mercoledì 5 ottobre 2016

Il Pd e i tre milioni di euro (pare) per “decidere sul futuro”



E' di oggi la notizia dell' "investimento" di 3 milioni di euro
da parte del Pd per convincere il "pubblico" indeciso
degli “spettatori” a votare al referendum. E’ proprio così,
non si dà altra ragione per una spesa tanto esorbitante:
i 3 milioni servono appunto ad allestire "spettacoli" e "cartelloni",
i più “geniali” e “creativi” possibili, per attirare al voto
un più numeroso "pubblico" di  spettatori.
E per questo è stato ingaggiato l’americano Messina,
al quale, si sappia, senza dubbio alcuno non interessa
il quid del referendum –grave danno in sé per un dibattito serio-,
ma esclusivamente la “vittoria” di chi lo tiene a libro paga.
Un tempo questo si sarebbe detto affidare la battaglia 
al Capitano mercenario.

Ora, se per la lotta politica, nell’infuocato scontro reale tra fazioni, 
la propaganda può anche avere un senso (e si spera dei limiti),
forse per definire le migliori regole per il vivere civile di tutti,
ognuno in relazione con l’altro, la propaganda svolge un ruolo
di mortificazione del pensiero critico e libero. 
E della crescita civile di un popolo. Ancora un’occasione mancata.

Ma mi piace pensare (e il referendum del giugno 2011
è una conferma) che il mio Paese non è un "pubblico";
anzi è fondamentalmente un "popolo". E un popolo,
ricco di persone libere e povero di semplici spettatori
da colpire con immagini accattivanti, è attento
a non perdere quote di quella “sovranità
conquistata proprio con la Costituzione del 1948.
Il problema (la posta in gioco, direbbe Violante) è appunto
capire se continua a essere integra la “sovranità” di cui all’art.1 
della nostra Costituzione o se in qualche modo è ferita.
E se il "pubblico" è in genere passivo ascoltatore di messaggi piacenti, 
il “popolo” in genere è (dovrebbe essere) attivo osservatore della realtà 
dei fatti e dei testi.
Il popolo non è più una folla pronta alle emozioni e "suddita"
per l'applauso; il popolo è un insieme di persone vogliose
di capire, attraverso una campagna seria di informazione,
a cura dei sostenitori dei SI e dei sostenitori dei NO, insieme,
se tenersi la “vecchia Costituzione” o provare la “nuova Riforma”. 
Investire in una campagna di propaganda (e Messina è uomo
di propaganda) sulle regole costituzionali è già cedere
alla divisione, all’idea di scontro, al combat, quando si tratta
di unire in un grande e civile débat public un intero Paese.
E la pratica politica “divisiva”, nel tentativo di “semplificare”,
rende ogni percorso più complesso e tortuoso. 
E anche quando si cerca di chiarire nel merito le questioni, 
capita si esprimano giudizi generici, emotivi, d’auspicio, 
senza fondamento, e divisivi. Ad esempio, Violante, appunto,
premette alle sue slide di approfondimento questo giudizio 
sulla “posta in gioco”: ”Non è una scelta banale, se vince il No 
il sistema non cambia [e questo è verissimo]. Continueremmo 
nella instabilità e nella confusione delle regole 
[forse instabilità e confusione di regole sono nella Costituzione?].
Se vince il Sì si apre una nuova stagione per la modernizzazione
e la competitività del paese [quali articoli della riforma in sé aprono 
alla modernizzazione e alla competitività? E chiunque governi?]
Decideremo [chi?], sul futuro [questa poi no! … basta con la retorica
del futuro: il futuro è di tutti ed è indivisibile e non si sa quale 
segno potrà avere].

O no?
Severo Laleo


sabato 1 ottobre 2016

M5S e quote rosa: l'intuizione congelata di Appendino





Il romanzo delle "quote rosa" ha ora un altro capitolo,
grazie a due persone nuovissime nel panorama politico italiano: 
Appendino, sindaca di Torino e Raggi, sindaca di Roma.
Entrambe bocciano le quote rosa, perché rappresentano
o “un recinto per panda” o “aiutini” in contrasto con la meritocrazia (sic). 
Anche se Appendino aggiunge, in verità, pur senza dare 
una qualche possibilità di realizzazione alle sue parole: 
"il modello ideale a cui tendere è quello senza quote rosa."
D'accordo: il modello ideale a cui tendere è senza quote rosa,
perché le quote rosa saranno fuori luogo, inutili, senza senso, 
quando sarà superata/sbloccata l’attuale struttura di “Potere”, 
derivante direttamente da una storia tutta dominata dall’impronta assoluta 
del maschilismo. Anzi, a leggere i giornali, Appendino un tempo 
avrebbe gradito l’imposizione della parità di genere”. 

D’accordo: intuizione giusta, ma ancora congelata nel M5S.
Forse addirittura inesprimibile. E i motivi sono tanti, culturali 
e di pratica politica.
L’imposizione della parità di genere è, in realtà, un passo obbligato
per accedere a una visione del “Potere” oltre il maschilismo,
anzi oltre l’idea stessa di “Potere” in sé finora nota.
Infatti il parlare di quote rosa non coinvolge la critica
alla struttura del “Potere” in sé. Nelle società moderne
–e ripeto un discorso già scritto- le strutture di "Potere" sono figlie
dell'antica visione maschile del mondo, senza dubbio alcuno.
Anzi il maschilismo ha generato le strutture di governo
a sua immagine, a immagine del suo “IO”, solo, forte e potente.
E così il monocratismo, l’idea di un Capo Uno, di un uomo solo
al comando, è il risultato, l’esito oggettivo, inevitabile, del maschilismo,
di quella storia cioè finora costruita dagli uomini, quelli maschi.
Eppure proprio il monocratismo  è la modalità di governo da superare
se si vuole una reale democrazia di genere.
Se la parità uomo/donna non irrompe nel livello monocratico
di ogni “governo”, la nostra società continuerà a restare
imbrigliata nelle antiche strutture di potere appannaggio maschile.

Perché le strutture di potere/governo sono affidate a una sola persona
e non a una coppia uomo/donna?
Perché a diffondersi finora è stato il modello di un’autorità unica,
a Capo Uno, e non duale, a Due?
E’ forse il monocratismo una modalità di governo naturale?
O è il risultato di un lungo processo storico, segnato dall'assenza di donne?
La semplice scalata alla parità uomo/donna attraverso le quote rosa
non scalfisce la struttura maschilista della nostra organizzazione sociale.
Per aprire una via possibile al cambiamento della società,
anche nella direzione dell’estensione della democrazia e della trasparenza,
e soprattutto della formazione di una decisione pubblica
non più condizionata/dominata da una cultura di genere maschile,
in tutte le “sedi/posizioni” di natura decisoria di pubblica utilità
la presenza uomo/donna non può non essere pari, anzi, deve essere pari.
In realtà, il monocratismo, il potere/dominio, cioè, di uno solo,
pur conquistato per via democratica, è l’esito obbligato del maschilismo,
con tutte le sue degenerazioni, dal leaderismo carismatico
all’uomo della provvidenza, e non muta, anche se il monocrate è donna.
Il maschilismo e la struttura maschile del potere cadranno
quando cadrà il monocratismo. E le conseguenze, in termini
di un’educazione, non violenta, alla parità, generata non da teorie
ma dal nuovo contesto di relazione uomo/donna al “Potere”,
saranno visibili nelle nuove generazioni.
Chissà, forse il bicratismo perfetto potrà segnare una nuova stagione
di democrazia.

O no?

Severo Laleo

mercoledì 28 settembre 2016

Michele Serra, persona di sinistra sedotta da “energia e volontà di fare”







In un conversare con Macaluso su l’Unità, Michele Serra
annuncia sì la sua intenzione di votare SI al referendum,
ma non intende acquisire, per questo merito,  la qualifica di “renziano”.
E le ragioni sono chiarissime del suo non essere “renziano”.
Scrive Serra: “Non lo sono e non posso esserlo per ragioni
di formazione culturale e politica: sono un tipico post-comunista italiano,
ex Pci nonché ex troppe altre cose; Renzi è un cattolico popolare 
di nuovo conio, con elementi antropologico-culturali a me del tutto alieni.”
E aggiunge: “Ma è vero che nutro, per Renzi e il suo tentativo, 
un certo rispetto, che i dubbi su qualche sua scelta e molti suoi atteggiamenti
non bastano a incrinare. Gli riconosco energia, volontà di fare,
qualche buona opera (la Cirinnà) e un minimo di autonomia
da quell’europeismo gretto e contabile che sta mettendo in ginocchio
il Welfare.”
Chiarissimo! Se non fosse per “energia e volontà di fare
e “qualche buona opera” (non si riprende qui la contorta
circonlocuzione con la quale si tenta di giustificare
la piena e personale corresponsabilità di Renzi nel mettere
in ginocchio il Welfare”), Serra non nutrirebbe quel “certo rispetto”.
In verità l'elogio dell’energia –fine a sé stessa- e della volontà di fare
–sempre fine a sé stessa-, è davvero poco, e non marca certo
una cultura “di sinistra”, specie se di tanta energia e di tanta
volontà di fare non si scoprono origini, motivazioni, ambizioni;
 in ogni caso Serra continua a essere una persona di sinistra antica;
e qui le sue parole sono ancora più ferme: “O si ritrovano forme 
di nuova solidarietà, di ripartizione del reddito, di alleanza tra i deboli
e gli esclusi,  di allargamento delle basi del potere, insomma di democrazia
e di uguaglianza, o il futuro sarà sempre più iniquo e – di conseguenza – 
sempre più doloroso e cruento. In questo senso non solo sono ancora
«di sinistra», ma lo sono perfino più radicalmente di come lo ero da ragazzo: 
per esempio sulle questioni ambientali e agricole, sulla sovranità alimentare 
dei popoli, sui cambiamenti climatici e sull’impatto delle nostre scelte
di consumo e dei nostri stili di vita, penso si giochi moltissimo del futuro
del pianeta. Ma di una sinistra che di queste cose si occupi con radicalità
e fantasia, libera da pregiudizi, rivoluzionaria nello spirito e ragionevole
nella prassi, quasi debba riscrivere daccapo i propri statuti,
per ora non vedo tracce sostanziose.”
Perfetto, anche se il suo sguardo è un po' troppo pessimista!
Eppure il suo, immagino volenteroso, SI al referendum forse non favorirà
quel suo inseguire l’allargamento delle basi del potere,
cioè la democrazia e quindi l’uguaglianza; anzi, con la controllabilità 
governativa dei percorsi parlamentari dei processi decisionali,
con l'Italicum nelle mani di “vincitori” di minoranza alle elezioni, 
e con la restaurazione della preminenza del centralismo di Stato
sulle esigenze di salute/vita delle popolazioni di periferia,
forse favorirà il potere di quell’europeismo gretto e contabile,
pronto, soprattutto con quei suoi interessati sostenitori della gran finanza,
a non prendere in considerazione le questioni ambientali e agricole, 
la sovranità alimentare dei popoli, i cambiamenti climatici e l’impatto 
delle nostre scelte di consumo e i nostri stili di vita.

Chissà, forse solo con il NO si potrà difendere nella pratica politica
l'idea “di sinistra” del nostro Serra.
O no?
Severo Laleo


lunedì 26 settembre 2016

I “calcoli” della Buona Politica




La Buona Politica con la Riforma Costituzionale toglierà,
alle persone che di “Politica”  vivono, circa 60 milioni.
La Buona Politica, sempre generosa, destinerà,
a sgolarsi è Renzi, questi 60 milioni alle persone
che vivono di “Povertà”.
Magnifico!

La Buona Politica con i ritocchi mirati alla Sanità toglierà,
alle persone che di “Povertà” vivono, circa 60 milioni.
La Buona Politica, sempre attenta ai calcoli, destinerà,
a maneggiare è la Lorenzin, questi 60 milioni al Risparmio,
per risanare le casse della Sanità, anche, a sentire la CGIL, 
con cataratte e tunnel carpali a pagamento.
Perfetto!


Non s’era ancora visto un Governo così … come dire … preciso!
O no?

Severo Laleo

venerdì 23 settembre 2016

Le “slides” di Violante e l’importanza politica del M5S



Le “slides” di Violante sono benvenute, perché consentono
di entrare, in un qualche modo, e indirettamente, nel merito 
della questione referendaria. E appare onesto il suo tentativo 
di giustificare il suo SI con un ritorno al “realismo” machiavelliano.
Anche se il discorso di Machiavelli, mi piace immaginare,
non riguarda le “regole”, ma l’interesse, l’utile in ogni scelta politica. 
E Violante sceglie oggi  l’”utile”. E solo dalla preoccupazione dell'utile
derivano i suoi ragionamenti. Ed è poco per Violante.
Violante apre le sue “slides” con questa osservazione:
la democrazia è in difficoltà in molti paesi; eppure, invece
di interrogarsi sulle cause delle “difficoltà” e di trovare risposte
per risolvere la caduta della democrazia partecipata
(un tempo i ragionamenti di Violante erano iscritti, oltre il recinto 
dell’utilità, in un sistema di “valori”), si limita a stendere
con  pacatezza riflessioni slegate, frantumate, non neutrali,
tutte originate dalla contingenza, a volte solo polemica,
e non da una meditata  prospettiva di  sviluppo della democrazia,
a prescindere dalla governabilità. Eppure la governabilità,
per una persona sinceramente democratica, è una variabile dipendente 
della partecipazione democratica. Non esistono semplificazioni 
e scorciatoie di tipo decisionista nel processo legislativo.
In realtà, tutta la riflessione di Violante è costruita sull’opposizione 
democrazia fondata sul principio della “NON decisione
(secondo la sua opinione) a una “democrazia decidente
(secondo il suo auspicio). Eppure, per rigore di riflessione,
né la Costituzione del 1948 è fondata sul principio della “NON decisione”, 
né la riforma ora in discussione fonda la “democrazia decidente”. 
In breve, con le sue riflessioni Violante rinuncia
a capire la crisi e non si accorge di essere, con il suo scegliere
il SI, parte della crisi, un esito della crisi.
E per contrasto rimanda a chi partendo dalla crisi cerca
di realizzare una democrazia più ampia, più rappresentativa,
perché solo da una democrazia di persone alla pari possono 
scaturire decisioni controllate e trasparenti:“uno vale uno”.
Sarà anche retorica l’uno vale uno, sarà anche difficile
da realizzare, se non si ha una cultura “pratica”, quotidiana, 
d’esercizio reale, della pari dignità delle persone, ma è l’unica,
per ora, risposta politica alla crisi della democrazia.
Per questo il M5S, al di là di Grillo, al di là di Raggi
al di là di tanti errori, ingenuità e impreparazione, 
al di là di proposte a volte stravaganti di programma, resta, 
almeno per ora, in assenza di una sinistra produttrice 
di nuova partecipazione, l’unica speranza di un reale ricambio 
di classe dirigente, una classe dirigente non più attenta 
a danarosa carriera, ad ambizioni di potere personale, 
ma per scelta politica dedita al servizio di governo a tempo 
(anche se persone,  per caso nel M5S, dimostreranno di essere inadeguate
al nuovo “stile” di relazione politica).
Una “democrazia decidente “ figlia della crisi
vs una “democrazia piena (diretta/digitale)” in risposta alla crisi, 
per l'inveramento del principio costituzionale della "sovranità popolare".
Violante, con le “slides” marca, a sua insaputa, l’importanza
del M5S, un movimento non antipolitico e populista,
ma di ripresa/rinascita della politica delle persone.
Almeno pare. Per una “sovranità –si spera- conviviale”.
O no?

Severo Laleo

mercoledì 21 settembre 2016

Obama, l’uomo forte e il bicameralismo paritario



Il Presidente degli Stati Uniti Obama, nel suo ultimo discorso 
all'Assemblea Generale dell'ONU, tra gli altri importanti moniti, 
sinceri e non più dettati da un immediato interesse politico
(dirà, ad esempio, “un mondo in cui l'1% dell'umanità controlla
una ricchezza pari al 99% non è uguaglianza bisogna lottare
contro le disuguaglianze e colmare il divario tra i più agiati
e i meno abbienti”), dedica un passaggio anche alla sua idea
di democrazia, ma senza esaltare il “suo” sistema statunitense
delle regole costituzionali; e afferma: "No agli uomini forti
e a modelli di società guidate dall'alto. La democrazia resta
il vero percorso da compiere. C'è un crescente conflitto
tra liberalismo e autoritarismo … sarò sempre dalla parte
del liberalismo contro l'autoritarismo".
Obama, si è detto, non intende esaltare il sistema statunitense,
ma quel “suo” sistema, sicuramente liberale e non autoritario, 
soddisfa anche la sua idea di democrazia formale. E non intende 
assolutamente apportare una qualche modifica/riforma al “suo” sistema. 
Sa di godere di una secolare stabilità costituzionale.

Il Congresso degli Stati Uniti, corrispondente al nostro Parlamento,
l’insieme cioè di Camera e Senato, è l’unico nel mondo, ripeto l’unico, 
per ora insieme solo al Parlamento italiano,
a bicameralismo paritario. E forse resterà, a fine anno, l’unico
in assoluto nel mondo intero, sì, perché mentre nessuno
negli Stati Uniti si sogna di toccare la struttura bicamerale paritaria
del Congresso, attraverso il vaglio del quale, cioè di Camera
e Senato insieme, con pari autorità, si approvano le leggi,
in Italia volenterosi autoproclamatisi padri costituenti
(tra questi anche il convinto Verdini), con la strana intenzione
di “semplificare”, senza peraltro mandato, in origine, della volontà popolare, 
hanno maldestramente diviso il Paese in un paradossale scontro, 
a volte apocalittico, tra chi intende difendere e chi intende eliminare 
il bicameralismo paritario.
Perché? Qual è il significato di “semplificare”? E semplificare che?

L’opposizione tra liberalismo e autoritarismo è anche l’opposizione 
tra governati e governanti: i governanti (e quanti vivono di “governo”) 
tendono a semplificare, perché privilegiano il governo, la decisione 
(potere/autoritarismo),  i governati tendono a controllare,
perché privilegiano la partecipazione, la trasparenza (liberalismo/democrazia).
 Renzi, Confindustria, Marchionne e la Grande Finanza hanno
già scelto tra governo e partecipazione, tra autoritarismo e liberalismo.

 Noi, gente già “semplice”, esaminata la lunga storia del nostro paese, 
non ancora finita, di facile assuefazione alla sudditanza,
si preferisce continuare a restare con Obama: “No agli uomini forti
e a modelli di società guidate dall'alto.
O no?

Severo Laleo

lunedì 19 settembre 2016

La Comunità di sant’Egidio ad Assisi: preghiera, pace, dialogo … e insieme convivialismo e cultura del limite




Alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella
e nell’attesa dell’arrivo martedì di Papa Francesco, si è aperta ieri
la trentesima edizione della Giornata mondiale di Preghiera per la Pace
dal titolo “Sete di Pace. Religioni e culture in dialogo”.
Ha aperto i lavori il fondatore della Comunità di Sant’Egidio, Andrea Riccardi.
Nel suo discorso l’elemento religioso (le religioni, se sono in contatto, 
liberano “energie di pace”) e di preghiera (la preghiera di tutti, ognuno 
secondo la propria verità,  “genera la pace”) è dominante; eppure, 
al di là di religioni e preghiera, Riccardi, definita la religione “la laicità 
del vivere insieme”, trova nel  dialogol’intelligenza del coesistere, 
che rende possibile la più grande forma di civiltà, quella del vivere insieme”.
E alla ineluttabilità del dialogo, nel superamento della differenza/distanza 
tra un “noi” e un “loro”, dedica il suo intervento anche il sociologo 
Zygmunt Bauman.

Nell’ascoltare in diretta, grazie alla WebTv, quel sereno insistere
sul “dialogo”, sul “noi”, sul “vivere insieme”, la mente, proprio
 nell’intento di vedere culture in dialogo, corre ad altre suggestioni.
E corre al Manifesto del Convivialismo, quale “arte di vivere insieme 
(convivere) che consenta agli esseri umani di prendersi cura gli uni
degli altri e della Natura, senza negare la legittimità del conflitto,
ma trasformandolo in un fattore di dinamismo e di creatività,
in uno strumento per scongiurare la violenza e le pulsioni di morte”.
Vivere insieme sarà possibile solo se si riconoscerà a ogni persona 
un’eguale dignità con tutti gli altri esseri umani”, nel rispetto
del principio di una “comune umanità”, limite oltre il quale non è consentito
andare, mai, se si vuole evitare di essere travolti dalla hubris, dalla dismisura, 
dalla violenza. E Il discorso torna sulla cultura del limite.
Anche la libertà ha il suo limite. Per Camus, il limite della libertà risiede 
nella giustizia, cioè nell’esistenza dell’altro e nel riconoscimento dell’altro
e che il limite della giustizia si trova nella libertà, cioè nel diritto 
della persona di esistere così com’è in seno a una collettività.” 
Per S.Weil: ”L’unico limite legittimoal soddisfacimento dei bisogni 
di un determinato essere umano è quello imposto dalla necessità e dai bisogni 
degli altri esseri umani. Il limite è legittimo solo a condizione che i bisogni 
di tutti gli esseri umani ricevano lo stesso grado di attenzione.”

Riconoscere/includere l’altro, per tornare a Bauman, è l’approdo finale 
dell’espansione del “noi”, del superamento dell’opposizione “noi/loro”, 
e, quindi, della soppressione del “loro”, prossima tappa del cammino 
dell’umanità; in breve, è la fine della contrapposizione e insieme 
l’affermazione dell’interdipendenza:Siamo tutti dipendenti gli uni dagli altri”.
Nel Manifesto del Convivialismo, e la sua dichiarazione di interdipendenza, 
si legge: l’umanità ha saputo realizzare dei progressi tecnici 
e scientifici sorprendenti, ma resta ancora incapace di risolvere 
il suo problema fondamentale: come gestire la rivalità e la violenza 
tra gli esseri umani? Come convincerli a cooperare, pur consentendo 
loro di contrapporsi senza massacrarsi?
E’ necessario, è ineludibile, ha ribadito Bauman, accogliendo l’invito 
di  Papa Francesco di porre al centro della educazione nelle nostre scuole 
il dialogo, promuovere , “una cultura del dialogo per ricostruire la tessitura 
della società. Imparare a rispettare lo straniero, il migrante, persone 
che vale la pena ascoltare. La guerra si sconfigge solo se diamo ai nostri figli 
una cultura capace di creare strategie per la vita, per l’inclusione”.

Ma forse il mondo guarda altrove, parla d'altro e non ascolta.
O no?
Severo Laleo








venerdì 16 settembre 2016

Fuksas, i grillini e l'algoritmo




Vuoi conoscere la serietà e la profondità di un'analisi politica
da parte di un intellettuale italiano?
Un'analisi ricca, capace di entrare nei problemi della vita
di una comunità?
Attenta a scoprire gli errori senza insultare gli erranti?
Tutta orientata a criticare le idee e non i comportamenti?
Meditata per la crescita civile del Paese?
Eccola, appartiene a un architetto di fama, Massimiliano Fuksas.
Queste le sue parole:
I grillini sembrano tutti uguali, sono tutti della stessa categoria. 
Ci deve essere un algoritmo facile da progettare 
per uno che fa informatica come Casaleggio. 
Selezionano un tipo, giovane, che fa pochi studi. 
Prendete Di Maio, sembrava che dovesse diventare 
il presidente del mondo. Uno che va vestito 
da Prima Comunione. 
Lui prima ha provato a fare Ingegneria e poi Legge. 
E ha abbandonato. 
E’ gente che vive in un altro mondo...
Vengono tutti da quartieri popolari
orientati a destra, per esempio l’Appio Latino. 
Vedi la Raggi, che conosce tutti quelli di destra 
e ha frequentato gli avvocati Previti e Sammarco... 
Mi tengo Matteo Renzi, se l’alternativa è Di Maio. 
Ho paura che, se Renzi se ne va, le cose possano precipitare“.

Forse un giorno il nostro Paese diventerà più serio 
nella polemica politica e più scrupoloso nell'agire 
per il Bene Comune, ma sicuramente non grazie al contributo, arrogante e volgare, del pauroso Fuksas.
O no?

Severo Laleo

giovedì 15 settembre 2016

Hillary e il bicratismo latente



Nella campagna elettorale per la Presidenza negli Stati Uniti c’è qualcosa 
di nuovo, mai, e credo di non sbagliare, capitato nel passato. 
E se il popolo americano vorrà (e sembra impossibile che non voglia), 
con Hillary potrà registrare/vivere un’esperienza di governo di grande 
saggezza politica (condizioni esterne oggettive e culturali permettendo). 
Forse il primo governo di servizio democratico (si fa per esagerare!).

A leggere la cronaca della campagna elettorale si scopre che
mentre Hillary è ferma con l’obbligo di riposarsi dopo il malore sofferto 
domenica a Ground Zero, al suo posto scende in campo l’ex presidente
Bill Clinton, che domani sarà a Las Vegas a parlare di politica economica 
sul palco dove Hillary avrebbe dovuto tenere uno dei comizi cancellati
per motivi di salute.”
Niente di strano. Eppure si tratta di una sostituzione in un comizio 
degna di qualche nota: il sostituto della candidata, una donna, è, nell’ordine: 
1. un uomo; 2. un ex Presidente; 3. il marito.
In altre parole, a sostituire Hillary, una donna, in un comizio
nella campagna elettorale  per la scelta del Presidente degli Stati Uniti, 
troviamo un uomo –e vabbè-, un ex Presidente –e vabbè-,
ma, evento nuovo, il marito della candidata!

Ora, se Hillary sceglie Bill Clinton con piena fiducia e serenità
in un passaggio delicato della sua campagna elettorale è perché
sa di poter contare non solo su una persona di grande esperienza politica, 
ma anche di grande affidabilità, con la quale ha, e s’immagina continuerà 
ad avere, un rapporto/confronto quotidiano. Anche di supporto. 
Non è fuori luogo immaginare un uomo e una donna insieme 
a guidare il più importante paese del mondo: l’America.

E se, quindi, il popolo americano deciderà per Hillary Presidente, 
sperimenterà, in maniera informale e latente, al di là del lavoro
dei consiglieri, uomini e donne, sempre all’opera, una guida
non più monocratica, e sempre maschile, ma duale, bicratica,
per la prima volta di un uomo e una donna insieme,
e non solo per vita familiare, ma anche per scelta politica.
Il popolo degli Stati Uniti si troverà così ad essere governato
da leggi e deliberazioni non più disegnati dalla “potenza”
di un Capo, sempre un maschio, ma scaturenti, ora, da processi decisionali 
originati da un confronto pieno, sicuro, meditato, continuo tra un uomo 
e una donna, entrambi Presidenti (sia pure in tempi diversi).

E la Politica forse, grazie a una donna, estranea a ogni retorica
non apparirà più quel campo di battaglia tra maschi caparbiamente 
imprigionati dall’ambizione  a “comandare (la sorte ha voluto contrapporre 
a Hillary, con Trump, l’ultimo esempio vivente di un incivile maschilismo 
di “potenza”), ma diventerà davvero il luogo nobile di ogni mediazione 
possibile grazie al contributo alla pari di un uomo/uomini e una donna/donne.
O no?

Severo Laleo 

sabato 23 luglio 2016

Oltre il monocratismo: se non ora, quando?


  
"Possiamo affermare con sicurezza che la conoscenza che gli uomini 
possono raggiungere delle donne, persino di quello che sono state 
e sono attualmente, senza pretendere di giudicare cosa potrebbero essere 
in futuro, è miseramente imperfetta e superficiale, e sarà sempre tale, 
fino a quando le donne in prima persona non avranno detto 
tutto quello che hanno da dire."
John Stuart Mill, Sulla servitù delle donne (1869).                                                      


In questi tempi tragici di violenze, di terrore, di ritorno al dominio 
di Capi senza più misura, di ritorno all'eliminazione dell'Altro
per risolvere conflitti,
con la presenza statisticamente dominante 
di Maschi in aggressioni oltre ogni limite,
serve, anche da parte delle donne di ogni cultura, 
in prima persona,
al di là del semplice sostituirsi agli uomini nelle sedi di Governo,
a struttura invariata, una critica severa, definitiva,
alla diffusa struttura monocratica del Potere Maschile,
qualunque sia la sede dove esso si eserciti.  

Chissà, forse una struttura pubblica duale, un uomo e una donna,
a guida di un Paese, almeno nel laico Occidente,
potrebbe contenere la logica dell’eterno gioco al massacro 
dei tanti Maschi Furiosi.
E dare, in altri contesti, la parola alle donne
per tutto quello che hanno da dire
contro ogni autoritarismo.
La lotta contro il massacrarsi attraversa la libertà di tutte le donne.


O no?
Severo Laleo




venerdì 17 giugno 2016

Jo Cox, Jo Cox, Jo Cox e il dolore



E’ più profondo il dolore, più penetrante la commozione, 

quando una persona, Jo Cox,

di grande apertura e solidarietà, con parole e opere,

nei confronti dei diseredati della terra,

scompare per la violenza di qualche squilibrato sì,

ma ben allevato dalla nostra indifferenza

comoda e dalla nostra incapacità di sradicare,

con gli strumenti della cultura e della legge,

ogni idea/professione, quasi sempre, bisogna dire, 

di timbro/origine  maschile, di eliminazione dell’altra/o.

E se si guarda l’immagine di Jo, i suoi occhi dolci, il suo sorriso

sereno e accogliente, cresce la rabbia per l’impotenza 

della nostra civiltà nei confronti della perversione dell’odio.

Ha dichiarato Brendan Cox, marito di Jo Cox:

"Una donna che credeva in un mondo migliore e che lottava

a questo scopo ogni giorno della sua vita con energia

e una grinta per la vita che sfiancherebbero la maggior

parte delle persone". E aggiunge: "Ora è il tempo di lottare 

contro l'odio che l'ha uccisa. L'odio non ha credo, razza 

o religione. L'odio è velenoso".


A questa strategia di lotta all’odio la società civile 

e il potere politico hanno da dedicare

tempo, persone e risorse. E’ un dovere della civiltà.

O no?

Severo Laleo

P.S.  Trovo sul sito di Azione nonviolenta questo intervento di Jo Cox: 
è un’idea forte di una strategia contro l’odio. 
Basta armi all’Arabia Saudita, basta massacri di bambini yemeniti. L’ultimo articolo di Jo Cox

venerdì 10 giugno 2016

Il ministro del lavoro Poletti, il divano e l'empatia



Il Ministro del Lavoro Poletti, molto preoccupato e voglioso
di creare per i giovani opportunità di lavoro,
da fine gentiluomo, già noto, trova le giuste parole,
nel rispetto della sua originaria cultura cooperativa,
per dimostrare, almeno in due passaggi,
tutta la sua empatia nei confronti di quanti cercano lavoro
tra mille difficoltà. Ecco le sue parole:
1. "Il mio mestiere è mandare la gente a lavorare
(ma vuol dire "faticare"), non fare semplicemente le leggi";
2. grazie al programma Garanzia Giovani "un milione di giovani
si sono alzati dal divano e si sono candidati".

Forse è l’empatia nuova della casta al Governo.
O no?

Severo Laleo

giovedì 9 giugno 2016

Il lanciafiamme e la stampa italiana



Trovo davvero preoccupante, diseducante, e non "civile"
la sottovalutazione o, comunque, l’accettazione acritica,
non redarguita, né disapprovata, da parte del mondo politico
e istituzionale, e soprattutto della stampa libera,
del linguaggio “violento”, ma dal sorriso continuo, di Renzi, 
in quanto segretario del Pd e Presidente del Consiglio, 

La violenza verbale degli inizi, contro i suoi compagni,
fu accolta da un generale liberatorio consenso,
non solo leopoldino: la "rottamazione" incontrò favori
a destra e a sinistra e solo pochi lessero in quel termine 
un’aggressione biologica a persone in carne ed ossa
nel nome di un definitivo scontro tra vecchio e nuovo;
in verità fu un’ambizione senza limiti a cancellare
l’idea “civile” di rispetto della persona; e la riduzione di persone 
a ferro vecchio da buttare/rottamare era per i più 
una prova di coraggio, di sfida, di duello.
Così, all’inizio, la “rottamazione” suscitò entusiasmi
e non rimproveri. E fu un errore.

Arrivò poi l’”asfaltatura”. E sempre contro i suoi compagni.
Un’ossessione. Ma chiaramente ancora a molti gradita. Anzi,
con l’applauso, subito troppi seguaci apparvero pronti a godere
per la nuova trovata. Eppure il richiamo all’”asfalto” apparve
a non pochi terribile, per macabre assonanze. Ma pochi osarono
avvertire il Premier di non varcare i limiti di un parlar “civile”.

Più avanti il Premier, pur avendo a sua disposizione
ogni strumento per governare, anche con determinazione,
con o senza dialogo tra le parti, sentì il bisogno
di dichiara la sua lotta “violenta”, proprio così, violenta,
alla burocrazia. Perché una dichiarazione di violenza,
da parte di un Presidente del Consiglio, non trovò,
immediatamente, risposte di generale disapprovazione?

Tranne eccezioni, tutti accolgono senza protesta
questo linguaggio, tanto più grave perché d’origine
istituzionale”. E se anche il Presidente della Repubblica
tace e non ricorda al Premier il dovere di governare
nel rispetto delle norme di civiltà, senza possibilità, quindi,
di concepire alcuna lotta violenta, è segno che il Paese
non è più in grado, per assuefazione, di reagire
sia pure a una minaccia volgare, inutile e senza senso.

Infine, in un crescendo, tornando ai suoi compagni,
quelli del Sud, dichiara, con il solito sorriso, di entrare nel Pd
con il lanciafiamme. Per la battaglia finale.

Rottamare, asfaltare, incenerire con il lanciafiamme
sono ormai le parole/azioni nuove della rivoluzione culturale
del Pd socialista. Per cambiare il Paese. Ora a partire dal Sud.
Forse serve altro.
O no?

Severo Laleo

lunedì 30 maggio 2016

Franceschini e l’uomo forte




Il Ministro Franceschini, a proposito del suo Presidente
del Consiglio, dichiara: "Uomo forte, nel senso di uomo che decide.
Questo è Renzi. Se un altro di noi fosse stato al suo posto,
me compreso, si sarebbe fermato
sulla legge elettorale per non rompere il Pd
o sulla riforma per evitare la frattura con Forza Italia,
o sul Jobs Act per tenere dentro la Cgil,
sulla scuola per non rompere con gli insegnanti
e sulle unioni civili per non litigare con la Chiesa.
Devo continuare?".

No, no, basta così! E’ tutto chiaro: la sua, Ministro Franceschini,
è la vecchia, antica politica del “seguire chi avanza senza paura”.
A prescindere se la meta è, o non è, il programma di “Italia. Bene Comune”
a prescindere se si rispettano o meno le indicazione
degli elettori di “Italia. Bene Comune” nel 2013.

Il leader decidente/decisore, il suo uomo forte, è tale, Ministro Franceschini
solo se trova oppositori asfaltati e seguaci timorosi,
e, perché no?, accuccioni, nel senso di pronti a sedersi in poltrona,
magari affascinati dal coraggio del Capo sempre pronto
ad avanzare, nel banale disprezzo del Programma scelto dagli elettori: 
è proprio lì il coraggio, meglio la sfrontatezza,
in quell'andare avanti, oltre il limite, in dispregio di Pubblici Impegni 
sanciti da un Voto, quel coraggio di cui Franceschini sarebbe incapace, 
ma a cui tributa un elogio senza pari.
E così, privo di coraggio, Franceschini si rivela, appunto, un ottimo seguace.
Pronto a seguire chi avanza. Sempre e comunque.
Senza chiedersi perché mai avanzare è meglio di fermarsi,
perché mai rompere/strappare è meglio di comporre/cucire.


Ma, forse, a qualcun altro, abituato a un confronto libero
e continuo, essere seguace non basta, e per questo,
legittimamente, insiste nel chiedere:
un’altra legge elettorale senza più nominati,
una Riforma per l’estensione, e non per la riduzione,
della democrazia,
una più ampia tutela delle persone al lavoro,
una scuola del successo scolastico aperta al dialogo
senza schiavizzazione burocratica.
E tutto questo con il coraggio prudente e tenace della Politica
del Dialogo, della Politica tout court, semplicemente per rispetto 
della libertà degli elettori.
O no?

Severo Laleo