esploso improvviso, per chiedere il posto fisso!
Appartengo a un altro mondo, io:
al mondo dei “privilegi” del posto fisso,
un vecchio mondo ammuffito, senza aria di montagna,
miope, privo di Ryanair, in timido balbettio con Facebook,
che non ha goduto della modernità della viva flessibilità,
che non ha goduto della disponibilità fresca a cambiare,
che non ha goduto della prestazione gratuita,
senza i limiti frenanti di un diritto improduttivo.
La mia vita è stata chiusa da troppi privilegi,
nascosti dappertutto,
nella polvere delle graduatorie di una burocrazia lenta,
stupida e guercia, e imbrogliona,
nelle spire di un assistenzialismo irrespirabile di Stato,
nelle leggi irrispettose di vincoli di bilancio,
nelle lotte delle variabili indipendenti del sindacato,
nelle tutele a senso unico del sindacalismo prepotente,
nelle norme pensionistiche ad personam,
nell’abbraccio a morsa della folla dei fannulloni;
a ventidue anni, bloccato a vita da un contratto a tempo indeterminato,
con un progetto di vita senza speranze del nuovo,
a venticinque, sveglio di notte con moglie al pianto di un bimbo,
a ventisette, con mutuo infinito per una villa a schiera,
tra amici per caso, fuori città,
a trenta, con aumento di stipendio per carriera senza stimoli d’esami,
a trentacinque, dirigente per concorso riservato, aumm aumm,
e a sessant’anni, colpa i quaranta di servizio,
buttato via in pensione, al 70%, abbandonato per strada all’inutilità.
Una vita da posto fisso, una vita in un binario, una vita da garantito.
Viva il precariato!
O no?
Severo Laleo

martedì 5 aprile 2011

Oltre il limite. Oltraggio alla Camera.

Oggi, 5 Aprile, è un giorno da ricordare.
Lascerà, questo 5 Aprile, un nero segno profondo
nella storia della nostra democrazia.
Perché? Perché il Popolo della Libertà e la Lega,
con perversa e deliberata consapevolezza,
hanno ucciso la libertà della Camera,
del suo essere, cioè, l’espressione più alta dell’esercizio
del libero convincimento di ogni ONOREVOLE.
314 (dis)onorevoli deputati, non per disciplina di partito,
ma per ubbidienza, personale e interessata, nei confronti di due Capi,
il capo Bossi e il capo Berlusconi, hanno, in pratica,
sostenuto, e quindi votato, senza vergogna, ma con lucro,
che Ruby è la nipote di Mubarak!
E’ stato superato il limite sostanziale della decenza,
è stato superato il limite del ruolo di rappresentante del popolo.
La dittatura fascista fu la dittatura tragica di un uomo e dei suoi complici,
la dittatura di oggi è la dittatura di avidi vassalli al servizio di due padroni.
Nel centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia,
è tempo ormai di una vera rivoluzione liberale,
da sempre assente nel nostro paese.
O no?
Severo Laleo

lunedì 4 aprile 2011

L'APPELLO L'ora della mobilitazione di GUSTAVO ZAGREBELSKY




Questo è l'appello alla mobilitazione apparso sul sito di Libertà e Giustizia, firmato dal presidente onorario dell'associazione, Gustavo Zagrebelsky 

Navi affollate di esseri umani alla deriva, immense tendopoli circondate da filo spinato, come moderni campi di concentramento. Ogni avanzo di dignità perduta, i popoli che ci guardano allibiti, mentre discettiamo se siano clandestini, profughi o migranti, se la colpa sia della Tunisia, della Francia, dell'Europa o delle Regioni. L'assenza di pietà per esseri umani privi di tutto, corpi nelle mani di chi non li riconosce come propri simili. L'assuefazione all'orrore dei tanti morti annegati e dei bambini abbandonati a se stessi. Si può essere razzisti passivi, per indifferenza e omissione di soccorso. La parte civile del nostro Paese si aspetta  -  prima di distinguere tra i profughi chi ha diritto al soggiorno e chi no  -  un grande moto di solidarietà che accomuni le istituzioni pubbliche e il volontariato privato, laico e cattolico, fino alle famiglie disposte ad accogliere per il tempo necessario chi ha bisogno di aiuto. Avremmo bisogno di un governo degno d'essere ascoltato e creduto, immune dalle speculazioni politiche e dal vizio d'accarezzare le pulsioni più egoiste del proprio elettorato e capace d'organizzare una mobilitazione umanitaria.

"Rappresentanti del popolo" che sostengono un governo che sembra avere, come ragione sociale, la salvaguardia a ogni costo degli interessi d'uno solo, dalla cui sorte
dipende la loro fortuna, ma non certo la sorte del Paese. Un Parlamento dove è stata portata gente per la quale la gazzarra, l'insulto e lo spregio della dignità delle istituzioni sono moneta corrente. La democrazia muore anche di queste cose. Dall'estero ci guardano allibiti, ricordando scene analoghe di degrado istituzionale già viste che sono state il prodromo di drammatiche crisi costituzionali.
Una campagna governativa contro la magistratura, oggetto di continua e prolungata diffamazione, condotta con l'evidente e talora impudentemente dichiarato intento di impedire lo svolgimento di determinati processi e di garantire l'impunità di chi vi è imputato. Una maggioranza di parlamentari che non sembrano incontrare limiti di decenza nel sostenere questa campagna, disposti a strumentalizzare perfino la funzione legislativa, a rinunciare alla propria dignità fingendo di credere l'incredibile e disposta ad andare fino in fondo. In fondo, c'è la corruzione della legge e il dissolvimento del vincolo politico di cui la legge è garanzia. Dobbiamo avere chiaro che in gioco non c'è la sorte processuale di una persona che, di per sé, importerebbe poco. C'è l'affermazione che, se se ne hanno i mezzi economici, mediatici e politici, si può fare quello che si vuole, in barba alla legge che vale invece per tutti coloro che di quei mezzi non dispongono.

Siamo in un gorgo. La sceneggiatura mediatica d'una Italia dei nostri sogni non regge più. La politica della simulazione e della dissimulazione nulla può di fronte alla dura realtà dei fatti. Può illudersi di andare avanti per un po', ma il rifiuto della verità prima o poi si conclude nel dramma. Il dramma sta iniziando a rappresentarsi sulla scena delle nostre istituzioni. Siamo sul crinale tra il clownistico e il tragico. La comunità internazionale guarda a noi. Ma, prima di tutto, siamo noi a dover guardare a noi stessi.

Il Presidente della Repubblica in questi giorni e in queste ore sta operando per richiamare il Paese intero, i suoi rappresentanti e i suoi governanti alle nostre e alle loro responsabilità. Già ha dichiarato senza mezzi termini che quello che è stato fatto apparire come lo scontro senza uscita tra i diritti (legittimi) della politica e il potere (abusivo) magistratura si può e si deve evitare in un solo modo: onorando la legalità, che è il cemento della vita civile. Per questo nel nostro Paese esiste un "giusto processo" che rispetta gli standard della civiltà del diritto e che garantisce il rispetto della verità dei fatti.

Questo è il momento della mobilitazione e della responsabilità. Chiediamo alle forze politiche di opposizione intransigenza nella loro funzione di opposizione al degrado. Non è vero che se non si abbocca agli ami che vengono proposti si fa la parte di chi sa dire sempre e solo no. In certi casi  -  questo è un caso  -  il no è un sì a un Paese più umano, dignitoso e civile dove la uguaglianza e la legge regnino allo stesso modo per tutti: un ottimo programma o, almeno, un ottimo inizio per un programma di governo. Dobbiamo evitare che le piazze si scaldino ancora. La democrazia non è il regime della piazza irrazionale. Lo è la demagogia. La democrazia richiede però cittadini partecipi, attenti, responsabili, capaci di mobilitarsi nel momento giusto  -  questo è il momento giusto  -  e nelle giuste forme per ridistribuire a istituzioni infiacchite su se stesse le energie di cui hanno bisogno.

Libertà e Giustizia è impegnata a sostenere con le iniziative che prenderà nei prossimi giorni le azioni di chi opera per questo scopo, a iniziare dal Presidente della Repubblica fino al comune cittadino che avverte l'urgenza del momento.
(04 aprile 2011)