parole per una "cultura del limite" a cura di Severo Laleo ... de tous temps penseurs, sages ou philosophes, ont cherché les moyens à s'opposer à la démesure (hybris) ... les convivialistes
giovedì 4 maggio 2017
Fake news e … Tucidide
Per il direttore dell’ANSA, Luigi Contu, “una notizia è un fatto vero,
rilevante e che interessa la collettività. Una fake news è una notizia
volutamente falsa".
Si può concordare, anche se il rapporto tra notizia e fatto vero è sempre molto
problematico. Ma, ed ecco il punto ancor più grave, se la fake news
gira sui social diventa -è facile immaginare in questi tempi di comunicazione
imbrogliona- spessissimo vera per molti. Perché?
Perché, ammonisce da un lontano passato Tucidide, “molti,
con troppa leggerezza, preferiscono arrestarsi agli elementi immediati,
che non esigono applicazione e studio”; e “in genere accolgono e tramandano
fra loro, senza vagliarle criticamente, anche se concernono vicende
della propria terra, le memorie del passato.”
Per Tucidide ogni notizia/fatto deve essere “frutto di indagini e di studio”,
deve passare al “vaglio di indizi e testimonianze”, anche perché il fine
di chi vuol diffondere notizie e raccontare fatti è “la ricerca della verità”.
E così continua Tucidide, nell'illustrare il suo metodo di lavoro
nel raccogliere fatti e notizie e discorsi: “ho ritenuto mio dovere descrivere
i fatti non sulla base di elementi d'informazione ricevuti dal primo
che incontrassi per via; né come paresse a me, con un'approssimazione arbitraria,
ma analizzando con infinita cura e precisione,
naturalmente nei confini del possibile, ogni particolare dei fatti cui avessi
di persona assistito, o che altri mi avessero riportato.”
I produttori/sostenitori delle fake news sono avvertiti.
O no?
Severo Laleo
domenica 26 marzo 2017
Elisabetta di Boemia e la "maledizione del sesso". A proposito del romanzo "Le passioni dell'anima" di R. Simone
Caro prof. Scapece,
se ti capiterà tra
le mani il romanzo di Raffaele Simone Le passioni
dell’anima,
leggilo; è una
lettura molto godibile, anche se a volte, per empatia con Cartesio,
sei trascinato a
condividere una solitudine cupa da clima iperboreo;
grazie a un
racconto con “velature”,
la lettura è godibile non solo a lettori
esperti, ma anche a lettori di buona volontà.
Sì, perché ogni lettore pare avere
la sua occasione per scoprire “quel che si
deve ai protagonisti”
e quel che il romanziere ha aggiunto.
A me l’occasione è
capitata, e lieve ho sorriso, solo quando ho incontrato,
a pagina 194, il
portoghese “spregiudicato” Antonio Damasio.
Povero
Damasio, “che si
dichiara medico”! Purtroppo, conquistata la baldanza
di chi
ritiene di poter capire
anche altro, quando, sul finir dell’opera,
ho letto la bellissima lettera di
Elisabetta di Boemia a Monsieur
Descartes,
ho creduto, sospettoso, di poter vedere qua e là la mano
del romanziere,
forse per una presenza fine di sensibilità moderna.
Ma la nota finale Al
lettore, a
cura del romanziere, confermando l’autenticità
della
lettera, smonta l’incauta
baldanza. Così, caro Scapece, ho voluto
rileggere la lettera per riparare un
torto, e, godendo appieno delle “bellissime
parole” di
civiltà e d’amicizia di
Elisabetta, mi sono sorpreso a inseguire
i miei soliti
pensieri.
La lettera te la
invio, perché tu possa leggerla secondo i tuoi sentimenti,
e ti invio anche
questa mia interessata interpretazione che, conoscendo
la tua pazienza
saggia di napoletano, so che leggerai: solo tu puoi!
Elisabetta,
nell’esprimere il suo non più differibile bisogno di avere notizie
positive e
dirette di Descartes, si
dichiara disposta con gioia a viaggiare
fino a Stoccolma.
Ecco, caro Scapece, la forza delle sue parole:
“La maledizione
del mio sesso m’impedisce la gioia che mi darebbe
un viaggio verso Stoccolma,
dove ben verrei per imparare le verità
di metafisica e di scienza che traete dal
vostro giardino e dalle vostre riflessioni.”
Capisci, Scapece, la maledizione
del sesso! E, guarda, non è un lamento. No!
E’ l’affermazione
constatazione di una situazione di
fatto, di una condizione
dei tempi, appunto una maledizione, quindi
non accettabile, da
superare
senz’altro. Non è
forse una
richiesta serena, non
piccata, anzi
gioiosa
di parità
uomo-donna?
Anzi
più avanti, nel raccontare il suo sforzo per
imparare qualche parola
di spagnolo, scrive
proprio di parità, meglio di sentirsi al pari
con il suo miglior medico, sempre con un tono garbato di fine ironia:
“Vedete
che anch’io, per puro amor vostro e quasi per sentirmi al pari con
voi
col solo emulare
i vostri sforzi, sto imparando qualche parola di spagnolo?”
E
ancora, con più sicurezza di giudizio, senza spirito di rivalità
tra i sessi:
“Nella
notte dell’ignoranza, nel gelo di un mondo sconosciuto e avverso,
poche persone (tutti uomini,
ahimè: alle donne questa prerogativa
non è riconosciuta) portano la
fiaccola della scienza contrastando il buio
con la loro debole
fiamma.”
Caro
prof. Scapece, questa Elisabetta di Boemia ha
un’idea
così chiara
e naturale della
parità
dei sessi da
destare un’ammirata attenzione.
E
forse potrà ben figurare nelle
biografie dell’Enciclopedia
delle donne.
O no?
Severo Laleo
mercoledì 8 marzo 2017
Una donna dovrebbe guidare l'Italia?
"Ora una
donna dovrebbe guidare l'Italia"
si legge in un
titolo de lastampa.it
quasi a sintesi di
un sondaggio per La Stampa dell’Istituto Piepoli.
Oddio, l'auspicio
appare desiderabile, e molto,
solo a pesare le
"virtù" di quasi tutti i leader (maschi alfa)
di qualsivoglia
parte di questa travagliata repubblica
a partire dalla
"discesa in campo" di Silvio
(i leader, si sa,
amano essere acclamati per nome).
Ma una guida di
donna non può di per sé cambiare il sistema.
E sarà anche vero,
secondo il sondaggio,
che "i
cittadini italiani esprimono la loro convinzione
che più donne
alla guida del Paese garantirebbero maggiore spazio
per le politiche
giovanili, più attenzione per le politiche
di conciliazione,
per il contrasto alla povertà e alle discriminazioni,
più vicinanza ai
bisogni di tutti.” E
ancora, che “nel 70 per cento
dei casi gli
italiani affermano che voterebbero per un movimento
con leader donna
e una maggioranza di dirigenti donne."
Ma anche questo non
risolve i nostri guai.
Il problema guaio è
il monocratismo e la sua conseguente struttura
di lotta politica,
ispirata ancora alla lotta primordiale
tra maschi alfa: non
è cambiato niente fino a oggi,
anche a leggere
Panebianco!
E' la figura del
leader monocratico, uomo o donna che sia,
a non funzionare,
perché la logica del "duello" non è una scelta
di civiltà, ma un
residuo della pratica del branco.
Se riusciamo a
trasformare/superare il monocratismo di sempre,
adottando per il
futuro strutture di potere duale, di coppia,
un uomo e una donna
sempre, forse le proposte di decisione,
vagliate in
organismi di gestione a perfetta parità uomini-donne,
potrebbero
acquistare un più di civilizzazione.
O no?
Severo Laleo
domenica 26 febbraio 2017
Myrta Merlino, Liliana Cavani, Livia Turco, Claudia Mancina e Violante
Myrta
Merlino, Liliana Cavani, Livia Turco, Claudia Mancina e Violante
I
ruvidi contrasti all’interno del Pd, fino alla definitiva
scissione, hanno aperto,
a
leggere i duri giudizi di alcune osservatrici, anche una nuova
questione femminile:
Myrta
Merlino, su HP, non riesce a spiegarsi le ragioni
del silenzio (rumoroso)
delle
donne del Pd e nota sorpresa la dirigente Serracchiani “silenziosa
e cupa”
assistere
al dramma (si fa per dire!) della separazione.
La
scomparsa della voce femminile, pur forte e robusta, in un momento
di
così grave crisi, appare quindi quanto meno strana e genera una
serie
di
osservazioni anche pesanti: “Il Pd è tornato un pollaio
popolato
di
soli galli. Il che, notoriamente, non porta fortuna. Questo eccesso
di
testosterone non facilita il confronto” scrive
Merlino. E
cita, a sostegno,
sia
Liliana
Cavani:
“Il Pd sembra un
partito di uomini, con aspiranti
leader
solo uomini. Quella delle donne è una visione politica in genere
più
sottile e globale. Invece emerge uno dei gravi problemi di una
sinistra
di
vari capetti che ignorano l'esistenza e l'intelligenza
delle donne.
È
come se un motore funzionasse
a metà.";
sia
Livia Turco:
"al
prendersi cura del partito in questi anni si è
sostituita l'ipertrofia
dell'io
maschile che ha massacrato
le relazioni umane".
Ma
Claudia Mancina,
scrivendo al Corriere,
rifiuta l’idea di una voce collettiva
delle
donne e lamenta al
contrario
la mancanza di una leadership al femminile.
E
scrive: “La
politica è battaglia, è decisione, è capacità di mettersi a
rischio.
Se
dalle donne ci aspettiamo che si muovano come un gruppo, sarà
difficile
che
sviluppino queste qualità. E non saranno mai leader; al massimo
seconde,
vice,
come propone Violante a Orlando, nel caso che questi scelga di
candidarsi.
Io
non voglio più donne che facciano da vice a qualcuno. Voglio donne
che
siano prime, che siano leader, come ce ne sono tante negli altri
paesi.
Voglio
donne ambiziose, che abbiano voglia di competere per le posizioni
più
alte, non per partecipare ma per vincere.”.
In
verità Luciano Violante non parla di vice, ma
svolge un pensiero desiderio
nei
confronti di Orlando, aspirante segretario del Pd, il
desiderio cioè di vedere
la
candidatura di Orlando affiancata da una candidatura
femminile.
Non
sono note le ragioni del pensiero desiderio di Violante,
e forse non sono
solo
strumentali per la campagna elettorale; nel
pensiero desiderio
di
Violante,
in
quel suo pronunciare il verbo affiancare
e in quel suo dire candidatura
femminile
forse
c’è anche altro.
Non
c’è il richiamo al “gruppo
donne”
del Pd di rompere il silenzio e diventare
partecipi
del dramma, non c’è l’invito alle donne
di diventare prime,
leader
e
ambiziose, c’è
qualcosa di più, c’è un’idea di una leadership di coppia, di un
uomo e di una donna alla pari, contro l’ipertrofia
dell’io maschile,
contro la prepotenza
violenta
del
Maschio Alfa.
Chissà,
forse anche Violante
si schiera con il bicratismo,
riconoscendo
nel
monocratismo l’esito strutturale del maschilismo atavico. Anche
perché
con
Trump
si è toccato il fondo.
O
no?
Severo
Laleo
sabato 11 febbraio 2017
Il Maschio Alfa Trump, le Stelle di Salemme e la fine del monocratismo
Negli ultimi
decenni, un po’ in giro per il mondo, Italia non esclusa,
la Politica è stata
appannaggio di leader cosiddetti forti, capaci di attirare
la simpatia del
popolo con la roboante narrazione di saper/voler cambiare
il mondo: insieme,
leader e popolo, all’unisono. Ma era un inganno.
E a molti, spesso
dall’animo semplice, ma attenti all’essenza del vivere
civile, era già
chiaro.
Eppure ancora oggi,
specie con l’arrivo imprevisto di Trump,
anche in Europa, si
continua a chiedere, con nuova veemenza, il Leader
Forte,
un nuovo Maschio
Alfa, a sicura guida di una tribù (non
importa se poi
a reggere il Potere
della tribù sarà per un caso una Donna,
tanto la struttura
del Potere, nel suo
monocratismo, resta qual è, cioè l’esito di un’antica
pratica di lotta tra
maschi, tutta dentro una tradizione, pur a tratti nobile,
di maschilismo,
anche se oggi in via di accerchiamento).
Ma inseguire in
Europa, oggi, il Leader Forte è un inganno grosso,
insensato, perché
al contrario c’è un bisogno diffuso di nuova comunità,
di nuova saggezza
politica, a responsabilità corale. Ma tant’è!
“‘E
femmene so comme ‘e stelle si te pierde li ‘a guardà”
scrive Salemme
in una sua
dolcissima canzone; per Salemme -e non sbaglia- le donne sono
un punto di
riferimento necessario per ogni uomo, specie se/quando “si
perde”,
e, da innamorato
naturalmente, aggiunge “una ‘e lloro è ‘a stella mia
pecchè quanno
‘a notte è scura e stu core s’appaura
pare comme si ‘a
sentesse ca me dice aiza ‘a capa,
sient’ addore
guarda ‘ncielo e staje sicuro tanto io stongo sempe ccà”.
Trump
sembra
non avere -in realtà nessuno conosce l’animo umano-
una
“Stella”
da guardare,
anzi pare proprio il contrario; cioè anche
la
sua Stella
ruota intorno a Lui,
il Maschio Alfa
per eccellenza.
La
sua solitudine appare totale. E
per questo per tutti è un pericolo.
E
intorno a lui tanti
Maschi d’affari. E
già, i
Maschi
controllano ancora
pienamente
il potere economico, e nel campo del potere economico
esercitano
la più dura dittatura, il più convinto
monocratismo:
la
presenza femminile è residuale.
Trump,
da Maschio
uso al
potere economico, non abituato in quel mondo
a
“guardare”
una sua Stella,
diventato Presidente della più grande
democrazia
moderna, istintivamente
coltiva l’illusione
di
poter continuare da solo
a comandare. Maschio
solo al comando!
Sarà
possibile?
Chissà,
forse
sarà grazie al
Maschio Alfa Trump
se
la democrazia
più
grande del mondo imparerà a conoscere la fallacia del monocratismo
e
proverà a
chiamare, per
reggere le
sorti del governo (e non solo),
non
più un Amministratore Delegato, un
monocrate,
ma
una coppia, un uomo
e una donna, per una Presidenza duale.
O
no?
Severo
Laleo
lunedì 23 gennaio 2017
Faust, Margherita e la marcia delle donne
Oggi, 23 Gennaio
2017, nel giorno di S. Emerenziana, martire,
giovane vergine lapidata, al
Teatro dell'Opera, a Firenze, è in scena il Faust
di Gounod. Protagonista
dell'opera non è il Faust, né Mefistofele;
protagonista è Margherita, una giovane “casta e pura”
insidiata
da un vecchio Faust voglioso di piaceri d'amore e da un
diavolo godereccio.
La giovane
Margherita, oggetto di voglia maschile, grazie al diavolo,
cade nella
“colpa”, viene abbandonata, e
sola, con il figlio della “colpa”,
si trova esclusa dalla società
e diventa “vergogna”, degna di maledizione,
anche per il
fratello, ucciso in duello dal suo amante “indiavolato”;
alla
fine, disperata e folle, uccide il figlio ed è condannata a morte
(un femminicidio a
più mani!), ma dinanzi alla morte non cede al “diavolo”,
e vola
in cielo. Già, in cielo!
Intanto il maschio
Faust, inseguendo le sue voglie, ha rovinato per sempre
la giovane
Margherita, intento soltanto a realizzare il suo “nobile” Ego,
del tutto incapace di rispettare la persona
Margherita nella sua dignità/libertà
di donna. Già, donna!
Ma a Washington,
donne, tante donne, tantissime donne, hanno marciato
insieme, presenti
anche gli uomini, in
qualità di semplici alleati, per tener viva
e rinvigorire una sola
idea: il rispetto della
dignità/libertà della persona umana
in ogni sua condizione, senza
esclusioni di sorta; per il sessimo, per
il razzismo
e per l'omofobia non può esserci spazio: “Sexist,
racist and anti-gay,
Donald Trump go away”. Non è consentito
ad alcun Faust, con o senza sortilegi
infernali, di
torturare/rovinare per sempre una qualche Margherita.
Già, Margherita!
Sembra esistere solo
per consentire a Faust di redimersi. Al centro è dunque
sempre il Maschio, da solo,
con tutta la sua ansia di realizzazione
in Dominio/Potenza. Questa
immagine di dominio/potenza
resiste nella storia
fino ai nostri giorni. Anche nelle istituzioni.
Trump, esaltando
nelle parole e nell'agire il senso del dominar maschile, ottiene
la vittoria e
suscita di contro spontanea un'ondata di protesta ampia e variegata.
Persino Theresa
May, prossima
a incontrare Donald Trump, dichiara,
ed è
convinta, in qualità di
Premier donna, di testimoniare con la sua presenza
“il ruolo
delle donne nel mondo”. Già, il ruolo delle
donne!
Ma se la struttura
istituzionale del Potere continua ad essere chiusa
nel monocratismo, in quel monocratismo
figlio obbligato della lotta primordiale
per il dominio tra maschi, è senza dubbio
molto riduttivo aspirare a testimoniare,
quasi casualmente, il ruolo
delle donne attraverso una
conquistata carica
di Premier, comunque ancora e sempre monocratica, cioè intrisa di
quella originaria
violenza, nonostante il cambiamento delle forme, del “duello” per
la supremazia
di un Capo. Non basta testimoniare, è tempo di “rivoluzionare”.
Forse questa grande
marcia delle donne, nel suo reclamare il rispetto
per ogni diversità, e nel contrastare
ogni forma di sessimo, apre una strada
a una organizzazione del
Potere non più da affidare
a una sola persona,
a un monocrate, uomo o donna che
sia, ma a una coppia,
a un uomo e a una donna insieme, a limitare ogni Ego.
Per i diritti di
tutte/i.
O no?
Severo Laleo
venerdì 9 dicembre 2016
Un “nuovo” segno dei tempi: D’Alimonte, la scienza e l’ideologia
Roberto D’Alimonte
e Vincenzo Emanuele, due scienziati
della Politica, visto il risultato elettorale del referendum,
scrivono un
articolomolto interessante pieno di dati
e di valutazioni. Ogni valutazione è giustificata dall’analisi
dei dati. Un articolo utile da leggere e da commentare.
Eppure un lettore sereno non immaginerebbe,
dopo aver
seguito con interesse la sequenza dei dati,
la conclusione degli autori scienziati. Eccola, per chiarezza
(da notare il passaggio lessicale,
in crescendo,
da Pd a Premier a Renzi)
la lucida conclusione dell’analisi scientifica dei dati: “In
conclusione, con il senno di poi
si può dire che questo è stato un referendum che
difficilmente
il Pd poteva vincere.
Troppi fattori hanno giocato
contro il premier. Ma resta il fatto
che 13 milioni di voti
sono tanti. E da qui può ripartire la sfida di Renzi”.
Non è possibile! Se la scienza della Politica, dopo aver
snocciolato
dati e, aver tra le righe, compreso, volenti o nolenti,
il gran disagio
delle periferie e dei disoccupati, si preoccupa, prendendo
parte malamente, di concedere un trampolino di lancio “per far ripartire la sfida di Renzi”. In verità non si tratta più di una sfida, la sfida
è stata
già consumata. Per il prof. Scapece,
semplice osservatore, ma attento lettore dei fatti, si tratta al contrario solo di puro azzardo. Forse questo tipo di scienza della Politica è davvero
un segno di questi tempi “nuovi”.
O no?
Severo Laleo
lunedì 5 dicembre 2016
Il leader solo, Agnese e la “nuova” Politica
E’ tarda serata. Il Leader è solo davanti al suo palco.
E continua a parlare da Leader, proprio nel giorno nel
quale si celebra,
senza ombra di dubbio, la sconfitta (non si illudano gli
altri Leader!)
del leaderismo italiano, inventato, all’improvviso, grazie
a un vuoto della Politica,
nel centrodestra, da Berlusconi,
e ora, appunto, condotto a termine,
nel centrosinistra, da Renzi. Insieme, Berlusconi
e Renzi,
cumulando sulla propria persona di “Capo” ogni “attenzione”
hanno introdotto nella politica la categoria
dell’amore/odio
per il Capo. E la parola “capo”, nel suo antico significato,
ha trovato persino la sua spendibilità linguistica, non a
caso,
proprio nell’Italicum
(art. 2, comma 8).
Il senso diventa: o con me o contro di me, la negazione,
cioè, nel profondo, dell’agire politico in sé.
E, per imitazione del berlusconismo, durante tutti questi
anni,
si è visto un pullular di leader dappertutto, in ogni forza (si fa per dire!)
politica, purtroppo anche a sinistra, nella sinistra
delle “persone”.
Il 4 dicembre segna la fine definitiva di un ciclo.
E’ possibile, ed è necessario, cambiare, perché il
cambiamento
ha ora una sua data di inizio. E’ davanti a noi, e, soprattutto, nasce dal basso.
E contiene, è vero, insieme ad altre strumentali ragioni, a volte indifendibili,
il segno forte di un attaccamento sincero alla Costituzione del 1948,
a prescindere da vecchi e nuovi leader. Nella cabina conta solo
la propria coscienza e non l'apparteneza a un leader.
L'amore per la libertà è più diffuso di quanto si immagina.
Il cambiamento è costruire una comunità a sovranità conviviale,
una democrazia tra pari, in dialogo continuo tra le parti,
nel rispetto di una cultura
del limite, con una leadrship di servizio
e di coordinamento, precondizioni fondamentali per garantire il dovere
di deliberare. L’impegno è di gran fatica e non tollera
scorciatoie.
E non può essere affidato a una persona sola e a un solo
sentire.
E in più il campo è pieno di faccendieri, sempre attivi.
Basta con schiere di sudditi plaudenti. E molto
interessati.
In Campania, al De
Luca delle fritture, il 68% delle persone
ha detto
un No di “cambiamento”,
a difesa di libertà e dignità.
E dignità e libertà passano per un lavoro non precario,
per un’occupazione piena, per un reddito sicuro per ogni
persona
(e la sinistra ha una lunga storia, ora muta, a questo
riguardo),
per un sistema fiscale adatto a una più equa
redistribuzione di reddito,
per un sistema di regole per l’estensione della
democrazia,
per un sistema sociale inclusivo, di cura e di sostegno,
per una scuola democratica già nella sua organizzazione,
per un investimento importante nella ricerca da aprire
largamente
a persone giovani con reali prospettive di vita,
per un sistema di regole, infine, per la parità piena,
senza quote,
di uomini e donne in ogni sede di decisione pubblica.
Il Leader è solo davanti al suo palco e apre il suo
discorso alle dimissioni,
ancora reclamando, commosso, con enfasi, una sua
personale diversità.
Una diversità
non del tutto vera, se appena si guarda,
con una qualche attenzione ai dati, alla storia dei
Governi in Italia.
Pienamente vera, al contrario, appare la sua personale
soddisfazione
per leggi non note al grande pubblico, ma socialmente
incisive
nel cammino della civilizzazione di un Paese. E ha ragione.
Eppure, proprio il leader-solo-al-comando
esce di scena
aprendo con i suoi atti un nuovo ciclo politico. Almeno a chi sa intendere.
Il suo
uscire dalla scena pubblica è
un entrare, con un abbraccio alla sua donna,
nella sfera del privato, dell’accoglienza pronta e piena,
è un passaggio dall’arroganza del comando, alla
condivisione dell’amore,
dal palco del leader solitario, al rifugio di una condivisione
d’affetti,
in un rapporto alla pari con la persona del suo mondo
reale,
e finalmente, almeno nel privato, l’Io diventa un Noi.
Ora se anche i decisionisti dinamici tengono e curano il
proprio rifugio,
e comprendono la parità della relazione, e la sua
necessità,
qualche insegnamento in Politica si può ricavare, specie
se la Politica
è ancora relazione corretta
tra persone e non rottamazione.
Non è forse l’essenza della Politica il garantire un “rifugio”
a chi ne ha bisogno, chiunque sia, dovunque si trovi?
La scena è davanti a tutti.
In un angolo Agnese
(e chiedo scusa se sembro usare il nome
con una confidenza indebita, ma qui Agnese è un simbolo),
silente e serena, con un suo sorriso tenue di dignità,
disegna, nella sua presenza/espressione, l’immagine della
civiltà,
del grado di maturità di un processo di civilizzazione,
fuori da ogni campo di battaglia, e di pretesa di
vittoria,
e, insieme, disegna il superamento definitivo del
monocratismo,
dell’uomo solo al comando, del leaderismo maschio,
in nome di un’altra Politica, senza muscoli e senza l’ossessione
della vittoria. Perché alla fine la fragilità è per
tutti.
Il Paese non cambierà se inseguirà un nuovo Capo,
il Paese cambia davvero se crescerà insieme nella
responsabilità
imparando liberamente a “contare” sempre più nell’esercizio
del dialogo democratico. Meno capi e più scuola, più
istruzione,
più educazione e, perché no?, una “patente” con severo esame,
per amministratori pubblici. Guidare un Paese è più
importante
di guidare un’auto. Forse il nuovo ciclo politico per una
democrazia tra pari
avrà il volto/monito civilissimo di Agnese.
O no?
Severo Laleo
P.S. Si trascrive qui di seguito una utile nota trovata nel libro
di Pierre Bourdieu, Il dominio maschile, a pag 93: "E' stato spesso
osservato che le donne svolgono una funzione catartica e quasi terapeutica
di regolazione della vita emotiva degli uomini: calmano la loro collera,
aiutano ad accettare le ingiustizie o le difficoltà della vita ecc.
(cfr. per esempio N.H.Henley, Body Politics, Power,
Sex and Non-verbal Communication...
sabato 3 dicembre 2016
Calabresi, le macerie e i populismi isterici
Gentilissimo
Direttore Calabresi,
pur
apparendo Lei, a mio parere, in ogni occasione, persona educata, garbata,
quasi mai
di parte (almeno non faziosa), ascoltabile con serenità,
con l’editoriale
di oggi, pur insieme a una veritiera condivisibile analisi
sulle
macerie della sinistra (anche se da
analista, per capire un futuro
di
concordia, avrebbe potuto aggiungere qualche parola sull’origine
di
tanta determinata, rozza e amara rottura), Lei, ripeto, con l’editoriale di oggi,
butta
all’aria, a mio leggere, la sua garbata educazione, la sua “neutralità”
di
mestiere (la persona non è mai “neutrale”)
e soprattutto la sua
“ascoltabilità” serena.
D’accordo,
dunque, sulle macerie della sinistra
e sulla sua dispersione,
sul
suo smarrimento. Ma quali le ragioni?
Se si
è persa la coesione sociale e la
capacità di progettare il futuro
non è per un destino cinico e baro; è stata, da ultimo, la
conseguenza di una scelta
politica di rottura chiara fin dall’inizio (il
riferimento è alla galassia del centro
sinistra). Vede, gentilissimo direttore, quando
un aspirante al Potere
guarda le altre “persone” (so che dà al termine persona il
suo pregno
significato filosofico e giuridico), sia pure avversari, sotto la
luce
della “rottamazione” e dell’”asfaltatura”, non c’è da essere sereni
(infatti!).
E la
stampa, a suo modo, lodò questo approccio in qualche modo violento
e populista al
Potere. E non solo la stampa: la lode giunse anche da tanti delusi,
giustamente, di
una politica fuor di senno, lontana dai problemi reali delle persone.
Ma chi
ama rottamare e asfaltare (non parlo di Renzi,
la “persona”
Renzi non c’entra, c’entra
la “Politica”) per il bene pubblico è una rovina,
è la perdita del dialogo legittimante, è un
cedere alla forza, sino ad alimentare
un’idea di “eliminazione” politica. Anche con "imboscate" (ma Prodi perdona!)
A rovinare la campagna elettorale non è stata quindi la materia del bicameralismo
(non bisogna aspettare tempo per veder
bene), ma proprio il carico aggiunto
di “significati
altri”; ed è qui che bisogna fermarsi e esercitare il pensiero
critico per
capire il perché di una divisione di una comunità, della freddezza triste
tra
amici, di discussioni antipaticamente litigiose in famiglia. E l’estensione
dell’analisi è utile, specie se si crede nella possibilità di ricucire il
Paese,
soprattutto con l’obiettivo di evitare che l'idea stessa di futuro possa
essere
“declinata in nome di un interesse
personale e mai al plurale”.
E fin
qui, gentilissimo direttore, la sua ascoltabilità
è garantita, parzialmente
condivisibile ma ancora serena. Eppure all’improvviso
il suo tono cambia, non è più
di analisi, ma diventa quasi di invettiva e il suo garbo e la sua
neutralità vanno
in pezzi. E scrive, dimenticando le “persone” in carne ed ossa, di “retorica
della resa dei conti, dei tavoli da rovesciare, dei palazzi da abbattere”
che “ha annebbiato le menti e conquistato
le viscere. Una retorica che
andrebbe respinta con fermezza, con razionalità e
con cui non è possibile
flirtare, anche perché è una bestia (sic!) che non si fa addomesticare
ma sbrana (sic!) chi prova a giocarci”.
Direttore!
E continua: “Se a sinistra non si mette
mano a tutto questo, il rischio
è di consegnare l'Italia alla sfida tra due
populismi, uno più propriamente
di destra - con la scommessa di Matteo Salvini
di conquistare l'intero
campo conservatore grazie alle primarie - e uno post ideologico
rappresentato dal movimento di Beppe Grillo. Due populismi isterici (sic!)…”
Anche
qui forse avrà qualche ragione di preoccupazione, perché la diffusa rabbia
è
cattiva consigliera, ma dimentica che in Italia i populismi sono tre:
il
primo, di governo, praticato per tre anni da una maggioranza non nata
da una scelta
democratica del popolo, insegue la buona amministrazione
alla De Luca;
il
secondo, per ora urlato dalla Lega, con gravi atteggiamenti contraddittori
contro
l’idea universale di “persona” per
proteggere altre “persone”
sulla base
di un territorio, insegue la chiusura della sicurezza;
il
terzo, irridente nelle piazze con il vaffa, ha generato a Torino
l’Appendino
e a Roma la Raggi (e non sembrano
per ora “sbranare” nessuno).
Perché
una società possa “tenere” in termini di coesione sociale e di rispetto
reciproco tra persone, il dialogo deve essere tra tutti, perché, per usare
le
parole di Guido Calogero, “l´unità
della democrazia è l´unità degli uomini
che, per qualunque motivo, sentono
questo dovere di capirsi a vicenda
e di tenere reciprocamente conto delle
proprie opinioni e delle proprie preferenze.”
Per
questo non perda la sua “neutralità”
di mestiere con ritenere
il SI preferibile al NO, solo perché il NO, ammonisce,
“se lo intesterà tutto Grillo,
pronto a
lanciare la sua sfida finale al Pd, e non ci si illuda che possa essere
un
momento catartico di rifondazione di una nuova sinistra ideale”.
Forse,
gentilissimo direttore, la democrazia è l’essenza di questa sfida
(sempre se nel
rispetto di una cultura del limite nonviolenta).
O no?
Severo Laleo
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