Anche il nostro Presidente della
Repubblica, pur saggio d'età,
e di storia, cambia registro e verso nei suoi
discorsi.
Almeno quando parla di scuola. E' diventato
diretto, rapido,
persino battagliero; vuol suonare adatto ai nuovi tempi.
Parla ai giovani, perché colgano, con entusiamo le opportunità,
diano spazio alla creatività, si aprano alle tecnologie
di
avanguardia, valorizzino le eccellenze.
Si rivolge ai singoli
non all’insieme del mondo della scuola.
Divide e non tiene all’unità, anche per la
sua strana,
e inutilmente aspra, vaghezza nell’attaccare
nemici invisibili
e senza nome.
Nel 2013 il discorso del Presidente Napolitano, in occasione
dell'apertura
dell'anno scolastico, è stato complesso e incisivo
soprattutto per le persone di scuola e
contava ca. 2000 parole;
quest'anno –si sa, viviamo tempi di
rapidità- il suo discorso
conta solo 1000 parole e per scelta non pare
voglia essere
incisivo in campo scolastico. Anzi pare voler
colpire,
e badare ad altro.
Nel 2013 il Presidente parla di scuola con grande
attenzione
e convinzione. E scrive: “Imparare è
importante per l'intero sistema paese.
Ma cosa serve perché a scuola si impari meglio? I
risultati di varie ricerche ci dicono
che più di altri fattori conta l'apporto degli
insegnanti. E quindi ci si deve impegnare
a investire - in risorse e iniziative - come il
Governo ha iniziato a fare,
perché la già notevole professionalità dei nostri
docenti si rafforzi …
si ottengono buoni insegnanti non solo con un'accurata formazione e con opportuni
aggiornamenti, ma anche e molto promuovendo la trasmissione e lo scambio
nella
capacità di insegnare. Non bisogna mai smettere di imparare gli uni dagli altri,
anche
dai giovani, e scambiare quel che si è imparato. Sappiamo quante buone pratiche
vanno spesso disperse”. A ben leggere, è un Presidente ben dentro
il fare scuola,
attento a sottolineare l’importanza della
solidarietà di una comunità educante.
E non solo tra docenti: “Quello che
vale per gli insegnanti
vale anche per gli studenti. La pratica dell'aiuto
agli studi dato dai più bravi
a chi resta indietro o dagli studenti più adulti ai
più piccoli è un altro bell'esempio
di - chiamiamola così - redistribuzione dei talenti.
Invito perciò gli studenti migliori
a essere generosi e attivi nel condividere quanto
hanno imparato”.
Davvero un invito alla coesione solidale a
partire dalla scuola.
Un manifesto di unità sociale. Un discorso coinvolgente.
In una parola, da Presidente.
E non tralascia, anche nel 2013, il
discorso sul lavoro, ma l’affronta
con stile e parole precise, senza piglio
battagliero, senza inutili ismi,
e sempre indirizzando le parole alle persone
della scuola
e non a altri. “A voi ragazze e ragazzi, dico nel modo
più semplice e convinto:
la sola risposta certa che si può dare alle vostre
preoccupazioni per il futuro,
e sappiamo quali sono queste preoccupazioni, su che
cosa ci si interroga :
"avremo
lavoro e quale, qualificato e soddisfacente oppure no, potremo avere
un posto
riconosciuto nella società?", ebbene, la risposta certa a queste
vostre
domande è una sola: formatevi e
preparatevi nel miglior modo possibile.
Ve ne deve essere data, certo, la possibilità, dal
sistema d'istruzione,
dalle strutture scolastiche, dalle politiche
pubbliche. Ma almeno in parte,
in buona
parte, queste possibilità oggi esistono in Italia”. Sembra dire:
le
possibilità esistono, basta solo coglierle, la “rivoluzione”
non
è urgente. E volando alto cita le parole pronunciate all’Onu
dalla giovane pakistana Malala Yousafzai vittima di un
attentato talebano:
"Il terrorismo, la guerra e i conflitti
impediscono ai bambini
di andare a scuola. Dobbiamo condurre una gloriosa
lotta contro l'analfabetismo,
la povertà e il terrorismo, dobbiamo imbracciare i
libri e le penne, sono le armi
più potenti. Un
bambino" - sentite queste parole! - "un insegnante, un libro
e una penna
possono cambiare il mondo".
E’ stile poetico, lento e profondo, ma di
grande interesse:
il cambiamento è la crescita collettiva di
una società che studia.
E’ un discorso per e non contro.
Ma quest’anno il Presidente perde ogni afflato poetico
e sembra preoccupato non
tanto di parlare al mondo della scuola,
quanto ad altri soggetti, mai nominati espressamente.
E al discorso preciso e chiaro del 2013, comprensibile a docenti e studenti,
oppone ora, nel 2014, un discorso non adeguato, in più parti,
a studenti e
docenti. E, quasi arrabbiato, dice: “Oggi non solo l'Italia,
ma tutta l'Europa sono alle
prese con una profonda crisi finanziaria, economica,
sociale: e fanno fatica ad
uscirne. Possono uscirne, Italia ed Europa, solo insieme,
con politiche nuove e
coraggiose per la crescita e l'occupazione, dirette soprattutto
e più
efficacemente ai giovani. … Ebbene, sia chiaro che per farcela ci si deve
non
già chiudere in vecchi recinti nazionali, e sbraitare contro l'Europa,
ma stringerci ancor più
in uno sforzo comune, integrare ancor più le nostre energie,
in spirito di solidarietà,
nella grande Europa unita che abbiamo via via costruito
in oltre sessant'anni”. E diventa urgente la “rivoluzione”:
“Insieme dobbiamo rinnovarci, metterci al passo con i
tempi
e con le
sfide della competizione mondiale. Specialmente in Italia
dobbiamo rinnovare
decisamente le nostre istituzioni, le nostre strutture sociali,
i nostri
comportamenti collettivi: in questo paese che amiamo, non possiamo
più
restare prigionieri di conservatorismi, corporativismi e ingiustizie”.
Caro Presidente,
forse le persone presenti al suo discorso, soprattutto
gli
studenti, questa volta non credo abbiano ben compreso le sue parole,
perché il
senso del suo invito al cambiamento è diventato vago e oscuro.
E insieme di "violenta" liberazione. In breve, ha cambiato registro. E verso.
O no?
Severo Laleo
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