domenica 29 gennaio 2023

"La vergogna" di Annie Ernaux non è una "camicia da notte stropicciata e macchiata"

 

Caro Scapece,


come va? Tutto bene? Sai ho continuato a leggere Annie Ernaux,

questa volta ho letto “La vergogna”.

Lasciami dire subito dell’essenzialità sconcertante della sua scrittura

e della sua principale caratteristica, questa: proprio quando ti sembra

di essere avvolto dal torpore/noia di un ritmo monotono di dettagli qualunque,

ecco d’improvviso una riflessione illumuina la pagina

e t’accorgi di un intenso legame di senso tra il più piccolo dettaglio

e l’evoluzione psicologica personale verso una amara consapevolezza di sé,

segnata dalla “vergogna”.

E così una ragazza di 12 anni, ancora acerba, e a disagio nel suo “corpo

agli altri inavvertibile, scopre, a partire da un litigio dai toni violenti

tra il padre e la madre (quando “mio padre ha voluto uccidere mia madre”),

il “terrore” e insieme la voglia/forza di raccontare e raccontarsi.

E attraverso il suo personale racconto si svela anche il volto dell’anno 1952

in Francia, in una provincia, in un quartiere, in una scuola, nella chiesa,

in casa, per la strada, nei viaggi (anche fino a Lourdes), alla radio, nei giornali,

nei libri, a cinema, nelle figure di coetanee, parenti e maestre.

Ma, a ben leggere, a dominare é sempre l’analisi delle sue relazioni

con il proprio corpo, il proprio io, i genitori e gli Altri, e per questa via,

lentamente, giunge, attraverso una serie di atti/sguardi degli Altri,

a soffrire la “vergogna” del proprio stato di vita.

E qui, caro Scapece, ho qualcosa da osservare, fuor di letteratura

(si fa per dire), ma solo con l’inopportuno intromettermi nella congerie

dei sentimenti di Annie Ernaux. Anche noi abbiamo vissuto il 1952

in una provincia (è vero, al contrario della Francia del Nord, piena di sole

e da ragazzi!), eppure mai abbiamo incontrato il peso della vergogna, se non,

specialmente tu, bravo chierichetto allora, per qualche peccato speciale.

Semmai, e il ricordo è comune, ricadeva più sugli Altri il peso di gridare

“vergogna” che su di noi il peso di avvertirla. Ma Annie Ernaux a 12 anni

é ragazza sensibile, intelligente, capace di osservare/sentire gli sguardi 

degli Altri e comprenderne il senso, e sa capire quindi di aver perso 

il posto tra la gente “perbene” proprio a partire da quel momento 

di rottura violenta nella sua felicità. “L’aspetto peggiore della vergogna 

é che si crede di essere gli unici a provarla” e all’improvviso, di notte, 

può assumere il volto di una “madre spettinata, taciturna per via del sonno,

in una camicia da notte stropicciata e macchiata (la si usava per asciugarsi

dopo aver urinato).”

E per finire ti vorrei dire di aver trovato gradevole, con note di comicità

involontaria (il testo subisce sempre l’aggressione del lettore!), il racconto

del viaggio a Lourdes e illuminante, e sempre gradevole, la lettura delle pagine

con l’analisi del “tutti sorvegliavano tutti”. Vabbè già ti ho annoiato abbastanza.

Se vuoi/puoi, leggila Annie Ernaux.

Stammi bene e fatti sentire,

Severo.

lunedì 26 dicembre 2022

La "mamma" Meloni, le leggi razziali, la destra e il reddito di cittadinanza

 Giorni fa, la Presidente del Consiglio Meloni ha voluto sottolineare, in un incontro a Roma con la comunità ebraica, l'importanza della sensibilità, propria di chi è "mamma", nella comprensione, fino alla lacrima, delle sofferenze causate alle persone ebree dall'"ignominia" delle fascistissime leggi razziali. Bene, capire il dolore degli altri è atto di generosa solidarietà. E invita alla condivisione.

 Eppure questa sensibilità, dimostrata nei confronti della "resilienza" del popolo ebraico alle leggi razziali, non riesce ad essere dimostrata/praticata nei confronti delle persone povere costrette a ricorrere al reddito di cittadinanza per vivere. In verità, se si scende nel profondo dei movimenti della società, l'obiettivo delle leggi razziali era sì l'isolamento e la persecuzione degli ebrei nella loro "fede" e "libertà" e "identità", ma anche (e soprattutto) il ridurli in povertà, vietando loro moltissime possibilità di attività; a quella povertà, imposta per legge, gli ebrei seppero resistere fino a commuovere oggi, appunto, la (nostra) Presidente del Consiglio. Costringere gli ebrei a un vita in clandestinità e in difficoltà economiche, ora si ammette, fu un tragico errore. Un'ignominia.

È lecito, quindi, stante l'improponibilità di un benché minimo paragone tra la sofferenza totale causata dalla discriminazione razziale e le ristrettezze causate dalla miseria, chiedersi: perché per la distruzione/riduzione del reddito di cittadinanza, che è comunque il togliere dalla povertà un sacco di persone indifese e con ogni sorta di difficoltà, anche personali, la Presidente del Consiglio non pratica la sensibilità propria di una "mamma" nella comprensione di quelle ristrettezze, anzi, al contrario, tenta di lastricare di odiosi ostacoli la strada verso l'uscita, appunto, con il reddito di cittadinanza, dalle sofferenze della povertà proprio delle persone bisognose d'aiuto? (Eppure rispondere ai bisogni degli ultimi è atto di civiltà.)

Forse perché la destra reazionaria, al di là della retorica del pentimento, è tutta invischiata in una cultura politica legata all'idea del "punire", attraverso un comando imperativo salvifico, "chi non ce la fa" e ritiene utile la strada  delle "umiliazioni" e dei "sacrifici" per l'uscita dalla povertà. A chi soffre si chiede "resilienza" perché ottenga comprensione. Esiste, permanente, una linea di continuità nel decidere norme per "fare soffrire" chi si trova in situazione di difficoltà per un qualche motivo. Sì, si tratta di un fare politica in "follia" (Conte). In fin dei conti, è la scelta di un odio di classe ideologico e per giunta infruttuoso, praticato senza sentire vergogna, anche da strani agitati "riformisti". Qui un'analisi documentata di tanto (inutile e dannoso) odio di classe.

E quanto è inopportuno e improduttivo e disumano porre tra le priorità della severità della legge il continuo andare a scovare i "furbetti" del reddito (cmq gente "povera" in più sensi), regalando alla grande evasione risorse umane e strumentali di indagine sempre più deboli e limitate.

Questa è la destra "moderna", sempre pronta a dare addosso a chi non ha difese e spesso esprime anche una "diversa" visione della vita. 

O no?

Severo Laleo


mercoledì 21 dicembre 2022

La cultura è (anche) mitezza

 Seguo con vivo interesse i "professori", quando, grazie alla loro scienza, insegnano contenuti utili a chi ascolta, svolgendo così un'opera civile meritoria; ma quando, senza scienza, giudicano, tra ironie e sarcasmi, le persone e non i fatti e/i comportamenti, non riesco più a seguirli. Mi piace credere che la cultura, quel mix tra scienza/conoscenza e coscienza, abbia nella mitezza un fondamento ineludibile, addirittura indispensabile per il dialogo in democrazia.

PS Scrivo "professori", perché il difetto è soprattutto maschile (anche tra i politici!).

giovedì 8 dicembre 2022

La "differenza" e La donna gelata di Annie Ernaux

Caro Scapece,


vedi? dopo “Memoria di Ragazza” sono di nuovo alle prese

con Annie Ernaux e la sua “La donna gelata”.

Che dire di primo acchito già a inizio lettura?

Si è di nuovo di fronte a un raccontare semplice,

senza sbalzi, proprio di chi segue in ordine le linee essenziali

delle cose, delle persone e delle sensazioni.

Un raccontare, potresti anche dire, almeno all'inizio, da lettera

di confessione di un’innamorata in prova a una persona

da amare, con tutto l’entusiasmo di chi vuol dire

le “sue” cose in "verità", eppure la narrazione, nel suo proseguire

inesorabile, scandita dai nuovi fatti di vita matrimoniale,

riesce a coinvolgerti e a tratti sembra assumere, in qualche modo,

i ritmi/toni dell’epopea (forse esagero un po'!), sia pure del vivere quotidiano.

La scrittura quindi ha sempre il suo fascino, e sempre il suo ritmo

fondato ora sul susseguirsi degli eventi ora sulle pause brevi,

acuminate a volte, comunque illuminanti delle riflessioni.

Il tema questa volta è semplicemente la “differenza” uomo/donna,

visibile soprattutto nel tran tran della vita in comune (non solo),

una differenza presente ab antiquo, ma impossibile da superare,

anche quando si riesce a prendere coscienza della sua reale esistenza,

ma la sua vischiosità è così penetrante da rendere inutile ogni tentativo 

di intessere nuove relazioni alla pari.

Proprio per la specificità del tema non poche volte si avverte,

a scapito dell’intensità soggettiva del racconto, il cedimento

al tasto della denuncia. E, quando questo avviene, ti sembra

di leggere solo un’analisi, lucida e partecipata, di una femminista

nella sua opera di disvelamento della realtà. Scrive A.Ernaux

Una conclusione cinica e razionale, è questo il matrimonio,

scegliere tra la depressione dell'uno o dell'altra, deprimerci

entrambi è uno spreco. Con altrettanta evidenza, il mio posto

è accanto al bambino e il suo al cinema, non è il contrario.”

Ti dirò, caro amico, nonostante il tema in sé si possa ritenere

difficile da gestire sul piano letterario, pur tuttavia quel saper

dire la “propria verità con turbamento ribelle e razionale,

dentro la ricerca di una radicata aspirazione alla “libertà”,

ancora non prevista da chi si trova intorno a te, dona alla scrittura

di A. Ernaux una sua coinvolgente gradevolezza.

Ciao Scapece, ora ti saluto, stammi bene e alla prossima,

il tuo Severo.


venerdì 25 novembre 2022

Antonello Caporale, Soumahoro, il diritto all’eleganza e il sorteggio

 


Oggi Antonello Caporale ha scritto sul Fatto Quotidiano,

con rammarico sincero e vivo, a partire dalla “carne” delle sue idee,

idee di sinistra, un lucido, condivisibile articolo sulla vicenda

Soumahoro, senza tuttavia “ripercorrerla” quella vicenda,

ma soffermandosi sul grave danno (“un proiettile al cuore)

portato alla sinistra dal suo apparire.

E aggiunge: “Questa vicenda ci punisce più di una sconfitta elettorale,

ci dice che le elezioni non sono il catalogo dal quale scegliere

il migliore di turno, il volto più telegenico, l’eloquio più emozionante,

il coraggio meglio esibito ma il saldo di cinque anni di lavoro,

magari oscuro ma pulito, sincero.”

Non si puo’ non essere d’accordo. 

E prima di tornare al punto (per una personalissima conclusione)

si concedano due riflessioni:

1. praticare le “idee” di sinistra non è facile senza aver interiorizzato,

con profonda e rigorosa consapevolezza, una visione della vita

(e insieme dell’agire verso il “prossimo”) fondata sull’idea dell’uguaglianza,

della democrazia di libere e incondizionabili istituzioni, della trasparenza,

della solidarietà, della parità assoluta uomini/donne (e Caporale

sembra voler stare dentro questa visione e sa e dice che la destra

non ha remore a vivere il suo essere di “destra”, anzi, esperta di come

va il mondo, invita, questa destra, a non farsi illusioni: il denaro tutto supera

e vince!);

2. immaginare una sinistra “minoritaria”, a causa di queste difficoltà

nel praticare idee di sinistra, è sbagliato, perché esiste una grande maggioranza

di persone, dai livelli culturali i più disparati, ma di solida coscienza etica,

magari sparse tra i diversi partiti e soprattutto tra i senza partito, in attesa

di una “rivoluzionenella direzione del primato della Politica 

e della sua “serietà” ideale e di vita. Una direzione si spera obbligata.

Soumahoro aveva aperto, proprio tra queste persone, una reale speranza

di cambiamento nel suo continuo porre l’attenzione sugli “ultimi

(e nella memoria di qualche anziano corrrevano le parole di E. Berlinguer!),

una speranza però caduta miseramente, soprattutto quando a sua difesa

-così si apprende incredibilmente dai giornali- ha voluto sostenere un inedito

diritto all’eleganza” solo per giustificare acquisti costosi!

(E dimentica colpevolmente quanto sia importante per l’eleganza in sé 

il suo imprenscindibile carico di delicatezza e mitezza.)

E torniamo al punto: l’affermazione “le elezioni non sono il catalogo

dal quale scegliere il migliore di turno ...” sembra, nell’esaminare la storia

recente, almeno dagli anni pre e post Tangentopoli, esprimere una verità

innegabile, solo se si enumerano le “personalità” salite al palco del successo

e del potere, grazie a gare vuote di Politica e di Etica Pubblica.

La retorica bugiarda e imbrogliona ha soppiantato l’argomentazione

informata, e il rito/circo mediatico ha soppiantato l’incontro con le persone,

specie là dove le persone sono sole e abbandonate. Per non dire dell’odio

abbondantemente sparso, solo al fine di raccattar consenso tra chi ha paura,

contro chi, a prescindere dalle cause, “non ce la puo’ fare,

Il nostro sistema di scelta di rappresentanti/amministratori/governanti”

è fallimentare; ognuno infatti puo’ scrivere il suo elenco di “improbabili”

personalità al potere tanto lungo, da poter facilmente arguire che con il sorteggio

non potrebbe statisticamente andar peggio. 

Con il sorteggio, i/le “leader” resteranno nei partiti a diffondere la bontà 

delle idee e di visione del mondo, a orientare le scelte della Politica, 

a raccogliere voti e seggi sui programmi, a dirigere una corale partecipazione 

nel costruire un consenso libero da legami personali, mentre nelle istituzioni 

andranno personalità sorteggiate, in pari numero uomini e donne, 

nel rispetto del risultato elettorale, da un elenco di candidate/i ad hoc preparato 

da ogni partito, nel rispetto di certi, definiti, condivisi criteri, 

a salvaguardia del buon agire di tutte/i nell’interesse pubblico.

O no?

Severo Laleo

giovedì 17 novembre 2022

G20, Sierra Leone e le donne

 
Oggi 17 novembre, nel giorno di Santa Elisabetta 
di Ungheria, donna impegnata/attiva nel sociale 
a difesa/sostegno delle persone povere, può venire utile accostare due notizie riguardanti mondi/fatti apparentemente distanti tra loro.
La prima notizia è targata Ansa: "E' quasi tutto al maschile il G20 che si è aperto oggi a Bali sotto la presidenza dell'Indonesia. Al tavolo nella sessione di apertura, secondo quanto riferito, siedono infatti 41 partecipanti e solo 4 donne..."
La seconda la si legge sul sito Africa: "Il parlamento della Sierra Leone ha approvato all’unanimità 
un disegno di legge che garantirà che un membro 
su tre e un terzo di tutti i consiglieri locali siano donne. 
Il disegno di legge andrà ora al presidente Julius Bio 
per essere convertito in legge."
La prima considerazione. Perché i paesi più "ricchi" 
al mondo (G20) presentano, quando si mostrano in pubblico, un solo dominante aspetto fisico (e culturale), tutto al maschile? (L'immagine dei "potenti" della terra è quasi sempre una macchia scura opprimente nonostante qualche allegra cravatta.) Perché il "potere" non si interroga su questa insopportabile "macchia"? Perché i femminismi nel mondo "ricco" non insistono per riforme delle istituzioni nella direzione della parità assoluta uomini/donne? Perché solo alle donne si chiede (e spesso ahimè anche da parte di altre donne insospettabili) l'obbligo di "meritare" il "posto" nelle istituzioni in virtù di qualità e competenze? Eppure, 
se pari qualità e competenze si chiedessero ai tanti "maschi", le istituzioni si svuoterebbero oltre ogni misura.
La seconda considerazione. Perché un paese povero, tanto povero, la Sierra Leone, non appartenente all'"occidente dei diritti", si avvia a fissare per legge, sia pure nelle istituzioni locali, una presenza di donne pari a un terzo del numero totale della rappresentanza? Perché "laggiù" ritengono così importante la presenza delle donne nelle istituzioni 
al punto da approvare una legge ad hoc? È forse disdicevole prendere esempio dalla Sierra Leone e fissare per legge, senza altri indugi, la parità assoluta uomini donne nel Parlamento? (E da noi la presenza delle donne con le ultime elezioni scende sia nel Parlamento sia al Governo.) Se al grande tavolo della vita nel mondo siedono in numero quasi pari uomini e donne, perché al tavolo del "potere" (servizio pubblico per il bene di ogni persona) non debbano sedere in parità uomini e donne? Non esiste una sola ragione valida e difendibile per tanta disparità.
Un'ultima considerazione. Forse se la foto al G20 è oggi quasi interamente monocromatica, è perché ogni "potere" è sempre rappresentato esclusivamente da una sola "figura" (donna o uomo non ha importanza), in virtù di una passiva accettazione di una forma di "guida" politica che è un esito storico della cultura maschilista, cioè il monocratismo. Se, al contrario, si immagina una "guida duale", almeno per i paesi a democrazia consolidata, la foto dei paesi "potenti" avrebbe più colori.
E forse parità assoluta uomini donne nelle istituzioni e nei governi, e guida duale nelle posizioni di vertice  (bicratismo) molto probabilmente potrebbero rappresentare il superamento definitivo del patriarcato e dei suoi guasti.
O no?
Severo Laleo

venerdì 28 ottobre 2022

Berlusconi, il governo Meloni e Gobetti


Berlusconi vota in Senato la fiducia a Meloni e insieme chiude definitivamente la sua, e dei suoi sbraitanti epigoni/imitatori, imbarazzante era (aperta proprio con un interessato sdoganamento del fascismo). 

Avrà cmq il "merito" di aver scritto così l'ultimo capitolo dell' "autobiografia della nazione", perché, al termine di questa sua avventura, ora in corso con la sua allieva di lunga data, Meloni, l'Italia chiuderà, al pari della Germania, i suoi conti con il fascismo, una volta per tutte; infatti, quando questi al governo presto cadranno, non più risorgeranno (per la forza intrinseca della nostra pur imperfetta democrazia).

E nulla sarà come prima. L'auspicata da Gobetti "rigenerazione" liberale e democratica, con cent'anni di ritardo, sarà compiuta. Almeno si spera.

O no?

Severo Laleo 

sabato 8 ottobre 2022

Annie Ernaux, “Memoria di ragazza”: il senso di scrivere, la corazza e il maschio

 


Caro Scapece,


hai visto? Avevi ragione. Il Nobel, nonostante tutto, serve, è davvero utile, 
almeno ti fa conoscere un sacco di persone che hanno dato (e danno)
molto alla umanità nostra strana (sì, strana, non vedi quante persone sono ancora 
senza paura della guerra!), anche attraverso la letteratura. Quest'anno il premio 
per la letteratura è toccato a Annie Ernaux.
Appunto, grazie a questo premio, ho subito voluto conoscere Annie Ernaux
leggendo una sua opera, e ho scelto "Memoria di ragazza".
Ho avuto difficoltà all'inizio a leggere. Una scrittura “nuova”. 
Almeno per me, lettore precario.
Non è una "storia" costruita nel rispetto di un canone, al contrario, è proprio 
un racconto/confessione di un brandello di vita (correva l'anno 1958) visto 
da lontano nel tempo, scavando sì nella memoria, ma cercando di ricostruire, 
con attiva partecipazione, luoghi, azioni, contesti, pensieri, di quei momenti. 
Il racconto riguarda una ragazza di 18 anni che vive il suo primo incontro 
con l'altro (il maschio, l'uomo, H.), nella sua prima uscita oltre la sua 
abitazione/ambiente, lontano dalla famiglia, da padre e madre.
La scrittura è intrigante, a volte spezzata, estranea, ma cmq cattura: e potresti 
perderti nel suo insistere sempre tra la descrizione puntuale del fatto 
in quel presente e i rimandi ad una memoria in qualche modo sorvegliata 
e aperta, sofferta e indifferente. Più che altro una memoria che vuole 
scandagliare il passato con il coraggio di dire di sé, succube e padrona 
della vergogna, ma anche allontanando quel sé dal proprio sentire attuale: 
tanto è comunque successo! 
Il gioco di scrittura di "andare e tornare", rappresentando la realtà della vita, 
della vita facilita la comprensione. Quante ragazze possono riconoscersi 
in quel processo (anche se i tempi sono molto cambiati), in quel sentirsi 
nell'abbandono degli eventi senza possibilità quasi di intervenire in una fase 
delicata della propria crescita personale? Non sembra forse un tratto universale 
della gioventù? Una sfida a porsi fuori da sé in libertà, senza nascondimenti.
Eppure qualcosa non di scontato è successo nel 1958. 
Perché “Memoria di ragazza” racconta anche la facilità irriflessa della rottura 
di una corazza religiosa, etica, culturale, costruita addosso, maglia su maglia, 
inesorabilmente, da una madre molto premurosa e tuttavia di sguardo 
lungimirante (e da un ambiente chiuso, povero, scandito da tempi dal ritmo 
cattolico): basta l’ingresso in una “colonia” per tirar via quei lacci mai annodati 
della corazza. Senza tormenti, comunque assenti nel racconto.
Tutto scorre via. Non trovi un’idea dell’”amore”, e completamente manca 
il progetto di vita, così fortemente radicato in quella generazione, 
specie se di ambiente/formazione cattolica. 
Di colpo "ciò che credevano di essere, scompare".
Ma un progetto in nuce forse esiste, ed è il desiderio di sé e dell’Altro. 
L’amore capita essere l’incontro un po’ casuale, 
un po’ cercato, un po’ caduto addosso, poi ardentemente desiderato, 
nel suo aspetto corporeo.
Mentre il sé è indagato, scavato, allontanato, ripreso, portato in luce agli sguardi 
di tutti, il “maschio” è appena abbozzato, forse di proposito. Il maschio 
ne esce “selvaggio”, dominato a sua volta dal “desiderio” e basta. 
Un ignaro schiavo. Altro che padrone: sarà padrone anche delle sue mosse, 
ma le mosse affondano nell’indistinto del desiderio.
Nella “memoria” H. è un oggetto sì di desiderio, ma anche un fantasma, 
senza parole, solo gesti e sesso (anche se in una foto futura sarà al centro 
di una grande famiglia).
La “memoria” restituisce un solo caso di “gentilezza” nella relazione, 
un solo “ti amo”, di Pierre D, che non si lascia schiacciare dal “desiderio”, 
perché nella mente ha anche altro. E durevole nel tempo: in una lettera 
ricorda ancora “la bella ragazza”.
Ti sembrerà strano, caro Scapece: anche se nel leggere non ho incontrato 
i grandi problemi, pur sento il desiderio di rileggere il racconto, 
perché vorrei meglio capire il senso della scrittura di Annie (itinerario nel sé? 
è troppo: intento pedagogico?); più volte Annie Ernaux tocca questo punto, 
ma credo di non averlo compreso appieno, ho bisogno di rileggere 
Memoria di ragazza.
E non mi basta la sua dichiarazione: "A che scopo scrivere, d'altronde,
se non per disseppellire cose, magari anche una soltanto, irriducibile
ogni sorta di spiegazione -psicologica, sociologica o quant'altro-,
una cosa che sia il risultato del racconto stesso e non di un'idea precostituita
o di una dimostrazione, una cosa che provenga dal dispiegamento
delle increspature della narrazione, che possa aiutare a comprendere
-a sopportare- ciò che accade e ciò che facciamo".
Stammi bene, caro Scapece, e sempre buone cose.
Severo

giovedì 8 settembre 2022

Una donna al potere è un cambiamento?

 



Si è parlato molto, e a più livelli, del successo politico di “una donna

nella sua corsa, pare senza ostacoli (mah!) verso Palazzo Chigi.

Non poche donne, anche di cultura femminista, valutano positivamente,

almeno sul piano di una rottura nuova e forte con la tradizione,

l’arrivo (cmq ancora molto in forse) alla Presidenza del Consiglio

di una donna, a prescindere. E tutte/i argomentano in qualche modo la novità.

E ognuna/o pone le sue ragioni.

Indubbiamente la persona donna al potere fa sì notizia, spezza sì,

con la sua presenza fisica, il dominio degli uomini ancora ben presenti

e radicati dappertutto, e sempre pronti a riagganciare il potere, ma di per sé,

per il semplice fatto di essere donna, non ha/avrà alcuna possibilità

di migliorare la vita di tutte le donne, se non ha, e non pratica,

una visione definibile, per brevità, femminista.

Molto chiara, in questo senso, la riflessione di M. Caiani

e F. Stefanutto Rosa, il Mulino, 8 Settembre 2022.


E torna la domanda: una donna al potere è un cambiamento per tutte/i?

A parità di assetti, ormai codificati di potere, il cambiamento non esiste,

anche se certamente esisteranno differenze nella gestione politica, 

nel rapportarsi con le istituzioni, nella partecipazione personale a eventi 

e situazioni. (E tante donne con responsabilità di governo hanno saputo 

imprimere alla propria azione una valenza di innovazione.)


Gi attuali assetti del potere segnano ancora, nelle essemblee di rappresentanza

e nelle sedi di “governo”, una sproporzione di presenza tra uomini e donne,

una sproporzione tutta a vantaggio degli uomini, senza giustificazione alcuna;

ora se questi assetti non vengono modificati nessuna donna potrà mai essere

il cambiamento.


E’ tempo, per uomini e donne, di riflettere su cambiamenti possibili 

nelle istituzioni, studiando/definendo forme di organizzazione del potere 

completamente nuove, dove, ad esempio, nelle assemblee e nei governi, 

la parità assoluta uomini/donne sia stabilita per legge e non affidata al caso 

e/o al buon intendimento del “capo” di turno, sia questi un “capo” partito, 

sia questi un “capo” di governo.

E magari riflettere sulle origini del monocratismo (perché ogni struttura 

di potere ha e deve continuare ad avere sempre e solo “un capo”, 

uomo o donna che sia?), sperimentando forme di direzione duale, più corrette 

sul piano formale, più produttive sul piano delle decisioni/azioni.

A ciascuno/a le proprie idee, ma il confronto a due, uomo/donna, 

in ogni situazione, anche molto difficile (pace e guerra) potrebbe garantire 

una migliore qualità della decisione politica.

Con un’organizzazione del potere centrata sulla parità assoluta uomini/donne,

anche nella carica per eccellenza monocratica (Presidenza del Consiglio), 

forse il cambiamento sarà a tutte/i chiaro. Perché il soffitto di cristallo può 

andare in frantumi solo con una riforma/rivoluzione istituzionale.

O no?

Severo Laleo

(nel giorno di Elisabetta II)




lunedì 9 maggio 2022

Un'iniziativa per la pace. Da parte delle vittime

 Ormai è chiaro, i capi di Stato, a vario titolo impegnati in questa assurda, insensata, orrenda guerra, quasi tutti maschi, con i limiti propri (evidenti e non contrastati) di una cultura, chi più chi meno, tutta maschilista, non sono stati in grado di trovare le "parole' giuste per avviare trattative a oltranza per risolvere la guerra scatenata dalla Russia contro l'Ucraina. E tanto forse (non avendo noi la possibilità di scoprire chissà quali altri oscuri interessi), perché questi "capi", a cultura maschilista dominante, sono imbrigliati dalla logica (emotiva) del vincere/perdere.

Muti di parola, parlano con le armi (qualunque forma vestano).


È giunta l'ora, dopo tante morti e sofferenze, della rivolta del mondo pacifista, del pacifismo senza se e senza ma, del pacifismo universale. I mille movimenti pacifisti del mondo non possono limitarsi a dire/scrivere di volere la pace. Di fronte all'impotenza dell'ONU e dei grandi della terra, tutti schiavi di regole capestro e favorenti l'immobilismo, è necessario prendere con forza, noi persone "semplici", in quanto cmq vittime, dirette e/o indirette della guerra,  un'iniziativa di manifestazione politica di una volontà generale di pace.

Un'iniziativa internazionale per gridare, con una sola voce, "vogliamo il cessate il fuoco" e "vogliamo un tavolo di pace", per risolvere tutti i problemi/causa del contenzioso.

A organizzare/gestire questa manifestazione dovrebbero essere i mille movimenti delle donne, non a caso ora ributtate, insieme a figlie/i, dalla guerra negli scantinati e nei corridoi cd umanitari a perpetuate il destino di vita dell'umanità, mentre i maschi si scannano a vicenda tra loro inseguendo la morte.

È ora di un nuovo One Billion Rising per la pace.

O no?

mercoledì 27 aprile 2022

Il Papa, la Premier Kallas e la presenza della donna al Potere



Vorrei provare a porre, forse un po’ forzatamente, su un medesimo piano,
per una riflessione aperta, parole proferite in contesti molto diversi
da persone distanti tra loro, ma con un medesimo pensiero/assillo nella testa.


Agli inizi di aprile, nel suo viaggio apostolico a Malta, Papa Francesco
ha ricordato: “La tenerezza delle madri, che danno al mondo la vita,
e la presenza delle donne sono l’alternativa vera alla logica scellerata
del potere, che porta alla guerra
. Di compassione e di cura abbiamo 
bisogno,
  non di visioni ideologiche e di populismi, che si nutrono 
di parole d’odio e non hanno a cuore la vita concreta del popolo, 
della gente comune.”


Sempre in Aprile, in un’intervista al Times, la Premier dell’Estonia, 
Kallasha sostenuto: "Forse è molto sessista, ma lo dirò comunque: se avete dato, se hai dato alla luce una vita umana, togliere la vita al figlio di un'altra madre è così crudele". ilFattoquotidiano.it, in sintesi, così ricostruisce l’affermazione di Kallas, ispirata dal libro Il declino della violenza di Steven Pinkerpsicologo di origine canadese: “Se al Cremlino ci fosse stata una donna l’invasione dell’Ucraina non ci sarebbe mai stata.


Per il Papa Francesco, quindi, “la presenza delle donne è l’alternativa vera alla logica scellerata del potere, che porta alla guerra”, e per la Premier Kallas, “l’invasione dell’Ucraina non ci sarebbe stata,
con una donna al Cremlino.


Ognuna/o di noi è invitata/o a riflettere, e non può, per pigrizia mentale e/o per inveterati luoghi comuni, cavarsela abbandonando il campo, semplicemente non ascoltando (quando non si sminuisce/insulta); 
al contrario, è tempo di comprendere quanto la storia del potere e del dominio, e delle conseguenti guerre, qualsiasi origine abbiano avuto (religioni, nazionalismi, imperialismi, razzismi, scontridi classe, etc.) dipenda dalla cultura maschilista dei capi/governanti, quasi sempre, appunto, “maschi”; tutte le strutture di potere, nelle democrazie meno, più nelle autocrazie, si fondano su questa visione dei rapporti di forza  direttamente alimentata/corroborata da secoli di pratica maschile della volontà di sopraffazione, vestita di ogni pretesa/pretesto e includente ogni possibile atrocità lungo il percorso per la “vittoria”.

Questa logica di guerra per la vittoria non è una logica facile da seguire da parte di tutte le madri per il fatto che “danno al mondo la vita”, “hanno dato alla luce una vita umana”.

Eppure, al di là dell’essere madre o no, il Papa Francesco e la Premier Kallas sottolineano l’importanza della presenza (parlano proprio di presenza), della donna nelle sedi del Potere: entrambi, con convinzione e passione, osano sostenere un legame diretto tra donne e rifiuto della  guerra, quale tempo/spazio “crudele” di violenza, morte e disperazione.
Riflettiamo. Almeno da noi, nelle nostre democrazie in Europa, forse è ora di sperimentare, magari con un impegno convinto dei partiti di sinistra, riforme costituzionali nella direzione della parità assoluta uomini donne nei luoghi istituzionali della rappresentanza e del governo, con l’intento/speranza e di contenere la “logica scellerata del potere che porta alla guerra” e di introdurre, nel servizio politico al bene comune, l’idea/pratica della “cura” con tutte le sue implicazioni dirette e indirette sulla vita delle persone. Per dare alla pace una nuova possibilità e durata.