domenica 18 settembre 2011

C’era una volta il Teatrino della Politica



La politica,
al di là dell’arte retorica di Giuliano Ferrara,
di introdurre la categoria dell’anomalia per difendere il suo Silvio,
in realtà, con l’avvento e la permanenza di Berlusconi  al potere,
ha abbandonato il suo TEATRINO,
per diventare il nuovo DRIVE IN, 
questo sì, nella sua versione anomala.
O no?
Severo Laleo
P.S. E dispiace: perché la questione morale è tutta politica!

sabato 17 settembre 2011

“Le donne? Tutta invidia”. Parola di Putin.

Il maschilismo macho, orientale e invidioso, di Vladimir Putin,
già capo del Kgb (e la parola gela ancora!),
e del suo amico caro, il nostro Premier, Silvio Berlusconi,
nonostante differenze, pur rilevanti, di geografia, storia, cultura,
ha un’identica origine: la negazione dell’essere  “persona”,
e la sua riduzione, violenta,  a oggetto, a genitalità,
a strumento di piacere animale,
con l’aggravante dell’umano ringraziamento in raffinata  paga  a prestazione.
O no?
Severo Laleo

Una lezione contro l’ “oltraggio”, a difesa di un’idea di limite.



Le seguenti osservazioni,  pubblicate sulla “Stampa” di oggi,  
 pur  neutre da un punto di vista politico,
e, quindi,  non di parte,  scritte da un esperto quale CARLO FEDERICO GROSSO,
sono, al contrario,  a mio avviso,  illuminanti,
sia da un punto di vista civico,  sia etico, sia pedagogico,  
e,  quindi,  in una parola,  anche politico.
E segnano il limite oltre il quale per  nessuno è lecito andare. 
O no?
Grazie prof. Grosso.
Severo Laleo
“Gli avvocati Longo e Ghedini hanno annunciato, ieri, che Berlusconi non si farà interrogare come persona offesa nell’ambito dell’inchiesta sulla presunta estorsione realizzata ai suoi danni. I due legali sostengono che il premier dovrebbe essere, al massimo, sentito come imputato in un procedimento connesso o collegato (Rubygate).
E quindi, a loro giudizio, con l’assistenza dei difensori. La Procura di Napoli ha fatto sapere che non vi sono le condizioni perché egli possa essere considerato imputato in un procedimento connesso, e che egli dovrà pertanto presentarsi, in quanto persona offesa da un reato, come una normale persona informata sui fatti e rendere testimonianza senza nessuna assistenza e che, ove egli dovesse rifiutare di presentarsi, sarebbe giocoforza procedere alla richiesta di un suo accompagnamento coattivo.
Un nuovo conflitto fra Berlusconi e Procure, dunque. Su quali presupposti tuttavia, e perché? Apparentemente il presidente del Consiglio non dovrebbe, infatti, avere difficoltà a presentarsi davanti ad una Procura che lo ha individuato come vittima di un reato e, dicendo il vero, contribuire a ricostruire la verità dei fatti perpetrati a suo danno. Ed invece, evidentemente, teme qualcosa. Ma, bando alle supposizioni o ai sospetti, rimaniamo ai fatti. Chi ha ragione, giuridicamente, in questo contrasto di posizioni fra Procura partenopea e difesa del premier?
Procediamo per gradi. Prima domanda: davvero un presidente del Consiglio può essere citato, a discrezione, da una Procura perché deponga come teste? La risposta è, ovviamente, positiva. Non si vede infatti perché un'autorità pubblica, per elevato che sia il suo rango, dovrebbe essere esentata dal dovere, civico prima ancora che giuridico, di riferire all'autorità giudiziaria ciò che sa intorno a circostanze oggetto di indagini, collaborando in tal modo all'accertamento della verità. La legge stabilisce, d'altronde, tassativamente i casi nei quali un soggetto è esentato dal dovere di testimoniare (prossimi congiunti, titolari di segreti professionali, di segreti di ufficio, di segreti di Stato). Ciascuno di questi casi ha una sua ratio. Al di fuori di essi il dovere di testimoniare è tuttavia, giustamente, inderogabile, e vale ovviamente per tutti, cittadino comune e pubblica autorità.
Seconda domanda. Che cosa accade se il testimone, citato, non si presenta? La legge prevede che, in questo caso, l'autorità giudiziaria può disporre il suo accompagnamento coattivo. Nel caso di specie, poiché Berlusconi è parlamentare, e l'accompagnamento coattivo costituisce una, sia pure circoscritta, limitazione della sua libertà personale, sembrerebbe che l'autorità giudiziaria debba, comunque, sottoporre alla Camera la richiesta di accompagnamento per l'autorizzazione. Il che creerebbe qualche problema alla Procura, ma, forse, anche al Parlamento, in quanto non sarebbe agevole dimostrare che il parlamentare è vittima di accanimento quando l'autorità giudiziaria intende sentirlo per tutelare, ed eventualmente rafforzare, la sua posizione di vittima di un reato. Ma veniamo all'emergenza dell'ultima ora. Davvero Berlusconi, come sostengono i suoi difensori, ha diritto di essere sentito in qualità di imputato di procedimento connesso (o collegato) e pertanto con l'assistenza dei difensori, e, eventualmente, con le ulteriori garanzie riconosciute a questo tipo affatto particolare di «testimone»?

Non conoscendo né gli atti del procedimento milanese né di quello napoletano non sono ovviamente in grado di dare una risposta. Posso, soltanto, fornire qualche indicazione sulle norme che regolano l'interrogatorio di persona imputata in un procedimento connesso (o «collegato»). Si ha «connessione» o «colleganza» di procedimenti quando essi riguardano situazioni fra loro interdipendenti. Quando si tratta, ad esempio, di reato commesso da più persone, ma processate separatamente; o di un reato commesso per eseguirne od occultarne un altro; o quando la prova di un reato influisce su quella dell'altro. In queste situazioni l'imputato, interrogato nel procedimento connesso, rischia di danneggiare la sua situazione processuale in quello a suo carico. Per questa ragione gli si assicura l'assistenza del difensore e, se del caso, addirittura il diritto di avvalersi della facoltà di non rispondere.

Sostenendo che Berlusconi, a Milano, è imputato di processo connesso a quello per cui si procede a Napoli, i suoi difensori affermano dunque, nella sostanza, che il rapporto con la minore Ruby avrebbe qualche collegamento, quantomeno probatorio, con l'estorsione di cui egli sarebbe persona offesa. Davvero? E non sarebbe, questa, un'ammissione per certi versi addirittura pericolosa per il premier? Non potrebbe trattarsi allora, dato che i suoi difensori sono, tecnicamente, molto preparati, soltanto di un espediente, l'ultimo, per ritardare, o addirittura bloccare, l'iniziativa giudiziaria in corso?”

venerdì 16 settembre 2011

L’italia va a picco, viva la Padania



Se sono vere, e sono vere, anzi sacre,
perché officiate dal Capo davanti all’Ampolla di Po piena,
e dinanzi a migliaia di rumorosi fedeli, le parole di Umberto Bossi  
sul destino di morte dell’Italia e di salvezza per la Padania:
«Che l'Italia va a picco l'hanno capito tutti,
perciò bisogna preparare qualcosa di alternativo: la Padania»,
forse esistono le condizioni d’obbligo 
per un intervento del Presidente della Repubblica.
Umberto Bossi è ministro, sì, è ministro, non sembra vero, so anch’io,
ed è ministro della Repubblica Italiana,
e non può abbandonare l’Italia nel suo colare a picco
e lavorare per preparare l’alternativa della Padania.
Non può, non può, non può.
Se lasciamo correre anche quest’ultima furba fandonia,
gridata dal Capo Bossi ad uso delle intelligenze veraci del suo Nord leghista,
non è  più un lasciar perdere 
-tanto sono solo parole senza legami con la realtà-,
ma diventa silenzio complice.

Il Presidente della Repubblica –recita la Costituzione all’art. 87- 
è il capo dello Statoe rappresenta l'unità nazionale”.
Ma rappresenta l’unità nazionale finché esiste, finché è solida,
ma se è in pericolo, per l’abbandono al suo destino di morte 
anche per colpa già in programma di suoi ministri,
il Presidente non può non intervenire.
Difendere l’unità nazionale è un suo dovere.
Ora, se in Parlamento, e al Governo, una forza politica, e ministri,
per la salvezza di una “Regione” (inesistente)  d’Italia,
non esistano un solo istante a rinunciare all’unità nazionale, 
proprio quando il dovere chiama tutti, ministri in primis, 
a un'azione di coraggioso, unitario, disinteressato rinvigorimento,
quel Parlamento e quel Governo e quei ministri son fuori dalla Costituzione.
Il Presidente della Repubblica,  avendo prestato giuramento di fedeltà 
alla Repubblica e di osservanza della Costituzione, 
solennemente dinanzi al Parlamento in seduta comune,
può, e forse deve, di fronte alla minaccia di veder distrutta l’unità del Paese,
a vantaggio e salvezza di una sola parte del Paese, sciogliere le Camere.
O no?
Severo Laleo

giovedì 15 settembre 2011

In crisi il Verbo della Lega. Sì al digitale.



Il capogruppo Della Lega alla Camera, il sempre brillante Reguzzoni, 
così esprime,
in materia di gran rilievo, la manovra in Italia, il suo punto di vista:

“Immaginatevi cosa succedesse,
 se passasse la volontà della sinistra di far cadere il Governo”

Il figlio del Capo della Lega Bossi, più noto (scorrettamente) quale Trota, 
così esprime,
in materia di picciol rilievo, il giro della Padania, il suo punto di vista:

“E’ giusto che si lascino proseguere.

Dopo queste ultime creative, sincere, verbali esternazioni,
il Capo Bossi è seccato,
dappertutto vede dichiarazioni di minaccia al suo imperio,
blocca i Sindaci sulla via della protesta,
si scopre alla fine, dopo anni di cappio, difensore dell’illegalità Milanese,
e  ordina, a tutti i suoi, per le prossime dichiarazioni,
di esprimersi a gesti, imparando l’arte del digitale:
pare sia sempre infallibile in un Paese di…berlusconiana memoria.
O no?
Severo Laleo

domenica 11 settembre 2011

“In che Paese viviamo” tornano sagge alla mente le parole di Veronica Lario



Solo qualche anno fa, a leggere un articolo in Repubblica di Dario Cresto-Dina,
 Veronica Lario, confidandosi con un’amica, si domandava:
In che paese viviamo….Ho cercato di aiutare mio marito, 
ho implorato coloro che gli stanno accanto di fare altrettanto, 
come si farebbe con una persona che non sta bene. 
È stato tutto inutile. Credevo avessero capito, mi sono sbagliata. 
Adesso dico basta".
Parole d’amore solidale. 
Nessun altro, almeno pubblicamente, ha rivelato tanta empatia.
Ma ora sappiamo, grazie alle intercettazioni, in che paese,
anche secondo l’ex- marito di Veronica Lario, viviamo.
E sappiamo quanto “caro” sia (stato) l’amore dei suoi  amici. E quali amici.
E ancora non sappiamo quanto serio, intelligente, disinteressato 
sia (stato) il servizio amico di consigliere del suo fedele sottosegretario,
il gentiluomo Gianni Letta.
Forse, alla fine, nel mondo di SB, ha vinto solo il denaro, 
con la violenta fame dell’oro, con l’irresistibile corsa al successo d’immagine. 
In una parola il danarismo avvilente. 
Con il solo possibile risultato, appunto: l’avvilimento della persona. 
E di un Paese.
O no?
Severo Laleo

sabato 10 settembre 2011

Ernesto Galli della Loggia e l'altrove dell'intellettuale

Oggi, Ernesto Galli della Loggia, sul Corriere, incontra/trova la sua verità e scrive: “Sì, Berlusconi si sta rivelando un pessimo presidente del Consiglio, non si sa come mandarlo via e di fronte alla crisi economica il governo si è mostrato di una pochezza e una goffaggine uniche”.
Bene. E grazie per il coraggio. 
Il tempo della verità (si fa per dire) giunge per tutti.
Eppure il Nostro, appena dopo aver chiuso il suo definitivo giudizio politico su Berlusconi Presidente del Consiglio, e sulla goffaggine senza confronti del  suo Governo, giudizio ormai largamente condivisibile, tenta, attraverso l’uso serrato e rigoroso della logica dell’altrove, di svelare l’altra verità del nostro Paese: “Il problema vero, profondo, strutturale dell'Italia sta altrove. Sta nell'esistenza di un immane blocco sociale conservatore il cui obiettivo è la sopravvivenza e l'immobilità.”
Non è convincente il discorso.
Anzi pare viziato da un’antica abitudine italiana, assente in Montanelli. 
E chiedo:
1.       Se esiste “un immane blocco sociale conservatore” in questo nostro Paese, è possibile anche ipotizzare al suo interno l’esistenza di un’intellettualità diffusa (università, professioni, giornali) silenziosa, priva di cultura liberale, accomodante, complice, ignava?
2.       Nelle ultime tornate elettorali (Referendum, Milano, Napoli) da quale parte si è schierato l’ “immane blocco sociale conservatore”?
Noi forse si crede di conoscere la risposta.
O no?
Severo Laleo


giovedì 8 settembre 2011

Gli amici del Premier


Il signor Alfonso de Patelmante, un benestante signore d’origine meridionale,
cattolico devoto, colto e prudente, ma aperto alla modernità,
farmacista, liberale, anche d’animo, per tradizione familiare e scelta personale,
elettore di Tremonti e ammiratore di Gianni Letta,
nel  lasciare la sua Calabria per  trasferirsi a Roma, 
con la sua moglie e i suoi tre figli,
personalmente telefona a una prestigiosa Agenzia Immobiliare  
per affittare un importante  appartamento nella zona Parioli.
Il colloquio con l’agente immobiliare è facile, chiaro, ampio, 
sino a diventare franco e cordiale.
I due s’intendono subito e chiudono sul prezzo.
E’ ormai fatta per la firma del contratto.
E l’agente, contento  per  la rapidità dell’ottimo accordo,
al suo nuovo e importante cliente, per restituire pari contentezza,
confida, complice, che il proprietario dell’appartamento èèèèèè
una persona giovane e amica del Premier.
La pausa di silenzio al telefono del sig. Alfonso, uomo serio del Sud,
diventa lunga, sino a un lento e attento:
“Oh,  grazie per la sua confidenza, ma forse avrei bisogno di un po’ più di tempo
per la firma del Contratto. Ne vorrò parlare con mia moglie. La richiamerò.”
“Non capisco” -ribatte l’Agente- “qualcosa non va?”
“Senta”  –confessa  sincero  il sig. Alfonso, padre di famiglia liberale del Sud-
 “ho i miei limiti, è che non vorrei avere niente  a che fare con gli amici del Premier!”.
Severo Laleo