venerdì 12 dicembre 2014

Il buio etico, l’antipolitica pedagogica e il partito nuovo





Una cooperativa, benemerita per il reinserimento dei carcerati,
figlia di un’idea di civiltà, diventa, al contrario -così si scrive-, luogo di incroci 
d’affari mafiosi, senza limiti. Con danno drammatico per i più deboli.
Una classe dirigente, di destra, centro e sinistra, selezionata
-si fa per dire!- per la buona amministrazione, al contrario partecipa -pare-, 
senza senso del limite e del pudore, a suo modo, direttamente e indirettamente, 
al malaffare di sistema mafioso. Con danno drammatico per la democrazia.
Una macchina burocratica, addetta, in più settori dell’amministrazione, 
anche tramite persone insospettabili, al controllo di legalità, 
al contrario facilita, al di là del colore del sindaco,
l’organizzazione mafiaffaristica per godere -a sentire le intercettazioni- 
di stipendi aggiuntivi. Senza limiti e senza l’onor di carica.
Con danno drammatico per la credibilità del Pubblico.
Un partito di governo, a livello locale e non, guidato
da un “nuovo” segretario, impegnato a cambiare
i metodi di gestione di sempre, al contrario continua,
senza limiti -si può dire-, a praticare o a non capire/denunciare
il malaffare e a chiedere pulizia sempre con ritardo
e solo a seguito di inchiesta della magistratura.
Con danno drammatico per la partecipazione alla vita di partito.
La confusione è grande. Ma diventa incomprensibile
quando il Premier, seminatore nuovo di ottimismo non ragionato, 
secondo un’antica e colpevole retorica, per una volta s’intristisce, 
s’adira e annuncia nuove pene e nuove misure di repressione
per i corrotti -si attendono, si spera, rapidi decreti d'urgenza-, 
mentre proprio quei corrotti, al contrario, cenano,
senza timori, al suo desco di partito con mille euro a sedia. 
Con drammatico danno per l’idea di una democrazia alla portata 
di un onesto lavoratore. 
Un danno comunque già perpetrato a suo tempo
contro l’onestà comune, quando non ebbe alcuna difficoltà
a incontrare, per delineare i destini istituzionali del Paese
-almeno questa è versione a nostro uso-, un condannato
per evasione fiscale, indegno di sedere in Senato.
Un drammatico esempio di schiaffo alla sensibilità
delle persone oneste. E un incoraggiamento per molti
a ritenere l’evasione fiscale un reato “tollerabile”.
E più incomprensibile è la confusione se il Presidente
della Repubblica, persona pur degnissima d’ogni rispetto, 
nell’attaccare l’antipolitica lascia, al contrario, nell’ombra 
l’arroganza spesso mafiosa della politica.
Con danno drammatico per le persone indifese,
alle quali altro non è concesso se non rifugiarsi, per disprezzo
del generale decadimento morale, nell’antipolitica.

Ora propria questa antipolitica non è un’antipolitica eversiva
per precisa scelta di rottura e di scardinamento istituzionale, 
ma solo un’antipolitica pedagogica per disperazione,
specie se nell’Emilia Romagna, regione di grande tradizione
democratica, la maggioranza grande della popolazione
si rifiuta di partecipare al voto. “Antipolitica è patologia eversiva”, 
quasi grida il nostro Presidente. E’ vero, in tempi normali, ma diventa oggi, 
in Italia, constatazione fuori contesto.
Anzi è una diagnosi senza anamnesi. Eppure l’anamnesi è nota
al Presidente Napolitano, perché già uomo del Pci.
L’antipolitica, praticata spesso dall’opposizione e, secondo
i comodi, anche da forze di governo,  è sì patologia eversiva
ma è l’esito di un virus eversivo, alimentato da quella diffusa contiguità 
tra politica e malaffare, da quell'uso personale/padronale del voto e dei partiti,
e da quella testarda non-soluzione della questione morale 
proprio nei termini definiti tanti anni fa,
ancora da una persona del Pci, mai dimenticata, E. Berlinguer.

Per uscirne non basta l’inasprimento delle regole processuali
e penali, ma serve il rispetto delle regole democratiche
dentro l’organizzazione politica del partito “nuovo”,
trasformando la subalterna sovranità elettorale,  
ricca solo di un voto a seguito di un leader padrone,
nella paritaria sovranità conviviale, libera di decidere
a seguito di dibattito democratico tra persone alla pari.
Un partito nuovo e una nuova società a sovranità conviviale,
oltre la vuota sovranità elettorale, non è più compatibile
con il mito del leader pigliatutto, e non è più compatibile
con una legge elettorale con premio di maggioranza
e con eletti nominati.
La Politica non è gioco, non è una partita di calcio,
non è un patto di potere, non è affari tra potenti,
non è una compravendita, non è una lotta di ambizioni
senza limiti. La Politica è l’etica agita nella vita pubblica (Crick),
e ha urgente bisogno di un “luogo reale”, fisico, dove regole
nuove e trasparenti rendono possibile una relazione “alla pari
tra le persone, un “luogo reale” dove la dirigenza sia scelta,
almeno per il 50%, per “sorteggio”, dove uomini e donne,
in spirito di servizio, siedono “in pari numero” nei posti di guida, 
non per graziosa concessione, ma per norma deliberata,
dove siano definiti tempi e rotazione degli incarichi,
dove non si elegga a “capo” un “singolo”, spesso un maschio,
ma una “coppia”, un uomo e una donna (si tratta di passare 
dal monocratismo maschilista di sempre al bicratismo di genere del futuro, 
a una forma duale di direzione, dove non sia l’”IO” a dominare, 
ma il “NOI” a cooperare), dove il finanziamento sia, 
da una parte, pubblico (la responsabilità, anche economica,
della continuità democratica è un bene/dovere del Paese),
dall'altra, privato, ma possibile solo a iscritte e iscritti.
Se i partiti e i movimenti sono senza regole di democrazia, trasparenti 
e controllabili,  se non hanno un luogo di condivisione 
delle idee, se non sperimentano, anche dopo aver usato la rete, 
l’ardire del conoscersi/comprendersi, guardandosi negli occhi,
non potranno mai essere in grado di estendere la democrazia
e di costruire una “sovranità conviviale”.
In trasparenza piena e assoluta.
O no?

Severo Laleo

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