E' di oggi la notizia dell' "investimento"
di 3 milioni di euro
da parte del Pd per convincere il
"pubblico" indeciso
degli “spettatori” a votare Sì al referendum. E’
proprio così,
non si dà altra ragione per una spesa tanto
esorbitante:
i 3 milioni servono appunto ad allestire
"spettacoli" e "cartelloni",
i più “geniali” e “creativi” possibili, per
attirare al voto
un più numeroso "pubblico" di spettatori.
E per questo è stato ingaggiato l’americano Messina,
al quale, si sappia, senza dubbio alcuno non
interessa
il quid del referendum –grave danno in sé per un dibattito serio-,
ma esclusivamente la “vittoria” di chi lo tiene a libro paga.
Un tempo questo si sarebbe detto affidare la battaglia
al Capitano mercenario.
Ora, se per la lotta politica, nell’infuocato scontro
reale tra fazioni,
la propaganda può anche avere un senso (e si spera dei
limiti),
forse per definire le migliori regole per il vivere
civile di tutti,
ognuno in relazione con l’altro, la propaganda
svolge un ruolo
di mortificazione del pensiero critico e libero.
E della
crescita civile di un popolo. Ancora un’occasione mancata.
Ma mi piace pensare (e il referendum
del giugno 2011
è una conferma) che il mio Paese non è un
"pubblico";
anzi è fondamentalmente un "popolo". E un popolo,
ricco di persone libere e povero di semplici spettatori
da colpire con immagini accattivanti, è attento
a non perdere quote di quella “sovranità”
conquistata proprio con la Costituzione del 1948.
Il problema (la posta in gioco, direbbe Violante) è
appunto
capire se continua a essere integra la “sovranità”
di cui all’art.1
della nostra Costituzione o se in qualche modo è ferita.
E se il "pubblico" è in genere passivo
ascoltatore di messaggi piacenti,
il “popolo” in genere è (dovrebbe essere) attivo
osservatore della realtà
dei fatti e dei testi.
Il popolo non è più una folla pronta alle emozioni
e "suddita"
per l'applauso; il popolo è un insieme di persone vogliose
di capire, attraverso una campagna seria di informazione,
a cura dei sostenitori dei SI e dei sostenitori
dei NO, insieme,
se tenersi la “vecchia Costituzione” o provare la “nuova
Riforma”.
Investire in una campagna di propaganda (e Messina è uomo
di propaganda) sulle regole costituzionali è già
cedere
alla divisione, all’idea di scontro, al combat, quando si tratta
di unire in un grande e civile débat
public un intero Paese.
E la pratica politica “divisiva”, nel tentativo di “semplificare”,
rende ogni percorso più complesso e tortuoso.
E
anche quando si cerca di chiarire nel merito le questioni,
capita si
esprimano giudizi generici, emotivi, d’auspicio,
senza fondamento, e
divisivi. Ad esempio, Violante, appunto,
premette alle sue slide di approfondimento questo giudizio
sulla “posta in
gioco”: ”Non è una scelta banale, se vince il
No
il sistema non cambia [e questo è verissimo]. Continueremmo
nella instabilità e nella confusione delle regole
[forse
instabilità e confusione di regole sono nella Costituzione?].
Se vince il
Sì si apre una nuova stagione per la modernizzazione
e la
competitività del paese [quali articoli della riforma in sé aprono
alla
modernizzazione e alla competitività? E chiunque governi?].
Decideremo [chi?], sul
futuro [questa poi no! … basta con la retorica
del futuro: il futuro è di tutti ed è indivisibile
e non si sa quale
segno potrà avere].
O no?
Severo Laleo