sabato 2 maggio 2015

Black bloc: forse la questione è un’altra








Oggi i giornali, e non solo in Italia, sono pieni della violenza
a sfregio dei black bloc. Una violenza da evento. Ripetibile. Prevedibile. 
Controllabile. E debellabile, almeno in una società conviviale a democrazia 
piena e paritaria. E con un sistema scolastico a “promozione” d’obbligo, 
senza espulsioni.

I media, abituati a descrivere/definire, parlano di violenza ribelle,
di vandalismo antagonista, di rabbia di stampo anarchico
(e, per pigrizia, non s’accorgono di offendere l’idea di anarchia), 
dimenticando di marcare la caratterizzazione più evidente,
più semplice, più “normale”: i black bloc sono quasi tutti maschi
in tuta nera. Nell’atto di un’esplosione “naturale” di “sfogo”.
A danno di “cose”.
E l’informazione a volte entra anche nel merito e qua e là punge.

Eppure, mentre si riserva ai black bloc un esagerato spazio,
altre notizie di violenza sono dimenticate. E si tratta di violenza 
contro “persone”. Senza fuochi e fiamme. Violenza contro minori. 
Sessuale. Lontano da noi. Nella Repubblica Centrafricana.
Una violenza da situazione. Ripetibile. Prevedibile. Controllabile.
E debellabile, almeno in una società conviviale a democrazia piena 
e paritaria. E con un sistema scolastico a “promozione” d’obbligo, 
senza espulsioni.
E succede sempre a uomini in tuta. Questa volta mimetica.
E con casco blu. Si parla di abusi sessuali, di comportamenti
E l’informazione ancora una volta non coglie il punto nodale.
La caratterizzazione è comune, sempre la stessa: sono quasi tutti maschi. 
Nell’atto di un’esplosione “naturale” di “sfogo”.
A danno di “minori”.

Nonostante l’impegno dei media, presenti e assenti, 
nel tentare una comprensione delle origini/cause, la questione della violenza
di “rabbia e sfogo” non pare sia politica o militare.
Forse è solo una questione maschile. E forse per una soluzione
c’è bisogno di un’altra lettura. E altra “cura”.
O no?


Severo Laleo

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