lunedì 19 settembre 2011

Così fan tutt...i. Anche l'amico Letta?


Il Premier continua a protestare la propria innocenza
(«io non ho commesso nessun reato»),
e a sostenere la "bontà" dei suoi "innamoramenti" sessuali,
convinto di avere dalla sua parte tutti gli italiani maschi,
sia perché complici, ridenti e vocianti,
al minimo ammiccamento sexpiccante del Capo
(quanti applausi del resto hanno conquistato le sue battute 
al maschio sanguigno e bavoso),
sia perché "invidiosi" (ora anche il giovin Calderoli) assaporano il sogno, 
dal Capo realizzato, di "farsi"
(le parole sono segni pesanti di cultura, sempre, anche per telefono!)
donne giovani, belle, disponibili, allegre.
E insiste: "A chi non piacerebbe «una come la Arcuri»?"
Non riesce a comprendere altra modalità di rapporto uomo/donna.
E', forse, anche il gentiluomo Gianni Letta maschio di tal fatta?
Se no, quali consigli da amico sul punto è riuscito a dare finora?
E con quali risultati? E quali altri consigli, darà, ora, a parole e a gesti, 
per aiutare l'amico? Salvare un amico malato è roba da amici.
E di questo bisogna avvertire, insieme ad altri, anche Alfano.
O no?
Severo Laleo
P.S. Poiché tutto il Berlusconi politico, nel bene e nel male, 
ormai è chiaro a tutti, affoga nella sua malattia, è bene tacciano, per il futuro, 
i commenti al suo agire. Chi è malato ha solo bisogno di aiuto, 
è nel suo diritto, chiunque sia.

Non un euro per stipendiare il ministro Bossi.


Caro Presidente Napolitano,
il Capo della Lega, Umberto Bossi, da ministro, ancora una volta,  
e non è più per un caso, insiste sulla secessione della Padania (sic!),
in un pubblico discorso a Venezia.
Eppure ha giurato, da ministro scelto dal Premier  Berlusconi, nelle Sue mani,
leggendo  la formula di rito:
"Giuro di essere fedele alla Repubblica,
di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi
e di esercitare le mie funzioni nell'interesse esclusivo della nazione".
Il ministro Bossi, quindi, conosce bene, per giuramento, 
il senso delle parole (Repubblica, Costituzione, Leggi, Nazione),
e non può, senza grave colpa, incitare alla secessione,
tradendo,  appunto,  il suo impegno di ministro:
1.di essere fedele alla  Repubblica
2.di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi
3.di esercitare le sue funzioni nell'interesse esclusivo della nazione.
Il ministro Bossi non può, per interessi di parte, ignorare il giuramento.
La mia qualità di cittadino italiano, caro Presidente,  è piena e vera,
solo se ho facoltà di chiedere a Lei un Suo intervento 
autorevole e di definitivo chiarimento 
(il ministro Bossi ha giurato nelle Sue –e quindi Nostre- mani!).
Altrimenti qual è il senso (e il rispetto) della Sua esortazione all’Unità del Paese,
in una situazione di tanta emergenza economica, se un ministro,
per salvare una parte,  minaccia l’intera Unità dell’Italia?
Tra l’altro, in questa situazione,  non ho più alcuna intenzione 
di versare un euro di tassa  per pagare il lauto stipendio di un ministro, 
in quanto  incita alla secessione,
spergiuro e traditore (furbo) dell’Unità d’Italia.
O no?
Severo Laleo
P.S. Perché non tratteniamo la nostra quota percentuale di Irpef, utilizzata per pagare gli stipendi ai politici secessionisti leghisti, presenti  nelle Istituzioni dello Stato, per versarla a un’ONG internazionale?

domenica 18 settembre 2011

Dag Hammarskjöld: la probità della Politica


Da un articolo di Giovanni Zagni su IL POST.
“ Il 18 settembre 1961, cinquant’anni fa, l’aereo che trasportava l’allora segretario generale delle Nazioni Unite Dag Hammarskjöld e altre quindici persone si schiantò vicino a Ndola, una delle città più grandi della Rhodesia del Nord (oggi Zambia). Lo svedese Dag Hammarskjöld fu il secondo segretario delle Nazioni Unite, in carica per due mandati consecutivi dal 1953 al 1961. Il suo operato come uomo politico, le circostanze sospette dell’incidente aereo in cui morì e la sua profonda spiritualità, che divenne nota al grande pubblico solo dopo la sua morte, lo resero una figura molto conosciuta e un simbolo dell’uomo di Stato che si mette al servizio totale della comunità fino alla morte.
Dag Hammarskjöld nacque nel 1905 a Jönköping, una città della Svezia meridionale. Era l’ultimo di quattro fratelli e apparteneva a una famiglia ricca: come ricorda lui stesso, da parte di padre discendeva da diverse generazioni di funzionari pubblici e militari, al servizio del re di Svezia fin dal sedicesimo secolo. Lo stesso cognome di famiglia sarebbe nato quando il re concesse uno stemma con un martello (hammare) e uno scudo (sköld) ai progenitori di Dag. Da parte materna invece discendeva da studiosi e pastori luterani. In un certo senso, le sue origini spiegano già molto di Hammarskjöld:
il suo fortissimo spirito di servizio e di sacrificio,
la consapevolezza di sé e della propria missione,
l’intensa religiosità”...

Purtroppo, la moltitudine dei nostri uomini politici “ignora”,
nel senso assoluto del termine, la figura e i valori di Dag Hammarskjöld.
Grazie Zagni!

C’era una volta il Teatrino della Politica



La politica,
al di là dell’arte retorica di Giuliano Ferrara,
di introdurre la categoria dell’anomalia per difendere il suo Silvio,
in realtà, con l’avvento e la permanenza di Berlusconi  al potere,
ha abbandonato il suo TEATRINO,
per diventare il nuovo DRIVE IN, 
questo sì, nella sua versione anomala.
O no?
Severo Laleo
P.S. E dispiace: perché la questione morale è tutta politica!

sabato 17 settembre 2011

“Le donne? Tutta invidia”. Parola di Putin.

Il maschilismo macho, orientale e invidioso, di Vladimir Putin,
già capo del Kgb (e la parola gela ancora!),
e del suo amico caro, il nostro Premier, Silvio Berlusconi,
nonostante differenze, pur rilevanti, di geografia, storia, cultura,
ha un’identica origine: la negazione dell’essere  “persona”,
e la sua riduzione, violenta,  a oggetto, a genitalità,
a strumento di piacere animale,
con l’aggravante dell’umano ringraziamento in raffinata  paga  a prestazione.
O no?
Severo Laleo

Una lezione contro l’ “oltraggio”, a difesa di un’idea di limite.



Le seguenti osservazioni,  pubblicate sulla “Stampa” di oggi,  
 pur  neutre da un punto di vista politico,
e, quindi,  non di parte,  scritte da un esperto quale CARLO FEDERICO GROSSO,
sono, al contrario,  a mio avviso,  illuminanti,
sia da un punto di vista civico,  sia etico, sia pedagogico,  
e,  quindi,  in una parola,  anche politico.
E segnano il limite oltre il quale per  nessuno è lecito andare. 
O no?
Grazie prof. Grosso.
Severo Laleo
“Gli avvocati Longo e Ghedini hanno annunciato, ieri, che Berlusconi non si farà interrogare come persona offesa nell’ambito dell’inchiesta sulla presunta estorsione realizzata ai suoi danni. I due legali sostengono che il premier dovrebbe essere, al massimo, sentito come imputato in un procedimento connesso o collegato (Rubygate).
E quindi, a loro giudizio, con l’assistenza dei difensori. La Procura di Napoli ha fatto sapere che non vi sono le condizioni perché egli possa essere considerato imputato in un procedimento connesso, e che egli dovrà pertanto presentarsi, in quanto persona offesa da un reato, come una normale persona informata sui fatti e rendere testimonianza senza nessuna assistenza e che, ove egli dovesse rifiutare di presentarsi, sarebbe giocoforza procedere alla richiesta di un suo accompagnamento coattivo.
Un nuovo conflitto fra Berlusconi e Procure, dunque. Su quali presupposti tuttavia, e perché? Apparentemente il presidente del Consiglio non dovrebbe, infatti, avere difficoltà a presentarsi davanti ad una Procura che lo ha individuato come vittima di un reato e, dicendo il vero, contribuire a ricostruire la verità dei fatti perpetrati a suo danno. Ed invece, evidentemente, teme qualcosa. Ma, bando alle supposizioni o ai sospetti, rimaniamo ai fatti. Chi ha ragione, giuridicamente, in questo contrasto di posizioni fra Procura partenopea e difesa del premier?
Procediamo per gradi. Prima domanda: davvero un presidente del Consiglio può essere citato, a discrezione, da una Procura perché deponga come teste? La risposta è, ovviamente, positiva. Non si vede infatti perché un'autorità pubblica, per elevato che sia il suo rango, dovrebbe essere esentata dal dovere, civico prima ancora che giuridico, di riferire all'autorità giudiziaria ciò che sa intorno a circostanze oggetto di indagini, collaborando in tal modo all'accertamento della verità. La legge stabilisce, d'altronde, tassativamente i casi nei quali un soggetto è esentato dal dovere di testimoniare (prossimi congiunti, titolari di segreti professionali, di segreti di ufficio, di segreti di Stato). Ciascuno di questi casi ha una sua ratio. Al di fuori di essi il dovere di testimoniare è tuttavia, giustamente, inderogabile, e vale ovviamente per tutti, cittadino comune e pubblica autorità.
Seconda domanda. Che cosa accade se il testimone, citato, non si presenta? La legge prevede che, in questo caso, l'autorità giudiziaria può disporre il suo accompagnamento coattivo. Nel caso di specie, poiché Berlusconi è parlamentare, e l'accompagnamento coattivo costituisce una, sia pure circoscritta, limitazione della sua libertà personale, sembrerebbe che l'autorità giudiziaria debba, comunque, sottoporre alla Camera la richiesta di accompagnamento per l'autorizzazione. Il che creerebbe qualche problema alla Procura, ma, forse, anche al Parlamento, in quanto non sarebbe agevole dimostrare che il parlamentare è vittima di accanimento quando l'autorità giudiziaria intende sentirlo per tutelare, ed eventualmente rafforzare, la sua posizione di vittima di un reato. Ma veniamo all'emergenza dell'ultima ora. Davvero Berlusconi, come sostengono i suoi difensori, ha diritto di essere sentito in qualità di imputato di procedimento connesso (o collegato) e pertanto con l'assistenza dei difensori, e, eventualmente, con le ulteriori garanzie riconosciute a questo tipo affatto particolare di «testimone»?

Non conoscendo né gli atti del procedimento milanese né di quello napoletano non sono ovviamente in grado di dare una risposta. Posso, soltanto, fornire qualche indicazione sulle norme che regolano l'interrogatorio di persona imputata in un procedimento connesso (o «collegato»). Si ha «connessione» o «colleganza» di procedimenti quando essi riguardano situazioni fra loro interdipendenti. Quando si tratta, ad esempio, di reato commesso da più persone, ma processate separatamente; o di un reato commesso per eseguirne od occultarne un altro; o quando la prova di un reato influisce su quella dell'altro. In queste situazioni l'imputato, interrogato nel procedimento connesso, rischia di danneggiare la sua situazione processuale in quello a suo carico. Per questa ragione gli si assicura l'assistenza del difensore e, se del caso, addirittura il diritto di avvalersi della facoltà di non rispondere.

Sostenendo che Berlusconi, a Milano, è imputato di processo connesso a quello per cui si procede a Napoli, i suoi difensori affermano dunque, nella sostanza, che il rapporto con la minore Ruby avrebbe qualche collegamento, quantomeno probatorio, con l'estorsione di cui egli sarebbe persona offesa. Davvero? E non sarebbe, questa, un'ammissione per certi versi addirittura pericolosa per il premier? Non potrebbe trattarsi allora, dato che i suoi difensori sono, tecnicamente, molto preparati, soltanto di un espediente, l'ultimo, per ritardare, o addirittura bloccare, l'iniziativa giudiziaria in corso?”

venerdì 16 settembre 2011

L’italia va a picco, viva la Padania



Se sono vere, e sono vere, anzi sacre,
perché officiate dal Capo davanti all’Ampolla di Po piena,
e dinanzi a migliaia di rumorosi fedeli, le parole di Umberto Bossi  
sul destino di morte dell’Italia e di salvezza per la Padania:
«Che l'Italia va a picco l'hanno capito tutti,
perciò bisogna preparare qualcosa di alternativo: la Padania»,
forse esistono le condizioni d’obbligo 
per un intervento del Presidente della Repubblica.
Umberto Bossi è ministro, sì, è ministro, non sembra vero, so anch’io,
ed è ministro della Repubblica Italiana,
e non può abbandonare l’Italia nel suo colare a picco
e lavorare per preparare l’alternativa della Padania.
Non può, non può, non può.
Se lasciamo correre anche quest’ultima furba fandonia,
gridata dal Capo Bossi ad uso delle intelligenze veraci del suo Nord leghista,
non è  più un lasciar perdere 
-tanto sono solo parole senza legami con la realtà-,
ma diventa silenzio complice.

Il Presidente della Repubblica –recita la Costituzione all’art. 87- 
è il capo dello Statoe rappresenta l'unità nazionale”.
Ma rappresenta l’unità nazionale finché esiste, finché è solida,
ma se è in pericolo, per l’abbandono al suo destino di morte 
anche per colpa già in programma di suoi ministri,
il Presidente non può non intervenire.
Difendere l’unità nazionale è un suo dovere.
Ora, se in Parlamento, e al Governo, una forza politica, e ministri,
per la salvezza di una “Regione” (inesistente)  d’Italia,
non esistano un solo istante a rinunciare all’unità nazionale, 
proprio quando il dovere chiama tutti, ministri in primis, 
a un'azione di coraggioso, unitario, disinteressato rinvigorimento,
quel Parlamento e quel Governo e quei ministri son fuori dalla Costituzione.
Il Presidente della Repubblica,  avendo prestato giuramento di fedeltà 
alla Repubblica e di osservanza della Costituzione, 
solennemente dinanzi al Parlamento in seduta comune,
può, e forse deve, di fronte alla minaccia di veder distrutta l’unità del Paese,
a vantaggio e salvezza di una sola parte del Paese, sciogliere le Camere.
O no?
Severo Laleo

giovedì 15 settembre 2011

In crisi il Verbo della Lega. Sì al digitale.



Il capogruppo Della Lega alla Camera, il sempre brillante Reguzzoni, 
così esprime,
in materia di gran rilievo, la manovra in Italia, il suo punto di vista:

“Immaginatevi cosa succedesse,
 se passasse la volontà della sinistra di far cadere il Governo”

Il figlio del Capo della Lega Bossi, più noto (scorrettamente) quale Trota, 
così esprime,
in materia di picciol rilievo, il giro della Padania, il suo punto di vista:

“E’ giusto che si lascino proseguere.

Dopo queste ultime creative, sincere, verbali esternazioni,
il Capo Bossi è seccato,
dappertutto vede dichiarazioni di minaccia al suo imperio,
blocca i Sindaci sulla via della protesta,
si scopre alla fine, dopo anni di cappio, difensore dell’illegalità Milanese,
e  ordina, a tutti i suoi, per le prossime dichiarazioni,
di esprimersi a gesti, imparando l’arte del digitale:
pare sia sempre infallibile in un Paese di…berlusconiana memoria.
O no?
Severo Laleo