Vorrei chiarire subito la mia posizione, per libertà di
discorso.
Condivido molti passaggi del “manifesto”, anche i “nodi
radicali di rottura”,
da cui partire per “cambiare la politica” (e ho trovato splendido,
in un documento politico, l’elogio della “mitezza”,
virtù fondamentale anche per interiorizzare la “cultura del limite”),
eppure preferirei ancora, per realizzare, appunto, una “nuova
politica”,
l’impegno duro e difficile in un partito,
all’idea di tentare una “mobilitazione diffusa e connessa”,
lasciando quasi solo al caso e alla buona volontà delle
persone,
la “mobile” costruzione di una nuova soggettività politica.
Il “Manifesto
per un soggetto politico nuovo”
non è solo “scrittura” di intellettuali,
è anche “impegno” politico diretto di quegli stessi intellettuali.
A mio modo di vedere, è proprio questo il limite di fondo
del “Manifesto per un soggetto politico nuovo”,
la riduzione, cioè, dell’intellettuale a politico,
e, insieme, la
riduzione della funzione intellettuale di critica della società
a funzione di direzione politica.
Ora, se l’intellettuale rinuncia alla sua azione autonoma
di libertà di critica
della società,
e, diffidente verso i partiti, assume su di sé il compito,
comunque “condizionato”, di direzione politica,
il risultato sarà l’esautoramento definitivo, almeno a
sinistra,
del ruolo dell’organizzazione politica attraverso i partiti.
E poiché la funzione di critica non potrà mai essere
eliminata,
dalla società sorgeranno altri soggetti, intellettuali e
non,
pronti a denunciare, nei fatti, l’ibrida confusione,
con danno sicuro per la lotta politica a sinistra.
Per questo motivo continuo a credere nella costruzione,
paziente, di un partito nuovo a sinistra (e la scelta è su
SEL)
capace di sperimentare, nei suoi circoli, nei suoi luoghi di
politica,
anche virtuali, la
relazione umana nell’agire politico,
attraverso la quale, convivialmente, rendere possibile
l’esercizio della libertà di critica, sempre,
e insieme l’esercizio del dovere dell’amministrare.
Ma se SEL, per colpa di antiche, a volte in buona fede,
resistenze
strutturali, non riuscirà a praticare al suo interno
una nuova democrazia, aperta e alla pari,
di servizio, per la disponibilità per tutti dei beni comuni,
senza necessità di ricorrere al mito del leader
(esito ancora non riconosciuto di un maschilismo atavico),
se SEL non riuscirà a praticare al suo interno quella “convivialità”,
intrisa di ragione e sentimenti, immaginata per la società
tutta,
se SEL non avrà il coraggio di trovare/applicare regole
nuove
per la gestione del partito (segreteria doppia uomo/donna,
quota di dirigenti eletti per sorteggio, parità assoluta,
dovunque sia praticabile, senza inutili astrattismi, nelle
liste elettorali,
di uomini e donne, trasparenza assoluta quale costume di
relazioni interne, etc.),
se SEL non saprà gridare agli altri partiti queste sue
novità,
richiedendo atti di legge per una loro trasformazione,
sarà molto difficile incrementare la partecipazione politica
delle persone,
e, insieme, estendere la democrazia, con l'obiettivo di dare una
possibilità
di realizzazione “alle aspirazioni fondamentali della
persona umana …:
la libertà, l’eguaglianza, la dignità degli uomini e
delle donne, il benessere,
la responsabilità e la solidarietà”.*
O no?
Severo Laleo
*Poiché sia al Manifesto
di SEL sia al Manifesto per un
soggetto politico nuovo
non è capitato, per l’uno o
l’altro motivo, dare visibilità al termine “socialismo”,
sarà bene, per evitare il
diffuso male della “liquidità” politica dell’oggi,
e per dare un riferimento chiaro alle parole, riportare un brano tratto dall’art.1
del Manifesto del Partito Socialista Francese.
O no?