venerdì 25 novembre 2022

Antonello Caporale, Soumahoro, il diritto all’eleganza e il sorteggio

 


Oggi Antonello Caporale ha scritto sul Fatto Quotidiano,

con rammarico sincero e vivo, a partire dalla “carne” delle sue idee,

idee di sinistra, un lucido, condivisibile articolo sulla vicenda

Soumahoro, senza tuttavia “ripercorrerla” quella vicenda,

ma soffermandosi sul grave danno (“un proiettile al cuore)

portato alla sinistra dal suo apparire.

E aggiunge: “Questa vicenda ci punisce più di una sconfitta elettorale,

ci dice che le elezioni non sono il catalogo dal quale scegliere

il migliore di turno, il volto più telegenico, l’eloquio più emozionante,

il coraggio meglio esibito ma il saldo di cinque anni di lavoro,

magari oscuro ma pulito, sincero.”

Non si puo’ non essere d’accordo. 

E prima di tornare al punto (per una personalissima conclusione)

si concedano due riflessioni:

1. praticare le “idee” di sinistra non è facile senza aver interiorizzato,

con profonda e rigorosa consapevolezza, una visione della vita

(e insieme dell’agire verso il “prossimo”) fondata sull’idea dell’uguaglianza,

della democrazia di libere e incondizionabili istituzioni, della trasparenza,

della solidarietà, della parità assoluta uomini/donne (e Caporale

sembra voler stare dentro questa visione e sa e dice che la destra

non ha remore a vivere il suo essere di “destra”, anzi, esperta di come

va il mondo, invita, questa destra, a non farsi illusioni: il denaro tutto supera

e vince!);

2. immaginare una sinistra “minoritaria”, a causa di queste difficoltà

nel praticare idee di sinistra, è sbagliato, perché esiste una grande maggioranza

di persone, dai livelli culturali i più disparati, ma di solida coscienza etica,

magari sparse tra i diversi partiti e soprattutto tra i senza partito, in attesa

di una “rivoluzionenella direzione del primato della Politica 

e della sua “serietà” ideale e di vita. Una direzione si spera obbligata.

Soumahoro aveva aperto, proprio tra queste persone, una reale speranza

di cambiamento nel suo continuo porre l’attenzione sugli “ultimi

(e nella memoria di qualche anziano corrrevano le parole di E. Berlinguer!),

una speranza però caduta miseramente, soprattutto quando a sua difesa

-così si apprende incredibilmente dai giornali- ha voluto sostenere un inedito

diritto all’eleganza” solo per giustificare acquisti costosi!

(E dimentica colpevolmente quanto sia importante per l’eleganza in sé 

il suo imprenscindibile carico di delicatezza e mitezza.)

E torniamo al punto: l’affermazione “le elezioni non sono il catalogo

dal quale scegliere il migliore di turno ...” sembra, nell’esaminare la storia

recente, almeno dagli anni pre e post Tangentopoli, esprimere una verità

innegabile, solo se si enumerano le “personalità” salite al palco del successo

e del potere, grazie a gare vuote di Politica e di Etica Pubblica.

La retorica bugiarda e imbrogliona ha soppiantato l’argomentazione

informata, e il rito/circo mediatico ha soppiantato l’incontro con le persone,

specie là dove le persone sono sole e abbandonate. Per non dire dell’odio

abbondantemente sparso, solo al fine di raccattar consenso tra chi ha paura,

contro chi, a prescindere dalle cause, “non ce la puo’ fare,

Il nostro sistema di scelta di rappresentanti/amministratori/governanti”

è fallimentare; ognuno infatti puo’ scrivere il suo elenco di “improbabili”

personalità al potere tanto lungo, da poter facilmente arguire che con il sorteggio

non potrebbe statisticamente andar peggio. 

Con il sorteggio, i/le “leader” resteranno nei partiti a diffondere la bontà 

delle idee e di visione del mondo, a orientare le scelte della Politica, 

a raccogliere voti e seggi sui programmi, a dirigere una corale partecipazione 

nel costruire un consenso libero da legami personali, mentre nelle istituzioni 

andranno personalità sorteggiate, in pari numero uomini e donne, 

nel rispetto del risultato elettorale, da un elenco di candidate/i ad hoc preparato 

da ogni partito, nel rispetto di certi, definiti, condivisi criteri, 

a salvaguardia del buon agire di tutte/i nell’interesse pubblico.

O no?

Severo Laleo

giovedì 17 novembre 2022

G20, Sierra Leone e le donne

 
Oggi 17 novembre, nel giorno di Santa Elisabetta 
di Ungheria, donna impegnata/attiva nel sociale 
a difesa/sostegno delle persone povere, può venire utile accostare due notizie riguardanti mondi/fatti apparentemente distanti tra loro.
La prima notizia è targata Ansa: "E' quasi tutto al maschile il G20 che si è aperto oggi a Bali sotto la presidenza dell'Indonesia. Al tavolo nella sessione di apertura, secondo quanto riferito, siedono infatti 41 partecipanti e solo 4 donne..."
La seconda la si legge sul sito Africa: "Il parlamento della Sierra Leone ha approvato all’unanimità 
un disegno di legge che garantirà che un membro 
su tre e un terzo di tutti i consiglieri locali siano donne. 
Il disegno di legge andrà ora al presidente Julius Bio 
per essere convertito in legge."
La prima considerazione. Perché i paesi più "ricchi" 
al mondo (G20) presentano, quando si mostrano in pubblico, un solo dominante aspetto fisico (e culturale), tutto al maschile? (L'immagine dei "potenti" della terra è quasi sempre una macchia scura opprimente nonostante qualche allegra cravatta.) Perché il "potere" non si interroga su questa insopportabile "macchia"? Perché i femminismi nel mondo "ricco" non insistono per riforme delle istituzioni nella direzione della parità assoluta uomini/donne? Perché solo alle donne si chiede (e spesso ahimè anche da parte di altre donne insospettabili) l'obbligo di "meritare" il "posto" nelle istituzioni in virtù di qualità e competenze? Eppure, 
se pari qualità e competenze si chiedessero ai tanti "maschi", le istituzioni si svuoterebbero oltre ogni misura.
La seconda considerazione. Perché un paese povero, tanto povero, la Sierra Leone, non appartenente all'"occidente dei diritti", si avvia a fissare per legge, sia pure nelle istituzioni locali, una presenza di donne pari a un terzo del numero totale della rappresentanza? Perché "laggiù" ritengono così importante la presenza delle donne nelle istituzioni 
al punto da approvare una legge ad hoc? È forse disdicevole prendere esempio dalla Sierra Leone e fissare per legge, senza altri indugi, la parità assoluta uomini donne nel Parlamento? (E da noi la presenza delle donne con le ultime elezioni scende sia nel Parlamento sia al Governo.) Se al grande tavolo della vita nel mondo siedono in numero quasi pari uomini e donne, perché al tavolo del "potere" (servizio pubblico per il bene di ogni persona) non debbano sedere in parità uomini e donne? Non esiste una sola ragione valida e difendibile per tanta disparità.
Un'ultima considerazione. Forse se la foto al G20 è oggi quasi interamente monocromatica, è perché ogni "potere" è sempre rappresentato esclusivamente da una sola "figura" (donna o uomo non ha importanza), in virtù di una passiva accettazione di una forma di "guida" politica che è un esito storico della cultura maschilista, cioè il monocratismo. Se, al contrario, si immagina una "guida duale", almeno per i paesi a democrazia consolidata, la foto dei paesi "potenti" avrebbe più colori.
E forse parità assoluta uomini donne nelle istituzioni e nei governi, e guida duale nelle posizioni di vertice  (bicratismo) molto probabilmente potrebbero rappresentare il superamento definitivo del patriarcato e dei suoi guasti.
O no?
Severo Laleo

venerdì 28 ottobre 2022

Berlusconi, il governo Meloni e Gobetti


Berlusconi vota in Senato la fiducia a Meloni e insieme chiude definitivamente la sua, e dei suoi sbraitanti epigoni/imitatori, imbarazzante era (aperta proprio con un interessato sdoganamento del fascismo). 

Avrà cmq il "merito" di aver scritto così l'ultimo capitolo dell' "autobiografia della nazione", perché, al termine di questa sua avventura, ora in corso con la sua allieva di lunga data, Meloni, l'Italia chiuderà, al pari della Germania, i suoi conti con il fascismo, una volta per tutte; infatti, quando questi al governo presto cadranno, non più risorgeranno (per la forza intrinseca della nostra pur imperfetta democrazia).

E nulla sarà come prima. L'auspicata da Gobetti "rigenerazione" liberale e democratica, con cent'anni di ritardo, sarà compiuta. Almeno si spera.

O no?

Severo Laleo 

sabato 8 ottobre 2022

Annie Ernaux, “Memoria di ragazza”: il senso di scrivere, la corazza e il maschio

 


Caro Scapece,


hai visto? Avevi ragione. Il Nobel, nonostante tutto, serve, è davvero utile, 
almeno ti fa conoscere un sacco di persone che hanno dato (e danno)
molto alla umanità nostra strana (sì, strana, non vedi quante persone sono ancora 
senza paura della guerra!), anche attraverso la letteratura. Quest'anno il premio 
per la letteratura è toccato a Annie Ernaux.
Appunto, grazie a questo premio, ho subito voluto conoscere Annie Ernaux
leggendo una sua opera, e ho scelto "Memoria di ragazza".
Ho avuto difficoltà all'inizio a leggere. Una scrittura “nuova”. 
Almeno per me, lettore precario.
Non è una "storia" costruita nel rispetto di un canone, al contrario, è proprio 
un racconto/confessione di un brandello di vita (correva l'anno 1958) visto 
da lontano nel tempo, scavando sì nella memoria, ma cercando di ricostruire, 
con attiva partecipazione, luoghi, azioni, contesti, pensieri, di quei momenti. 
Il racconto riguarda una ragazza di 18 anni che vive il suo primo incontro 
con l'altro (il maschio, l'uomo, H.), nella sua prima uscita oltre la sua 
abitazione/ambiente, lontano dalla famiglia, da padre e madre.
La scrittura è intrigante, a volte spezzata, estranea, ma cmq cattura: e potresti 
perderti nel suo insistere sempre tra la descrizione puntuale del fatto 
in quel presente e i rimandi ad una memoria in qualche modo sorvegliata 
e aperta, sofferta e indifferente. Più che altro una memoria che vuole 
scandagliare il passato con il coraggio di dire di sé, succube e padrona 
della vergogna, ma anche allontanando quel sé dal proprio sentire attuale: 
tanto è comunque successo! 
Il gioco di scrittura di "andare e tornare", rappresentando la realtà della vita, 
della vita facilita la comprensione. Quante ragazze possono riconoscersi 
in quel processo (anche se i tempi sono molto cambiati), in quel sentirsi 
nell'abbandono degli eventi senza possibilità quasi di intervenire in una fase 
delicata della propria crescita personale? Non sembra forse un tratto universale 
della gioventù? Una sfida a porsi fuori da sé in libertà, senza nascondimenti.
Eppure qualcosa non di scontato è successo nel 1958. 
Perché “Memoria di ragazza” racconta anche la facilità irriflessa della rottura 
di una corazza religiosa, etica, culturale, costruita addosso, maglia su maglia, 
inesorabilmente, da una madre molto premurosa e tuttavia di sguardo 
lungimirante (e da un ambiente chiuso, povero, scandito da tempi dal ritmo 
cattolico): basta l’ingresso in una “colonia” per tirar via quei lacci mai annodati 
della corazza. Senza tormenti, comunque assenti nel racconto.
Tutto scorre via. Non trovi un’idea dell’”amore”, e completamente manca 
il progetto di vita, così fortemente radicato in quella generazione, 
specie se di ambiente/formazione cattolica. 
Di colpo "ciò che credevano di essere, scompare".
Ma un progetto in nuce forse esiste, ed è il desiderio di sé e dell’Altro. 
L’amore capita essere l’incontro un po’ casuale, 
un po’ cercato, un po’ caduto addosso, poi ardentemente desiderato, 
nel suo aspetto corporeo.
Mentre il sé è indagato, scavato, allontanato, ripreso, portato in luce agli sguardi 
di tutti, il “maschio” è appena abbozzato, forse di proposito. Il maschio 
ne esce “selvaggio”, dominato a sua volta dal “desiderio” e basta. 
Un ignaro schiavo. Altro che padrone: sarà padrone anche delle sue mosse, 
ma le mosse affondano nell’indistinto del desiderio.
Nella “memoria” H. è un oggetto sì di desiderio, ma anche un fantasma, 
senza parole, solo gesti e sesso (anche se in una foto futura sarà al centro 
di una grande famiglia).
La “memoria” restituisce un solo caso di “gentilezza” nella relazione, 
un solo “ti amo”, di Pierre D, che non si lascia schiacciare dal “desiderio”, 
perché nella mente ha anche altro. E durevole nel tempo: in una lettera 
ricorda ancora “la bella ragazza”.
Ti sembrerà strano, caro Scapece: anche se nel leggere non ho incontrato 
i grandi problemi, pur sento il desiderio di rileggere il racconto, 
perché vorrei meglio capire il senso della scrittura di Annie (itinerario nel sé? 
è troppo: intento pedagogico?); più volte Annie Ernaux tocca questo punto, 
ma credo di non averlo compreso appieno, ho bisogno di rileggere 
Memoria di ragazza.
E non mi basta la sua dichiarazione: "A che scopo scrivere, d'altronde,
se non per disseppellire cose, magari anche una soltanto, irriducibile
ogni sorta di spiegazione -psicologica, sociologica o quant'altro-,
una cosa che sia il risultato del racconto stesso e non di un'idea precostituita
o di una dimostrazione, una cosa che provenga dal dispiegamento
delle increspature della narrazione, che possa aiutare a comprendere
-a sopportare- ciò che accade e ciò che facciamo".
Stammi bene, caro Scapece, e sempre buone cose.
Severo

giovedì 8 settembre 2022

Una donna al potere è un cambiamento?

 



Si è parlato molto, e a più livelli, del successo politico di “una donna

nella sua corsa, pare senza ostacoli (mah!) verso Palazzo Chigi.

Non poche donne, anche di cultura femminista, valutano positivamente,

almeno sul piano di una rottura nuova e forte con la tradizione,

l’arrivo (cmq ancora molto in forse) alla Presidenza del Consiglio

di una donna, a prescindere. E tutte/i argomentano in qualche modo la novità.

E ognuna/o pone le sue ragioni.

Indubbiamente la persona donna al potere fa sì notizia, spezza sì,

con la sua presenza fisica, il dominio degli uomini ancora ben presenti

e radicati dappertutto, e sempre pronti a riagganciare il potere, ma di per sé,

per il semplice fatto di essere donna, non ha/avrà alcuna possibilità

di migliorare la vita di tutte le donne, se non ha, e non pratica,

una visione definibile, per brevità, femminista.

Molto chiara, in questo senso, la riflessione di M. Caiani

e F. Stefanutto Rosa, il Mulino, 8 Settembre 2022.


E torna la domanda: una donna al potere è un cambiamento per tutte/i?

A parità di assetti, ormai codificati di potere, il cambiamento non esiste,

anche se certamente esisteranno differenze nella gestione politica, 

nel rapportarsi con le istituzioni, nella partecipazione personale a eventi 

e situazioni. (E tante donne con responsabilità di governo hanno saputo 

imprimere alla propria azione una valenza di innovazione.)


Gi attuali assetti del potere segnano ancora, nelle essemblee di rappresentanza

e nelle sedi di “governo”, una sproporzione di presenza tra uomini e donne,

una sproporzione tutta a vantaggio degli uomini, senza giustificazione alcuna;

ora se questi assetti non vengono modificati nessuna donna potrà mai essere

il cambiamento.


E’ tempo, per uomini e donne, di riflettere su cambiamenti possibili 

nelle istituzioni, studiando/definendo forme di organizzazione del potere 

completamente nuove, dove, ad esempio, nelle assemblee e nei governi, 

la parità assoluta uomini/donne sia stabilita per legge e non affidata al caso 

e/o al buon intendimento del “capo” di turno, sia questi un “capo” partito, 

sia questi un “capo” di governo.

E magari riflettere sulle origini del monocratismo (perché ogni struttura 

di potere ha e deve continuare ad avere sempre e solo “un capo”, 

uomo o donna che sia?), sperimentando forme di direzione duale, più corrette 

sul piano formale, più produttive sul piano delle decisioni/azioni.

A ciascuno/a le proprie idee, ma il confronto a due, uomo/donna, 

in ogni situazione, anche molto difficile (pace e guerra) potrebbe garantire 

una migliore qualità della decisione politica.

Con un’organizzazione del potere centrata sulla parità assoluta uomini/donne,

anche nella carica per eccellenza monocratica (Presidenza del Consiglio), 

forse il cambiamento sarà a tutte/i chiaro. Perché il soffitto di cristallo può 

andare in frantumi solo con una riforma/rivoluzione istituzionale.

O no?

Severo Laleo

(nel giorno di Elisabetta II)




lunedì 9 maggio 2022

Un'iniziativa per la pace. Da parte delle vittime

 Ormai è chiaro, i capi di Stato, a vario titolo impegnati in questa assurda, insensata, orrenda guerra, quasi tutti maschi, con i limiti propri (evidenti e non contrastati) di una cultura, chi più chi meno, tutta maschilista, non sono stati in grado di trovare le "parole' giuste per avviare trattative a oltranza per risolvere la guerra scatenata dalla Russia contro l'Ucraina. E tanto forse (non avendo noi la possibilità di scoprire chissà quali altri oscuri interessi), perché questi "capi", a cultura maschilista dominante, sono imbrigliati dalla logica (emotiva) del vincere/perdere.

Muti di parola, parlano con le armi (qualunque forma vestano).


È giunta l'ora, dopo tante morti e sofferenze, della rivolta del mondo pacifista, del pacifismo senza se e senza ma, del pacifismo universale. I mille movimenti pacifisti del mondo non possono limitarsi a dire/scrivere di volere la pace. Di fronte all'impotenza dell'ONU e dei grandi della terra, tutti schiavi di regole capestro e favorenti l'immobilismo, è necessario prendere con forza, noi persone "semplici", in quanto cmq vittime, dirette e/o indirette della guerra,  un'iniziativa di manifestazione politica di una volontà generale di pace.

Un'iniziativa internazionale per gridare, con una sola voce, "vogliamo il cessate il fuoco" e "vogliamo un tavolo di pace", per risolvere tutti i problemi/causa del contenzioso.

A organizzare/gestire questa manifestazione dovrebbero essere i mille movimenti delle donne, non a caso ora ributtate, insieme a figlie/i, dalla guerra negli scantinati e nei corridoi cd umanitari a perpetuate il destino di vita dell'umanità, mentre i maschi si scannano a vicenda tra loro inseguendo la morte.

È ora di un nuovo One Billion Rising per la pace.

O no?

mercoledì 27 aprile 2022

Il Papa, la Premier Kallas e la presenza della donna al Potere



Vorrei provare a porre, forse un po’ forzatamente, su un medesimo piano,
per una riflessione aperta, parole proferite in contesti molto diversi
da persone distanti tra loro, ma con un medesimo pensiero/assillo nella testa.


Agli inizi di aprile, nel suo viaggio apostolico a Malta, Papa Francesco
ha ricordato: “La tenerezza delle madri, che danno al mondo la vita,
e la presenza delle donne sono l’alternativa vera alla logica scellerata
del potere, che porta alla guerra
. Di compassione e di cura abbiamo 
bisogno,
  non di visioni ideologiche e di populismi, che si nutrono 
di parole d’odio e non hanno a cuore la vita concreta del popolo, 
della gente comune.”


Sempre in Aprile, in un’intervista al Times, la Premier dell’Estonia, 
Kallasha sostenuto: "Forse è molto sessista, ma lo dirò comunque: se avete dato, se hai dato alla luce una vita umana, togliere la vita al figlio di un'altra madre è così crudele". ilFattoquotidiano.it, in sintesi, così ricostruisce l’affermazione di Kallas, ispirata dal libro Il declino della violenza di Steven Pinkerpsicologo di origine canadese: “Se al Cremlino ci fosse stata una donna l’invasione dell’Ucraina non ci sarebbe mai stata.


Per il Papa Francesco, quindi, “la presenza delle donne è l’alternativa vera alla logica scellerata del potere, che porta alla guerra”, e per la Premier Kallas, “l’invasione dell’Ucraina non ci sarebbe stata,
con una donna al Cremlino.


Ognuna/o di noi è invitata/o a riflettere, e non può, per pigrizia mentale e/o per inveterati luoghi comuni, cavarsela abbandonando il campo, semplicemente non ascoltando (quando non si sminuisce/insulta); 
al contrario, è tempo di comprendere quanto la storia del potere e del dominio, e delle conseguenti guerre, qualsiasi origine abbiano avuto (religioni, nazionalismi, imperialismi, razzismi, scontridi classe, etc.) dipenda dalla cultura maschilista dei capi/governanti, quasi sempre, appunto, “maschi”; tutte le strutture di potere, nelle democrazie meno, più nelle autocrazie, si fondano su questa visione dei rapporti di forza  direttamente alimentata/corroborata da secoli di pratica maschile della volontà di sopraffazione, vestita di ogni pretesa/pretesto e includente ogni possibile atrocità lungo il percorso per la “vittoria”.

Questa logica di guerra per la vittoria non è una logica facile da seguire da parte di tutte le madri per il fatto che “danno al mondo la vita”, “hanno dato alla luce una vita umana”.

Eppure, al di là dell’essere madre o no, il Papa Francesco e la Premier Kallas sottolineano l’importanza della presenza (parlano proprio di presenza), della donna nelle sedi del Potere: entrambi, con convinzione e passione, osano sostenere un legame diretto tra donne e rifiuto della  guerra, quale tempo/spazio “crudele” di violenza, morte e disperazione.
Riflettiamo. Almeno da noi, nelle nostre democrazie in Europa, forse è ora di sperimentare, magari con un impegno convinto dei partiti di sinistra, riforme costituzionali nella direzione della parità assoluta uomini donne nei luoghi istituzionali della rappresentanza e del governo, con l’intento/speranza e di contenere la “logica scellerata del potere che porta alla guerra” e di introdurre, nel servizio politico al bene comune, l’idea/pratica della “cura” con tutte le sue implicazioni dirette e indirette sulla vita delle persone. Per dare alla pace una nuova possibilità e durata.




giovedì 10 marzo 2022

La guerra è sempre e solo un duello

 Scrive @tomasomontanari  nella breve nota di commento alla traduzione, a cura di Nadia Fusini, di un testo "struggente" di Virginia Woolf: "Nessuno  come  Virginia  Woolf  ha  saputo esprimere  la  radicale  alterità  delle  donne  rispetto  alla  guerra:  eterno  “gioco”  bestiale  dei  maschi, frutto  della  loro  (della  nostra)  puerile  e  omicida  volontà  di  potenza." 

Mai come questa volta, in questa assurda guerra tra sordi (nel senso di incapaci di ascoltare) e di muti (nel senso di incapaci di usar parole), l'immagine della guerra come "gioco" bestiale dei maschi è evidente e sotto gli occhi di tutte/i: donne, bambini e persone  anziane costrette a soffrire/fuggire per lasciare libero campo di battaglia agli "uomini", ai "maschi", fino al "duello" finale tra "due" irriducibili. 

È così scoperto il " gioco", e così accettato da quasi tutti gli uomini e da non poche donne, che si fa molta fatica a ragionare, a tentare di aprire la mente, a riflettere e infine a gridare, mentre osserviamo impotenti: "fermatevi, siamo tutte/i coinvolte/i, non solo "i" duellanti. Le persone contano."

Il "gioco" vuole sempre un vincitore e un vinto, senza eccezioni, proprio come nella logica "puerile". 

Questa è la guerra, e non si dica che è propria del "genere umano", è solo del genere maschile (nel senso di strutture di potere ancora intrise, nelle autocrazie più, meno nelle democrazie, della cultura maschile del dominio.) 

Grazie Virginia Woolf.  

lunedì 7 marzo 2022

8 marzo 2022: quest'anno le mimose alle donne russe e ucraine.

 Si sa, si sa da sempre, la guerra è affar di uomini, nel senso di maschi al potere, abituati per natura e cultura a accapigliarsi per raggiungere un obiettivo di dominio, spesso mascherato da ragioni di sicurezza, di economia, di spazio vitale e via di seguito. 

Le relazioni internazionali sono intrise di quest'anima maschilista, se a ogni convegno/incontro/dialogo tra  parti in causa il tema è sempre unico: trovate equilibri territoriali, di armamenti, di risorse per garantirsi reciproca sicurezza. Sul tavolo solo e sempre la pistola. E spesso il più forte impone le sue ragioni, fino all'aggressione. E proprio qui che la cultura del dominio cancella, con il "costi quel che costi" il senso della "cura" nei confronti dei popoli governati. Le persone diventano strumenti per il dominio di questo o dell'altro. La vita stessa viene espropriata in un assurdo crescendo di violenza.

L'assenza di "cura" lascia campo aperto al traffico di morte dell'antico, inveterato spirito di "dominio".

Questo modo di reggere il mondo è da cambiare,

Uomini e donne non possono massacrarsi.

E già la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e la nostra Costituzione aprono spiragli verso il cambiamento. Verso un'idea di pace attiva e dialogante. Manca forse solo la trasformazione delle strutture di potere, oggi a preponderanza maschile, in strutture di potere a parità uomini donne, per dare presenza anche alla cultura della differenza.


Domani 8 marzo, le donne ucraine e le donne russe, con il sostegno di milioni di altre donne in tutto il mondo, in ogni città del mondo, si incontreranno, anche senza un luogo, per  imporre con le  manifestazioni il punto di vista della "cura": il rifiuto della guerra per il rispetto della vita di tutte/i.


A queste donne, quest'anno, le mimose.


domenica 27 febbraio 2022

La guerra a una dimensione: il potere maschile

 Giornalisti, analisti politici, e perfino uomini di Stato hanno definito Putin ora un paranoico, ora un criminale, ora un autocrate violento, anche se non mancano gli adulatori (e chi ha dimenticato le adulazioni!): per ultimo ieri Trump ha definito Putin un genio, un saggio! E vabbè. Evidentemente non appare sbagliato parlare/discutere di guerra cercando di addebitare le responsabilità ad un uomo, a quest'uomo, a quest'uomo criminale o, per qualche altro, a questo genio. E sui social gli epiteti per Putin abbondano e spesso non sono ripetibili. E così, quasi inconsapevolmente, molte/i esperte/i, pur al termine di analisi complesse, si trovano sempre a ricercare le cause  scatenanti della guerra nella personalità di Putin. Ma nessuno riflette sul fatto che non si tratta della paranoia, della criminalità di una persona, di un singolo uomo, ma in realtà della visione della vita e del potere propria di gruppi di maschi, sia politici sia militari, una visione palese, a volte ostentata, in una dittatura, nascosta e latente in una democrazia. 

Il potere dappertutto è saldamente nelle mani di caste maschili. E queste caste continuano ad avere una visione maschilista dei rapporti sociali ad ogni livello con tutte le conseguenze nella logica guerra/pace. 

Ma la guerra riguarda tutte/i, riguarda l'intero genere umano, a maggioranza di donne rispetto agli uomini, e non si può pensare che il potere di vita e di morte delle persone possa ancora dipendere esclusivamente dalla preponderante dimensione maschilista del potere. È ora di riconoscere anche la dimensione femminista del potere, potrebbe essere diversa, potrebbe portare novità. E poiché non sarà possibile al presente portare nelle sedi del potere la visione femminista del mondo e della storia, si spera possano tutte le donne del mondo organizzarsi e manifestare contemporaneamente in tante parti del mondo (hanno già dimostrato di saperlo fare) non solo per richiedere una parte di potere, almeno la metà, per incidere nelle decisioni fondamentali per la vita di tutte/i, ma soprattutto per esprimere il proprio punto di vista libero e forte su questa guerra, dando alle donne russe una sponda per una protesta decisiva e risolutiva, e per portare nelle relazioni tra persone e stati una diversa visione, non più dominata dal maschilismo. O no?


mercoledì 9 febbraio 2022

Amato, le congreghe dei maschi e la democrazia di parità

 


Il 6 Febbraio, nel giorno della beata Giovanna di Portogallo,

per scelta suora domenicana, dopo aver rinunciato, lei,

figlia del Re Alfonso V, al trono, leggo su La Stampa un’intervista

di Mirella Serri al nuovo Presidente della Corte Costituzionale,

Giuliano Amato, convinto sostenitore dell’importanza della presenza

delle donne nelle istituzioni per incrementare il “tasso di democrazia”.

Le donne. Strane storie: qualche secolo fa, in tempi di monarchia,

Giovanna, che, pur pregata di assumere il trono, chiede

di rimanere appartata, vince alla fine la sua difficile battaglia,

oggi, in tempi di democrazia, le donne che pur chiedono di raggiungere

ruoli apicali”, senza pregiudizi, subiscono “la cooptazione maschilista”,

e alla fine sono condannate a restare appartate. Questa la verità.

Eppure per Amato le donne sono essenziali per la democrazia,

soprattutto perché cambiano l’ordine del giorno.”

E spiega: “Quella che oggi per i maschi e per i mezzi di informazione

è cronaca separata dalla politica, per le donne diventa un ineludibile

compito della stessa politica.

La quale non può occuparsi solo di ristori, pur giusti, per i ristoratori

ma deve farsi carico di ragazzi abbandonati a se stessi, vittime dei peggiori

messaggi dei social, che stuprano le loro compagne di classe o perseguitano

i loro compagni più deboli; oppure di genitori che, anziché educare

i loro figli alla convivenza, li rendono aggressivi e intolleranti nelle attività comuni.

Questo è un grande, urgente, tema politico, di cui ho colto peraltro

più di una traccia nel discorso inaugurale del Presidente Mattarella.

D’accordo per carità. Ma la presenza delle donne in democrazia

non può essere sempre, e a volte solo, legata a una funzione aggiuntiva

di “farsi carico” del crescente bisogno sociale di “cura”; la presenza

delle donne nelle istituzioni, secondo quanto normalità richiede,

è essenziale per il buon funzionamento di una democrazia avanzata.

L’intervista è tutta da leggere, perché contiene, pur senza sottolineature,

importanti spunti di riflessione storica e politica, e colpisce soprattutto

per umana sincerità.

Quando Serri, la giornalista, chiede al Presidente “da dove nasce

il suo rapporto positivo con il mondo femminile”, a rispondere non è

il “dottor sottile”, né l’esperto di diritto, né l’uomo politico, ma solo

e semplicemente l’uomo nel suo privato; una risposta fuori dagli schemi,

tanto chiara, quanto ammirevole, tutta presa dalla sua vita privata.

Queste le sue parole: “Ho cominciato a percepire gli effetti della disparità

davanti all'evidenza che ne avevo nella mia stessa vita privata.

La ragazza che ho frequentato fin da quando avevo 14 anni,

la mia attuale moglie Diana Vincenzi, con cui studiavo al liceo

e poi all'università, nel percorso professionale è rimasta penalizzata.

Il nostro comune professore mi diceva "Diana è più intelligente e farà

più strada di te". Invece dopo la nascita dei figli, per consentire a me

di andare a insegnare prima a Modena, poi a Perugia e a Firenze,

lei è rimasta indietro. Solo dopo che fui chiamato a Roma, lei ha potuto

muoversi e fare la sua carriera, mentre io mi occupavo di più della casa.”

Si tratta di una “disparità” sperimentata direttamente e risolta a livello

personale. Bene.

Ma la realizzazione di una democrazia avanzata resta. Le “congreghe dei maschi

non sono più sufficienti, né è più sufficiente “chiamare” le donne,

grazie a uomini “illuminati” per dare alla democrazia la sua funzione

di “attenzione e cura” ai problemi della società.

Forse, per costruire una democrazia avanzata, sono necessarie riforme

costituzionali che vadano nella direzione di garantire una parità assoluta

uomini/donne in ogni sede di dibattito pubblico (Enti Locali e Parlamento)

e di governo (Giunte e Consiglio dei Ministri).

Comunque vada, grazie Presidente Amato.