mercoledì 26 novembre 2014

Una vittoria per la democrazia: sovranità conviviale vs sovranità elettorale

Quando tante persone, anzi tantissime, non sentono più il dovere
di andare a votare, il significato è chiaro: niente/nessuno merita
più la fiducia, perché i partiti, in quanto luoghi di dibattito 
e di formazione, sono morti; niente/nessuno merita di “rappresentare
le persone nelle istituzioni, perché troppo spesso
i candidati, ballerini tra una cordata e l’altra, sono indifendibili
sul piano della competenza morale (sì è una competenza,
la moralità, specie in politica, e non un tratto personale del carattere, 
anzi andrebbe “misurata”, con regole trasparenti e controllabili, 
prima di consentire l'accesso a una carica pubblica, 
quale valutazione di merito); niente/nessuno riesce a mobilitare, 
perché ormai è morto anche l’ascolto dei leader dal carisma, 
italiana maniera, esclusivamente affabulatorio.
Una volta c’era Bossi, il populista tuonante contro i più deboli 
della “catena umana”, ora l’epigono è Salvini, il mitragliante,
ma sempre contro gli “ultimi”; una volta c’era il populista Berlusconi,
il genio della comunicazione, il “liberale” (si fa per dire!), ora 
–saltata la distinzione oppositiva destra/sinistra- l’epigono è Renzi
il socialista del futuro è solo l’inizio”; una volta c’era Grillo
il vaffa lucido delle piazze rivoluzionarie, ora è ancora Grillo
inutile barcamenante, l’epigono stanco di sé stesso. 
E tutti maschi pieni di sé. Grandi di Ego.

Eppure per la democrazia non è un giorno nero. E’ un giorno di giubilo.
Le persone, libere di votare, hanno scelto di non votare, lasciando
a una minoranza la responsabilità del “non cambiamento”, 
qualunque sia il suo nome. E insieme la responsabilità
del perdurare della corruzione, dell’illegalità, dell’evasione fiscale, 
della criminalità. In una parola, la responsabilità del crescente 
divario tra povertà e ricchezza, tra chi ha e chi non ha, tra chi può
e chi non può, tra chi conosce il “capo di turno” e chi non conosce 
nessuno. Niente è cambiato. Identico il verso.
La democrazia delle persone alla pari è ancora un’utopia.
Eppure la giustizia sociale non può tollerare, anzi proprio 
non sopporta, la corruzione e la illegalità diffusa 
con i suoi condoni sempre in agguato.

La sconfitta dei leader, nella forma arcaica di lotta tra “galli”,
o nella forma moderna di “giocatori in campo”, è definitiva.
E’ ora di aprire gli occhi. E per la sinistra non è ora di chiedere
a qualche nuovo leader (Landini?) di “scendere in campo
a “giocare la partita”.
La politica è roba seria, di tutti per tutti. E se in Emilia Romagna
e in Calabria è morta con l’astensione di massa la sovranità elettorale 
è ora ormai, almeno a sinistra, di costruire la sovranità conviviale, 
per “la distribuzione equitativa del lavoro e della ricchezza;
per la democratizzazione di tutte le istanze della vita pubblica;
per la fine della corruzione e dell’impunità che hanno trasformato 
il sogno europeo di uguaglianza, libertà e fraternità nell'incubo 
di una società ingiusta, disuguale, oligarchica e cinica”,
per la democrazia delle persone, perché “la democrazia, 
è la capacità di decidere tra tutti ciò che è di tutti” 
(dal Manifesto di sostegno a Podemos).

Il leaderismo, esito storico del maschilismo e della sua visione
del potere, è da superare definitivamente. Le persone libere
non hanno bisogno di conduttori, di comunicatori, 
anche se continueranno a  chiedere a competenti e disponibili 
di assumere l’incarico di coordinare e “originare” le decisioni. 
Ma la struttura di direzione politica nei partiti 
e nelle istituzioni non può continuare a essere monocratica, 
affidata a una figura solitaria, maschile o femminile, 
un Obama o una Merkelquasi a perpetuare il retaggio 
di un’idea di potere medievale, o di vecchia democrazia, 
ma dovrà essere duale, di coppia, bicratica, di un uomo 
e una donna. Solo i maschilisti inconsapevoli non riescono a leggere
e prevedere e immaginare i tanti vantaggi, innegabili, 
sul piano culturale e sociale, derivanti da una nuova struttura duale
del governo. E solo la pigrizia conservatrice non vuole riconoscere
il passo verso una più matura civilizzazione della società.
Le donne non devono più essere chiamate, dal decisore di turno, 
a fare il numero pari, a dare visibilità di contorno. 
Le donne hanno diritto, per legge, attraverso nuove forme 
di organizzazione del servizio potere, di essere sempre alla pari, 
in ogni sede di decisione, per garantire nuove, inedite, 
possibilità di comprensione dei bisogni delle persone tutte,
e nuove possibilità di realizzazione di ogni azione utile a dare 
esigibilità a quei bisogni. Nuove forme di direzione politica 
e di organizzazione politica potranno generare nuovi modelli 
di stare insieme politicamente nei territori per andare oltre 
una sovranità limitata all'espressione di un voto ogni tanto.
Non basta chiedere/gridare “scioperiamo la democrazia”, 
è necessario trovarsi insieme nei mille luoghi possibili e là costruire 
insieme, tra persone alla pari, il convivio politico
Spetta alla sinistra, superate le insidie frazionanti degli egoismi
di Narciso, retaggio di un antico maschilismo, trovare una unità 
conviviale per il bene comune.

O no?
Severo Laleo




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