sabato 17 settembre 2011

Una lezione contro l’ “oltraggio”, a difesa di un’idea di limite.



Le seguenti osservazioni,  pubblicate sulla “Stampa” di oggi,  
 pur  neutre da un punto di vista politico,
e, quindi,  non di parte,  scritte da un esperto quale CARLO FEDERICO GROSSO,
sono, al contrario,  a mio avviso,  illuminanti,
sia da un punto di vista civico,  sia etico, sia pedagogico,  
e,  quindi,  in una parola,  anche politico.
E segnano il limite oltre il quale per  nessuno è lecito andare. 
O no?
Grazie prof. Grosso.
Severo Laleo
“Gli avvocati Longo e Ghedini hanno annunciato, ieri, che Berlusconi non si farà interrogare come persona offesa nell’ambito dell’inchiesta sulla presunta estorsione realizzata ai suoi danni. I due legali sostengono che il premier dovrebbe essere, al massimo, sentito come imputato in un procedimento connesso o collegato (Rubygate).
E quindi, a loro giudizio, con l’assistenza dei difensori. La Procura di Napoli ha fatto sapere che non vi sono le condizioni perché egli possa essere considerato imputato in un procedimento connesso, e che egli dovrà pertanto presentarsi, in quanto persona offesa da un reato, come una normale persona informata sui fatti e rendere testimonianza senza nessuna assistenza e che, ove egli dovesse rifiutare di presentarsi, sarebbe giocoforza procedere alla richiesta di un suo accompagnamento coattivo.
Un nuovo conflitto fra Berlusconi e Procure, dunque. Su quali presupposti tuttavia, e perché? Apparentemente il presidente del Consiglio non dovrebbe, infatti, avere difficoltà a presentarsi davanti ad una Procura che lo ha individuato come vittima di un reato e, dicendo il vero, contribuire a ricostruire la verità dei fatti perpetrati a suo danno. Ed invece, evidentemente, teme qualcosa. Ma, bando alle supposizioni o ai sospetti, rimaniamo ai fatti. Chi ha ragione, giuridicamente, in questo contrasto di posizioni fra Procura partenopea e difesa del premier?
Procediamo per gradi. Prima domanda: davvero un presidente del Consiglio può essere citato, a discrezione, da una Procura perché deponga come teste? La risposta è, ovviamente, positiva. Non si vede infatti perché un'autorità pubblica, per elevato che sia il suo rango, dovrebbe essere esentata dal dovere, civico prima ancora che giuridico, di riferire all'autorità giudiziaria ciò che sa intorno a circostanze oggetto di indagini, collaborando in tal modo all'accertamento della verità. La legge stabilisce, d'altronde, tassativamente i casi nei quali un soggetto è esentato dal dovere di testimoniare (prossimi congiunti, titolari di segreti professionali, di segreti di ufficio, di segreti di Stato). Ciascuno di questi casi ha una sua ratio. Al di fuori di essi il dovere di testimoniare è tuttavia, giustamente, inderogabile, e vale ovviamente per tutti, cittadino comune e pubblica autorità.
Seconda domanda. Che cosa accade se il testimone, citato, non si presenta? La legge prevede che, in questo caso, l'autorità giudiziaria può disporre il suo accompagnamento coattivo. Nel caso di specie, poiché Berlusconi è parlamentare, e l'accompagnamento coattivo costituisce una, sia pure circoscritta, limitazione della sua libertà personale, sembrerebbe che l'autorità giudiziaria debba, comunque, sottoporre alla Camera la richiesta di accompagnamento per l'autorizzazione. Il che creerebbe qualche problema alla Procura, ma, forse, anche al Parlamento, in quanto non sarebbe agevole dimostrare che il parlamentare è vittima di accanimento quando l'autorità giudiziaria intende sentirlo per tutelare, ed eventualmente rafforzare, la sua posizione di vittima di un reato. Ma veniamo all'emergenza dell'ultima ora. Davvero Berlusconi, come sostengono i suoi difensori, ha diritto di essere sentito in qualità di imputato di procedimento connesso (o collegato) e pertanto con l'assistenza dei difensori, e, eventualmente, con le ulteriori garanzie riconosciute a questo tipo affatto particolare di «testimone»?

Non conoscendo né gli atti del procedimento milanese né di quello napoletano non sono ovviamente in grado di dare una risposta. Posso, soltanto, fornire qualche indicazione sulle norme che regolano l'interrogatorio di persona imputata in un procedimento connesso (o «collegato»). Si ha «connessione» o «colleganza» di procedimenti quando essi riguardano situazioni fra loro interdipendenti. Quando si tratta, ad esempio, di reato commesso da più persone, ma processate separatamente; o di un reato commesso per eseguirne od occultarne un altro; o quando la prova di un reato influisce su quella dell'altro. In queste situazioni l'imputato, interrogato nel procedimento connesso, rischia di danneggiare la sua situazione processuale in quello a suo carico. Per questa ragione gli si assicura l'assistenza del difensore e, se del caso, addirittura il diritto di avvalersi della facoltà di non rispondere.

Sostenendo che Berlusconi, a Milano, è imputato di processo connesso a quello per cui si procede a Napoli, i suoi difensori affermano dunque, nella sostanza, che il rapporto con la minore Ruby avrebbe qualche collegamento, quantomeno probatorio, con l'estorsione di cui egli sarebbe persona offesa. Davvero? E non sarebbe, questa, un'ammissione per certi versi addirittura pericolosa per il premier? Non potrebbe trattarsi allora, dato che i suoi difensori sono, tecnicamente, molto preparati, soltanto di un espediente, l'ultimo, per ritardare, o addirittura bloccare, l'iniziativa giudiziaria in corso?”

venerdì 16 settembre 2011

L’italia va a picco, viva la Padania



Se sono vere, e sono vere, anzi sacre,
perché officiate dal Capo davanti all’Ampolla di Po piena,
e dinanzi a migliaia di rumorosi fedeli, le parole di Umberto Bossi  
sul destino di morte dell’Italia e di salvezza per la Padania:
«Che l'Italia va a picco l'hanno capito tutti,
perciò bisogna preparare qualcosa di alternativo: la Padania»,
forse esistono le condizioni d’obbligo 
per un intervento del Presidente della Repubblica.
Umberto Bossi è ministro, sì, è ministro, non sembra vero, so anch’io,
ed è ministro della Repubblica Italiana,
e non può abbandonare l’Italia nel suo colare a picco
e lavorare per preparare l’alternativa della Padania.
Non può, non può, non può.
Se lasciamo correre anche quest’ultima furba fandonia,
gridata dal Capo Bossi ad uso delle intelligenze veraci del suo Nord leghista,
non è  più un lasciar perdere 
-tanto sono solo parole senza legami con la realtà-,
ma diventa silenzio complice.

Il Presidente della Repubblica –recita la Costituzione all’art. 87- 
è il capo dello Statoe rappresenta l'unità nazionale”.
Ma rappresenta l’unità nazionale finché esiste, finché è solida,
ma se è in pericolo, per l’abbandono al suo destino di morte 
anche per colpa già in programma di suoi ministri,
il Presidente non può non intervenire.
Difendere l’unità nazionale è un suo dovere.
Ora, se in Parlamento, e al Governo, una forza politica, e ministri,
per la salvezza di una “Regione” (inesistente)  d’Italia,
non esistano un solo istante a rinunciare all’unità nazionale, 
proprio quando il dovere chiama tutti, ministri in primis, 
a un'azione di coraggioso, unitario, disinteressato rinvigorimento,
quel Parlamento e quel Governo e quei ministri son fuori dalla Costituzione.
Il Presidente della Repubblica,  avendo prestato giuramento di fedeltà 
alla Repubblica e di osservanza della Costituzione, 
solennemente dinanzi al Parlamento in seduta comune,
può, e forse deve, di fronte alla minaccia di veder distrutta l’unità del Paese,
a vantaggio e salvezza di una sola parte del Paese, sciogliere le Camere.
O no?
Severo Laleo

giovedì 15 settembre 2011

In crisi il Verbo della Lega. Sì al digitale.



Il capogruppo Della Lega alla Camera, il sempre brillante Reguzzoni, 
così esprime,
in materia di gran rilievo, la manovra in Italia, il suo punto di vista:

“Immaginatevi cosa succedesse,
 se passasse la volontà della sinistra di far cadere il Governo”

Il figlio del Capo della Lega Bossi, più noto (scorrettamente) quale Trota, 
così esprime,
in materia di picciol rilievo, il giro della Padania, il suo punto di vista:

“E’ giusto che si lascino proseguere.

Dopo queste ultime creative, sincere, verbali esternazioni,
il Capo Bossi è seccato,
dappertutto vede dichiarazioni di minaccia al suo imperio,
blocca i Sindaci sulla via della protesta,
si scopre alla fine, dopo anni di cappio, difensore dell’illegalità Milanese,
e  ordina, a tutti i suoi, per le prossime dichiarazioni,
di esprimersi a gesti, imparando l’arte del digitale:
pare sia sempre infallibile in un Paese di…berlusconiana memoria.
O no?
Severo Laleo

domenica 11 settembre 2011

“In che Paese viviamo” tornano sagge alla mente le parole di Veronica Lario



Solo qualche anno fa, a leggere un articolo in Repubblica di Dario Cresto-Dina,
 Veronica Lario, confidandosi con un’amica, si domandava:
In che paese viviamo….Ho cercato di aiutare mio marito, 
ho implorato coloro che gli stanno accanto di fare altrettanto, 
come si farebbe con una persona che non sta bene. 
È stato tutto inutile. Credevo avessero capito, mi sono sbagliata. 
Adesso dico basta".
Parole d’amore solidale. 
Nessun altro, almeno pubblicamente, ha rivelato tanta empatia.
Ma ora sappiamo, grazie alle intercettazioni, in che paese,
anche secondo l’ex- marito di Veronica Lario, viviamo.
E sappiamo quanto “caro” sia (stato) l’amore dei suoi  amici. E quali amici.
E ancora non sappiamo quanto serio, intelligente, disinteressato 
sia (stato) il servizio amico di consigliere del suo fedele sottosegretario,
il gentiluomo Gianni Letta.
Forse, alla fine, nel mondo di SB, ha vinto solo il denaro, 
con la violenta fame dell’oro, con l’irresistibile corsa al successo d’immagine. 
In una parola il danarismo avvilente. 
Con il solo possibile risultato, appunto: l’avvilimento della persona. 
E di un Paese.
O no?
Severo Laleo

sabato 10 settembre 2011

Ernesto Galli della Loggia e l'altrove dell'intellettuale

Oggi, Ernesto Galli della Loggia, sul Corriere, incontra/trova la sua verità e scrive: “Sì, Berlusconi si sta rivelando un pessimo presidente del Consiglio, non si sa come mandarlo via e di fronte alla crisi economica il governo si è mostrato di una pochezza e una goffaggine uniche”.
Bene. E grazie per il coraggio. 
Il tempo della verità (si fa per dire) giunge per tutti.
Eppure il Nostro, appena dopo aver chiuso il suo definitivo giudizio politico su Berlusconi Presidente del Consiglio, e sulla goffaggine senza confronti del  suo Governo, giudizio ormai largamente condivisibile, tenta, attraverso l’uso serrato e rigoroso della logica dell’altrove, di svelare l’altra verità del nostro Paese: “Il problema vero, profondo, strutturale dell'Italia sta altrove. Sta nell'esistenza di un immane blocco sociale conservatore il cui obiettivo è la sopravvivenza e l'immobilità.”
Non è convincente il discorso.
Anzi pare viziato da un’antica abitudine italiana, assente in Montanelli. 
E chiedo:
1.       Se esiste “un immane blocco sociale conservatore” in questo nostro Paese, è possibile anche ipotizzare al suo interno l’esistenza di un’intellettualità diffusa (università, professioni, giornali) silenziosa, priva di cultura liberale, accomodante, complice, ignava?
2.       Nelle ultime tornate elettorali (Referendum, Milano, Napoli) da quale parte si è schierato l’ “immane blocco sociale conservatore”?
Noi forse si crede di conoscere la risposta.
O no?
Severo Laleo


giovedì 8 settembre 2011

Gli amici del Premier


Il signor Alfonso de Patelmante, un benestante signore d’origine meridionale,
cattolico devoto, colto e prudente, ma aperto alla modernità,
farmacista, liberale, anche d’animo, per tradizione familiare e scelta personale,
elettore di Tremonti e ammiratore di Gianni Letta,
nel  lasciare la sua Calabria per  trasferirsi a Roma, 
con la sua moglie e i suoi tre figli,
personalmente telefona a una prestigiosa Agenzia Immobiliare  
per affittare un importante  appartamento nella zona Parioli.
Il colloquio con l’agente immobiliare è facile, chiaro, ampio, 
sino a diventare franco e cordiale.
I due s’intendono subito e chiudono sul prezzo.
E’ ormai fatta per la firma del contratto.
E l’agente, contento  per  la rapidità dell’ottimo accordo,
al suo nuovo e importante cliente, per restituire pari contentezza,
confida, complice, che il proprietario dell’appartamento èèèèèè
una persona giovane e amica del Premier.
La pausa di silenzio al telefono del sig. Alfonso, uomo serio del Sud,
diventa lunga, sino a un lento e attento:
“Oh,  grazie per la sua confidenza, ma forse avrei bisogno di un po’ più di tempo
per la firma del Contratto. Ne vorrò parlare con mia moglie. La richiamerò.”
“Non capisco” -ribatte l’Agente- “qualcosa non va?”
“Senta”  –confessa  sincero  il sig. Alfonso, padre di famiglia liberale del Sud-
 “ho i miei limiti, è che non vorrei avere niente  a che fare con gli amici del Premier!”.
Severo Laleo

martedì 6 settembre 2011

Un contributo per la "cultura del limite"

Dal Quotidiano di Lecco on line "La Provincia di Lecco"
del  3 settembre 2011

I sacrifici e la «cultura del limite»
    Cara provincia 
Adesso che la crisi impone di fare sacrifici, l'opinione pubblica, alla ricerca di qualcuno su cui scaricarli, si è improvvisamente accorta che la distribuzione della ricchezza nel nostro Paese tutto è, fuorchè perfetta. Il guaio è che, dopo aver tentato con risultati incerti di far pagare ai ricchi qualcosa in più degli altri, presto ci dimenticheremo del problema e torneremo al campionato di calcio.
Il fatto è che il nostro sistema economico non conosce la cultura del limite. Ci consideriamo un sistema liberista, fondato sulla libertà di impresa, e non ci rendiamo conto che la libertà senza limiti finisce con l'autodistruggersi e col distruggere il sistema in cui si realizza. Ad esempio, il diritto alla proprietà privata, che ci ha distinti per decenni dalle economie marxiste, non può essere illimitato perchè, se così fosse, sarebbe ipotizzabile uno scenario in cui un singolo individuo, magari meritandolo per le sue straordinarie capacità, si appropria di tutto ciò che esiste sulla Terra, in tal modo facendo carta straccia del diritto alla proprietà privata degli altri sei miliardi di esseri umani. Se questo scenario estremo sembra impossibile a realizzarsi, dobbiamo però chiederci se gli scenari meno estremi che di fatto si realizzano sono tutti rispettosi del diritto alla proprietà privata .
In una realtà economica fatta di risorse limitate, non possono esistere diritti illimitati, e la sapienza dei politici sta nell'individuare i limiti: per tutte le persone fisiche e le persone giuridiche, un limite al reddito annuo, un limite alle risorse finanziarie accumulabili, un limiti al valore dei beni mobili e immobili posseduti. Certo, se questo limite viene fissato a zero come avveniva nelle economie marxiste, o comunque a un livello troppo basso, si uccide l'iniziativa privata e il nostro sistema fa la stessa fine delle economie marxiste. Ma se perseveriamo nel non mettere un limite, l'iniziativa privata viene uccisa ugualmente, sostituita dall'iniziativa esclusiva dei gruppi di potere politico-finanziario, e il controllo democratico sullo Stato diventa una farsa. Se a nessuno fosse permesso di possedere più di, poniamo, un milione di euro in contanti, beni mobili e beni immobili, la spinta a lavorare per raggiungere quel limite rimarrebbe comunque e produrrebbe i suoi frutti, mentre non dovremmo discutere sulle reti televisive del nostro primo ministro, non avremmo gli scandali per le tangenti, la mafia sarebbe in mutande, e metà o forse più dei reati non verrebbe commessa. Assisteremmo a una fuga di cittadini verso Stati che non pongono questi limiti? Ben venga!Perchè la voglia di lavorare non ha nulla a che vedere con la voglia di arricchirsi...
Antonio Attanasio

Viva la vitola



Ora i seguaci di Silvio Berlusconi, 
grazie a favorevoli  intercettazioni, possono, con gran fiducia, sperare in un prossimo futuro di agiatezza,
da sempre promesso dal gentile imprenditore di Cologno,
e cantare, con gioia, non solo: “Meno male che Silvio c’è”,
testo d’amore politico senza pari nel mondo occidentale,
ma anche: “Caro Silvio, sei la vitola nostra!”
O no?
Severo Laleo

lunedì 5 settembre 2011

Quale Paese nel 2013




Il segretario, già di Berlusconi e ora del PDL, Alfano, 
con saggia avvedutezza ha proposto, per il 2013, 
nuovamente, 
la candidatura di Silvio Berlusconi a Premier.

E' un'idea da condividere,

appare lungimirante e di finale chiarimento politico.

E sarà, forse, l'unica, vera occasione,
finalmente,
per capire, sino in fondo, senza più dubbi, 
quanto l'Italia sia un paese di...
persone civili.
O no?
Severo Laleo


giovedì 11 agosto 2011

Tremonti e l'ora della verità


In un solo giorno, anzi nel giro di qualche ora, il nostro Tremonti,
il “professore”  lungimirante, 
l’esperto di economia,
l’intelligente analista,
l’accorto politico,
l’ottimo ministro dei conti in regola,
anzi il superministro,
l’(io)statista d’Italia,
è diventato “fumoso” per Bossi,
ha lasciato “allibito” il Presidente Fini,
e s’è beccato un “questo è tutto scemo” da Casini.
Forse c’è un po’ di giustizia (valutativa) a questo mondo!
O no?
Severo Laleo
P.S. 
E pare abbia già perso il nostro i voti di quattro dei molto "onorevoli" deputati,
tra i tanti  ad nutum di SB.

sabato 30 luglio 2011

Così parlò Tremonti, l’iostatista d'Italia.

La misura del degrado della vita pubblica (specie, dei nostri ministri) in Italia, 
a prescindere da ogni altra valutazione etica e politica, 
e persino dalle felici sintesi della gestualità del Bossi padano
(un giorno forse capiremo i fattori della sua genialità politica e del suo incontrollabile potere sui suoi seguaci),  
non è data solo dal linguaggio insultante dell’inarrivabile Ministro Brunetta 
(le sue performances hanno scalato ormai  le graduatorie degli onori di You Tube) e/o  di altre/i rigorose/i ministre/i.
La misura del degrado, nella sua volgarità più grave, è data ora anche dal linguaggio, non d’istinto, ma a freddo, adottato dal Ministro Tremonti, l’iostatista d’Italia, nel rispondere alle semplici, legittime, rispettose domande postegli  dall’Ambasciatore Romano dalle colonne del Corriere della Sera.
Leggete, da cittadini di un paese libero e democratico,  la sua lettera di risposta.
Mai un riferimento,  per giustificare i suoi comportamenti,  al dovere dell’esemplarità e della trasparenza,  e dell’essere al di sopra di ogni sospetto,  nell’adempimento della  sua funzione di Ministro nell’interesse del Paese; l’unico riferimento al termine Ministro, se si esclude la retorica chiusura della lettera, è al suo “compenso”.
Tutta la lettera ruota intorno al suo ”io”, alla sua “privacy”, ai suoi errori.  Con l’aggravante di quel riferimento, ancora più volgare, alla “beneficenza”. Nessun ministro in Europa si esprimerebbe con queste (scialbe) parole.  Piuttosto preferirebbe dimettersi . Ma così parlò l’iostatista Tremonti:
 È vero quanto ufficialmente in atti: in contropartita della disponibilità di cui sopra, basata su di un accordo verbale revocabile a richiesta, come appunto poi è stato, ho convenuto lo specifico conteggio di una somma a titolo di contributo, pagata via via per ciascuna settimana e calcolata in base alla mia tariffa giornaliera di ospitalità alberghiera. Come facevo prima e come ora appunto faccio ogni settimana in albergo. Aggiungo solo che all'inizio avevo pensato ad un diverso contratto, che ho poi subito escluso, per ragioni personali. Mi ritorna ora nella forma di una paradossale ironia, ma la ragione del tutto non era di convenienza economica, ma di «privacy»! Comunque nessun «nero» e nessuna «irregolarità». Trattandosi di questo tipo di rapporto tra privati cittadini non era infatti dovuta l'emissione di fattura o vietata la forma di pagamento.”  
Incredibile! Ma il nostro, in televisione, per rendere più esplicita la sua volgarità, convinto di  dovere essere più chiaro nei confronti della “piccola gente” davanti al tv,  parlò così:
“Non ho bisogno di  avere illeciti favori, di fregare i soldi agli italiani….Non ho casa a Roma, non me ne frega niente non faccio vita di salotti”. “Non ho bisogno di rubare agli italiani, non l’ho mai fatto e vorrei continuare a non farlo”.
Bravo, e se avesse avuto bisogno? E qual è il limite del (suo) bisogno? 
Forse è proprio  l’ignoranza del “limite”, in ogni campo, l’essenza di questa classe dirigente del berlusconismo.
O no?
Severo Laleo