giovedì 19 gennaio 2012

Il sentimento del limite e il “male dentro”

Ha scritto, all’inizio di Dicembre 2011, Giancarla Codrignani, nel suo articolo per Lucio Magri, “Lucio e il volo”:
“Come siamo piccoli davanti alla grande incognita! quando muore un amico, tanto più se di morte "diversa", parliamo soprattutto di noi. Ed è giusto, perché l’altro è ormai "fuori" e i discorsi diventano commemorazioni e, poi, storia.
Continueremo per un po’ a parlare delle depressioni, discuteremo forse a lungo di eutanasia, e anche di libertà, di amore, perfino di dipendenza coniugale.
Non diciamo anche che cosa succede se uno ha sempre creduto a cose grandi che non si realizzeranno e non suppone che l’intelligenza non sia la bacchetta magica che realizza i tempi. Lucio Magri era un uomo di fede. Laica, laicissima; ma l’essere stato democristiano presuppone la precedente esperienza cattolica: la fede è pericolosa, soprattutto quando un dio viene sostituito da un’idea - oggi solo aristocraticamente esigente - di salvezza umana.
Se un Papa avesse una fede così e volesse chiamare cristiano "questo" mondo, si suiciderebbe: mai visti anni così avvilenti in cui il mercato ha mercificato tutto, anche i corpi, ormai in vendita aperta perfino in Parlamento. Viviamo male. Soprattutto uno che credeva che toccasse alla sua generazione vincere, come Pisacane a Sapri. Lucio sapeva che dirsi "comunista" in senso proprio e non traslato oggi è perfino una civetteria; tuttavia se fossero state in circolazione nuove proposte trascinanti lui, che della politica aveva accettato le altrui mediazioni almeno per combatterle, non si sarebbe negato la partecipazione e la polemica. Ma oggi nessuno sa come venir fuori da crisi e ignoranze, nessuno ridà smalto a una politica infangata che trascina nel fango anche chi vuole uscirne, e nessuno ignora la persistente sconfitta della sinistra, qualunque idea, gruppo o persona la rappresenti.
Théroigne de Méricourt, quando la macchina del Terrore soffocò le speranze della rivoluzione francese, impazzì: anche lei aveva esaurito la speranza, che non a caso è la più difficile delle virtù teologali. Forse, a un certo punto, neppure l’amore può più salvare: l’uomo che, a suo modo, ha amato ("sono cinquantotto anni che viviamo insieme e ti amo più che mai") e che pure non è stato fedele, non ha trovato riparo nei figli, nei nipoti, negli amici, perché ha investito il tempo di vita in ideali che sembravano a portata di mano ed erano il deserto. Non c’è più la speranza e neppure la disperazione. Il "sarto di Ulm" credeva di poter volare e si è sfracellato. Lucio sapeva lucidamente che non si vola. Ma aveva volato, senza sapere di non avere le ali.Per chi continua, senza ali, con i piedi per terra, a fare politica, cioè alimenta per sé e per altri la speranza, il sentimento del limite umano incomincia a far male dentro....


Chissà, forse se a sinistra si elabora consapevolmente,
specie in questi tempi di danarismo avvilente,
una cultura del limite, lungo il cammino progressivo della speranza,
il “male dentro potrebbe essere dominato o almeno lenito.
O no?
Severo Laleo

Nessun commento:

Posta un commento