mercoledì 15 febbraio 2012

La "rivoluzione liberale"? Martedì prossimo



La trasparenza invocata da Monti è finita nel nulla:
ieri sono scaduti i termini di 90 giorni per pubblicare la situazione patrimoniale
del membri dell'esecutivo e solamente Profumo ha reso noto i propri dati,
ma solo in parte. Così il Cdm decide di darsi un'altra settimana di tempo”.
La notizia è tratta da Il Fatto Quotidiano.
Allora è vero: questo governo fa fatica a dare il “nuovo”,
fa fatica a dare il buon esempio, convive con il passato.
E frena, ritarda, aspetta, giostra, trattiene, sottace.
Eppure il ritardo in trasparenza è reticenza, e non è liberale.
E’ solo e sempre l'antico vizio italiano.
O no?
Severo Laleo

martedì 14 febbraio 2012

Ebbene, sì, la “garganicità” esiste!


Questa è una confessione. Tardiva, purtroppo, ma liberatoria.
Anzi quasi d’obbligo, soprattutto nei confronti di chi,
amico d’avventura intellettuale,  la sua vita ha segnato
di un amore, disinteressato, profondo per la sua terra: il Gargano.
Una confessione in qualche modo sollecitata, solo ora, 
dalla tecnologia della rete e dall’immediatezza degli scatti espressivi,
a volte urlati, essenziali, emotivi,
e non solo, del linguaggio dei tanti luoghi di facebook,
Ebbene, quando arrivai nel Gargano, anch’io da una terra ricca di storia,
incontrai subito un’amichevole accoglienza, oltre ogni aspettativa;
ero senza dubbio capitato, per personale constatazione, in una terra ospitale,
e disponibile all’”inclusione”, senza infantili distinguo.
Ed ebbi la felice occasione di far parte di un’Associazione di “intellettuali”
(può sembrare grosso il termine e presuntuoso: in realtà il gruppo
svolgeva la “funzione intellettuale” di costruire la memoria storica dei luoghi),
determinata ad animare un dibattito culturale attraverso la pubblicazione
di un “giornale” a periodicità mensile: il Gargano nuovo.
Le nostre riunioni, in quegli anni settanta, ancora avvolte dal fumo
(ma già si protestava per il fumo passivo!), pur aperte a ogni problematica,
avevano alla radice un blocco identitario: la garganicità.
Per me, cittadino di altri luoghi, ardentemente desideroso di diventare
“cittadino del mondo” (un titolo del genere indicava allora
un testo “nuovo” di Educazione Civica, con Ernesto Balducci coautore),
era difficile comprendere la “garganicità” dei miei amici (Vincenzo, Filippo,
Nicola, Pietro, Francesco, solo per citare i più assidui in quegli anni settanta),
e difficile anche accogliere senza critica quel blocco identitario 
di origine retorica, comune a molta retorica localistica, 
diffusa ovunque nel nostro bel Paese.
Per questo riservai al mio impegno di collaboratore un angolo libero,
 “Non è così?”, in seconda pagina, a cura di Severo Laleo.
Solo con il tempo, e con la stagione del “Parco”,
la solitudine di quell’angolo si aprì alla “garganicità”.
Eppure un sospetto di presenza di “garganicità”, anche nel mio animo di sannita,
l’ho avvertito, inaspettatamente, quando, invece di sentire,
nei pressi dei giorni di Pasqua, la nostalgia della mia “pastiera napoletana”,
ho colto, nell’aria amica di Firenze, un sottile, durevole,  invadente
profumo di “cavicione”. Contaminato dalla “garganicità”?
E ancora, ho sentito pungere forte la rabbia “garganica”,
quando sono apparsi, violenti,  i nuovi artigli della speculazione dei trivellatori.
A dire il vero, al di là del mio “distacco” iniziale,
 la “garganicità” dei miei amici aveva un fondo reale, solido:
pur essendo il gruppo di provenienza di tanti paesi diversi del Gargano,
pur presenti nel gruppo idealità molto diverse, anche sul piano politico
(liberale, repubblicana, socialista, democristiana, comunista, indipendente
e, forse, anche qualche nostalgia per il ventennio), quel blocco identitario
profondo di “garganicità” era un collante ad alta potenza, perché vero.
Oggi la rete conferma l’esistenza di quel blocco identitario,
e il “gruppo” di “intellettuali” di una volta è ora più ampio, più diretto,
più presente, e sempre attivo, a prescindere dalla forza del contributo
di ogni feisbukkiano. E appare più democratico, in quanto a ogni persona
è data la possibilità di incrementare la memoria storica dei luoghi,
con i suoi interventi, le sue foto, i suoi racconti (in Puglia si dice: “narrazioni”!),
e puoi anche scoprire, nel pescatore, nel contadino, nel giovane barista,
la “vena” primigenia del fare “storia”.
E allora trovi in rete, da parte di tanti giovani, e meno giovani,
espressioni rapide e sincere d’amore per il Gargano, espressioni meditate
di difesa dell’ambiente del Gargano, entusiasmo vivo per i suoi tramonti,
per il suo mare, per la sua terra, ora arida ora rigogliosa, per le sue tradizioni,
per la sua cucina, per la sua aria,  per la sua storia, per la sua religione,
in una parola, per il suo essere Gargano.
Non so bene cosa sia la “garganicità”, un ‘idea, innata o nata nel tempo,
un imprinting, una mutazione per amore del DNA, un’anima, spirito dei luoghi,
genius loci, geist, non lo so, ma confesso: esiste la “garganicità”.
Ed è vera, sincera, aperta, non egoistica, e, per di più, “trasferibile”.
Eppure, questo blocco, questo recinto della “garganicità” non ha mai impedito,
al mio caro amico Peppe, uomo tutto garganico,
di praticare un solare, gioioso, irenico internazionalismo.
O no?
Severo Laleo

sabato 11 febbraio 2012

Vabbuò, jà!



Ho un amico napoletano, carissimo, e sempre disponibile.
Un ragazzo (si fa per dire!) eccezionale.
Si chiama Antonio Scapece, ma  per me è “vabbuò, jà”.
Sì, perché spessissimo, nel nostro conversare,
quando vuol chiudere una discussione,
soprattutto per evitare una polemica, inutile e senza senso,
sospira un profondo “vabbuò, jà”. E a me pare saggezza.
Vabbuò”, almeno per un/a  napoletano/a  di una volta,  
esprimeva non solo un accordo, la condivisione di una decisione,
di un’intesa, ma, insieme all’accordo,
esprimeva anche una riduzione/rinuncia alla propria soggettività
per accogliere, con benevolenza, la soggettività altrui.
Era quasi dire: ”Va bene, sono d’accordo con te,
non voglio creare problemi, seguo volentieri le tue indicazioni,
perché insieme raggiungeremo l’obiettivo”.
Per certi aspetti era tanto vicino all’ “I care” d’oltreoceano,
nel suo indicare la volontà di trovare insieme una soluzione al problema,
quanto era lontano dal brutale e insolente “me ne fotto”,
dove la rinuncia a comprendere il problema è piena, totale e senza appello.
In più il “vabbuò, jà” aveva anche un senso di conforto solidaristico,
proprio nei momenti di difficoltà, per esortare a resistere,
e non a rinunciare o a rassegnarsi senza un motivo serio.
Con il tempo si è perso di vista il suo significato di attiva saggezza.
Purtroppo il “vabbuò, jà” di oggi, rinvigorito nel suo senso
tragico di passiva accettazione fatalistica degli eventi,  
proprio dal frastuono inconcludente della plancia della Concordia,
segna maledettamente una rassegnazione supina e irresponsabile,
lontanissima dalla disponibilità a darsi da fare del mio caro amico.
Eppure nessuno a Napoli ha detto “vabbuò, jà” all’occupazione nazista.
O no?
Severo Laleo



Monti lavora per la Sinistra


Il governo Monti? Finalmente un governo “liberale”.
Il primo dell’Italia Repubblicana.
Un toccasana per la rinascita civile del Paese. E della Sinistra.
E’ chiaro, è anche un governo di “destra”,
e non può non esprimere una politica economico-sociale di destra.
Ma perché meravigliarsi? Non è forse compito dell’opposizione
contrastare i provvedimenti socialmente ingiusti?
E non solo a parole.
Eppure, d’altra parte, Monti lavora per la Sinistra,
perché offre alla Sinistra (ma anche ad altri gruppi “liberi”),
con il suo agire in competenza, in onestà e in serietà,
e senza mire di “occupazione” del nostro fragile Stato,
un contributo determinante,
perché possa liberarsi di ogni superfetazione berlusconiana,
e possa di nuovo praticare, senza tentennamenti,
il pensiero gramsciano.
O no?

martedì 7 febbraio 2012

Il primo governo “liberale” d’Italia.


Ha scritto Eugenio Scalfari nel suo primo domenicale di febbraio
su La Repubblica: “Dopo questo governo nulla sarà più come prima.
I partiti non si illudano di ricondurre la politica alla partitocrazia 
della prima Repubblica;si uscirà dal presente guardando al futuro
e non tentando di recuperare un passato ormai sepolto per sempre”.
Concordo. E vorrei esprimere il mio pensiero/desiderio,
al di là di ogni valutazione critica per gli atti, e le “parole”, di questo governo.
Il governo Monti è, per il nostro Paese, il primo governo davvero “liberale”,
se conveniamo di dare al termine “liberale”  il suo significato originario
di garanzia di libertà, di autonomia, di responsabilità, di serietà
(torna alla memoria Piero Gobetti), di competenza,
e soprattutto di attaccamento leale alle istituzioni.
Il governo Monti è il primo governo non interessato a “occupare” lo Stato,
ma a “liberare” lo Stato (e la società) dalle incrostazione di rendite di posizioni;
è il primo governo senza un “padrone”, sia esso un partito o un leader;
è il primo governo non obbligato a ubbidire ai signori delle tessere,
nel rispetto di consolidate prassi spartitorie di governo;
è il primo governo non costretto a incrementare i più disparati clientelismi,
né a nutrire d’appalti le “cricche”, né a inventare factotum alla “bertolaso”
(non è qui sferrato – sia chiaro- un colpo alla persona di Bertolaso,
ma al suo ruolo nel sistema), né a nominare consiglieri alla Lavitola
(e qui il riferimento è anche al tipo di persona!),
ma, al contrario, animato dall’idea di aprire nuove vie al merito;
è il primo governo senza servizi e sostegni coperti da Gladio, P2, P3, P4,
ma, semmai, sensibile a seguire procedure di trasparenza;
è il primo governo impegnato a diffondere un civismo nazionale,
ora attraverso la lotta all’evasione,
ora attraverso il disegno di una nuova idea di equità.
Tutti i governi, della Prima e della Seconda (si fa per dire!) Repubblica,
chi più, chi meno, hanno sempre governato dei “sudditi”;
il governo Monti è il primo governo a governare dei “cittadini”.
Nel prossimo futuro l’Italia potrà, quindi, tornare “liberamente” a votare,
a destra o a sinistra, senza alcun rischio di reciproca delegittimazione
tra le opposte parti. E senza confusioni o trasversalismi di convenienza.
La destra sarà la destra, la sinistra imparerà a essere sinistra.
Indietro non si tornerà. Anche perché le nuove generazioni…
E, per dirla tutta, l’Italia non è stata mai così unita, 
sul piano delle culture politiche e sul piano geografico tra nord e sud, come ora,
avendo, alla Presidenza della Repubblica, un uomo colto e ben educato,
di formazione socialista e del Regno delle Due Sicilie,
e, alla presidenza del Consiglio, un uomo colto e ben educato, 
di formazione liberale e della Provincia di Varese in Padania.
O no?
Severo Laleo

domenica 5 febbraio 2012

Il Manifesto degli insegnanti. Variazioni in giallo




1. Amo insegnare. Amo apprendere. Per questo motivo sono un insegnante.
Scelgo di fare l’insegnante per essere a disposizione piena e sempre dalla parte delle persone in età/condizione di formazione. Con amore.
2. Insegnerò per favorire in ogni modo possibile la meraviglia per il mondo che è innata nei miei alunni. Insegnerò per essere superato da loro. Il giorno in cui non ci riuscirò più cederò il mio posto ad uno di loro.
Non so se la meraviglia e il desiderio di libertà siano innati, ma insegnerò certamente per favorire i processi di autonomia/indipendenza/libertà di tutte/i  le/gli alunne/i in qualche modo in contatto con la mia professionalità. Non avrò con le/gli alunne/i alcun rapporto di superiorità/inferiorità, ma solo e sempre rapporti di parità, pur nella differenza dei ruoli.
3. Insegnerò mediante la dimostrazione e l'esempio, il riconoscimento dei miei errori illuminerà il mio percorso.
 Insegnerò mediante la dimostrazione e l'esempio, la discussione e le emozioni;  il riconoscimento dei miei errori illuminerà il mio percorso.
4. Accompagnerò i miei alunni alla scoperta della realtà che li circonda, assecondando e stimolando in ognuno di loro la curiosità e la ricerca, le domande e la passione.
Accompagnerò alunne e alunni alla scoperta della realtà che li circonda, assecondando e stimolando in ognuno di loro la curiosità e la ricerca, le domande e la passione.
5. Non potendo trasmettere ai miei studenti la verità, mi adoprerò affinché vivano cercandola.
Non potendo trasmettere agli studenti la verità, mi adoprerò affinché vivano cercandola.
6. Incoraggerò nei miei studenti l’impegno e la volontà di migliorarsi costantemente e di non rassegnarsi mai di fronte alle difficoltà. Io stesso provvederò a formarmi e aggiornarmi continuamente.
Sarò accanto agli studenti nei momenti di ogni tipo di difficoltà . E per essere sempre pronto in quest’azione di empatia, provvederò a formarmi e aggiornarmi continuamente.
7. Farò in modo che la scuola sia il mondo, e non un carcere.
Farò in modo che la scuola non sia un carcere, eliminando dall’azione didattica le “manette” del trinomio lezione-interrogazione-voto, ma offrendo tutti gli strumenti possibili per la comprensione del mondo.
8. Non trasmetterò ai miei studenti saperi rigidi e preconfezionati. La mia visione del mondo mi guiderà, ma non sarà mai legge per loro. Il dubbio e la critica saranno i pilastri della mia azione educativa.
Non costruirò insieme agli studenti saperi rigidi e preconfezionati. La mia visione del mondo mi guiderà, ma non mi impedirà di aprirmi senza riserve al loro mondo. Il dubbio e la critica saranno i pilastri della mia azione educativa.
9. Promuoverò lo studio per la vita e contrasterò lo studio per il voto.
Promuoverò lo studio e la ricerca per l’ampliamento degli spazi di libertà/autonomia/indipendenza di ogni studente.
10. Raccoglierò elementi di valutazione, rifiutando approcci semplicistici e meccanici che non tengano conto delle situazioni di partenza, dei progressi, dell’impegno e della crescita complessiva del singolo alunno.
Raccoglierò tutti gli elementi di valutazione per sostenere al meglio le/gli alunne/i  nel loro personalissimo percorso di apprendimento, ma offrirò/garantirò a tutte/i la PROMOZIONE, utilizzando tutte le risorse necessarie per raggiungere l’obiettivo (purtroppo ancora al nostro sistema scuola sconosciute).
11. Lotterò affinchè la scuola sia la scuola di tutti, la scuola in cui ogni studente possa apprendere seguendo tempi e tragitti individuali. Farò in modo che i miei studenti mi scelgano e non mi subiscano.
Lotterò affinché la scuola sia la scuola di tutti, la scuola in cui ogni studente possa apprendere seguendo tempi e tragitti individuali. Sarò comunque sempre pronto a rispondere ai bisogni formativi degli studenti, sia se mi scelgono, sia se mi subiscono.
12. Aiuterò i miei alunni a illuminare il futuro leggendo il passato e vivendo in pienezza il presente. Li aiuterò a stare nel mondo così com'è, ma non a subirlo lasciandolo così com'è.
Aiuterò gli studenti con ogni strumento didattico, soprattutto attraverso la storia e l’educazione etico-politica, a diventare persone libere nel mondo.
13. Resterò fedele a questi punti in ogni momento della mia azione educativa, pronto ad affrontare e superare tutti gli ostacoli formali e burocratici che si presenteranno sulla mia strada.
Resterò fedele a questi punti in ogni momento della mia azione educativa, pronto ad affrontare e superare, da solo e con gli altri, con o senza organizzazione, tutti gli ostacoli formali e burocratici che si presenteranno sulla mia strada, pagando di persona se necessario.
O no?
Severo Laleo


Il governo Monti, il tabù e la cultura del limite



Il nostro Presidente del Consiglio,
attento a suo modo a procacciare per l’Italia investimenti dall’estero,
ma scarsamente preoccupato di estendere i diritti di civiltà nel suo Paese
(non esiste crescita economica senza un’estensione dei diritti sociali:
non han forza il Salva Italia e il Cresci Italia senza il Migliora Italia),
da liberale vero (inganno ad arte, al contrario, fu la “rivoluzione liberale” di SB),
e, per fortuna di tutti, specie a sinistra, un liberale con le carte in regola,
anche se, purtroppo, non privo di “virtù” italiche,
intende ora sgranare i limiti di legge al potere di licenziamento,
con gran fatica negli anni conquistati,
con un ritornello per niente tecnico e liberale: l’art. 18 non è un tabù.
Maledizione: ma è lingua da tecnici questa? Dov’è la chiarezza?
Personalmente non ho alcuna motivazione inconscia nel difendere,
non un tabù, ma semplicemente, sia pur datato, un esito,
qual è l’art.18, di un sofferto, ruvido, percorso storico. E di lotte.
L’art.18 giunge, nel 1970, a disciplinare le modalità
per la “reintegrazione nel posto di lavoro
del lavoratore ingiustamente licenziato, nel rispetto di una legge del 1966.
Fino al 1966, all’approvazione cioè della legge 604,
da parte di un Parlamento zeppo di rivoluzionari
(democristiani, repubblicani, socialisti),
il potere di licenziamento del lavoratore da parte del datore di lavoro
era assoluto, arbitrario senza controlli di legge, “ad nutum”.
Il padrone, così una volta ci si esprimeva, aveva un potere illimitato
nel togliere al lavoratore “il posto di lavoro e il pane”.
E si arrivò a quel 1966, con gran ritardo rispetto ad altri Paesi europei,
grazie all’impegno, civile innanzitutto, di un contadino sindacalista del Sud
(ma non riferite la notizia delle origini ai leghisti), un tal Di Vittorio,
il quale gridò  l’arretratezza della norma del licenziamento “ad nutum”,
e invitò a porre un “limite” al potere incontrollato di licenziamento
attraverso la nozione di “giusta causa”.
Perché, dunque, con la scusa dell’inesistente tabù, si vuol tornare indietro?
Esiste, forse, nascosta dietro il tabù, 
una “giusta causa” ad hoc per ridurre i diritti?
Se Monti continuerà a sgranare i limiti di legge al potere di licenziamento,
la cultura del limite da liberale si farà socialista.
O no?
Severo Laleo

mercoledì 1 febbraio 2012

Il professor Monti detta la linea ai giovani


Ha detto Monti nell'intervista a Matrix:
"Tutte le cose che stiamo cercando di fare sono operazioni
di ricerca della consapevolezza.
I giovani devono abituarsi all'idea che non avranno un posto fisso 
per tutta la vita. 
E poi, diciamolo, che monotonia".

Qualche distinguo diventa necessario.
1.      Il  “fare” del  governo del professor Monti sappiamo dunque
avere anche un intento pedagogico nella “ricerca della consapevolezza”.
Bene. Il tentativo è apprezzabile, sul serio, ed è gradito, molto,
specie dopo anni di retorica della disastrosa “politica del fare”
per il fare del berlusconismo gaudente.
Ma guai a indicare a priori qual è l’esito della “consapevolezza”:
la ricerca è tanto più libera e feconda se è e rimane aperta.

2.      Ora, a noi pare, il professor Monti è stato chiamato dal presidente Napolitano
a presiedere il Governo del nostro Paese con la missione (si fa per dire!)
di salvare i conti e aprire una fase di crescita.
Questi i suoi importanti compiti.
Ma tra questi non c’è certo il compito di rivolgere la parola ai giovani
con il “servil” verbo: “devono”.

3.      Il professor Monti, non vorrei sbagliare, ha svolto la sua vita di lavoro,
quasi interamente, tra gli studi, l’insegnamento e l’amministrazione.
A suo modo ha goduto di un “posto fisso”, senza soffrir “monotonia”.
E sì, perché la “monotonia” di un posto fisso a vita è ben accettabile,
se la sicurezza di un buon reddito contribuirà a rendere la vita oltre il lavoro
ricca di “divertimento”, nel senso pieno del termine, di uscita dalla monotonia.
Anzi, e purtroppo, è così ambito il “posto fisso” che spesso il "posto fisso"
del genitore tende a diventar "posto fisso" del/la figlio/a.

O no?
Severo Laleo