Una cooperativa, benemerita per il
reinserimento dei carcerati,
figlia di un’idea di civiltà, diventa, al
contrario -così si scrive-, luogo di incroci
d’affari mafiosi, senza limiti. Con danno
drammatico per i più deboli.
Una classe dirigente, di destra, centro e
sinistra, selezionata
-si fa per dire!- per la buona
amministrazione, al contrario partecipa -pare-,
senza senso del limite e del pudore, a
suo modo, direttamente e indirettamente,
al malaffare di sistema mafioso. Con danno drammatico per la democrazia.
Una macchina burocratica, addetta, in più
settori dell’amministrazione,
anche tramite persone insospettabili, al controllo di legalità,
al contrario
facilita, al di là del colore del sindaco,
l’organizzazione
mafiaffaristica per godere -a sentire le intercettazioni-
di stipendi aggiuntivi. Senza limiti e
senza l’onor di carica.
Con danno drammatico per la credibilità del
Pubblico.
Un partito di governo, a livello locale e
non, guidato
da un “nuovo” segretario, impegnato
a cambiare
i metodi di gestione di sempre, al
contrario continua,
senza limiti -si può dire-, a praticare o a non
capire/denunciare
il malaffare e a chiedere pulizia sempre
con ritardo
e solo a seguito di inchiesta della
magistratura.
Con danno drammatico per la partecipazione alla vita di partito.
La confusione è grande. Ma diventa incomprensibile
quando il Premier, seminatore nuovo di
ottimismo non ragionato,
secondo un’antica e colpevole retorica, per una
volta s’intristisce,
s’adira e annuncia nuove pene e nuove misure di
repressione
per i corrotti -si attendono, si spera, rapidi decreti d'urgenza-,
mentre proprio quei
corrotti, al contrario, cenano,
senza timori, al suo desco di partito con mille euro a
sedia.
Con drammatico danno per l’idea di una democrazia alla portata
di un
onesto lavoratore.
Un danno comunque già perpetrato a suo tempo
contro l’onestà comune, quando non ebbe
alcuna difficoltà
a incontrare, per delineare i destini istituzionali
del Paese
-almeno questa è versione a nostro uso-,
un condannato
per evasione fiscale, indegno di sedere in
Senato.
Un drammatico esempio di schiaffo alla
sensibilità
delle persone oneste. E un incoraggiamento per
molti
a ritenere l’evasione fiscale un reato “tollerabile”.
E più incomprensibile è la confusione se il
Presidente
della Repubblica, persona pur degnissima
d’ogni rispetto,
nell’attaccare l’antipolitica lascia, al contrario, nell’ombra
l’arroganza spesso mafiosa della politica.
Con danno drammatico per le persone indifese,
alle quali altro non è concesso se non
rifugiarsi, per disprezzo
del generale decadimento morale,
nell’antipolitica.
Ora propria questa antipolitica non è un’antipolitica
eversiva
per precisa scelta di rottura e di scardinamento istituzionale,
ma solo un’antipolitica
pedagogica per disperazione,
specie se nell’Emilia Romagna, regione di
grande tradizione
democratica, la maggioranza grande della
popolazione
si rifiuta di partecipare al voto. “Antipolitica è patologia eversiva”,
quasi grida il nostro Presidente. E’ vero, in tempi normali, ma diventa oggi,
in
Italia, constatazione fuori contesto.
Anzi è una diagnosi senza anamnesi. Eppure
l’anamnesi è nota
al Presidente Napolitano, perché già uomo del Pci.
L’antipolitica, praticata spesso dall’opposizione
e, secondo
i comodi, anche da forze di governo, è sì patologia eversiva,
ma è l’esito
di un virus eversivo, alimentato da quella diffusa contiguità
tra
politica e malaffare, da quell'uso personale/padronale del voto e dei partiti,
e da quella testarda non-soluzione della questione
morale
proprio nei termini definiti tanti anni fa,
ancora da una persona del Pci, mai
dimenticata, E. Berlinguer.
Per uscirne non basta l’inasprimento delle
regole processuali
e penali, ma serve il rispetto delle regole
democratiche
dentro l’organizzazione politica del partito
“nuovo”,
trasformando la subalterna sovranità
elettorale,
ricca solo di un voto a seguito di un leader
padrone,
nella paritaria sovranità conviviale,
libera di decidere
a seguito di dibattito democratico tra
persone alla pari.
Un partito nuovo e una nuova società a sovranità
conviviale,
oltre la vuota sovranità
elettorale, non è più compatibile
con il mito del leader pigliatutto,
e non è più compatibile
con una legge elettorale con premio di
maggioranza
e con eletti nominati.
La Politica
non è gioco, non è una partita di calcio,
non è un patto di potere, non è affari tra
potenti,
non è una compravendita, non è una lotta di
ambizioni
senza limiti. La Politica è l’etica agita nella vita pubblica
(Crick),
e ha urgente bisogno di un “luogo
reale”, fisico, dove regole
nuove e trasparenti rendono
possibile una relazione “alla pari”
tra le persone, un “luogo reale”
dove la dirigenza sia scelta,
almeno per il 50%, per “sorteggio”,
dove uomini e donne,
in spirito di servizio, siedono “in
pari numero” nei posti di guida,
non per graziosa concessione, ma
per norma deliberata,
dove siano definiti tempi e rotazione degli
incarichi,
dove non si elegga a “capo”
un “singolo”, spesso un maschio,
ma una “coppia”, un uomo e
una donna (si tratta di passare
dal monocratismo maschilista di sempre al
bicratismo di genere del futuro,
a una forma duale di direzione, dove non sia
l’”IO” a dominare,
ma il “NOI” a cooperare), dove il
finanziamento sia,
da una parte, pubblico (la responsabilità,
anche economica,
della continuità democratica è un
bene/dovere del Paese),
dall'altra, privato, ma possibile solo
a iscritte e iscritti.
Se i partiti e i movimenti sono senza
regole di democrazia, trasparenti
e controllabili, se non hanno un
luogo di condivisione
delle idee, se non sperimentano, anche
dopo aver usato la rete,
l’ardire del conoscersi/comprendersi, guardandosi negli occhi,
non potranno mai essere in grado di estendere
la democrazia
e di costruire una “sovranità conviviale”.
In trasparenza piena e assoluta.
O no?
Severo Laleo
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