Vera Brittain, da donna, scrive soprattutto alle donne, e il suo pacifismo, da "conversione personale", vuole diventi coscienza critica operativa di pace, appunto soprattutto tra le donne.
Ecco le sue parole:
"Nell’agosto 1914 ero poco più che una bambina, giovane negli anni e ancor più nella mente e nell’esperienza. A scuola il patriottismo ci era stato presentato come una sorta di religione. La frase dulce et decorum est pro patria mori aveva ai nostri occhi un valore supremo riferito ai padri, ai fratelli, ai fidanzati. Fremevamo di eccitazione indiretta di “mere” donne di fronte alla stupidità sacrificale del “non chiedersi il perché, ma agire e morire”, quella esortazione suicida rivolta a esseri umani ragionevoli affinché ripudiassero la loro capacità di pensiero solo per coprire i grossolani errori degli alti comandi o per portare avanti i progetti interessati dei profittatori politici e commerciali. Quando scoppiò la guerra noi la considerammo “un atto di Dio”, una catastrofe in cui il nostro primo dovere era difendere o sostenere il nostro paese, afflitto e senza colpa. Con una fede commovente nella onniscienza olimpica degli uomini che reggevano i nostri destini dalla Presidenza del Consiglio o dal Ministero della guerra, salutavamo i soldati in partenza agitando eroicamente le braccia ed avevamo l’impressione che la società sarebbe stata in qualche modo santificata dal sacrificio dei suoi uomini migliori. Non sospettavamo assolutamente che il 1914 avrebbe significato la bancarotta della politica e delle sue risorse e il crollo della saggezza umana nelle alte sfere....
Quando ho letto in un articolo di fondo del “Times” a proposito del progetto della nuova aviazione l’espressione oggettiva “il suo potenziale di distruzione sarebbe certamente elevato”, ho iniziato a mettere in discussione il mio diritto e quello di qualsiasi altra donna di mettere al mondo esseri umani che potrebbero essere esposti a sofferenze ancora più terribili di quelle che avevo visto due decenni prima. È il destino di mio figlio, da qui a dieci anni, quello di essere parte di questa “distruzione” dell’aviazione – frammento senza valore, gettato nel mucchio degli scarti delle vittime avvelenate e mutilate della prossima guerra? Deve essere questa la fine dell’amore, delle cure, delle premure materne?
...Con altruismo convenzionale [ogni madre] tenta di procurare un ambiente ideale per i suoi bambini e non fa assolutamente nulla per impedire che questi e le loro camerette siano ridotte in frantumi nel prossimo decennio. Poiché le minacce di guerra sono quotidianamente sbattute nei titoli di prima pagina dei giornali più diffusi, questa incoscienza irresponsabile è sorprendente. Non sembra sia dovuta ad apatia – infatti quale madre potrebbe essere indifferente alla prospettiva che il proprio bambino sia messo a morte attraverso la tortura? – quanto a incapacità mentale di comprendere. L’abitudine all’accettazione acritica, coltivata fin dall’infanzia da genitori e insegnanti, in tutte, tranne che nelle più giovani generazioni di donne, penso offra la vera spiegazione. Alla maggior parte delle donne oltre i trent’anni e a molte al di sotto di questa età, in gioventù il mondo è stato presentato come organizzato e diretto dagli uomini, ed il tempo che è trascorso dal 1928 non è stato sufficiente per abituare la donna che vota all’idea che essa non ha soltanto un’opportunità, ma il dovere di fare la sua parte nell’indirizzare la politica del proprio paese. La risposta rabbiosa che tanto spesso le madri danno ai galoppini elettorali: “Non andrò a votare, lascio tutto questo a mio marito” non è soltanto una risposta esasperata dovuta all’eccesso di lavoro o al fatto di essere state interrotte; dimostra l’incapacità di riconoscere una responsabilità che ovunque è la caratteristica delle ristrette preoccupazioni della casalinga. Mentre si addensano nere nubi nel cielo della politica da molti focolai di tempesta, lei non si preoccupa dell’esito della guerra civile spagnola finché c’è abbastanza detersivo nella credenza. Le minacce di Hitler, le parole rabbiose di Mussolini la lasciano indifferente se trova una nuova ricetta per l’insalata di pomodori. Non la sfiora il dubbio che l’obbligo morale, per quanto forte, di tenere la casa pulita e i bambini in ordine è infinitamente inferiore all’obbligo morale di comprendere il futuro e di cogliere le sue terribili possibilità....
Ci siamo lasciati trascinare nell’ultima guerra perché la maggior parte della popolazione era troppo strettamente rinchiusa all’interno della piccola cerchia dei propri interessi personali per rendersi conto della direzione degli eventi mondiali prima che fosse troppo tardi. Deve accadere ancora la stessa cosa? Le donne che nel 1914 non avevano il suffragio, ma che ora sono cittadine che esercitano il diritto di voto non faranno niente per impedire questa follia mortifera? Se le madri relativamente istruite che dispongono del tempo per pensare e studiare non protestano, cosa ci possiamo aspettare da quelle povere, sopraffatte dal lavoro e dalla denutrizione? Mai prima d’ora è stato altrettanto chiaro che il raggiungimento della pace dipende da un drastico mutamento dei valori in quegli individui che sono destinati a soffrire per primi delle conseguenze della guerra.
... La guerra, o la preparazione alla guerra, non è una politica, è una confessione di bancarotta delle risorse della mente umana."
Forse un'iniziativa forte, autonoma, libera dell'altra metà del mondo, potrebbe scuotere più nel profondo le coscienze di tutte/i.
O no?
Severo Laleo
Vera Brittain, Perché sono pacifista (1937) traduzione e cura di Bruna Bianchi Qui il testo integrale.
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